di Francu Pilloni
Ecco
che su connotu – con una o con due ti – ovvero “il
conosciuto”, vale a dire tutto ciò che abbiamo conosciuto, visto e
imparato dai genitori e dai nonni, viene percepito spesso come pura
tradizione, intesa come tributo alla saggezza e all’autorevolezza
de is mannus ai quali sarebbe dovuto il massimo rispetto e
l’obbedienza che poi sfocerebbe nella irriflessiva replica dei modi
di agire già noti per ogni situazione, col risultato insito che
tenderebbe a cristallizzare nel tempo la vita di un’intera
comunità, tagliandola fuori dal progresso e dalla vivacità del
confronto con gli altri.
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Pastore che riversa il latte munto da su casiddu al bidone da Sardinialinks - Altervista |
Questo
punto di vista de su connotu è un modello interpretativo
largamente diffuso e ben basato sull’osservazione dei fenomeni
popolari, sia nella quotidianità che nella singolarità delle
manifestazioni legate a eventi particolari, come le sagre.
Se
mio zio, che era pastore, da una vita indossava per prima la
calza sinistra, anzi la pezza da piedi sinistra perché alle calze non si arrese mai, convinto che la procedura lo preservasse dal mal di denti – e in effetti, per caso e per buona sorte, morì ottantenne con in bocca i suoi trentadue denti, non uno cariato –, non c’è chi non abbia osservato, nel proprio paese o nella città, i cerimoniali delle feste che si ripetono “da sempre” con gli stessi comportamenti rituali, sia da parte dei singoli che dell’intera comunità. Si pensi alla sagra di sant’Efisio a Cagliari, ma anche e sopra tutto alla vestizione de su Componidori per la Sartiglia di Oristano, che apparentemente si configura come un tratto di un laicissimo carnevale, ma è intrisa di religiosità quanto nessuna più di essa.
calza sinistra, anzi la pezza da piedi sinistra perché alle calze non si arrese mai, convinto che la procedura lo preservasse dal mal di denti – e in effetti, per caso e per buona sorte, morì ottantenne con in bocca i suoi trentadue denti, non uno cariato –, non c’è chi non abbia osservato, nel proprio paese o nella città, i cerimoniali delle feste che si ripetono “da sempre” con gli stessi comportamenti rituali, sia da parte dei singoli che dell’intera comunità. Si pensi alla sagra di sant’Efisio a Cagliari, ma anche e sopra tutto alla vestizione de su Componidori per la Sartiglia di Oristano, che apparentemente si configura come un tratto di un laicissimo carnevale, ma è intrisa di religiosità quanto nessuna più di essa.
Mi
accorgo che sto scrivendo con periodi infaustamente lunghi e questo
spiega come stia tentando di convincere me prima degli altri delle
cose che vado esprimendo.
Proverò
a migliorarmi, pur nutrendo scarsa fiducia sul risultato, visto che
trascorro il molto mio tempo libero per conoscere me stesso piuttosto
che il mondo.
Dico
che lo zio pastore era analfabeta integrale, vale a dire non sapeva
riconoscere una O disegnata con la bocca di una cobidina, per dirla con
mia madre: per questo si possono comprendere e forse anche accettare
i suoi modi irrazionali di pensare e di agire. Sa cobidina, il
tino, che veniva caricata sul carro per trasportare l’uva della
vendemmia dalla vigna a casa, era un recipiente dogato che
normalmente superava la capacità delle venti marigas (ogni
mariga quattro brocche di dodici litri e mezzo), dunque il
tondo o l’ovale della sua bocca (la circonferenza) come diametro superava il metro abbondantemente, pertanto la O che ne veniva fuori era ben manifesta, se pure
restasse un’incognita per il pastore.
Si
comprende come la battuta di mia madre sia del genere di quelle
esagerazioni popolaresche che snobbano l’assurdo, ma ben
individuano il concetto che vogliono esprimere. È ovvio infatti che,
sia a me che a molti altri, sarebbe proprio inutile ingrandire al
massimo un segno della lingua coreana, perché mi risulterebbe oscuro
quanto il medesimo miniaturizzato. Eppure il pastore, pur
illetterato, pur non avendo mai visto e forse solamente sentito parlare della
festa di sant’Efis o de sa Sartiglia, possedeva un
suo connotu potente che lo teneva legato all’universo che
era stato dei mannus.
Su
connotu dunque si pone come una corda tesa tra s’antigoriu,
il tempo indeterminato de is mannus, e la modernità; il tempo
presente, a causa delle molte contraddizioni, tende inevitabilmente
la corda quasi a strapparcela di mano, l’allunga e ci allontana
dall’universo, che potremmo definire del mito, ma essa poi non giunge a
rottura, si ritira e ci riporta con violenza al punto da cui si era
partiti.
Su
connotu è paragonabile alla materia oscura interstellare, che
nessuno vede, nessuno misura, ma la sua presenza è indispensabile per certificare la
realtà dell’Universo: senza la congettura di una certa
quantità di materia oscura intergalattica i conti dell’Universo non
tornano.
Così è per su connotu.
Così è per su connotu.
Esso
è la cultura certamente; è, anche e banalmente, persino
l’inflessione della voce, il modo di ridere, di piangere, di
cantare, di vivere e di morire; è la misura della vita, è un codice
che distingue l’individuo da molti e lo assomiglia ad altri.
Non
so se vi sia qualcosa di genetico, ma sicuramente lo assorbiamo con
l’odore dell’aria, che dona una reciprocità con la natura,
stabilisce un’interazione forte con essa.
È
così intensa e così sentita che, persino chi si allontana
stizzito per una sorte avversa da una terra che considera matrigna,
anche chi cova l’odio nel cuore, non può fare a meno di
sentirsela dentro.
Fin
dove arriva l’altro capo della fune che ci lega anima e corpo a is
mannus nostus?
Mi
piacerebbe saperlo, poterlo ipotizzare, confidare le mie convinzioni.
Mi
vengono solo domande:
- perché
i nostri mannus del Neolitico preferivano utilizzare, fra
tante essenze, i rami e i polloni degli olivastri per costruire i
manici delle loro mazze e is mazzoccas, e perché sino a ieri,
quando le cose non si ordinavano in internet, i ragazzi sceglievano
is forciddas delle fionde elastiche tra le biforcazioni
dell’ulivo e dell’olivastro?
- perché
quando i nostri vecchi rinvenivano in campagna un manufatto antico,
fosse di coccio, d’osso o litico, lo catalogavano con rispetto come
unu gioghittu de is antigus, riponendolo
sopra una muridina o
infilandolo in una cavità di un muro a secco?
- perché
le Tombe dei Giganti, i cimiteri comuni vecchi di tre o quattro
millenni, vennero chiamate sa domu de s’orcu, in modo che i
bambini ne fossero tenuti lontani per la paura dell’orco, ottenendo di conseguenza il rispetto per il sito?
- perché
i Giganti di Monti Prama ci scrutano con occhi a tutto tondo,
passandoci attraverso come fosse uno sguardo ai raggi X?
- e perché usa dire per uno che ti guarda fisso con attenzione e senza
inganno che ha gli occhi come unu tiru a balla?
- c’è
una relazione tra l’opinione secondo la quale i Sardi passano per
soggetti piuttosto parchi con le parole, e il fatto che i Giganti di
Monti Prama hanno occhi grandi sprappalucciaus, ma bocche
piccole e chiuse?
Ci
sarebbero tante altre domande da porre, più intelligenti di queste, pure lucidamente canzonatorie verso di me e delle cose che ho detto e
questo è un fatto.
Non sono uomo di scienza; non sono uno che procede prudentemente per gradi, uno scalino per volta, basandomi su dati concreti e verificabili; sono invece un uomo che procede come un cane da caccia, che fiuta l’aria in cerca di qualcosa che non si vede, non si tocca, non si misura; seguo la scia del sentimento, percepisco il legame col passato, molto più forte qualora mi trovi in campagna a confrontarmi con un residuo antico; soffro il flusso di suggestioni che fuori dal tempo e dallo spazio arrivano ancora potenti sino all'animo mio. Ho appreso ad essere uno fuori dagli schemi: non sono un intellettuale, mi rifiutano i pastori per il fatto che non so mungere, né tosare. Eppure, non ostante abbia usato molta parte della vita a insegnare a leggere e a scrivere, mi sento tremendamente vicino allo zio pastore e analfabeta.
Non sono uomo di scienza; non sono uno che procede prudentemente per gradi, uno scalino per volta, basandomi su dati concreti e verificabili; sono invece un uomo che procede come un cane da caccia, che fiuta l’aria in cerca di qualcosa che non si vede, non si tocca, non si misura; seguo la scia del sentimento, percepisco il legame col passato, molto più forte qualora mi trovi in campagna a confrontarmi con un residuo antico; soffro il flusso di suggestioni che fuori dal tempo e dallo spazio arrivano ancora potenti sino all'animo mio. Ho appreso ad essere uno fuori dagli schemi: non sono un intellettuale, mi rifiutano i pastori per il fatto che non so mungere, né tosare. Eppure, non ostante abbia usato molta parte della vita a insegnare a leggere e a scrivere, mi sento tremendamente vicino allo zio pastore e analfabeta.
In
verità non ho risposte da dare, neppure una. Mi piacerebbe autoipnotizzarmi
per tornare indietro nel tempo attraversando le vite passate, recuperando bracciate di corda per
vedere dove finisce il bandolo del mio connotu.
E
se mi vedessi in un paesaggio innevato, mai mi verrebbe da pensare
alla steppa russa o all’Alpe di Seimilaun, ma piuttosto di aver
vissuto in Barbagia gli strascichi dell’ultima glaciazione, il periodo Würm
che mi vide intento a raccogliere la neve, accumularla e nasconderla
dentro una grotta rivolta a settentrione, non per farne carapignas
aritzesas, ma per immergervi la carne degli animali
uccisi, la frutta e altri alimenti, così che non deperissero al
caldo, in contatto con i mosconi e gli altri insetti.
Lo
so, l’ho detto e non mi scuso: io sono uno che ricama sui
propri sogni.
Bellissimo ricamo. Sei 'forte' Franco (un po' come lo dice Celentano).
RispondiEliminaPreferivo il ballo del mattone; si vede che sono diventato rock invecchiando.
RispondiEliminaSignor Francu,questa volta,lei ha superato se stesso nello spiegarci cos'è su"connottu".Che poesia!Nelle sue parole si sente la sua profonda sardità e capisco la vicinanza allo zio pastore ed analfabeta che,grazie a "su connottu" ne sapeva più di qualsiasi intellettuale molto istruito.Complimenti sinceri.
RispondiEliminaSignora Grazia, questa volta lei ha superato se stessa nel vantare le mie figurate rincorse per superare me stesso. Non pensa che avrei il fiatone, se non fosse che sto calmo e fermo e tutte le lepri della mia vita le ho già viste fuggire?
RispondiEliminaUna di queste sere la chiamo al telefono per confessarle in segreto che de su connotu e di quanto ho scritto non sono totalmente convinto di averlo compreso neppure io. Si è trattato di un momento di scarsa lucidità, come quando si ragiona col cuore (sardista) e non con la mente.
Grazie comunque.
Quando si ragiona col cuore(sardista) non si sbaglia mai,signor Francu,se lo ricordi.Continuo con le lodi:la sua capacità di unire poesia è ironia ed autoironia,non è da tutti.
RispondiEliminaSì, è vero: siamo in pochi, per fortuna (dell'umanità).
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