La rubrica di Maymoni

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sabato 12 novembre 2016

IL SALUTO NURAGICO E LA STELE DEL RE BAR-RAKIB . MANUS FESTA E MANUS VERSA.

di Gigi Sanna

Con queste parole, qualche giorno fa,  abbiamo concluso la seconda parte dell’articolo sulla doppia scrittura (metagrafica e  epigrafica) delle cosiddette ‘fiasche e fiaschettine del pellegrino’:
Infatti, lo scriba che ha organizzato la scritta gioca non solo sui numeri ma anche sull’ambiguità del primo segno ad asta verticale perché se è vero che (probante  anche la sicura fonetica della  lettera della riga successiva che ha la stessa identica forma) esso ha valore di yod (nota la lettera yod) è anche vero che esso può notare l’ideogramma ‘uno’ e, quindi,  per traslato la prima lettera dell’alfabeto e cioè ’aleph (toro)
Però, anche se è accertato che la lettera ‘uno’(1) vuol dire ‘toro’, è possibile dimostrarlo con maggior vigore? C’è ancora qualche documento o nuragico o esterno che ci possa far constatare questa verità senza che possa essere in qualche modo reprensibile?
     I documenti ci sono, abbondanti, e alcuni per giunta notissimi. Uno di essi è il cosiddetto saluto nuragico  espresso tantissime volte nella piccola bronzistica sarda, tanto che non c’è chi non lo conosca L’altro è la stele del sovrano BAR-RAKIB  che si rivolge a dio 'ba'al' di Harran (חרן), luogo  una volta dell’antica terra di Canaan (VIII secolo a.C). Partiamo da quest’ultimo per comodità di argomentazione considerato quello che di straordinario alla fine risulterà nello sforzo interpretativo (fig.1).
    Si noterà subito che la stele del museo di Berlino (2) è tutta scritta anche se qualcuno eccepirà affermando che la scrittura, quella che noi moderni intendiamo per scrittura  (parole riportate in significanti (3) fonetici imitanti questi l’oralità), è presente solo nella parte superiore, espressa in caratteri chiari di tipologia ‘aramaica’.
  Comunque, dati i sicuri valori fonetici consonantici in alfabeto aramaico,  è’ da essa che noi apprendiamo con assoluta certezza  che il re  si chiama BAR-RAKIB (בררכב) così come apprendiamo che nella stele  è citato il BA’L (בעל: dio padrone) della città di H(A)R(R)N (חרן). Il personaggio seduto sul trono arricchito da fregi, pettinato con originalità e gran cura  e vestito sfarzosamente, praticamente ‘tutto simboli’, è sicuramente  un sovrano aramaico (4) con investitura divina. Davanti a lui sta uno scriba  che  saluta con un gesto particolare il suo ‘signore ’. Questi risponde al saluto con un gesto anch’esso del tutto particolare, per non dire strano, della mano destra e tenendo un alberello di palma sulla sinistra. Anche questa è scrittura che si ottiene non, come la precedente in modo epigrafico ma metagrafico, cioè con i segni  ed il linguaggio delle mani, segni e linguaggio assieme usato da sempre dall’umanità, come si sa, sia per ‘comunicare’ sia per ‘esprimere’ attraverso segni convenzionali ed univoci approvati dalla comunità dei parlanti. Lo scriba si presenta davanti al signore salutandolo con il braccio sollevato e con  il pugno, ovvero con il segno manifesto delle cinque dita chiuse. BAR-RAKIB risponde sempre con il braccio destro e con la mano sollevata ma questa non ha tutte le dita chiuse. Quattro lo sono e una, il pollice, no. Cosa vuole esprimere questa ‘scrittura’ fatta attraverso la simbologia delle mani e, soprattutto, quella numerica delle dita? Da ciò che vedremo quasi la stessa cosa, ma in maniera diversa: una, potremmo dire, in modo sintetico e l’altro analitico - esplicativo. Lo scriba vuole indicare ‘potenza’ con le dita chiuse, ovvero con il pugno (il pollice unito agli altri quattro) e il sovrano, staccando il dito,  risponde con un suo ‘forza’ (il quattro) più ‘uno’ e cioè forza dell’uno’.
Ma cerchiamo di non restare in superficie e di capire più a fondo tutta la gestualità, consapevoli che la scrittura espressiva ci dirà molto di più rispetto a quella meramente informativa. Innanzitutto, risulta chiaro che l’atteggiamento delle braccia e delle mani del sovrano e dello scriba è in rigoroso parallelismo: significato hanno le mani destre come significato hanno le sinistre. Sono dunque 'segni'  che vanno interpretati e tradotti tutti e quattro e non solo due. Quindi la lettura sarà (fig. 2) a partire dalla sinistra della stele (destra di chi guarda) alto/basso e proseguendo sulla destra sempre alto/basso.
Fig. 2

Ora, se abbastanza o del tutto chiara risulta la ‘scrittura’ delle rispettive mano destre, come si è visto, più complessa e difficile, ma non impossibile, ci sembra  invece quella  delle mani sinistre. In questa lettura si nota che  la mano dell’anonimo scriba ‘stringe’ lo strumento ‘che certifica’ (5), mentre la mano di BAR - RAKIB  ‘stringe’ una palmetta (6). Il significato dell’ulteriore lettura sarà allora:

 Scriba: potenza/ forza certa

Sovrano: forza dell’uno/forza che dà la vita

La voce  forza è quindi espressa, reiterata da tutte e quattro le mani;  ‘segno’ anche questo da non trascurare in una stele zeppa di allusioni e di simbologia e dove lo scopo principale consiste, ovviamente,  nel  glorificare la forza straordinaria, la potenza di BAR - RAKIB. Tanto più che lo scriba sembra aggiungere ‘dicendo’ con la sinistra che quella forza è certa, stabile, sicura.     

   Ora però chiediamoci: perché il sovrano non risponde semplicemente sollevando la destra a pugno come lo scriba? Perché risponde con la mano aperta e con il ‘quattro’ più ‘uno’? E ancora. Perché il sovrano offre manifestamente  il dorso della mano e non il palmo per indicare il ‘quattro più uno’?

Rispondiamo puntualmente alle due domande:

 ‘Semplice’, uno forse direbbe.  Quell’uno c’è perché così Barrakib specifica che quella forza è del monarca, dell’unico che comanda. Quella forza è la sua. Ma chiunque può capire che così espressa la risposta può avere anche un fondo di verità, ma risulta alquanto debole, davvero banale, perché non ci sarebbe neppure bisogno di una risposta di quel tipo per un sottoposto. Quell’uno, il pollice, quello che contribuisce più di tutti a dare la potenza, deve avere altro valore, anche perché la risposta con la destra non può prescindere dalla manifesta simbologia della palmetta segno di ‘vita’ che sta sulla sinistra. Riusciamo da altro a capire detto più ‘forte’ valore?  

Ci riusciamo se colleghiamo con la scrittura gestuale la simbologia del terzo livello di scrittura, ovvero quello particolarmente ideografico. In questo oltre alla chiara simbologia di chi sta sopra e chi sta sotto (sottoposto), di chi viene esaltato e di chi viene ‘annichilito’ (basti pensare che lo scriba non ha nome), si nota quella, ugualmente molto scoperta che riguarda Barrakib seduto sul trono e con i piedi sullo sgabello. Nel primo stanno ‘due’(7)  tori con sotto  ‘dodici’ segni ornamentali a ‘spirale’ (8) e con delle pigne che ornano i piedi. Nel secondo ci sono sempre le pigne ma con sopra il motivo del ‘sedici’. E’ abbastanza facile capire che il doppio toro, il 12 e le pigne (9) sono simboli che alludono a Barrakib come ‘toro doppio (?) celeste che dà la vita’. E così, di conseguenza, risulta abbastanza agevole capire che nello sgabello per i piedi,  attraverso il numero delle spirali c’è scritto ‘forza del dodici (quattro più dodici) che dà la vita’. Insomma, nel terzo livello di scrittura, con densa ideografia numerologica (10), si dice che BAR - RAKIB è ‘un toro celeste che dà vita e prosperità’. E se è un toro celeste vuol dire che è figlio del  toro celeste. La nostra lettura potrebbe continuare perché tutta la sofisticata e artistica stele è carica di allusioni circa la identità di Barrakib come divino e potentissimo sovrano. Lo stesso copricapo, la  stessa barba e i capelli, così come tutti gli altri segni (compresi quelli della veste) che ‘stridono’ e intendono proprio stridere di fronte alla povertà dei segni dello scriba, non sono arte decorativa, non intendono tanto raffigurare un sovrano mimeticamente, quanto invece ‘scriverlo’ per simboli, significativi in particolar modo sul piano  numerologico (11). Soprattutto per la presenza del tre che è il simbolo massimo della divinità. E BAR -RAKIB è ovviamente ‘TRE’ o Dio. Gli stessi tre livelli di scrittura, in gradazione discendente per astrazione, sono pensati prima, sono altamente  significativi riguardando il numero sacro divino. Ma qui, per la nostra analisi mirata,  basti l’aver compreso che quell’uno è il toro e che con il pollice si è inteso scrivere ed esprimere uno e toro contemporaneamente.  Testimonianza questa che ci permette di dire e confermare quello per cui è nata questa terza parte dell’articolo: che nella parte epigrafica della fiaschetta del pellegrino il numero ‘uno’ allude al ‘toro’ anche perché, come si è affermato, la ’aleph e la lettera ‘uno’ dell’alfabeto.

    Vediamo la seconda domanda che ci sembra assai pertinente data la stranezza della posizione, quasi innaturale, di quella mano e la torsione del braccio che fa sì che il sovrano mostri allo scriba il ‘dorso’ e non il palmo.

    Abbiamo detto più volte che i requisiti fondamentali della scrittura nuragica metagrafica sono l’ideografia, la numerologia e l’acrofonia. Essendovi ideografia e numerologia e, come si è visto,  l’ossessione per il tre, non è improbabile che anche quest’ultima sussista nella stele anche se essa. per nostra esperienza con il nuragico, non è mai agevole da individuare (12). Ma forse il ‘dettaglio’ della mano destra di BARRAKIB, non essendo proprio un dettaglio ma un segno forte enfatico, ben marcato, può darci proprio una …mano. Infatti ‘leggiamo’ come si presenta allo scriba la mano del sovrano. E’ manifestamente il dorso e quindi , per aspetto, una ‘mano girata’ e non diritta. Nessuno, crediamo,  potrebbe negare questo dato obiettivo. Ora, ‘mano girata’ in semitico è formata dalle voci yd יד  e hphk הפך  . Quindi essa sembra rendere  nascostamente in acrofonia la voce yh. Acrofonia che potrebbe sussistere in considerazione del fatto che si completerebbe molto bene in questo modo tutto il senso con il ‘di chi è’ quella forza taurina. Però se così fosse le cose cambierebbero perché allora non sarebbe BARRAKIB il toro, come supposto, quanto la divinità.
      Ma forse non cambierebbero per nulla perché in ultima analisi sembra di capire che l’espressione a rebus contenuta nella mano destra di Barrakib  è volutamente ambigua: il sovrano cita la forza del  dio che dà la vita ma nel contempo cita anche la sua di forza che dà la vita e la prosperità al suo popolo di HARRAN. Se la nostra interpretazione  risultasse giusta non solo potremmo concludere affermando che la lettura vera e completa della mano di Barrakib è YH ‘OZ ’ALP HY (yh forza del toro che dà la vita) ma potremmo anche affermare che il saluto nuragico risulta essere lo stesso preciso saluto che manifesta Barrakib.  Cambiamo la direzione di quel dorso che procura  l’acrofonia allo scriba  e mettiamoci il palmo e i due ‘segni’ risulteranno identici.
A questo punto potrebbe sembrare, data l’analogia, quasi superfluo trattare del saluto nuragico; ma c’è, secondo noi,  ancora qualcosa di molto importante da aggiungere che riguarda il dorso e il palmo della mano, ovvero il significato aspettuale diverso eppure eguale ai fini della scrittura metagrafica resa con i segni delle mani.   
      Chi effettua il saluto detto devozionale (così Lilliu) ovvero agita la mano (hll הלל)  in segno di appellare e rispettare assieme la divinità (fig. 3 -4 -5 - 6), può essere chiunque, come dimostra la varietà di persone che si comportano sempre nello stesso modo di fronte al Dio.


                                                                          
                                                   Fig.3                                                                 Fig.4                                                          Fig.5










 Fig.6


      Essi ‘manifestano’ sempre nello stesso modo (13)  ovvero tenendo il pollice ben staccato rispetto alle quattro dita. Anche qui che significato dare al gesto che abbiamo analizzato  nella complessa ma non intraducibile stele di Barrakib?  Secondo noi lo stesso preciso significato, come si è detto sopra,  perché, anche a  prescindere dall’ideogramma (quattro + uno) individuato nella stele del sovrano di Harran,  sappiamo bene da tantissimi documenti da noi e da altri commentati (14) che il quattro anche in nuragico significa numerologicamente sempre forza. Ed essendo quella forza numerologicamente sicura come significato, un significato numerologico deve avere quel pollice o uno che enfaticamente è staccato dal quattro. Allora, che l’uno possa essere il ‘toro’ non solo lo garantisce il dato  empirico che il pollice è quello che, una volta unito alle quattro dita, garantisce il toro’ o forza taurina alla mano, ma lo garantisce anche il fatto che il saluto è rivolto alla divinità ‘unica’, a quella divinità androgina (uno in due), celeste che è sempre o quasi sempre attestata (sino alla monotonia documentaria, epigrafica e non) con l’appellativo di toro della luce ovvero NUR - AG - HE. 

  Ma chiediamoci ancora: nel saluto e dal saluto si può comprendere chi è (15) la divinità che è (o sembrerebbe) espressa nella stele di BARRAKIB con il nome di yh? Rispondiamo alla domanda affermando che anche nel saluto nuragico essa è yh e che è scritta ugualmente in acrofonia e ugualmente resa dal sostantivo mano e dal verbo che essa suggerisce con l’aspetto. Si osservi il seguente  schema, sostantivo + verbo, sia del nuragico che del'aramaico :

Nuragico: MANUS FESTA: mano che celebra, devota, che saluta  
Cananaico: MANUS VERSA: mano girata

In lettere consonantiche semitiche  le voci saranno:

yd יד     hll  הלל
yd יד       hphk הפך

     In ambedue i casi, come si vede,  le quattro voci rendono, attraverso lo stesso espediente acrofonico, la voce yh, ovvero il nome del dio. Tanto che ai fini del senso linguistico ‘profondo’ e non superficiale possiamo dire, ma solo in virtù della convenzione acrofonica : MANUS VERSA  = MANUS FESTA.

     Non solo dunque il saluto nuragico concorda numerologicamente (quattro +uno) con quello della stele ma esso, nello stesso modo ideografico e acrofonico, ci dice che yh è la stessa  divinità della stele di Barrakib. L’uno è il toro lì, come l’uno è il toro qui. Ma anche yh è il dio lì, come yh è il dio qui.  

    E’ inutile il sottolineare a questo punto quanto la Sardegna dal punto di vista culturale religioso e istituzionale sia collegata con la terra di Canaan:  scrittura (il protocananaico e l’aramaico), ‘religio’ (il dio yh celeste),  istituzione monarchica teocratica (i re tori unici luminosi come Barrakib e i re ‘giganti tori unici luminosi’), lingua semitica  della religione,  costumi (il saluto con le quattro dita ed il pollice staccato), ecc.   

   Il proseguo degli studi e l’aumentare continuo della documentazione di scrittura sarda in alfabeto e in lingua semitica ci diranno presto, ne siamo certissimi, in maniera molto più precisa, quanto in Sardegna si può dire essere specificamente ‘cananaico’ (del territorio dell'antica Canaan)  e quanto invece (e sembra non poco) essere ‘nuragico’ (o shrdn che dir si voglia). Ma stando così le cose ci viene inevitabile sbottare e obbligato dire che invece di giochicchiare  a ‘scrittura sì e a scrittura no’, a ‘mitopoiesi conscia o inconscia’, a scrittura sarda sarda  e a scrittura in Sardegna’(16), a ‘scrittura forse, ma più di questo tipo più che di quello’, ecc. ecc. occorrerebbe spendere più proficuamente le energie collettive e promuovere senza indugi gli studi comparativi a tutti i livelli (archeologico, epigrafico, antropologico, storico, letterario, religioso, astronomico, medico genetico, ecc.) sulla civiltà siro - palestinese e su quella sarda della prima metà (e forse prima) del secondo Millennio a.C. e della  prima metà (almeno) del primo Millennio a.C. Senza trascurare, naturalmente, quella che è la copiosa fonte e madre di entrambe e cioè l’egiziano.    

Note e indicazioni bibliografiche
1. Sanna G., 2016, Scrittura nuragica. I numeri dall’uno sino al dodici. Il loro valore simbolico convenzionale nei documenti della religiosità. L’iterazione logografica sulla base di quel valore; in Maimoni blogspot. com  (2 luglio). 
2. Das Vorderasiatische Museum, Berlin. Il testo inizialmente in aramaico recita: "Io sono Bar-Rakib, figlio di  Panammuwa’. Sulla destra del ‘crescente lunare’ c’è scritto  "Mio signore, Ba'al  Harran".  La stele, in basalto, viene datata intorno  al 730 a.C..
3. E’ questa la solita interpretazione della ‘scrittura’ , di diversi studiosi,  che va respinta. Quella che imita nel miglior modo possibile l’oralità (come l’alfabeto greco) è solo un tipo di ‘scrittura’, la quale, peraltro,  soddisfa sino ad un certo punto . Dice e non ‘dice’.E’ fredda: dice ma non ‘commenta’. E’ ‘superficiale’.  Parla con la bocca ma non con il volto. Gli antichi (a partire dagli Egiziani e forse da prima) erano consapevoli dei diversi sistemi o codici  di scrittura da porre su piani diversi. Questa iscrizione così tantissime  iscrizioni siriane, cretesi, greche, nuragiche ed etrusche lo mostrano senza ombra di dubbio. Lo scrivere è certamente un atto comunicativo ma anche e soprattutto espressivo. Con le lettere lineari alfabetiche si opera con maggior efficacia sul piano comunicativo, con la scrittura metagrafica sul piano espressivo. La stele di Barrakib è più precisa quando comunica ed informa con la fonetica dell’alfabeto aramaico; invece è più espressiva quando dà l’idea visiva con il disegno e l’arte simbolica. Potremmo quasi dire che l’una è ‘prosa standard’  mentre l’altra è forma ‘poetica’  (dal greco ΠΟΙΕΙΝ).    
4. Ricordare il noto passo della Bibbia (Genesi, 11, 31) in cui si narra la partenza di Abramo con la sua famiglia da UR in Caldea sino ad Harran in Canaan ‘dove si stabilirono’.
5. Questo sembra essere il significato che si vuole dare al disegno della mano che stringe (forza) e la ‘tavola’ che serve a ‘certificare’ il documento (che lo scriba tiene sotto il braccio). Forse è da vedere qui l’origine dell’atto figurativo metagrafico dei coperchi dei sarcofaghi etruschi nei quali il defunto tiene in un dito l’anello sigillo che simbolicamente certifica (l’aiuto e del padre e della madre: apac atic). In una caso particolare si ha il sigillo e lo stesso ‘certificato’.
6. La palma è simbolo di albero della vita  e, a motivo dell’abbondanza di frutti che produce, anche simbolo di abbondanza e prosperità
7. I due tori o, meglio, le protomi taurine, sono ‘speculari’. E’ questo uno schema che ci spiega soprattutto l’etrusco con le divinità TIN e UNI rappresentate specularmente, anche zoomorfe. TIN e UNI sono rispettivamente il sole e la luna, il maschio e la femmina celesti, la luce dell’androgino. Nella stele di Barrakib il particolare, con ogni probabilità, non è senza senso. La luce (il 12, il simbolo  delle spirali, sottostante nel trono) è quella dell’androgino.
8. La spirale è segno antichissimo che simbolizza la potenza e l’energia senza fine. Come significato può essere sostituita dal ‘serpente’. Serpente (immortalità) e toro (potenza) sono spesso associati soprattutto se, come in questo caso,  si allude alla luce della coppia celeste Sole -Luna.
9. Le pigne, come l’albero della palma che Barrakib tiene nella mano sinistra, alludono all’abbondanza, alla fertilità e alla prosperità. Gli antichi erano molto attirati ai fini di efficacia d’espressione simbologica da quei frutti (ad esempio la melagrana) che si mostravano pieni di molti semi e per di più eccellenti come gusto. .   .     
10. La stele è strutturata ed organizzata in modo da rendere il numero divino ‘tre’ a partire già dal cosiddetto ‘crescente lunare’ che altro non è se non l’espressione taurina del tre (2 e 1) luminoso. La magia del ‘tre’ divino informa e dà corpo vigoroso al sacro nella documentazione nuragica e in quella etrusca. I sigilli cerimoniali per i ‘giganti’ divini di Tzricotu di Cabras, la Stele di Nora in onore di LPHSY (Lephisy) ‘lb w bn’ (figlio del cuore) del  toro yh  nonché il sigillo di Pallosu di San Vero Milis con il nome Gayny sono strutturati sulla forza magica del ‘tre’ in quanto esso è il simbolo massimo della divinita  yhwh. Il cosiddetto ‘Sarcofago degli Sposi’  di Cerveteri con il simbolismo delle mani, delle congiunzioni C/C (3 + 3), dei nomi con tre consonanti (ATI/APA: madre/padre), delle tre lingue adoperate, ecc.) è un esempio dei tanti che si possono fare per comprendere come per tantissimo tempo (arrivando sino al cristianesimo) il ‘tre’ (e/o il triangolo) venne  adoperato per reiterare il nascostamente il nome della divinità attraverso il massimo dei suoi simboli.
11. I numeri soprattutto come ideogrammi si prestano assai alla simbologia ma solo perché assumono significato all’interno di ben precise convenzioni scribali consolidatesi nel corso dei secoli e dei millenni. Il sette della veste di Barrakib ad esempio, seguito dal tre, lo si intende solo perché da tempo immemorabile gli scribi di tutte le scuole sparse per il Mediterraneo sanno di poter scrivere il numero al posto della voce ‘santo’. Numerosi sono i casi in cui la documentazione nuragica e quella etrusca fanno vedere questa convenzione ‘internazionale’ - per così dire - di 'scuola'.  
12. Scoprire l’acrofonia attraverso il metagrafico è un’operazione difficile e complessa perché innanzitutto bisogna capire in quale lingua (o in quali lingue in mix) è espresso il documento e poi perché il più delle volte non sembra essere l’oggetto che rende l’acrofonia quanto l’aspetto. Ad esempio se abbiamo un cane che abbaia è possibile che la voce ‘cane’ non rientri nel computo acro fonico che dà la catena fonetica, ma vi entri solo la voce ‘abbaia’. Se dovessimo usare questa acrofonia in italiano non si avrebbe la consonante ‘C’ ma la vocale ‘A’. Naturalmente nel caso della stele di Barrakib la lettura iniziale ci consente di capire che la lingua adoperata è il semitico e che pertanto l’acrofonia, se esistente, sarà solo esito di voci di quella lingua. Per quanto riguarda la ‘cosa’ e lo ‘aspetto’ si tratterà di avere ottime capacità di osservazione e risolvere il rebus badando soprattutto al secondo. L’esperienza con il nuragico ci dice che è l’aspetto e solo esso  che consente di individuare l’acrofonia. Ad esempio (ma non traduciamo per ora l’esito dell’acrofonia) il tema ricorrente del bue con la ‘coda irritata’ (che mostra irritazione attraverso la coda) riceve luce di senso se si capisce ‘irritata’ e non tanto e solo ‘coda’. Non solo, ma se si afferra anche com’è disegnata, che forma assume quella coda. 
       
13. Se ‘manifestassero’ diversamente, magari chiudendo il pollice, con tutte le dita aperte  o posizionando la mano orizzontale con il dorso o con il palmo (come capita di vedere  nei bronzetti), vorrebbe dire che lo scriba artigiano ha intenzionalmente cambiato il senso del messaggio fonetico - linguistico. Se poi sono due le mani (v.fig.6)  che mostrano il saluto devozionale e non una sola, bisognerà sforzarsi di intendere il perché di quella variante che non può che aggiungere senso metagrafico a quello standard conosciuto. 

14. Si veda Angei S., 2015, Maymoni: il volto di Maymoni, in Maimoni blogspot.com (12 aprile)

15. Naturalmente questa divinità, se si trova ‘scritta’ con il metagrafico del saluto nuragico, non può che essere yh. Su 300 e passa documenti di scrittura nuragica (tutti in lingua semitica) rinvenuti tra il 1995 e il 2015, il nome di yhwh (y, yh, yhh, yhw) o quello reso con il pronome indicativo , si trova attestato quasi  una volta ogni tre documenti.     

16. E’ questa la ridicola ‘puntualizzazione’ di qualche studioso che non si rassegna ad accettare il fatto che la documentazione rinvenuta e quella che si rinviene continuamente sia composta da segni specificamente sardi e scritti dai Sardi nuragici (sardōa grammata) e non da genti esterne.  

                            

16 commenti:

  1. Due domande Aba.
    Se, come io penso, il 'dorso della mano' significa YH come pensi che possa andare d'accordo con la divinità Shin Luna all'inizio della stele? YH è segno di androginia come dimostrano i documenti nuragici, persino in forma del tutto naturalistica.
    Il trono di Barrakib ha tutta una simbologia numerica 'celeste' ma quello che più mi colpisce sono le 'due' protomi bovine raffigurate specularmente che mi sembrano alludere al sole e alla luna e non alla luna soltanto. Io non ho mai capito bene il cosiddetto crescente lunare anche perché in un documento 'nuragico' come lo statere di Amsicora mi sembra alludere al solo 'tre' (le tre fasi lunari) più che alla Luna. Potrebbe essere che, essendo cosparso tutto il documento 'stele' del numero tre, il segno a crescente lunare indichi semplicemente il numero? Noi sappiamo (o ci sembra di sapere) che il 'tre' è uguale a Yh così come il 'tre' in etrusco è uguale TIN/UNI. Se così è il 'my lord' non potrebbe essere il 'tre/dio' androgino? Così penso che potrebbe sanarsi la contraddizione tra il YH ricavato per via acrofonica e il segno 'trino' (perché 'tre' comunque è) del crescente lunare. Il dio Shin insomma sarebbe Yh.

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  2. Sulla prima domanda è facile: il dio Sin è più che androgino: nei momenti in cui ha una moglie fa con la moglie, nei momenti in cui non ce l'ha è ermafrodito-fa da solo.Ma è abbastanza sibillino come personaggio; a Harran Dio ordina ad Abramo di andare in Palestina e il dio di Harran era Sin, poco ma sicuro. Se poi ci sia stata una trasposizioone o un sincretismo o che, non so dirtelo davvero.
    Però bisogna anche considerare un'altra possibilità: e cioè che il Dio a cui Barrakib si riferisce con i gesti (e penso ci siano pochi dubbi sul fatto che stia "parlando" sia col corpo che con tutti gli oggetti che ha in mano e attorno) non sia Sin, ma che lui stia nascondendo o alludendo, parlando per chi poteva capirlo.Era vassallo degli assiri in quell'epoca, che si stavano espandendo verso ovest sotto lo stendardo di Sin. Può darsi benissimo che ciò che è scritto in lettere e con il "logo" di Sin , non coincida con ciò che in re dice con i gesti; o non coincida del tutto.
    Questa possibilità però mi sembra decada perchè nei sigilli neoassiri del dio Sin il gesto del re è lo stesso.
    Forse hai ragione con segno a crescente, però tieni anche conto di una cosa: in Canaan del sud per scrivere Sin usavano in alternativa un segno ad Ankh: ti ricordi la Leshem inscription di Bethsaida? http://monteprama.blogspot.it/2014/01/al-nome-di.html perchè Sin è colui che dà la vita

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  3. Caspita! Io ho parlato di ambiguità senza che nessuno mi dicesse nulla. Ma più si studia più si ha a che fare con questo aspetto sgusciante del simbolo!

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  4. Ho riflettuto sul gesto e sul modo di porre la mano da parte del re e sulla sequenza temporale dei due gesti: del re e dello scriba; ed ho ipotizzato una situazione. lo scriba si presenta al re e col gesto delle mani gli manifesta:
    “[Bar-rakib tu sei] potenza /forza certa”;
    al quale il re risponde con altro gesto:
    “la forza [è] del toro y(mano)/h(versa)/forza che da la vita”.
    E questa potrebbe essere interpretata anche come una sorta di lezione impartita dal re al suo sottoposto; ossia, indica allo scriba di rivolgere il saluto non al re, ma alla divinità tramite il re e nel modo indicato da quello; ossia “quando sollevi la mano devi vedere il dorso della tua mano, come io ti sto facendo vedere”.
    D’altronde il re non poteva alzare la “manus festa” verso il suo sottoposto, sarebbe stato interpretato quale segno di sottomissione e devozione nei confronti di quello.
    Secondo questa ipotesi il nome di yh sarebbe dato acrofonicamente sempre da y(manus) h(festa) rivolta al divino o chi per lui; mentre il gesto della “manus versa” poteva essere solo appannaggio del re (“tramite” della divinità) e solo nel caso si rivolgesse ad un suo sottoposto, per tutte le altre circostanze sarebbe stato un gesto sacrilego per tutti.
    Nessun bronzetto solleva la “manus versa”. Nessuno in Sardegna si sognerebbe di salutare con la mano girata.

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  5. Pare però che ci siano dei sigilli del re nei quali il 'saluto' è lo stesso (quindi sottoposti o no, fa nulla). Penso che l'intento in tutti i casi sia solo fonetico metagrafico. Non so se Aba sappia di più su questo specifico saluto.

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    1. No, so solo che nei sigilli neoassiri (VIII e VII secolo) compare un avatar di Sin simile, ma un pò diverso: cioè non c'è la crescente con sopra il disco pieno-come qua (che può essere la luna piena o il sole); c'è solo la crescente-con il palo e i pendagli. Per questo ti dico che il sentire arameo era un pò diverso da quello assiro: il loro dio più importante non era Sin, era Hadad.
      Inoltre nei sigilli il saluto è variabile: può essere con una mano o con due -hai presente come mettono le mani alcuni durante il padre nostro? uguale.

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    2. Assolutamente no! è un gesto a mani aperte, in alcune versioni entrambe alzate, tipo saluto nuragico doppio; in altre versioni con entrambe le mani come ha Barrakib nella stele

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  6. Vi posso sommarizzare la storia di Sin in rapporto agli aramei da questo libro: The Aramaeans in Ancient Syria, a cura di Herbert Niehr. "Gli aramei adottarono nel I millennio a.C. il culto di Sin di Harran, e lo identificarono con la divinità semitica occidentale Sahr/Shahr; Sin compare in molte iscrizioni aramee come "Lord of Harran" e anche in nomi teoforici, come Si'-Gabbar (eroe di Sin) o Sin-zera-ibni (iscrizioni di Nerab). Non si può sottostimare l'enorme popolarità di Sin in Siria, testimoniata da un gran numero di nomi teoforici con Sahr/Shahr, Si' o Sin- e dal gran numero di luoghi di culto siriani.
    Nelle culture semitiche il dio lunare aveva principlamente 4 sfere di azione:
    1. serviva come orientamento per la vita dei nomadi;
    2. la sfera della divinazione. Il dio veniva chiamato come testimone durante i contratti o i giuramenti
    3. la misura del tempo
    4. la fertilità di uomini e greggi.
    Ovviamente i due ultimi aspetti sono legati, perchè la fertilità ha una forte componente ciclica. Questo portò ad una forte connessione tra Sin e Hadad (il dio del tempo atmosferico), entrambi rappresentabili come tori.A tal punto che nelle stele di Betsaida sono in piena sinergia."

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  7. Sto pensando ad una ipotesi. Che l'acrofonia non serva per indicare la divinità yh quanto la voce 'hy'. Allora sarebbe 'forza del toro che dà la vita'. In questo caso però si dovrebbe annullare la lettura della palmetta perché avrebbe lo stesso significato. Potrebbe però esserci quella che noi chiamiamo 'ridondanza'. E di ridondanza è piena la stele. Un bel rebus! Si capisce che l'acrofonia c'è ma ci è difficile legarla al contesto della lettura gestuale metagrafica presente nel secondo livello di lettura del documento lapideo.

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  8. Un particolare mi ha colpito nella figura alquanto parca dello scriba. L’orlo della sua veste porta una sorta di merletto, che disegna sei rettangoli, in corrispondenza del piede retrostante.
    Lo stresso particolare lo ritroviamo nella veste del sovrano e sempre in corrispondenza del piede retrostante. Questo sembra l’unico particolare che accomuna i due soggetti, quasi un distintivo.

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  9. Sì, è così. Se l'allusione è ancora al 12 (quindi tre volte il 12, se non erro) questo confermerebbe che lo scopo dello scriba lapicida è quello di rspettare la coerenza del 'magico' numerologico. Il tre come numero sacro è l'ossessione degli antichi, a partire dagli egiziani per finire con i sardi e gli Etruschi). Questo è un dato sicuro. Ma, detto per inciso, che vuoi che gliene freghi a certuni di un toponimo come 'Tresnuraghes'! E' nome 'laico' e non 'religioso'. Nessuna rilevanza dal punto di vista ermeneutico. Che pena! GESUSU - GIUSEPPI - MARIA!

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  10. Prima il graffito di sant'antonio, poi la pupilla (pobidda) nel graffito stesso, ed ora quest'altra: la rilevanza ermeneutica e il significato religioso del toponimo del mio paese. Grazie professore.

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  11. Vedi Giovanni. Io questo non posso dimostrarlo ma 'sos nuraghes sunt a tres a tres. Anche i pastori lo dicono. E il 'tre' non è un numero qualunque. Ma in questa dislocazione 'Tresnuraghes' doveva avere un aspetto ancora più spiccato. Tanto che ipotizzo che i nuraghi fossero molto vicini. Ma potrebbe esserci stato qualche altro motivo. Ma ti dirò qualcosa di più: che il toponimo è prelatino e che quindi non solo Nuraghes ma anche 'tres' fosse voce sarda e non latina (romana). Tu sai come la penso sulla lingua sarda. Come l'Angius non credo affatto che i Sardi si siano fatti cambiare radicalmente la lingua dai Romani. Esistevano invece due lingue indoeuropee sorelle: il sardo e il latino. Non mi vogliono ascoltare ma la stessa documentazione epigrafica sarda, sebbene l'indoeuropeo come scrittura venisse oscurato dal semitico (lingua della cultura religiosa), offre testimonianza che i sardi parlavano una lingua vicinissima al latino. Al latino del 'Lazio' di allora non al 'romano'. Per tornare a 'Tresnuraghes' se il numerale fosse stato diverso difficilmente sarebbe scomparso dal toponimo per sostituzione romana (e perché poi?).

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  12. Giovanni. A proposito del graffito del concio della chiesetta di S.Antonio: perché non fate una petizione alla Sovrintendenza perché curi e si interessi di un documento così prezioso esposto all'azione dei vandali e alle intemperie. Dove si trova mai al mondo una scrittura con il dio YH 'uccellatore' e dove c'è il pretesto per dire metagraficamente YH YSH, ovvero 'Dio c'è'?

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  13. La strada è quella, e ci sono, oltre ai miei limiti, le difficoltà generali di cui sappiamo, in loco molto forti.
    L'amministrazione si è dimostrata inizialmente sensibile, poi l'iter si è fermato.
    Vedremo. Con le mie poche forze continuerò a fare il possibile.

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