La rubrica di Maymoni

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sabato 17 giugno 2017

Pietra su pietra - terza parte

di Sandro Angei e Stefano Sanna

vedi: Pietra su pietra
         Pietra su pietra - seconda parte

Immagine tratta da Google Earth

Sito n° 2 – Il circolo, il cumulo, la pinnetta, nuraghe Crabia di Narbolia

      Forse sono passati trentacinque anni da quando vidi da lontano, per la prima volta, quella figura ovale sulle colline sopra Narbolia. Una figura che il mio cervello interpretò di forma vagamente circolare, dato il punto di vista. Pensai ad un recinto per il ricovero di pecore e lì finì la mia curiosità investigativa.

   Oggi dopo tanto tempo, spaziando con lo sguardo, vedo ancora in lontananza quel recinto, meno chiaro rispetto ad allora a causa del lentischio che ne nasconde in parte il perimetro, ma sempre ben definito all’interno di un vasto spazio brullo tutt’attorno.    
   La curiosità si è rafforzata con gli anni e con l’esperienza maturata, tanto che ho voluto individuarlo su Google Earth quel recinto per tracciare un percorso di avvicinamento allo scopo di visitarlo e togliermi dal cervello quel “non so che” di misterioso che quello, sin dal primo momento mi incusse.
   La sorpresa è grande: visto dall’alto quel recinto sembra un anello perfetto. Faccio uno screenshot e carico l’immagine sul CAD che uso per disegnare e mi accorgo che in effetti quel recinto è un cerchio pressoché perfetto di 30 m di diametro.
   La curiosità lascia spazio al dubbio e alla domanda: “Perché un pastore avrebbe dovuto darsi la pena di realizzare un ovile perfettamente circolare?”.
   Gli interrogativi si susseguono e mi invitano a verificare l’antichità (a breve periodo naturalmente) del manufatto. Carico le ortofoto pubblicare nel sito della Regione Sardegna. Individuo il sito nella dettagliata mappa del 2013. Scorro gli anni a ritroso: nel 2010 il recinto è ben visibile, nel 2006 è ancora ben visibile, nell’ortofoto del 2003 e in quella del 1998-1999 è appena percepibile, nel 1977-1978 si intuisce appena, ma solo perché so dove cercarlo, nel 1968 non si vede alcun cerchio; deluso, penso che quello da me individuato sia solo un recinto per pecore realizzato da un pastore col pallino per la geometria. Per scrupolo e con poche speranze, carico l’ortofoto del 1954-1955 e con grande sorpresa il cerchio è lì “più perfetto che mai”, nitidissimo e meraviglioso!
Ortofoto anno 2013                                                           anno 2010

Ortofoto anno 2006                                                           anno 2003  

 
Ortofoto anno 1998-1999                                                           anno 1977-1978

Ortofoto anno 1968                                                           anno 1954-1955

   Non perdo un momento, parto in escursione e arrivato sul posto trovo un circolo formato da grosse pietre, posizionate grossomodo nella parete esterna della muraglia e da pietre più piccole nel lato interno. Il tutto si eleva sul terreno di non più di un metro. Il piano di campagna è inclinato e la parte di muraglia esposta a mezzogiorno forma una sorta di muro di sostegno, come altri nella zona è in uso realizzare ancor oggi “ma non in circolo”. Cerco il varco di accesso al recinto ma non trovo alcun segno che né possa indicare con certezza la presenza: potrebbe essere un anello chiuso? Sarebbe un ovile alquanto atipico!
   Rivolgo lo sguardo a sud e mi accorgo della presenza di una pinnetta, alla quale salendo non avevo fatto caso. Mi avvicino alla costruzione, gli giro attorno, da un lato un mucchio di pietre ne confonde i contorni.

La pinnetta invasa dal fico d'india, alla sua sinistra il cumulo di pietre (muridina)

 L'ingresso della pinnetta

 Mi colpisce della costruzione la struttura esterna, atipica per una pinnetta. Cerco l’ingresso. Individuo, rivolto a sud, uno stretto passaggio non più largo di 45 cm ed alto 90 cm; lo spessore murario alla base supera i 120 cm, vi entro carponi, mi rimetto in piedi. Un foro apicale, ad altezza di 2.50 m, da luce all’interno della camera circolare che ha un diametro di 2.00 m; il pavimento, pressoché piano, è accuratamente realizzato con lastre di basalto, benché grezze. Rivolgo lo sguardo alla parete circolare e mi rendo conto che la muratura è realizzata con tecnica nuragica, e la cupola è una tholos, tanto che subito mi è parso di vedevi un nuraghe in miniatura.
   Esco dall’edificio e a cuor leggero penso che quel cerchio di pietre potrebbe avere qualche valenza religiosa per via di quel “piccolo nuraghe”. Con lo sguardo seguo il profilo dei monti fin quando vedo stagliarsi all’orizzonte la sagoma inconfondibile di Monte Arcuentu a mezzogiorno e il massiccio del Grighine a sud est; abbassando lo sguardo in quest'ultima direzione incontro la parte somitale di nuraghe Crabia.

***
   Crabia è un nuraghe probabilmente monotorre in origine, di costruzione poco accurata nell'insieme; i macigni che lo compongono sono poco rifiniti e poco ben posati gli uni su gli altri, tanto che il mutuo contrasto, in quei punti dove le forze in gioco risultano concentrate, ha lesionato molti massi, non risparmiando neppure l'architrave dell'ingresso e la finestrella di scarico, ormai divenuta un finestrone.
Nuraghe Crabia di Narbolia

 Nel complesso  manca la buona tecnica di costruzione che contraddistingue i nuraghe a tholos. All'interno, la nicchia del corridoio è occlusa da un riempimento di pietrame a secco. All'interno, la camera è buia, accendo la torcia e scorgo una sola nicchia posizionata sulla destra; sulla sinistra invece, poco lontana dal corridoio, in posizione anomala e rialzata di circa 1,70 m da piano di calpestio, noto una seconda nicchia, larga circa un metro, alta poco di più, profonda almeno 1,50 m, che può accogliere al suo interno comodamente una persona seduta.
La nicchia sopraelevata

   La suggestione è tanta e mi viene in mente nuraghe Crabia di Bauladu, con la celletta nascosta accessibile da una scala posta nella nicchia di destra della camera; interpretata da alcuni in chiave militaristica, quale “piombatoio”.
***
   Sono passati mesi da quel sopralluogo; ora alla luce dei nostri studi sulle “muridinas”, mi torna in mente il cumulo di pietre a ridosso della pinnetta e mi rendo conto che questo potrebbe essere uno degli elementi di un antico rito.
***
Il dato archeoastronomico

   Dalle misure rilevate risulta che un osservatore posto sulla pinnetta[1] poteva osservare (ancora oggi può osservare), il sorgere del sole al solstizio d'inverno in direzione di nuraghe Crabia.

Alba 21 dicembre: immagine elaborata di Google Earth.

   La congiungente l'asse della pinnetta con quello del nuraghe è orientata con un azimut di 122° 47'. L'orizzonte locale in quella direzione ha un'altezza di 0°47'.  Attualmente all'alba del 21 di dicembre, il sole osservato dalla pinnetta, all'azimut di 122° 47' ha un'altezza di 1°48'; per tanto il margine inferiore del disco solare (diametro apparente di 0°32') è sopra l'orizzonte locale di 0°45'; mentre nel 1200 a.C. quando era all'azimut di 122°47' il suo margine inferiore era 0°14' sopra l'orizzonte locale; per tanto l'orientamento è in ottimo accordo con la levata del sole al solstizio d'inverno del 1200 a.C.;  ma non è questo il dato importante e non è la data precisa che vogliamo qui ricavare; mentre è importante il fatto che abbiamo stabilito con ragionevole sicurezza che il cumulo-pinnetta è connesso al nuraghe tramite l'evento solstiziale; e da questo si può intuire quale fosse la mansione del cerchio di pietre e  quella del piccolo nuraghe adiacente l'altare, in un luogo, che come ho avuto modo di constatare (e chiunque può vedere), è disseminato di piccoli cumuli di pietra (tombe?), li dove a una distanza di circa 1 km sono segnalate 9 tombe di giganti.
   Abbiamo individuato gli elementi di quello che a noi sembra essere un sito di carattere rituale, composto da un perfetto cerchio di pietre, una costruzione che sembrerebbe un piccolo nuraghe con addossato un cumulo di pietre (muridina) e un punto di mira costituito dal nuraghe Crabia. Il sito sembra sia legato alla celebrazione   del sole al solstizio d'inverno; evento che un crescente numero di prove sta dimostrando essere al centro dei rituali di quelle antiche genti Sarde.
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[1]              La sommità della pinnetta è accessibile.

16 commenti:

  1. Dico subito, Angei Sandro e Sanna Stefano, che non conosco alcuno dei nuraghi Crabia, anche se conosco il significato della parola sarda che significa “selvatica”, a esempio “figu crabia” il fico selvatico o caprifico di omerica memoria. Il fatto che al vocabolo maschile nuraghe, nuraxi, nurachi, abbiano aggiunto un aggettivo al femminile (Crabia e non Crabiu), lascia una sola via d’interpretazione, cioè che Cabria sia riferito al cognome dell’antico proprietario del terreno o di qualcuno che là visse oppure morì. Ho molti riferimenti in questo senso, ma oggi tralasciamo.
    Che la pinnetta sia davvero speciale è abbastanza vero, da come la descrivete. Messa in relazione al grande circolo, che si ipotizza in primo luogo come accorru (masoni, medau, ecc.) dove le pecore venivano radunate per essere munte, può significare che dentro di essa venisse affumicato il formaggio appena tolta da sa murgia. Una pinnetta con copertura di frasche poteva finire incendiata.
    Che de s’accorru non abbiate (per ora9 trovato traccia dell’ingresso, non significa che non ci sia o non ci sia stato. Razionalmente lo cercherei dal lato della pinnetta, perché presumo che da quelle parti, magari a fianco dov’è rimasta una muridina di pietrame, ci fosse il luogo dove si cagliava il latte ecc., ben conoscendo i pastori ai quali non sarebbe garbato girare intorno a s’accorru con i recipienti pieni di latte appena munto.
    Mi sbaglierò. La foto è quella che è, ma mi pare di intravvedere una soluzione di continuità proprio dove io pensavo che potesse esserci, a fianco del cespuglio.

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  2. Anche a me piace fantasticare su dati indiscutibili che si rinvengono non per caso, ma perché li abbiamo cercati. E li abbiamo cercati perché speravamo in cuor nostro che potessero alimentare le nostre fantasie (o chiamiamole pure ipotesi, per non sminuirne il valore).
    Avete capito, per quello che in questo blog ho più volte espresso, che amo il sole dell'alba, quanto quello del tramonto.
    Ora, se nel 1200 a.C. l'asse pinnetta-nuraghe era orientata esattamente come voi avete scientificamente esposto, per me ciò è un dato inoppugnabile, ma non prova nulla.
    Dubito che, se l'allineamento fosse cospicuo anche ai giorni nostri, difficilmente, molto improbabilmente dico, sareste andati a cercare gli allineamenti del passato, perché il dato sarebbe stato certo e certificato anch'esso, senza che avesse costituito, ancora una volta, prova per alcunché.
    Mi pare di capire che, sia la pinnetta/nuraguccio, sia il nuraghe Cabria, siano situati in cima a due colline, non so quanto distanti fra di loro. Dunque, anzi ergo, le cime delle due colline collimano con un certo asse che può essere simile o uguale a quello da voi calcolato per i manufatti.
    E anche questo è un dato di fatto che non dimostra altro che la realtà è quella.
    Se posso ipotizzare che l’allineamento pinnetta-nuraghe sia intenzionale e non fortuito, voluto e cercato da uomini costruttori di pinnettas, di murudinas e di nuraghi, mi viene difficile pensare che l’allineamento tra le sommità dei due colli non sia dovuta al caso, e comunque indipendente dalla volontà di uomo, donna o bambino, di ieri e di oggi.
    L’allineamento dunque da voi trovato mi sembra un dato di fatto, ma è difficile portarlo a prova di alcunché, almeno per il momento.
    Avete pensato alla contemporaneità o meno dei due siti? Diversamente, si può ipotizzare che il nuraghe Cabria sia stato costruito proprio dove sta, solamente per attivare un semplice allineamento, pur significativo?
    Sono sicuro che avete già pensato a tanti di questi argomenti e tenete in serbo una nuova puntata per “spantarci” ancora.

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    1. Mi sembra che a te non ti “spanta” (italianizzazione del verbo spantai, ossia meravigliare), nulla mio caro. Abbiamo usato una miriade di condizionali e non può che essere così, ma abbi pazienza ancora un poco, benché quel “segue...” sia snervante. Per quanto riguarda il nome Crabia, potresti avere ragione tu, ma questo Signor Crabia o famiglia Crabia, doveva essere grande possidente visto che aveva terreni con “villino” a Narbolia, Bauladu e Aidomaggiore.

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    2. Altroché se mi spanto!
      Ma non dolerti se faccio la parte dell'avvocato del diavolo. Se ho risposto, è a motivo del mio grande interesse per quello che state facendo.
      A proposito di crabiu, selvatico, caprino e, per estensione, diabolico, c'è un'esclamazione antica di meraviglia o di sconcerto che fa appunto "Eh, su mali crabiu!" (in Marmilla "eh, sumabecrabiu!"), male sommo, ma mai ben identificato.
      Donnu o Dona Crabia doveva essere gran possidente se costruì un accorru che misura più di una quarra de terra, sui 2800 metri quadri, dove trovavano spazio almeno 600 pecore, tenendo conto che s'accorru era sempre separato a metà da siepi di spine o staccionata, allo scopo di separare le pecore munte da quelle da mungere. Per meglio capire, le pecore entravano in una metà del recinto, venivano prese e munte dal almeno tre 0o quattro pastori, vista la quantità, poi venivano avviate nell'altra metà del recinto, così da non confondere le munte dalle altre. Infatti in questo modo si era certi di aver munto tutte le pecore, nessuna esclusa, perché è un guaio se la pecora non viene munta regolarmente prima soffre per la pressione del latte accumulato, poi perde la facoltà di generarlo. La mammella si secca, insomma.
      Stiamo andando fuori dal seminato; ciò può essere utile a comprendere il nuraguccio che poteva essere servito all'affumicamento delle forme fresche di formaggio. Una pratica che proteggeva il formaggio, prima che la crosta diventasse significativamente consistente.
      Capiterà che scoprirete che Crabia fu un Giudice, che divise la proprietà tra i figli, sparpagliandoli nel territorio. D'altra parte, Cabras non è lontana, né come distanza, né come suono: Cabras- Crabias? O viceversa.

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    3. A proposito: se ci tornate a verificare la presenza di un ingresso in s'accorru-cerchio magico, potreste trovarne addirittura due: un per l'ingresso delle pecore per la mungitura, un secondo per l'uscita delle pecore dopo la mungitura. Certo vi toccherà esplorare quelle molas de moddizzi!

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  3. Ci sono dati molto interessanti e fate bene ad indagarli. Vi leggo con piacere. Quanto al 'crabia' di Franco con valore di 'selvatico' ho qualche dubbio perché 'crabia' campidanese ha la 'a' finale nasalizzata, evidente derivazione da 'crabina' (caprina). Siamo in territorio non campidanese e pertanto la voce sarebbe dovuta essere 'crabina' e non 'crabia'. Pertanto mi sembra che la sua identità vada ricercata altrove. Dove proprio non so. Intrigante davvero quella pinnetta nuraghetto! Perché mai le due nicchie ad imitazione della 'pinnetta' più grande? Le nicchie di una normale pinnetta sono ben altra cosa!

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    1. Ci scusiamo per essere stati poco chiari nella esposizione, ma le nicchie di cui parliamo sono nel nuraghe Crabia.
      Per quanto riguarda il toponimo verrà esposto, con tutte le cautele del caso, bene inteso, una interpretazione nella parte relativa a nuraghe Crabia di Bauladu.

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  4. Se pure crabia, come ho detto più su, significa anche caprina, tuttavia non è il risultato della nasalizzazione di questa forma. Infatti, con la nasalizzazione, direi crabì(n)a, spostando l'accento sulla i, mentre si dice da sempre cràbia.
    In effetti, se "selvatico/a" va bene per la pianta del fico, in considerazione dei frutti (che poi sono infiorescenze) che non arrivano a maturazione e, dunque, non sono eduli, altrettanto non si può dire per il rovo, quello particolare con le foglie lucide e piccole, le spine adunche, che infestano il sottobosco: anche quello è distinto dal rovo comune, quello delle more, s'arrù o s'orrù, come arrù o orrù cràbiu. Sarà perché non produce frutto?

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  5. No franco, l'accento è sempre spostato sulla terzultima. Male cràbinu > mabagrabiu. Comunque, ne parliamo in barca (nei momenti di stanca),

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  6. Complimenti al narratore, Sandro o Stefano che sia! Si legge tutto d'un fiato come se fosse il racconto di un vero scrittore, se non fosse per quei gradi e primi che restano alquanto stopposi.
    Al mio paese esiste il toponimo "su °àprinu" (° = colpo di glottide).

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    1. E ita hiat a bolliri nai, o Michele?

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    2. Gli elogi sono sempre graditi; più gradito è il sapere che l'articolo si legge tutto d'un fiato. Per quanto riguarda gradi e primi, beh, non è facile conciliare narrazione e dato tecnico nudo e crudo. E' come recitare un numero di cellulare con la pretesa, da parte del dicitore, di un caloroso applauso.

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  7. Mi spiace deludervi, ma non lo so. Prima di postare il commento ho telefonato in paese e ho chiesto a un familiare cacciatore che quasi non ricordava neanche il toponimo. Purtroppo mentre ciò che indagate voi si mantiene piuttosto bene, specie quando è in pietra o/e sottoterra, per quanto riguarda cultura e sopratutto lingua è un vero disastro, sta sparendo tutto. Ormai anche gli anziani stanno capitolando nella resistenza linguistica oltre che nella lucidità della memoria, e noi ... pardon, io mi avvio inesorabilmente a far parte di quella categoria.

    La mia impressione è che sia di tipo aggettivale e che significhi, come qualcuno accennava, SELVATICO. Si potrebbe anche dedurre dal nostro termine "°iàpru" che significa "fico selvatico", ma come si vede si ha -apru- piuttosto che -°àprinu-. Ptroverò ad indagare e se dovessi trovare qualcosa riferirò.

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  8. Ho sentito alcune persone del paese e la mia convinzione, a proposito del significato del toponimo “càprinu” ( o “°àprinu” che è lo stesso) è dunque la seguente: è semplicemente un aggettivo derivante da “capra”, con la particolarità che mentre in italiano la parola è piana (accento tonico sulla penultima) nel caso in esame essa è sdrucciola (accento tonico sulla terzultima).
    A conforto di questa tesi ricordo che esiste anche un altro termine che si comporta in modo simile: “gùrpinu”, che deriva da “gurpe”, ossia “volpe”. Anch’esso in italiano è “volpino”, aggettivo derivante appunto da volpe, parola piana invece che sdrucciola, come quella sarda. Ad onor del vero a Cagliari il toponimo ha l’accento sulla penultima, “Urpìnu” (si, proprio quello di Monte Urpinu), che risulta identico nonostante l’elisione della “g” iniziale, tanto frequente come per altre consonanti (“B”, “F” …) in molti dialetti della Sardegna.
    In conclusione “càprinu” dovrebbe indicare attinenza o derivazione da capra: “latte càprinu” (latte di capra), “cagiu, casu càprinu” (caglio, formaggio di capretto/di capra). Nel nostro caso il toponimo potrebbe indicare un luogo frequentato da capre o adatto, per le sue caratteristiche, ad essere pascolato dalle capre.
    Forse è questa la soluzione.

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