Nuraghe Ardasai della Barbagia di Seui
Abbiamo visto dunque, nel precedente articolo, che sia l'Angius sia l'Alinei si sono sforzati, ciascuno con le proprie forze e capacità linguistiche, ma con identità di vedute, per invalidare la tesi che la lingua sarda possa aver avuto origine da quella romana e che quindi ci fosse, tra i due codici espressivi e comunicativi, un rapporto, strettissimo (e nobilissimo per ‘purezza’), tra ‘mamma’ e ‘fiza’ (come dicevano il Madao nel Settecento e lo stesso lessicografo Spano, contemporaneo dell’Angius, nel secolo successivo) .
Particolarmente importante, quasi
fondamentale, l'obbiezione avanzata da
entrambi che la Sardegna dell' interno (Barbagie), quella resistente della
'riserva indiana' e mai domata dalla
colonizzazione di Roma, avrebbe dovuto mantenere la sua lingua arcaica
preromana e non, al contrario,
presentarsi come la zona con romanità linguistica più radicata di tutte le
altre. Spia evidente questa che il sardo 'latino' era da ritenersi precedente e che le due
lingue, quella chiamata da Alinei 'italide' e quella sarda, appartenevano allo
stesso ceppo linguistico, per quanto indipendenti.
Si capisce subito però da ciò le
conseguenze che si determinano sul piano della ricerca scientifica sull'origine
della lingua sarda: le tesi, che hanno fatto ormai scuola da tantissimo tempo,
sulla lingua romana che sarebbe la 'madre' di quella sarda ( e di quelle franco
-iberiche) andrebbero totalmente riviste. E a farne le spese sarebbero, per
quanto riguarda il sardo ‘romano, gli studi di mostri sacri come W. Meyer - Lübke
e soprattutto come Max Leopold Wagner, autore del famoso DES (Dizionario Etimologico
Sardo), uno studioso benemerito che con le citatissime sue 'etimologie' e l’esame profondo
assieme della società e dell'anima
sarda, ha dato, tra gli altri contributi , statuto di 'lingua' al linguaggio
usato dai Sardi. Tante, tantissime parole, andrebbero alla luce della TdC
ricalcolate e riviste quanto ad 'ascendenza'
e bisognerebbe, di conseguenza, ridisegnare un confine tra il sardo 'latino'
anteriore a quello della data della conquista romana dell'Isola (fine del III
secolo a.C.) e il sardo inevitabilmente influenzato (così come –qundo più quando
meno - da altre lingue nel passato) dopo la conquista, a partire soprattutto dai
secoli dell'età imperiale.
Ora io non intendo minimamente metter becco in ampie e articolate discussioni
di natura linguistica, perché non ne avrei le forze e soprattutto i mezzi,
mentre entro nel merito, con un mio contributo, delle obbiezioni specifiche
formulate dall'Angius e dall'Alinei; ma
solo perché oggi il panorama delle
conoscenze sulla lingua sarda arcaica, ovvero sulla lingua parlata dalle popolazioni dell'Isola durante l'età
del bronzo (e certamente anche in periodo neolitico-eneolitico stante una certa
continuità culturale isolana acclarata
anche dall’archeologia) mi sembra notevolmente mutato
Infatti, la ormai cospicua documentazione rinvenuta in Sardegna sulla scrittura dei sardi dell'età del bronzo, formata sia dai documenti rinvenuti tra il 1995 ed il 2004 sia da quelli successivi (dal 2004 sino ad oggi), ha ormai reso chiaro:
° 1 Che i sardi dell'età del bronzo medio e
finale conoscevano ed usavano diffusamente (cioè in quasi tutte le zone
dell'Isola) la scrittura.
° 2 Che detta scrittura è di
origine orientale siro -palestinese (realizzata con alfabeti di natura
consonantica: protosinaitico, ugaritico, protocananaico e gublitico).
° 3 Che detta scrittura ricorre il più delle
volte al mix dei segni (addirittura, aspetto non rintracciabile altrove, con mix
di simboli ugaritici!) e cioè ad un 'modus scribendi' (assai attestato in area orientale) che è
noto con il nome di 'protocananaico'.
° 4 Che detta scrittura non
prescinde quasi mai (aspetto questo che sino a prova contraria, sembrerebbe del
tutto nuovo e del tutto originale del codice) dalla simbologia numerica cioè dalla
realizzazione nel testo anche dei numeri
'sacri' della divinità ( tre, cinque, sette, nove, dodici, ecc.)
° 5 Che detta scrittura è di
natura sempre religiosa; serviva cioè al
culto e alla glorificazione della divinità androgina e 'manifesta' ('El/Il /Ili
yh/yhh/yhw/ yhwh) sarda, dio anch'esso di chiara origine orientale cananea e palestinese (paleo ebraica).
° 6 Che detta scrittura riguarda
anche e soprattutto i divini ‘figli del cuore’ (Sanna 2009. La stele di Nora. 3.4. p. 101, cioè gli ‘abay’ (padri venerandi) tori (Tzricotu: A1, A3, A4, A5) e ‘piccoli
giganti’ che dominavano nell’Isola.
°
7 Che detta scrittura o comunicazione per simboli fonetici è ottenuta a
tutto campo (aspetto questo che fa innalzare enormemente la stessa quantità di
essa se non considerata pregiudizialmente solo dal punto di vista epigrafico) attraverso
la realizzazione degli oggetti stessi e dei monumenti (pittogrammi ed
ideogrammi monumentali). Tipologia scrittoria questa che abbiamo chiamato
'con', di sicura provenienza egiziana.
° 8 Che detta scrittura alfabetica, consonantica
e pittografico –ideografica, presenta
due tipi di lingue: una di ceppo chiaramente semitico (di gran lunga la più
attestata, essendo in pratica presente in tutti i documenti) e una seconda di
ceppo chiaramente indoeuropeo.
Le cartine (v. tab.1 e 2) possono far comprendere, attraverso il riporto delle
non poche località interessate alla documentazione della scrittura 'nuragica'
(anche di quella dei primissimi secoli del primo Millennio a.C.), l'ampiezza
territoriale del fenomeno (un ‘alfabetismo diffuso’ anche se non ‘popolare’,
davvero inimmaginabile fino a qualche anno fa !) della scrittura sarda dell'età
del bronzo; ampiezza già riconoscibile e che non può che stupire se si pensa
che praticamente le ricerche 'effettive' (quasi solitarie tutt'altro che
agevolate, generalmente parlando, da archeologi e linguisti) sono condotte da
meno di dieci anni. Possono far comprendere inoltre che gli ultimi documenti
(quelli dal 2004 in poi) confermano il dato (Sanna 2004, Sardoa Grammata, 6. p.
332, tab.6) della maggiore presenza documentaria in territorio 'arborense' (cioè
il ‘logu’ dell’Antico Giudicato di Arborea),
agevolando la formulazione dell'ipotesi, già da noi avanzata nel 2004, , che fosse il Sinis e particolarmente la città
di Tharros (Tharshish) il luogo d' irradiazione scribale -sacerdotale del sistema di scrittura sacro, composto di
determinate norme e convenzioni (impostazione a ‘rebus’, mix alfabetico,
agglutinamento, direzione della scrittura, 'matres lectionis', ecc.)
Le seguenti tabelle invece (tab.3 e 4) intendono
spiegare il fenomeno del 'bilinguismo' arcaico del Secondo e del Primo
Millennio a.C. (lingua sarda indoeuropea
e lingua sarda semitica), con il mostrare da un lato le voci semitiche
(ebraiche ,in particolar modo) e dall'altro le voci non semitiche ma
indoeuropee; parole chiaramente leggibili ed in genere indiscutibili, per
sussistenza - avvertiamo subito - perché,
per somma fortuna, la scrittura sarda si è manifestata da subito per essere di natura alfabetica fonetica
consonantica, come si è detto, e mai
(stando almeno agli attuali documenti) di natura sillabica. In alcuni casi essa
è chiarita ancor di più, dal punto di vista delle pronuncia, dall’accorgimento e dal ricorso degli scribi alle cosiddette ''matres lectionis', cioè ai segni solo formalmente
consonantici perché attinenti alla
necessità d’espressione delle vocali ed
estranei in genere, come si sa, al codice di scrittura semitico. Le stesse lettere di tipologia gublitica che
si trovano in alcuni dei documenti ( 'nuraghetto' di Uras, tavolette del
nuraghe Tzricotu di Cabras , pietra del Nuraghe Pitzinnu di
Abbasanta) fanno comprendere che la lettura è 'consonantica' e non sillabica;
aspetto importantissimo questo –come si è detto altre volte, anche in questo
blog - per la decifrazione dei misteriosi
documenti siriani e palestinesi con l'alfabeto (il cosiddetto ‘pseudogeroglifico’)
di Biblo.
Ora, a meno che non si vogliano
inficiare dati documentari così abbondanti e, diremmo, qusi ‘esuberanti’, e la
stessa lettura dei segni ( si vedano gli esempi alle figg. 1 -2 -3 -4 ), dalle tabelle suesposte appare un dato che ci sembra certo: che in un arco di tempo compreso tra il
XIX secolo a.C. (bidente di Is Locci
Santus) ed il IX -VIII secolo a.C. (Stele di Nora e coccio di Orani) in Sardegna
si adoperava un lessico che ancora oggi si mantiene, pressochè intatto, nella lingua
e che soprattutto mantiene, confermando gli spunti teorici dell'Alinei, nel
linguaggio dialettale.
Fig.1 |
Fig.2 |
|
Fig.3 |
Fig.4 |
Parole come ‘AK, Bi-D(e)NTe/i, KoR(R)ASh, GiGaHaLOY, GaWaHuLO,
H(o)GY'ANO, MaG(u), N(o)N(N) -Y, suffissi/prefissi come Y, preposizioni come 'dhe/Z, nomi propri, non semitici, come NGR, B(o)IQO, L(e) Ph(e) S-Y ,
BAR'ASON-Y, Y 'AGO, riteniamo che non lascino adito a dubbio alcuno. Ci
troviamo quindi davanti a qualcosa di straordinario e del tutto insospettabile:
che il sardo ‘romano’ romano non è che in un periodo (ovviamente ben più a monte
degli inizi della seconda metà del secondo Millennio a.C.!) molto precedente
(di più di mille anni!), quello della conquista romana dell'Isola, in
questa si parlava una lingua (e perché no?
Forse anche 'romana': ma Roma che era allora?) di ceppo 'italide' per dirla con
Mario Alinei o 'germoglio della stirpe
dei latini' per dirla con l'Angius.
Naturalmente si noterà che ci siamo astenuti dall'entrare nel merito
delle parole attestate nei documenti: ma l'abbiamo fatto per non appesantire
troppo il testo (che ha, come sempre, fini prevalentemente comunicativi) e anche
perché le parole sarde 'latine' (latine
e non romane), così comuni, possono essere tranquillamente controllate nei
repertori etimologici lessicali.
Diciamo però qualcosa riguardo a
quattro voci nuragiche: G(a)W(a) H(u)LO,
NoN(N)o-Y , DH(E) e Y'AGO .
La parola campidanesa 'gaurru' (per il significato originario di
'cantore' e quello successivo in periodo cristiano si veda Sanna 2004, pp. 511
-512) non risulta attestata nel lessico del Wagner né in quello del Pittau
mentre risulta attestato in quello del Puddu con il significato preciso
corrente: nadu de unu po sa manera de faghere, chi est fattu a sa russa
( DitzLcs 748). A Cabras però esiste ancora oggi attestata la voce 'gawaurru' (è il nomignolo di una famiglia assai nota nel
paese per la dedizione alla musica e al canto), cioè quella esatta (tranne il
normale mutamento della liquida interna ‘L’ < ‘R’) della tavoletta A5 (v. figg
2 e 2B.) di Tzricotu (di Cabras!); a
conferma cioè di quello che sostiene Mario Alinei che è la lingua dialettale quella
che preserva meglio le forme più antiche
del linguaggio di un popolo. E' abbastanza facile ricavare allora che, se è
vero che tra l'appellativo (riferito all'abay defunto ’rhg ggh[n]loy defunto
citato nel sigillo: Sanna, 2004, Sardōa Grammata,12,
doc.4, pp. 508 -510) riportato nel documento di Tzricotu ed il giorno d'oggi intercorrono tremila e trecento (3300)
anni, con ogni probabilità la parola esisteva da molto, molto tempo prima,
almeno dal neolitico-eneolitico, se non da prima ancora (mesolitico). Quindi, sempre
come sostiene l'Alinei (e l'Angius), una voce di una popolazione da tempo ben
radicata nel territorio e che va ben al di là, in termini cronologici, della
famosa ipotetica 'invasione' calcolitica
teorizzata dagli indoeuropeisti.
Stesso discorso vale, naturalmente, e forse di più, per la parola 'N(o)N(N)o-Y della stele
nuragica di Nora (Sanna 2009, 3.4, p.104 e n. 204) in caratteri cosiddetti 'fenici arcaici' ma 'modus scribendi' ancora cananaico
a rebus. Nonnoy/nonnay sono, come si
sa, termini del linguaggio popolare dialettale, ma al contrario di 'gaurru, gavaurru' (che ha un'area di
diffusione molto più limitata) diffusi in tutta l'Isola. La parola, di quasi
tremila anni fa, dato che pare che la stele norense risalga al IX-VIII secolo
a.C., è ascrivibile dunque ad un periodo ben più antico di quello supposto dal
Wagner (DES p. 552, ed. a cura di G. Paulis) che la ritiene, sulla scorta del
Meyer -Lubke (REW , 5817) di derivazione latino-romana. E’ dunque anch'essa
dell'età neolitica se non mesolitica.
Circa la parola 'preposizione'
'dhe', attestata per ben sette volte ( 2 volte in Tzricotu di Cabras, due
volte nella barchetta di Teti, due volte nell'anello di Pallosu di San Vero
Milis e una volta nella scritta del Nuraghe
Zuras di Abbasanta: v. per quest’ultima fig. 5) il suo valore documentario
consiste nel fatto che possediamo una prova, inconfutabile, che nella seconda metà del secondo Millennio
a.C. la morfologia e la sintassi erano ancora quelle del sardo corrente.
Fig.5 Graffito del Nuraghe Zuras di Abbasanta
Come non credere allora alla 'prova' (II, pp. 975 -978) del futuro perifrastico diffuso in tutta l'area 'neolatina', compresa quella sarda, addotta dall'Alinei come sicuro indizio di una formazione non 'posteriore romanza' ma di una lingua anteriore a quella romana, che usa (‘forse’ però: Alinei, 2000, XXI, pp. 976 -978) la forma sintetica? E che dire allora di ‘ipse’ e dell’articolo sardo ? Che delle forme plurali in ‘s’?
Fig.5 Graffito del Nuraghe Zuras di Abbasanta
Come non credere allora alla 'prova' (II, pp. 975 -978) del futuro perifrastico diffuso in tutta l'area 'neolatina', compresa quella sarda, addotta dall'Alinei come sicuro indizio di una formazione non 'posteriore romanza' ma di una lingua anteriore a quella romana, che usa (‘forse’ però: Alinei, 2000, XXI, pp. 976 -978) la forma sintetica? E che dire allora di ‘ipse’ e dell’articolo sardo ? Che delle forme plurali in ‘s’?
E allora? Che si fa da questo?
Riprendiamo le parole dell’Angius
(che naturalmente valgono per i concetti espressi dall’Alinei):
Che si fa da questo? Che si possono alterare le opinioni, i costumi,
le leggi e tutt'altro, di una nazione, quando viene in comunicazione
strettissima con un'altra nazione di differenti opinioni,costumi, leggi, non
mai la lingua''.
Io non so se questo ‘non mai’,
l’espressione perentoria del canonico sardo, vada bene in tutti i casi. Ma per
la Sardegna mi pare proprio di sì.
Grazie,Gigi,questo articolo non l'avevo letto nel blog di Gianfranco.Che emozione !
RispondiEliminaSono riuscito a 'ripescarlo' e, ti dirò, a comporlo in qualche modo. Foto e cartine erano ben disposte da Gianfranco. Io mandavo soltanto lo scritto con le indicazioni di massima sul posizionamento di esse. Ho fatto di tutto per trovarlo perché ritengo di una certa importanza far capire che Sergio Frau avrebbe avuto più possibilità di aiutare le sue 'domande' sia attraverso le considerazioni dell'Angius linguista sia, soprattutto, attraverso la non certo trascurabile documentazione sulle voci (poche purtroppo, ma assai illuminanti) indoeuropee latine preromane (e di tanto tempo lontane da Roma!).
RispondiEliminaGigi,sapesi come sono contenta della scelta di Gianfranco,di ritornare,perlomeno lui,nella nostra terra,credo che il suo contributo sia stato molto importante,e,non a caso,è nata la vostra amicizia.
RispondiEliminaGigi, ci hai mostrato in tantissimi documenti che la scrittura nuragica sia sempre a rebus e un mix, non solo di alfabeti, ma anche di lingue o ceppi di lingua. Accanto a numerose parole semite, se ne rintracciano anche di indoeuropee, o italide per dirla con Alinei.
RispondiEliminaOrmai pare anche serto che la scrittura nuragica sinora documentata sia di tipo religioso, e non sicuramente popolare, ma riservata a pochi, a una casta, diremmo oggi.
Se nella prima metà del II millennio a. C., la popolazione dell'isola usava una parlata indoeuropea - e la usava da tanto tempo, come dici tu, dal neolitico e forse anche dal mesolitico - i Shardana dei Popoli del Mare che portarono la scrittura e gli alfabeti, evidentemente parlavano una lingua semitica, tipica della Terra di Canaan?
Sarà stato allora per questo motivo che usassero per 15 secoli soprattutto il semitico nelle loro iscrizioni, per tenere la scrittura ancora più nascosta a un popolo che parlava italide, riservata solamente a alla casta degli ultimi arrivati?
Forse pensavano anche che il loro unico dio Yh, anch'esso di provenienza cananaica, comprendesse meglio lodi e devozioni, se espresse nella lingua identitaria per il dio e per se stessi.
No Franco, gli stessi sacerdoti che portarono la scrittura e la lingua non portarono quella popolare 'semitica' di qualche luogo di Cananan, ma quella, con ogni probabilità' delle Sacre scritture ovvero dei testi che precedettero la Bibbia purgata. Ci fu insomma una specie di 'latino' della 'chiesa', una lingua alta e organica alla santità del Dio. Dobbiamo considerare lo sviluppo di quella 'religio' in Sardegna dove i sacerdoti pian piano furono anche sardi di ceppo italide. Penso anche che si parlasse il 'latino' indoeuropeo ma anche il semitico cananaico, ma non quello dei testi delle scritture. Ma forse parlare di queste cose è prematuro: speriamo che la sorte sia benevola e ci faccia rinvenire non 300 ma almeno tremila documenti. Allora forse le cose, dal punto di vista linguistico (non solo epigrafico), si capiranno meglio. Si sussurra che le tavolette (i sigilli dei Giganti) fossero molti di più, diverse decine. Se noi potessimo vederle sono sicuro che vi troveremmo altre parole di ceppo indoeuropeo (soprattutto i nomi di persona e gli appellativi). Insomma GGHLOY BEN e GWHLO BEN non sarebbero, come sono ora, parole rare.
RispondiEliminaVuoi dire che il semitico era probabilmente solamente a uso e consumo della religione?
RispondiEliminaChe i sacerdoti, anche quelli sardi-sardi, una volta diventati tali, usassero la lingua antica della religione non fa meraviglia.
Basta vedere come i cardinali, bianchi, neri, gialli o grigioverde che siano, tra di loro nelle occasioni ufficiali parlano ancora la vecchia lingua di Costantino imperatore, patrono sedilese.
E' una lingua formulare quella dei documenti. Quella della magia dello scritto che è possibilità di salvezza per i defunti. Anche in Sardegna come in Etruria la scrittura agisce dietro la forma e il simbolo. Puoi in maniera relativamente facile capire questi con gli occhi ma quella te la devi guadagnare con la mente, con il ricorso continuo all'intelligenza. E non di rado è fatica vana.
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