Con queste parole, qualche giorno fa, abbiamo concluso la seconda parte dell’articolo sulla doppia scrittura (metagrafica e epigrafica) delle cosiddette ‘fiasche e fiaschettine del pellegrino’:
Infatti, lo scriba che ha organizzato la scritta gioca non solo sui numeri ma anche sull’ambiguità del
primo segno ad asta verticale perché se è vero che (probante anche la sicura fonetica della lettera della riga successiva che ha la stessa identica forma) esso ha valore di yod (nota la lettera yod) è anche vero che esso può notare l’ideogramma ‘uno’ e, quindi, per traslato la prima lettera dell’alfabeto e cioè ’aleph (toro)
Però, anche se è accertato che la lettera ‘uno’(1) vuol dire ‘toro’, è possibile dimostrarlo con
maggior vigore? C’è ancora qualche documento o nuragico o esterno che ci possa
far constatare questa verità senza che possa essere in qualche modo
reprensibile?
I
documenti ci sono, abbondanti, e alcuni per giunta notissimi. Uno di essi è il
cosiddetto saluto nuragico espresso tantissime volte nella piccola
bronzistica sarda, tanto che non c’è chi non lo conosca L’altro è la stele del sovrano
BAR-RAKIB che si rivolge a dio 'ba'al' di Harran (חרן), luogo una volta dell’antica terra di Canaan (VIII secolo a.C). Partiamo da quest’ultimo per
comodità di argomentazione considerato quello che di straordinario alla fine
risulterà nello sforzo interpretativo (fig.1).
Si noterà subito che la stele del museo di
Berlino (2) è tutta scritta anche se qualcuno
eccepirà affermando che la scrittura, quella che noi moderni intendiamo per scrittura
(parole riportate in significanti (3) fonetici imitanti questi l’oralità),
è presente solo nella parte superiore, espressa in caratteri chiari di
tipologia ‘aramaica’.
Comunque, dati i sicuri valori fonetici
consonantici in alfabeto aramaico, è’ da
essa che noi apprendiamo con assoluta certezza che il re si chiama BAR-RAKIB (בררכב) così come apprendiamo che nella stele è citato il BA’L (בעל: dio padrone) della città di H(A)R(R)N (חרן). Il
personaggio seduto sul trono arricchito da fregi, pettinato con originalità e gran
cura e vestito sfarzosamente, praticamente
‘tutto simboli’, è sicuramente un sovrano aramaico (4) con investitura divina. Davanti a lui sta uno scriba che saluta
con un gesto particolare il suo ‘signore ’. Questi risponde al saluto con
un gesto anch’esso del tutto particolare, per non dire strano, della mano
destra e tenendo un alberello di palma sulla sinistra. Anche questa è scrittura
che si ottiene non, come la precedente in modo epigrafico ma metagrafico, cioè con
i segni ed il linguaggio delle mani, segni
e linguaggio assieme usato da sempre dall’umanità, come si sa, sia per
‘comunicare’ sia per ‘esprimere’ attraverso segni convenzionali ed univoci
approvati dalla comunità dei parlanti. Lo scriba si presenta davanti al signore
salutandolo con il braccio sollevato e con il pugno, ovvero con il segno manifesto delle cinque
dita chiuse. BAR-RAKIB risponde sempre con il braccio destro e con la mano
sollevata ma questa non ha tutte le dita chiuse. Quattro lo sono e una, il
pollice, no. Cosa vuole esprimere questa ‘scrittura’ fatta attraverso la
simbologia delle mani e, soprattutto, quella numerica delle dita? Da ciò che
vedremo quasi la stessa cosa, ma in maniera diversa: una, potremmo dire, in
modo sintetico e l’altro analitico - esplicativo. Lo scriba vuole indicare
‘potenza’ con le dita chiuse, ovvero con il pugno (il pollice unito agli altri
quattro) e il sovrano, staccando il dito, risponde con un suo ‘forza’ (il quattro) più ‘uno’ e cioè forza
dell’uno’.
Ma cerchiamo di non restare in superficie e di capire più
a fondo tutta la gestualità, consapevoli che la scrittura espressiva ci dirà molto di più rispetto a quella
meramente informativa. Innanzitutto, risulta chiaro che l’atteggiamento delle
braccia e delle mani del sovrano e dello scriba è in rigoroso parallelismo:
significato hanno le mani destre come significato hanno le sinistre. Sono
dunque 'segni' che vanno interpretati e tradotti tutti e quattro e non solo due.
Quindi la lettura sarà (fig. 2) a partire dalla sinistra della stele (destra di
chi guarda) alto/basso e proseguendo
sulla destra sempre alto/basso.
Fig. 2 |
Scriba: potenza/ forza certa
Sovrano: forza
dell’uno/forza che dà la vita
La voce forza è quindi espressa, reiterata da
tutte e quattro le mani; ‘segno’ anche
questo da non trascurare in una stele zeppa di allusioni e di simbologia e dove
lo scopo principale consiste, ovviamente, nel glorificare la forza straordinaria, la potenza di BAR - RAKIB. Tanto più che lo
scriba sembra aggiungere ‘dicendo’ con la sinistra che quella forza è certa,
stabile, sicura.
Ora però chiediamoci:
perché il sovrano non risponde semplicemente sollevando la destra a pugno come
lo scriba? Perché risponde con la mano aperta e con il ‘quattro’ più ‘uno’? E
ancora. Perché il sovrano offre manifestamente il dorso
della mano e non il palmo per indicare il ‘quattro più uno’?
Rispondiamo puntualmente alle due domande:
‘Semplice’, uno forse
direbbe. Quell’uno c’è perché così Barrakib specifica che quella forza è del
monarca, dell’unico che comanda. Quella forza è la sua. Ma chiunque può capire che così espressa la
risposta può avere anche un fondo di verità, ma risulta alquanto debole, davvero
banale, perché non ci sarebbe neppure bisogno di una risposta di quel tipo per
un sottoposto. Quell’uno, il pollice,
quello che contribuisce più di tutti a dare la potenza, deve avere altro valore, anche perché la risposta
con la destra non può prescindere dalla manifesta simbologia della palmetta segno
di ‘vita’ che sta sulla sinistra. Riusciamo da
altro a capire detto più ‘forte’ valore?
Ci riusciamo se colleghiamo con la scrittura gestuale la
simbologia del terzo livello di scrittura, ovvero quello
particolarmente ideografico. In questo oltre alla chiara simbologia di chi sta
sopra e chi sta sotto (sottoposto), di chi viene esaltato e di chi viene ‘annichilito’
(basti pensare che lo scriba non ha nome), si nota quella, ugualmente molto scoperta
che riguarda Barrakib seduto sul trono e con i piedi sullo sgabello. Nel primo stanno
‘due’(7) tori con sotto
‘dodici’ segni ornamentali a ‘spirale’ (8) e con delle pigne che ornano i piedi. Nel secondo ci sono
sempre le pigne ma con sopra il motivo del ‘sedici’. E’ abbastanza facile
capire che il doppio toro, il 12 e le pigne (9) sono simboli che alludono a Barrakib come ‘toro doppio (?) celeste che dà la vita’. E così, di conseguenza, risulta
abbastanza agevole capire che nello sgabello per i piedi, attraverso il numero delle spirali c’è
scritto ‘forza del dodici (quattro più dodici) che
dà la vita’. Insomma, nel terzo livello di scrittura, con densa ideografia
numerologica (10), si dice che BAR -
RAKIB è ‘un toro celeste che dà vita e prosperità’. E se è un toro celeste vuol
dire che è figlio del toro celeste. La nostra
lettura potrebbe continuare perché tutta la sofisticata e artistica stele
è carica di allusioni circa la identità di Barrakib come divino e potentissimo sovrano. Lo stesso copricapo, la stessa
barba e i capelli, così come tutti gli altri segni (compresi quelli della
veste) che ‘stridono’ e intendono proprio stridere di fronte alla povertà dei segni
dello scriba, non sono arte decorativa, non intendono tanto raffigurare un
sovrano mimeticamente, quanto invece
‘scriverlo’ per simboli, significativi in particolar modo sul piano numerologico (11). Soprattutto per la presenza del tre che è il simbolo massimo della
divinità. E BAR -RAKIB è ovviamente ‘TRE’ o Dio. Gli stessi tre livelli di scrittura, in gradazione
discendente per astrazione, sono pensati prima, sono altamente significativi riguardando il numero sacro
divino. Ma qui, per la nostra analisi mirata, basti l’aver compreso che quell’uno è il toro e che con il pollice si è inteso
scrivere ed esprimere uno e toro
contemporaneamente. Testimonianza
questa che ci permette di dire e confermare quello per cui è nata questa terza
parte dell’articolo: che nella parte epigrafica della fiaschetta del pellegrino
il numero ‘uno’ allude al ‘toro’ anche perché, come si è affermato, la ’aleph e
la lettera ‘uno’ dell’alfabeto.
Vediamo la
seconda domanda che ci sembra assai pertinente data la stranezza della posizione,
quasi innaturale, di quella mano e la torsione del braccio che fa sì che il sovrano mostri allo scriba il ‘dorso’ e non il palmo.
Abbiamo detto più volte che i requisiti fondamentali della scrittura nuragica
metagrafica sono l’ideografia, la numerologia e l’acrofonia. Essendovi
ideografia e numerologia e, come si è visto,
l’ossessione per il tre, non è
improbabile che anche quest’ultima sussista nella stele anche se essa. per
nostra esperienza con il nuragico, non è mai agevole da individuare (12). Ma forse il ‘dettaglio’ della
mano destra di BARRAKIB, non essendo proprio un dettaglio ma un segno forte
enfatico, ben marcato, può darci proprio una …mano. Infatti ‘leggiamo’ come si
presenta allo scriba la mano del sovrano. E’ manifestamente il dorso e quindi ,
per aspetto, una ‘mano girata’ e non diritta. Nessuno, crediamo, potrebbe negare questo dato obiettivo. Ora,
‘mano girata’ in semitico è formata dalle voci yd יד e hphk הפך . Quindi essa sembra rendere nascostamente in acrofonia la voce yh. Acrofonia che potrebbe sussistere in
considerazione del fatto che si completerebbe molto bene in questo modo tutto
il senso con il ‘di chi è’ quella forza taurina. Però se così fosse le
cose cambierebbero perché allora non sarebbe BARRAKIB il toro, come supposto, quanto
la divinità.
Ma forse non
cambierebbero per nulla perché in ultima analisi sembra di capire che
l’espressione a rebus contenuta nella mano destra di Barrakib è volutamente ambigua: il sovrano cita la forza del dio che dà la vita ma
nel contempo cita anche la sua di forza
che dà la vita e la prosperità al suo popolo di HARRAN. Se
la nostra interpretazione risultasse
giusta non solo potremmo concludere affermando che la lettura vera e completa
della mano di Barrakib è YH ‘OZ ’ALP HY
(yh forza del toro che dà la vita) ma
potremmo anche affermare che il saluto nuragico risulta essere lo stesso
preciso saluto che manifesta Barrakib. Cambiamo
la direzione di quel dorso che procura l’acrofonia allo scriba e mettiamoci il palmo e i due ‘segni’ risulteranno
identici.
A questo punto potrebbe sembrare, data l’analogia, quasi superfluo
trattare del saluto nuragico; ma c’è, secondo noi, ancora qualcosa di molto importante da
aggiungere che riguarda il dorso e il palmo della mano, ovvero il significato aspettuale
diverso eppure eguale ai fini della scrittura metagrafica resa con i segni delle
mani.
Chi
effettua il saluto detto devozionale (così Lilliu) ovvero agita
la mano (hll הלל) in segno di appellare e rispettare assieme la
divinità (fig. 3 -4 -5 - 6), può essere chiunque, come dimostra la varietà di
persone che si comportano sempre nello stesso modo di fronte al Dio.
Fig.3 Fig.4 Fig.5
|
Fig.6
Essi ‘manifestano’ sempre nello stesso modo (13) ovvero tenendo il pollice ben staccato rispetto alle quattro dita. Anche qui che significato dare al gesto che abbiamo analizzato nella complessa ma non intraducibile stele di Barrakib? Secondo noi lo stesso preciso significato, come si è detto sopra, perché, anche a prescindere dall’ideogramma (quattro + uno) individuato nella stele del sovrano di Harran, sappiamo bene da tantissimi documenti da noi e da altri commentati (14) che il quattro anche in nuragico significa numerologicamente sempre forza. Ed essendo quella forza numerologicamente sicura come significato, un significato numerologico deve avere quel pollice o uno che enfaticamente è staccato dal quattro. Allora, che l’uno possa essere il ‘toro’ non solo lo garantisce il dato empirico che il pollice è quello che, una volta unito alle quattro dita, garantisce il toro’ o forza taurina alla mano, ma lo garantisce anche il fatto che il saluto è rivolto alla divinità ‘unica’, a quella divinità androgina (uno in due), celeste che è sempre o quasi sempre attestata (sino alla monotonia documentaria, epigrafica e non) con l’appellativo di toro della luce ovvero NUR - AG - HE.
Essi ‘manifestano’ sempre nello stesso modo (13) ovvero tenendo il pollice ben staccato rispetto alle quattro dita. Anche qui che significato dare al gesto che abbiamo analizzato nella complessa ma non intraducibile stele di Barrakib? Secondo noi lo stesso preciso significato, come si è detto sopra, perché, anche a prescindere dall’ideogramma (quattro + uno) individuato nella stele del sovrano di Harran, sappiamo bene da tantissimi documenti da noi e da altri commentati (14) che il quattro anche in nuragico significa numerologicamente sempre forza. Ed essendo quella forza numerologicamente sicura come significato, un significato numerologico deve avere quel pollice o uno che enfaticamente è staccato dal quattro. Allora, che l’uno possa essere il ‘toro’ non solo lo garantisce il dato empirico che il pollice è quello che, una volta unito alle quattro dita, garantisce il toro’ o forza taurina alla mano, ma lo garantisce anche il fatto che il saluto è rivolto alla divinità ‘unica’, a quella divinità androgina (uno in due), celeste che è sempre o quasi sempre attestata (sino alla monotonia documentaria, epigrafica e non) con l’appellativo di toro della luce ovvero NUR - AG - HE.
Ma chiediamoci
ancora: nel saluto e dal saluto si può comprendere chi è (15) la divinità che è (o sembrerebbe) espressa nella stele di
BARRAKIB con il nome di yh? Rispondiamo
alla domanda affermando che anche nel saluto nuragico essa è yh e che è scritta ugualmente in
acrofonia e ugualmente resa dal sostantivo mano e dal verbo che essa
suggerisce con l’aspetto. Si osservi il seguente schema, sostantivo + verbo, sia del nuragico
che del'aramaico :
Nuragico: MANUS
FESTA: mano che celebra, devota, che
saluta
Cananaico: MANUS
VERSA: mano girataIn lettere consonantiche semitiche le voci saranno:
yd יד hll הלל
yd יד hphk הפך
In
ambedue i casi, come si vede, le quattro
voci rendono, attraverso lo stesso espediente acrofonico, la voce yh, ovvero il nome del dio. Tanto che ai
fini del senso linguistico ‘profondo’ e non superficiale possiamo dire, ma solo
in virtù della convenzione acrofonica : MANUS VERSA = MANUS FESTA.
Non solo dunque
il saluto nuragico concorda numerologicamente (quattro +uno) con quello della stele ma esso, nello stesso modo
ideografico e acrofonico, ci dice che yh è
la stessa divinità della stele di Barrakib. L’uno è il toro lì, come l’uno è il toro qui. Ma anche yh è il dio lì, come yh è il dio qui.
E’ inutile il sottolineare a questo punto
quanto la Sardegna dal punto di vista culturale religioso e istituzionale sia collegata
con la terra di Canaan: scrittura (il protocananaico e l’aramaico),
‘religio’ (il dio yh celeste), istituzione monarchica teocratica (i re tori unici luminosi
come Barrakib e i re ‘giganti tori unici luminosi’), lingua semitica della religione, costumi (il saluto con
le quattro dita ed il pollice staccato), ecc.
Il proseguo degli studi e l’aumentare continuo
della documentazione di scrittura sarda in alfabeto e in lingua semitica ci
diranno presto, ne siamo certissimi, in maniera molto più precisa, quanto in Sardegna
si può dire essere specificamente ‘cananaico’ (del territorio dell'antica Canaan) e quanto invece (e sembra non
poco) essere ‘nuragico’ (o shrdn che
dir si voglia). Ma stando così le cose ci viene inevitabile sbottare e
obbligato dire che invece di giochicchiare a ‘scrittura sì e a scrittura no’, a
‘mitopoiesi conscia o inconscia’, a scrittura sarda sarda e a scrittura in Sardegna’(16), a ‘scrittura
forse, ma più di questo tipo più che di quello’, ecc. ecc. occorrerebbe spendere
più proficuamente le energie collettive e promuovere senza indugi gli studi
comparativi a tutti i livelli (archeologico, epigrafico, antropologico,
storico, letterario, religioso, astronomico, medico genetico, ecc.) sulla
civiltà siro - palestinese e su quella sarda della prima metà (e forse prima)
del secondo Millennio a.C. e della prima
metà (almeno) del primo Millennio a.C. Senza trascurare, naturalmente, quella
che è la copiosa fonte e madre di entrambe e cioè l’egiziano.
Note e
indicazioni bibliografiche
1. Sanna G., 2016, Scrittura nuragica. I numeri dall’uno sino al dodici. Il loro valore
simbolico convenzionale nei documenti della religiosità. L’iterazione
logografica sulla base di quel valore; in Maimoni blogspot. com (2 luglio).
2. Das Vorderasiatische Museum, Berlin. Il
testo inizialmente in aramaico recita: "Io sono Bar-Rakib, figlio di Panammuwa’. Sulla destra del ‘crescente
lunare’ c’è scritto "Mio signore, Ba'al Harran". La stele, in basalto, viene datata intorno al 730 a.C..
3. E’ questa la
solita interpretazione della ‘scrittura’ , di diversi studiosi, che va respinta. Quella che imita nel miglior
modo possibile l’oralità (come l’alfabeto greco) è solo un tipo di ‘scrittura’,
la quale, peraltro, soddisfa sino ad un
certo punto . Dice e non ‘dice’.E’ fredda: dice ma non ‘commenta’. E’
‘superficiale’. Parla con la bocca ma
non con il volto. Gli antichi (a partire dagli Egiziani e forse da prima) erano
consapevoli dei diversi sistemi o codici di scrittura da porre su piani diversi. Questa
iscrizione così tantissime iscrizioni
siriane, cretesi, greche, nuragiche ed etrusche lo mostrano senza ombra di
dubbio. Lo scrivere è certamente un atto comunicativo ma anche e soprattutto espressivo.
Con le lettere lineari alfabetiche si opera con maggior efficacia sul piano
comunicativo, con la scrittura metagrafica sul piano espressivo. La stele di
Barrakib è più precisa quando comunica ed informa con la fonetica dell’alfabeto
aramaico; invece è più espressiva quando dà l’idea visiva con il disegno e
l’arte simbolica. Potremmo quasi dire che l’una è ‘prosa standard’ mentre l’altra è forma ‘poetica’ (dal greco ΠΟΙΕΙΝ).
4. Ricordare il
noto passo della Bibbia (Genesi, 11, 31)
in cui si narra la partenza di Abramo con la sua famiglia da UR in Caldea sino
ad Harran in Canaan ‘dove si stabilirono’.
5. Questo sembra
essere il significato che si vuole dare al disegno della mano che stringe
(forza) e la ‘tavola’ che serve a ‘certificare’ il documento (che lo scriba
tiene sotto il braccio). Forse è da vedere qui l’origine dell’atto figurativo
metagrafico dei coperchi dei sarcofaghi etruschi nei quali il defunto tiene in
un dito l’anello sigillo che simbolicamente certifica (l’aiuto e del padre e
della madre: apac atic). In una caso
particolare si ha il sigillo e lo stesso ‘certificato’.
6. La palma è simbolo
di albero della vita e, a motivo
dell’abbondanza di frutti che produce, anche simbolo di abbondanza e prosperità
7. I due tori o,
meglio, le protomi taurine, sono ‘speculari’. E’ questo uno schema che ci
spiega soprattutto l’etrusco con le divinità TIN e UNI rappresentate
specularmente, anche zoomorfe. TIN e UNI sono rispettivamente il sole e la
luna, il maschio e la femmina celesti, la luce dell’androgino. Nella stele di Barrakib il particolare, con ogni
probabilità, non è senza senso. La luce (il 12, il simbolo delle spirali, sottostante nel trono) è quella
dell’androgino.
8. La spirale è
segno antichissimo che simbolizza la potenza e l’energia senza fine. Come
significato può essere sostituita dal ‘serpente’. Serpente (immortalità) e toro
(potenza) sono spesso associati soprattutto se, come in questo caso, si allude alla luce della coppia celeste Sole
-Luna.
9. Le pigne, come
l’albero della palma che Barrakib tiene nella mano sinistra, alludono
all’abbondanza, alla fertilità e alla prosperità. Gli antichi erano molto
attirati ai fini di efficacia d’espressione simbologica da quei frutti (ad
esempio la melagrana) che si mostravano pieni di molti semi e per di più
eccellenti come gusto. . .
10. La stele è
strutturata ed organizzata in modo da rendere il numero divino ‘tre’ a partire
già dal cosiddetto ‘crescente lunare’ che altro non è se non l’espressione taurina
del tre (2 e 1) luminoso. La magia del ‘tre’ divino informa e dà corpo vigoroso
al sacro nella documentazione nuragica e in quella etrusca. I sigilli
cerimoniali per i ‘giganti’ divini di Tzricotu
di Cabras, la Stele di Nora in onore di LPHSY (Lephisy) ‘lb w bn’ (figlio del cuore) del toro yh
nonché il sigillo di Pallosu di
San Vero Milis con il nome Gayny sono
strutturati sulla forza magica del ‘tre’ in quanto esso è il simbolo massimo
della divinita yhwh. Il cosiddetto ‘Sarcofago degli Sposi’ di Cerveteri con il simbolismo delle mani,
delle congiunzioni C/C (3 + 3), dei nomi con tre consonanti (ATI/APA: madre/padre), delle tre lingue
adoperate, ecc.) è un esempio dei tanti che si possono fare per comprendere
come per tantissimo tempo (arrivando sino al cristianesimo) il ‘tre’ (e/o il
triangolo) venne adoperato per reiterare
il nascostamente il nome della divinità attraverso il massimo dei suoi simboli.
11. I numeri
soprattutto come ideogrammi si prestano assai alla simbologia ma solo perché
assumono significato all’interno di ben precise convenzioni scribali
consolidatesi nel corso dei secoli e dei millenni. Il sette della veste di Barrakib ad esempio, seguito dal tre, lo si
intende solo perché da tempo immemorabile gli scribi di tutte le scuole sparse
per il Mediterraneo sanno di poter scrivere il numero al posto della voce
‘santo’. Numerosi sono i casi in cui la documentazione nuragica e quella
etrusca fanno vedere questa convenzione ‘internazionale’ - per così dire - di
'scuola'.
12. Scoprire l’acrofonia attraverso il metagrafico è un’operazione difficile e complessa
perché innanzitutto bisogna capire in quale lingua (o in quali lingue in mix) è
espresso il documento e poi perché il più delle volte non sembra essere
l’oggetto che rende l’acrofonia quanto l’aspetto. Ad esempio se abbiamo un cane
che abbaia è possibile che la voce ‘cane’ non rientri nel computo acro fonico
che dà la catena fonetica, ma vi entri solo la voce ‘abbaia’. Se dovessimo
usare questa acrofonia in italiano non si avrebbe la consonante ‘C’ ma la
vocale ‘A’. Naturalmente nel caso della stele di Barrakib la lettura iniziale
ci consente di capire che la lingua adoperata è il semitico e che pertanto
l’acrofonia, se esistente, sarà solo esito di voci di quella lingua. Per quanto
riguarda la ‘cosa’ e lo ‘aspetto’ si tratterà di avere ottime capacità di
osservazione e risolvere il rebus badando soprattutto al secondo. L’esperienza
con il nuragico ci dice che è l’aspetto e solo esso che consente di individuare l’acrofonia. Ad
esempio (ma non traduciamo per ora l’esito dell’acrofonia) il tema ricorrente
del bue con la ‘coda irritata’ (che mostra irritazione attraverso la coda)
riceve luce di senso se si capisce ‘irritata’ e non tanto e solo ‘coda’. Non
solo, ma se si afferra anche com’è disegnata, che forma assume quella
coda. 13. Se ‘manifestassero’ diversamente, magari chiudendo il pollice, con tutte le dita aperte o posizionando la mano orizzontale con il dorso o con il palmo (come capita di vedere nei bronzetti), vorrebbe dire che lo scriba artigiano ha intenzionalmente cambiato il senso del messaggio fonetico - linguistico. Se poi sono due le mani (v.fig.6) che mostrano il saluto devozionale e non una sola, bisognerà sforzarsi di intendere il perché di quella variante che non può che aggiungere senso metagrafico a quello standard conosciuto.
14. Si veda Angei S., 2015, Maymoni: il volto di Maymoni, in Maimoni blogspot.com (12 aprile)
15. Naturalmente questa divinità, se si trova ‘scritta’ con il metagrafico del saluto nuragico, non può che essere yh. Su 300 e passa documenti di scrittura nuragica (tutti in lingua semitica) rinvenuti tra il 1995 e il 2015, il nome di yhwh (y, yh, yhh, yhw) o quello reso con il pronome indicativo hȇ , si trova attestato quasi una volta ogni tre documenti.
16. E’ questa la ridicola ‘puntualizzazione’ di qualche studioso che non si rassegna ad accettare il fatto che la documentazione rinvenuta e quella che si rinviene continuamente sia composta da segni specificamente sardi e scritti dai Sardi nuragici (sardōa grammata) e non da genti esterne.
Due domande Aba.
RispondiEliminaSe, come io penso, il 'dorso della mano' significa YH come pensi che possa andare d'accordo con la divinità Shin Luna all'inizio della stele? YH è segno di androginia come dimostrano i documenti nuragici, persino in forma del tutto naturalistica.
Il trono di Barrakib ha tutta una simbologia numerica 'celeste' ma quello che più mi colpisce sono le 'due' protomi bovine raffigurate specularmente che mi sembrano alludere al sole e alla luna e non alla luna soltanto. Io non ho mai capito bene il cosiddetto crescente lunare anche perché in un documento 'nuragico' come lo statere di Amsicora mi sembra alludere al solo 'tre' (le tre fasi lunari) più che alla Luna. Potrebbe essere che, essendo cosparso tutto il documento 'stele' del numero tre, il segno a crescente lunare indichi semplicemente il numero? Noi sappiamo (o ci sembra di sapere) che il 'tre' è uguale a Yh così come il 'tre' in etrusco è uguale TIN/UNI. Se così è il 'my lord' non potrebbe essere il 'tre/dio' androgino? Così penso che potrebbe sanarsi la contraddizione tra il YH ricavato per via acrofonica e il segno 'trino' (perché 'tre' comunque è) del crescente lunare. Il dio Shin insomma sarebbe Yh.
Sulla prima domanda è facile: il dio Sin è più che androgino: nei momenti in cui ha una moglie fa con la moglie, nei momenti in cui non ce l'ha è ermafrodito-fa da solo.Ma è abbastanza sibillino come personaggio; a Harran Dio ordina ad Abramo di andare in Palestina e il dio di Harran era Sin, poco ma sicuro. Se poi ci sia stata una trasposizioone o un sincretismo o che, non so dirtelo davvero.
RispondiEliminaPerò bisogna anche considerare un'altra possibilità: e cioè che il Dio a cui Barrakib si riferisce con i gesti (e penso ci siano pochi dubbi sul fatto che stia "parlando" sia col corpo che con tutti gli oggetti che ha in mano e attorno) non sia Sin, ma che lui stia nascondendo o alludendo, parlando per chi poteva capirlo.Era vassallo degli assiri in quell'epoca, che si stavano espandendo verso ovest sotto lo stendardo di Sin. Può darsi benissimo che ciò che è scritto in lettere e con il "logo" di Sin , non coincida con ciò che in re dice con i gesti; o non coincida del tutto.
Questa possibilità però mi sembra decada perchè nei sigilli neoassiri del dio Sin il gesto del re è lo stesso.
Forse hai ragione con segno a crescente, però tieni anche conto di una cosa: in Canaan del sud per scrivere Sin usavano in alternativa un segno ad Ankh: ti ricordi la Leshem inscription di Bethsaida? http://monteprama.blogspot.it/2014/01/al-nome-di.html perchè Sin è colui che dà la vita
Caspita! Io ho parlato di ambiguità senza che nessuno mi dicesse nulla. Ma più si studia più si ha a che fare con questo aspetto sgusciante del simbolo!
RispondiEliminaHo riflettuto sul gesto e sul modo di porre la mano da parte del re e sulla sequenza temporale dei due gesti: del re e dello scriba; ed ho ipotizzato una situazione. lo scriba si presenta al re e col gesto delle mani gli manifesta:
RispondiElimina“[Bar-rakib tu sei] potenza /forza certa”;
al quale il re risponde con altro gesto:
“la forza [è] del toro y(mano)/h(versa)/forza che da la vita”.
E questa potrebbe essere interpretata anche come una sorta di lezione impartita dal re al suo sottoposto; ossia, indica allo scriba di rivolgere il saluto non al re, ma alla divinità tramite il re e nel modo indicato da quello; ossia “quando sollevi la mano devi vedere il dorso della tua mano, come io ti sto facendo vedere”.
D’altronde il re non poteva alzare la “manus festa” verso il suo sottoposto, sarebbe stato interpretato quale segno di sottomissione e devozione nei confronti di quello.
Secondo questa ipotesi il nome di yh sarebbe dato acrofonicamente sempre da y(manus) h(festa) rivolta al divino o chi per lui; mentre il gesto della “manus versa” poteva essere solo appannaggio del re (“tramite” della divinità) e solo nel caso si rivolgesse ad un suo sottoposto, per tutte le altre circostanze sarebbe stato un gesto sacrilego per tutti.
Nessun bronzetto solleva la “manus versa”. Nessuno in Sardegna si sognerebbe di salutare con la mano girata.
Pare però che ci siano dei sigilli del re nei quali il 'saluto' è lo stesso (quindi sottoposti o no, fa nulla). Penso che l'intento in tutti i casi sia solo fonetico metagrafico. Non so se Aba sappia di più su questo specifico saluto.
RispondiEliminaNo, so solo che nei sigilli neoassiri (VIII e VII secolo) compare un avatar di Sin simile, ma un pò diverso: cioè non c'è la crescente con sopra il disco pieno-come qua (che può essere la luna piena o il sole); c'è solo la crescente-con il palo e i pendagli. Per questo ti dico che il sentire arameo era un pò diverso da quello assiro: il loro dio più importante non era Sin, era Hadad.
EliminaInoltre nei sigilli il saluto è variabile: può essere con una mano o con due -hai presente come mettono le mani alcuni durante il padre nostro? uguale.
Mani giunte?
EliminaAssolutamente no! è un gesto a mani aperte, in alcune versioni entrambe alzate, tipo saluto nuragico doppio; in altre versioni con entrambe le mani come ha Barrakib nella stele
EliminaVi posso sommarizzare la storia di Sin in rapporto agli aramei da questo libro: The Aramaeans in Ancient Syria, a cura di Herbert Niehr. "Gli aramei adottarono nel I millennio a.C. il culto di Sin di Harran, e lo identificarono con la divinità semitica occidentale Sahr/Shahr; Sin compare in molte iscrizioni aramee come "Lord of Harran" e anche in nomi teoforici, come Si'-Gabbar (eroe di Sin) o Sin-zera-ibni (iscrizioni di Nerab). Non si può sottostimare l'enorme popolarità di Sin in Siria, testimoniata da un gran numero di nomi teoforici con Sahr/Shahr, Si' o Sin- e dal gran numero di luoghi di culto siriani.
RispondiEliminaNelle culture semitiche il dio lunare aveva principlamente 4 sfere di azione:
1. serviva come orientamento per la vita dei nomadi;
2. la sfera della divinazione. Il dio veniva chiamato come testimone durante i contratti o i giuramenti
3. la misura del tempo
4. la fertilità di uomini e greggi.
Ovviamente i due ultimi aspetti sono legati, perchè la fertilità ha una forte componente ciclica. Questo portò ad una forte connessione tra Sin e Hadad (il dio del tempo atmosferico), entrambi rappresentabili come tori.A tal punto che nelle stele di Betsaida sono in piena sinergia."
Sto pensando ad una ipotesi. Che l'acrofonia non serva per indicare la divinità yh quanto la voce 'hy'. Allora sarebbe 'forza del toro che dà la vita'. In questo caso però si dovrebbe annullare la lettura della palmetta perché avrebbe lo stesso significato. Potrebbe però esserci quella che noi chiamiamo 'ridondanza'. E di ridondanza è piena la stele. Un bel rebus! Si capisce che l'acrofonia c'è ma ci è difficile legarla al contesto della lettura gestuale metagrafica presente nel secondo livello di lettura del documento lapideo.
RispondiEliminaUn particolare mi ha colpito nella figura alquanto parca dello scriba. L’orlo della sua veste porta una sorta di merletto, che disegna sei rettangoli, in corrispondenza del piede retrostante.
RispondiEliminaLo stresso particolare lo ritroviamo nella veste del sovrano e sempre in corrispondenza del piede retrostante. Questo sembra l’unico particolare che accomuna i due soggetti, quasi un distintivo.
Sì, è così. Se l'allusione è ancora al 12 (quindi tre volte il 12, se non erro) questo confermerebbe che lo scopo dello scriba lapicida è quello di rspettare la coerenza del 'magico' numerologico. Il tre come numero sacro è l'ossessione degli antichi, a partire dagli egiziani per finire con i sardi e gli Etruschi). Questo è un dato sicuro. Ma, detto per inciso, che vuoi che gliene freghi a certuni di un toponimo come 'Tresnuraghes'! E' nome 'laico' e non 'religioso'. Nessuna rilevanza dal punto di vista ermeneutico. Che pena! GESUSU - GIUSEPPI - MARIA!
RispondiEliminaPrima il graffito di sant'antonio, poi la pupilla (pobidda) nel graffito stesso, ed ora quest'altra: la rilevanza ermeneutica e il significato religioso del toponimo del mio paese. Grazie professore.
RispondiEliminaVedi Giovanni. Io questo non posso dimostrarlo ma 'sos nuraghes sunt a tres a tres. Anche i pastori lo dicono. E il 'tre' non è un numero qualunque. Ma in questa dislocazione 'Tresnuraghes' doveva avere un aspetto ancora più spiccato. Tanto che ipotizzo che i nuraghi fossero molto vicini. Ma potrebbe esserci stato qualche altro motivo. Ma ti dirò qualcosa di più: che il toponimo è prelatino e che quindi non solo Nuraghes ma anche 'tres' fosse voce sarda e non latina (romana). Tu sai come la penso sulla lingua sarda. Come l'Angius non credo affatto che i Sardi si siano fatti cambiare radicalmente la lingua dai Romani. Esistevano invece due lingue indoeuropee sorelle: il sardo e il latino. Non mi vogliono ascoltare ma la stessa documentazione epigrafica sarda, sebbene l'indoeuropeo come scrittura venisse oscurato dal semitico (lingua della cultura religiosa), offre testimonianza che i sardi parlavano una lingua vicinissima al latino. Al latino del 'Lazio' di allora non al 'romano'. Per tornare a 'Tresnuraghes' se il numerale fosse stato diverso difficilmente sarebbe scomparso dal toponimo per sostituzione romana (e perché poi?).
RispondiEliminaGiovanni. A proposito del graffito del concio della chiesetta di S.Antonio: perché non fate una petizione alla Sovrintendenza perché curi e si interessi di un documento così prezioso esposto all'azione dei vandali e alle intemperie. Dove si trova mai al mondo una scrittura con il dio YH 'uccellatore' e dove c'è il pretesto per dire metagraficamente YH YSH, ovvero 'Dio c'è'?
RispondiEliminaLa strada è quella, e ci sono, oltre ai miei limiti, le difficoltà generali di cui sappiamo, in loco molto forti.
RispondiEliminaL'amministrazione si è dimostrata inizialmente sensibile, poi l'iter si è fermato.
Vedremo. Con le mie poche forze continuerò a fare il possibile.