La rubrica di Maymoni

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domenica 11 giugno 2017

Pietra su pietra - seconda parte

di Sandro Angei e Stefano Sanna



Esodo 20,22Il Signore disse a Mosè: «Dirai agli Israeliti: Avete visto che vi ho parlato dal cielo! 23Non fate dèi d'argento e dèi d'oro accanto a me: non fatene per voi! 24Farai per me un altare di terra e, sopra, offrirai i tuoi olocausti e i tuoi sacrifici di comunione, le tue pecore e i tuoi buoi; in ogni luogo dove io vorrò ricordare il mio nome, verrò a te e ti benedirò. 25Se tu mi fai un altare di pietra, non lo costruirai con pietra tagliata, perché alzando la tua lama su di essa, tu la renderesti profana. 26Non salirai sul mio altare per mezzo di gradini, perché là non si scopra la tua nudità».


   Nella prima parte abbiamo descritto un itinerario lungo il quale ci siamo imbattuti in cumuli di pietre problematici ed abbiamo voluto lanciare, sembrerebbe in modo sconsiderato, delle ipotesi interpretative; li abbiamo accostati ora a tombe, ora ad altari; addirittura all'altare di Monte D'Accoddi.
   Muridinas le chiamano e a proposito del termine che la tradizione ha conservato per indicare genericamente i cumuli di pietra esito di spietramento, vorrei proporne uno per quelli che con lo spietramento nulla potrebbero avere a che fare: “mastaba”, certamente esotico, ma non più dell'appellativo “ziggurat” dato a Monte D'Accoddi. Non ho intenzione di sostituire “muridina” con questo termine; lo voglio proporre solo per introdurre un argomento in particolare.
   Come si sa la mastaba era la tomba monumentale a tronco di piramide usata nelle prime fasi della civiltà Egiziana.
   Il dato interessante è che in ebraico l'altare sacrificale si chiama מִזְבַּחַ [mistebaa]; stesse consonanti della parola egiziana “mastaba”. Funzioni e significati che si intrecciano, quasi a voler porre sullo stesso piano la tomba e l'altare sacrificale.
   L'una e l'altro sono realizzati ad indirizzo divino. Sull'altare si "sacrifica" il capro (a volte in sostituzione dell'uomo), nel tumulo si "sacrifica" il defunto. Il sacrificio risponde ad una precisa dinamica: ascensione – incontro con la divinità – discensione.
   Il sacrificio è un segno che pone l’uomo in rapporto col suo dio; lo fa salire verso la trascendenza divina, per incontrarlo in qualche modo e ottenere la sua benedizione.1
   Questa dinamica vale per i sacrifici quanto per le tumulazioni a ben vedere, lì dove la parola "sacrificio" significa “rendere sacro”.
   In questo contesto potremmo collocare certi particolarissimi cumuli di pietre che, come vedremo ad iniziare dalla terza parte dell'articolo, mettono in relazione la divinità con l'uomo e il suo auspicio di rinascita dopo la morte.

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   Per quanto si possa cercare, si trova nel web pochissimo materiale di carattere scientifico sui cumuli di Sardegna. Si parlò di questi nel Congresso internazionale di Celano svoltosi a settembre del 2000, intitolato: “Tumuli e sepolture monumentali nella protostoria europea2. Invitiamo il lettore a leggere gli atti e in particolare il contributo di Angela Antona, Fulvia Lo Schiavo, Mauro Perra, intitolato “I tumuli nella Sardegna preistorica e protostorica - visibilità e monumentalità del sepolcro nella Sardegna preistorica e protostorica”. Nel contributo si da la seguente definizione di “tumulo”: «... Per «tumulo» si deve intendere una struttura funeraria costituita da un notevole apporto artificiale di materiali sedimentari, come pietre, ghiaia, terra, accumulati a formare un grande cono, una collinetta, di forma circolare o subcircolare, a volte arricchito da strutture perimetrali, tipo la crepidine, e che ha come caratteristica la monumentalità e la visibilità a distanza. In breve, intendiamo per «tumulo» una struttura monumentale funeraria atta a coprire, quindi contemporaneamente a occultare e a evidenziare, una deposizione sepolcrale, indipendentemente dal fatto che si tratti di una tomba a camera, o di una o più tombe a fossa, a cassetta, ecc.». In ragione di ciò si afferma: «Se dunque si conviene su questo significato, allora in Sardegna dei «tumuli» sono esistiti – forse – solo nel Neolitico della Gallura, e si veda al riguardo il contributo di A. Antona».
   Da queste parole si evince che gli studiosi o non conoscono le “muridinas” o non le reputano oggetto di studio.
   Nel contributo di A. Antona si legge: «Essa (la necropoli neolitica di Li Muri ndr) si compone, come è noto, di una serie di tombe a cista litica, ciascuna originariamente ricoperta da un tumulo del quale resta solo la base di pietre, contenute all’interno di una delimitazione circolare a lastre infisse verticalmente» (mia la sottolineatura).
   La testimonianza potrebbe inquadrare cronologicamente l'origine delle nostre “muridinas”.
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Nella Tesi di dottorato di Ilaria Montis3 troviamo la descrizione, benché sommaria di un sito archeologico in agro di Barrali, denominato “Insediamento nuragico Is muridinas”, così descritto: “Il sito si trova a circa 1 km a sudovest del paese, poche centinaia di metri dal confine tra Barrali e Samatzai, tra le pendici nordoccidentali del Monte Onigu e il corso del Riu Mannu, non lontano dal percorso della linea ferroviaria. Mucchi di pietre (mia la sottolineatura), ma soprattutto una grande quantità di materiale in superficie sono da interpretare come testimonianze della presenza di un insediamento di età nuragica. I materiali, tra cui grossi frammenti di ziri, strumenti litici di vario tipo e anche un frammento di panella in rame 223, sono databili tra il Bronzo recente e il bronzo finale (1300-900 a.C.). Anche in questo caso la testimonianza del Ghiani si rivela molto importante per chiarire i tempi dello smantellamento del sito, già avanzata ma non completamente attuata al tempo del sopralluogo di questo autore e ancora una volta dovuta alle esigenze dello sfruttamento agricolo moderno dei terreni.”
   Il brano fa intendere che quelle “muridinas” siano inquadrabili in epoca nuragica.
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   Le muridinas, intese in senso moderno, sono degli spietramenti avvenuti ad opera dei contadini per liberare i terreni da arare. La testimonianza di una Signora di Borutta in una intervista4  recita: “Si raccoglieva la pietra dell’altopiano di Mura dove non ve n’è un pezzo che non sia buona (per la fornace ndr). Inizialmente si portavano via le pietre ammucchiate dai contadini quando aravano, le così dette “muridinas”; poi si procedeva ad ammucchiare e a raccogliere le pietre sparse per i campi. Tutto il lavoro si faceva a mano in quanto in genere si trattava di pietre di medie dimensioni”.
   Da questa testimonianza si capisce che in tempi relativamente recenti lo spietramento avveniva, appunto, per liberare il terreno da "coltivare"; ragion per cui, come si spiega lo spietramento di terreni dedicati al pascolo, che comunque continuano ad essere letteralmente disseminati ancora di pietre?!

Muridina nella Giara di Siddi

Particolare del piano di campagna, letteralmente ricoperto di ghiaia di grossa pezzatura
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   Ancora una testimonianza ci viene dal paese di Martis5, in particolare dalla descrizione del suo territorio dove, nel testo in sardo, si parla di “muridinas” che sono situate nella collina poco a nord-est del paese, chiamata “Monte Franco”, dove è situato l'omonimo nuraghe. In questo caso di certo non si può parlare di spietramento ad uso agricolo, essendo di difficile accesso il piccolo pianoro dedicato al pascolo.

   Prima di continuare, per fugare qualsiasi dubbio su quelli che potrebbero sembrare voli pindarici, farò una breve carrellata di tumuli ed altari trovati “in giro” per il web.

1. Cumuli nelle campagne tra Ruffano e Casarano in Provincia di Lecce.

2. Tombe del 2500 a.C. portate alla luce in Siria nel sito di Rujum al-Majdur

3. Tumuli di Corvano


4. Tumuli di Alatri
studiati dal Prof. Gino Maiello (vedi: http://www.aletriumcollection.it/it/alatri-%C3%A8-neolitica)

5. Altare di Tel Megiddo in Israele

   I cumuli reperibili nelle nostre campagne hanno grande similitudine con quelli alieni sopra esibiti, e potrebbero avere funzione simile.
   In ragione di questo, proponiamo una testimonianza che viene dal lontano 1912, che ci restituisce l’immagine chiarissima dei nostri cumuli.
   Raffaele Pettazzoni in “La religione primitiva in Sardegna” a pag. 160 scrive, descrivendo il territorio abitato dai Tuareg: “Questi tumuli, che sono certamente opere di un’età passata, e cui aderiscono certe superstizioni, come quella dei tesori nascosti – onde anche molti furono manomessi –, ci sono descritti nel diario di un viaggiatore: costruzioni circolari, del diametro di circa dieci passi, superiormente piane, elevate sopra una base circolare di massi naturali, non richiamano essi alla mente la figura di un nuraghe o di qualche analoga costruzione?
   Raffaele Pettazzoni nel 1912 vedeva attinenza tra la civiltà nuragica e quella del nord Africa (il suo libro tende proprio a provare questi nessi); probabilmente non conosceva “sas muridinas”, se ciò fosse stato, penso proprio che avrebbe aggiunto qualche commento al diario del viaggiatore da lui menzionato. Raffaele Pettazzoni era lungimirante; tanto lungimirante da capire e affermare che la civiltà nuragica era monoteistica a dispetto di chi ancora oggi ha dubbi in proposito. Ma tornando ai nostri cumuli, leggiamo di tumuli in “Deserto vivo: Sahara e Sahel, passato e presente, di Vanni Beltrami”6, la descrizione dei quali ricorda i nostri. Però al grande interesse manifestato dall'archeologia nel territorio Tuareg per quei monumenti, corrisponde una perfetta incoscienza (intesa quale mancanza di coscienza) da parte della nostra Accademia in merito a queste nostre costruzioni. Di certo non possiamo scartare l'ipotesi che alcuni di questi cumuli siano opera relativamente recente di spietramento, ma ciò non giustifica la mancanza di curiosità da parte degli studiosi, che si accontenterebbero della giustificazione data da chi nel territorio ha vissuto ma che, non avendo memoria storica, affida la sua analisi al solo suo vissuto. Prova ne sia un passo del suddetto libro “Deserto vivo: Sahara e Sahel, passato e presente” di nota (2) che a pag. 113 riporta: “... Desio negli anni '30 ha osservato nel Tibesti nord-orientale dei “muretti circolari” ignoti agli attuali abitanti...” (mio il sottolineato).
   La storia si ripete in ogni parte del mondo, sia per grandi che per piccole opere umane, tanto che si è persa nella memoria di una comunità di persone la funzione originale di piccoli muretti circolari, sia la funzione di grandi monumenti quali le grandi piramidi egiziane, che ancora propongono interrogativi. In Sardegna non si fa eccezione, tanto che ancora oggi si dibatte sulla funzione dei nuraghe... e la perfetta indifferenza aleggia su centinaia di cumuli di pietre sparsi nella nostra isola.7

Abbiamo percorso un lungo itinerario che dal Sinnis di San Vero Milis ci ha condotto a Bauladu, passando per Narbolia, Paulilatino e Busachi. In questi luoghi abbiamo individuato dei cumuli di pietre ai quali abbiamo cercato di attribuire loro una funzione, equiparandoli, almeno dal punto di vista estetico, ad altri esistenti in varie località della penisola ed estere. Ci apprestiamo ora a descrivere nel dettaglio i siti visitati e vedremo nel prosieguo dello studio che una valenza in più possiamo individuare in alcuni cumuli di Sardegna. Valenza che dal punto di vista culturale e cultuale li eleva di molto rispetto a quelli alieni; e per i quali cercheremo di trarre qualche conclusione... o solo ipotesi.
Lanceremo nello stagno anche qualche sassolino di carattere toponomastico, senza pretese di trovare chiavi definitive o assolute, ma solo indizi rafforzativi lì, dove la radice del toponimo in modo sintetico potrebbe descrivere la funzione del sito.

Sito n° 1- nuraghe Zerrei


Nuraghe Zerrei8

Abbiamo appurato che nuraghe Zerrei non è un nuraghe e come è chiaro, chi oggi lo descrive o ne fa solo cenno, probabilmente non si è mai avvicinato ad esso, altrimenti si sarebbe accorto che quello è realizzato con pietre di piccole dimensioni, inadatte per la costruzione di un edificio con camera interna accessibile; evidentemente  per questo motivo non presenta alcuna traccia di ingresso.
Nelle vicinanze di quello che ora possiamo definire “cumulo di pietre” furono trovati vari reperti tra cui una statuina bronzea di età romana della divinità Flora. Non vogliamo entrare nel merito, ma il ritrovamento potrebbe farci intendere che comunque sia, quello di Zerrei è un sito sacro e quel “cumulo di pietre” potrebbe essere un altare o una tomba.

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Note e riferimenti:


6 Vedi: Vanni Beltrami 2003 - Deserto vivo: Sahara e Sahel, passato e presente – Franco Angeli Editore.

7 E' bastato indicare a Stefano un primo sito, per sguinzagliare il segugio che è in lui. Non vorrei esagerare, ma se continua così, i cumuli potrebbero essere migliaia.

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