La rubrica di Maymoni

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sabato 24 marzo 2018

Cavalupo di Grosseto. Un Gigante figlio di Dio ‘difensore’, un cesto come grembo divino e uno sgabello per il riposo eterno. Ecco come la Sardegna di 2800 anni fa partecipò con i suoi caratteristici simboli al dolore per una tragedia sardo - toscana di cui nulla purtroppo è dato sapere. Se non il fatto che fu immensa, riguardò un casato d’eccezione e toccò il cuore di tutti (III).

di Gigi Sanna

Fig.1

      Abbiamo visto nei precedenti due articoli (1) come si esplichi il simbolismo di natura funeraria nuragica con i bronzetti alludenti l’uno all’aiuto del Dio attraverso il figlio ‘sacerdote’ gigante e l’altro all’accoglimento del defunto nel ‘grembo’ dello stesso Dio,  simbolizzato attraverso il piccolo cesto in miniatura.

  C’è un terzo  oggetto però, assai significativo, che accompagna gli altri due: lo sgabello. E’ evidente che anche questo piccolissimo oggetto (2) altra funzione non ha se non quella simbolica e, più precisamente, una funzione che si somma organicamente a quella degli altri due bronzi.

 Ora, uno sgabello altro non può suggerire se non l’idea del sostegno della persona nel momento di riposo dopo una certa attività defatigante. Lo stesso Yhwh, pur essendo di capacità straordinarie in quanto Dio, dopo la sua immane fatica della creazione del mondo si riposò nel settimo giorno. E tutti i ‘sabati’ gli ebrei così come il Signore festeggiano lo shbt שבת il momento del riposo. Ma secondo gli antichi rabbini il ‘settimo giorno’ fu creata da Dio (yhwh) la mnwhh מנוחה ovvero proprio  il ‘riposo’. Nello spirito biblico ( Dt 12,9; 1Re 8,56; Sal 23,2; 95,11) questo termine è sinonimo di felicità, silenzio, pace e armonia. In seguito la voce  divenne, significativamente, sinonimo della vita nel mondo futuro, della vita eterna.

   Quindi il valore simbolico dello sgabello potrebbe essere quello di ‘pace, serenità, tranquillità ‘dopo la morte. I due defunti  (3) di Cavalupo dopo la morte sarebbero stati accolti nel grembo di Dio (il cesto) dove avrebbero trovato finalmente, dopo gli affanni e le tribolazioni della vita, la ‘pace’, la ‘requies  aeterna’.  L’ipotesi, essendo gli oggetti di chiara evidenza simbolica e riguardanti ovviamente il culto funerario, potrebbe essere plausibile ma perché essa possa trasformarsi in certezza c’è bisogno di qualche prova ulteriore che la corrobori e che permetta che non insorgano  dubbi che lo sgabello alluda realmente allo stato della  מנוחה 

     G.Lilliu nel trattare del singolare sgabello cultuale, di cui la bronzistica sarda ha un altro esemplare,  tenta di capirci qualcosa (4) ma è ben lontano dall’immaginare il reale valore simbolico dell’oggetto. Nella sua encomiabile attività nel descrivere (e nel descrivere nella maniera più accurata possibile) non gli sfugge certamente il dato che gli sgabelli sono gli stessi sui quali  la produzione della bronzistica sarda fa sedere delle donne ‘madri’ (5) che tengono in grembo un ‘piccolo’ defunto (v. figg. 3 - 4).

       
   Fig. 3. Bronzetto di  Serri  (Santa Vittoria                  Fig. 4. Bronzetto di  Urzulei (Sa domu 'e s'orcu 

   Lo studioso, sempre capace di pronte comparazioni, ove esse in qualche modo siano possibili,  non è però in grado di capire, naturalmente, cosa rappresentino quelle donne che manifestamente si mostrano addolorate per la loro creatura che giace inerte nel loro grembo,  avvolta e circondata dal loro affetto protettivo (6). Propone qualche soluzione ma brancola nel buio (7) perché  non ha gli strumenti concettuali (in primis una qualche conoscenza della realtà effettiva della divinità sarda) che gli consentano  di porre in correlazione i suggerimenti ideografici : quello del riposo dello sgabellodell' affettuoso abbraccio del  manto e del grembo che accoglie e tranquillizza. C’è una creatura che è morta e in quanto tale  non può non godere dei gesti consueti e istintivi, quelli  ‘vitali’, di una ‘madre’ che abbraccia rasserena e fa riposare il figliolo come se morto egli non fosse. Solo la consapevolezza dell’esistenza della scrittura metagrafica permette di ‘leggere’ e di capire che quella realizzazione ‘artistica’ con fattezze squisitamente umane è solo un 'pretesto', una metafora, per spostarsi sul piano più profondo del divino e per parlare del Dio  (femmina - madre) che pietosamente ha abbracciato ed accolto nel suo ‘grembo’ il piccolo defunto che ora tranquillo riposa in pace. Perché sgabello, manto e grembo materno sono simboli nuragici del trapasso, sono espedienti dell’elaborazione del lutto  per dire che la morte non è, che essa è apparente, perché il bimbo è solo ‘dormiente’ (riposa) accolto dall’affetto e dalla premura dell'altra mamma ovvero della divinità celeste (8).
    Ora si prendano i simboli del cesto - grembo e dello sgabello e si comprenderà che, sia pur in forma diversa, chi ha deposto gli oggetti nella tomba di Cavalupo ha voluto rendere la stessa idea dei bronzetti di Serri e di Urzulei. L’ha resa con due bronzi e non con uno solo ma ha voluto sempre esprimere il riposo dei due defunti nel grembo, che accoglie e protegge assieme, della divinità madre (fig. 4).



 Fig. 4

Per altro, logica sottolineatura femminile questa, dopo quella maschile del bronzetto del gigante sacerdote, perché così la simbologia riesce a preservare l’aspetto di padre e madre assieme della divinità che è, non lo si dimentichi, androgina come in etrusco (apac atic). I defunti  hanno il padre ‘protettore’ che li difende e li protegge nella via della salvezza ma hanno anche la madre ‘affettuosa’ che li abbraccia, li consola, li culla nella  מנוחה 

    Il terzo ἀνάθεμα (9), ovvero lo sgabello si leggerà  ‘heה (lei/lui)  מנוחה (Lui è pace, riposo)    

     I tre (10) bronzi sardi costituiscono dunque ‘scrittura’ metagrafica, ovvero scrittura altrimenti convenzionale che va a sposarsi con tutta la scrittura dello stesso tipo presente a profusione nella tomba etrusca dato che tutto il corredo parla lo stesso linguaggio del superamento della morte attraverso i simboli che, in qualche modo, tendono ad annullarla. Infatti, gli spilloni e gli oggetti elencati con precisione dagli autori (11) dello studio particolareggiato della ‘tomba dei bronzetti sardi’ altra funzione non hanno se non quella di ripetere ossessivamente il grido della non morte, della stabilità, dell’energia  e della  continuità della luce con la luce. Sono oggetti del simbolismo mosso dalla pietà, per nulla decorativi così come non lo sono i tre bronzetti sardi.

Ma forse anche questa spiegazione simbolistica degli oggetti nuragici  (bronzetti)  potrebbe risultare opinabile se a renderla credibile non intervenisse un dato del tutto scientifico. Infatti, l’esame delle ossa combuste condotto dalla Vargiu permette alla studiosa di dire che le ossa del bacino del bimbo risultano meno sottoposte al calore delle altre; segno questo che nella pira il piccolo  venne deposto al di sopra della donna adulta. Bacino sopra grembo.  In qualche modo ci si dice che il piccolo venne deposto volutamente sopra il ‘grembo’ della madre. Il particolare di per sé non sarebbe stato rilevante se noi non conoscessimo (e bene) il simbolismo nuragico raffigurativo bronzeo, di cui si è detto,  dei ‘bimbi’ che giacciono morti nel grembo materno. Simbolismo che ci porta a ipotizzare  che la stessa deposizione nella pira non fu eseguita con due corpi supini ma, quasi in una rappresentazione scenica tragica, con una madre reale seduta (12) e  un figlio, ugualmente reale , collocato sul suo grembo. Il simbolismo nuragico, nel desiderio di annichilire la morte, si sarebbe spinto sino al punto di servirsi come pretesto del grembo della madre terrena per alludere ad un’altra madre infinitamente più grande ovvero a quella celeste. Una scena assai ardita, ai confini con il macabro, se non tenessimo presente che in tutta la cerimonia funeraria, sarda o etrusca che fosse, lo scopo fondamentale di tutti gli atti era quello di annichilire la morte  nella maniera più efficace possibile che era spesso anche la più audace e non di rado la più fantasiosa (13). In ogni caso, in virtù del dato scientifico, il simbolismo del ‘grembo’ (del bimbo collocato  sul grembo materno) e del ‘riposo’ restano saldi comunque, sia che la ‘rappresentazione’ fosse parcamente  suggerita sia lo fosse (come riteniamo) in modo più esplicito e ‘veristico’ .            

   Resta da ribadire che tutta quella enorme abbondanza di simboli ‘salvifici’  non è senza significato. La sua spiegazione non sta, come potrebbe sembrare, tanto nella ‘ricchezza del corredo tombale’ ma nella reiterata riproposizione dei simboli, dei manufatti funerari forti per allusioni delle comunità, sia di quella etrusca sia di quella nuragica. Quella ostentata deposizione di  oggetti che accompagna i defunti  non ha niente a che fare con la pompa e lo sfarzo privato della casa di una nobile o nobilissima persona (14). Essi vanno presi singolarmente perché sono offerte pietose, atti di omaggio individuale di cordoglio dei parenti e dei conoscenti delle persone morte in modo del tutto straordinario. Deve essere accaduta qualcosa di assai drammatico che ha riguardato la morte della donna e del bimbo (15) le cui ossa sono state bruciate, non a caso, in un’unica pira e sepolte in un’unica urna. I simboli, proprio perché in accumulo straordinario, denunciano, con ogni probabilità, una pietà e una fortissima commozione per i fatti accaduti che dalla Etruria tutta si devono essere trasmesse immediatamente alla Sardegna, forse nella città di Tharros. Il singolare 'lussuoso' bronzetto di uno ‘specifico’ Gigante sacerdote di Monte ‘e Prama sembra proprio volerci indicare tale località come particolarmente investita dalla tragedia toscana. Tanto che siamo indotti a credere che la sua singolare foggia ‘gemella’ (la statua rinvenuta a Monte ‘ Prama - come si sa - è precisa a quella del bronzetto della tomba di Cavalupo),  denunci anche il fatto che la donna  fosse una principessa sarda di altissimo rango (16), il  più alto di tutti, ovvero  quello dei ‘Giganti tori’ divini sepolti in uno speciale cimitero comune nel Sinis di Cabras: doverosamente omaggiata con il figlio, ugualmente principe, da tutta la nobiltà del grossetano.  


Note ed indicazioni bibliografiche



2. Alt. 3 cm e diam. 3,8 cm.
3. Lo studio della dott.  R. Vargiu ( Analisi antropologica dei resti incinerati; in Arancio M.L. , Moretti Sgubini A.M. , 2008, Pellegrini E., “Corredi funerari femminili di rango ecc., cit. Appendice II, p. 199) non precisa se si debba parlare di un bimbo o di una bimba. Per ciò che si dirà in seguito (sul casato della nobile donna)  è più probabile, secondo noi,  che si tratti di un maschio, ovvero del figlio della donna di età compresa tra i 25 e i 35 anni.  
4. Lilliu G., 2008, Sculture della Sardegna nuragica (ried. dell’opera del 1966), Ilisso Nuoro, p. 464, n. 263.  Lo chiama ‘sgabello simbolico’ ma senza dirci nulla sulla ‘simbolicità’. Trattando dell’altro sgabello (n.262, p. 463), che definisce ugualmente ‘simbolico’, così cerca di spiegarne la funzione: ‘ La forma dello sgabello è simile a quella dei seggiolini delle statuette femminili  nn. 68, 123, 124, nelle quali taluno ha voluto vedere delle divinità materne. Con questa ipotesi ci spiegheremmo un po’ la raffigurazione del sedile, come se fosse eretto a simbolo della divinità assisa senza che essa venga effigiata. In fondo l’idealizzazione del sedile (trono, cattedra, ecc.) nel linguaggio simbolico e nelle espressioni artistiche della religione è abbastanza comune. Ma può supporsi anche che lo sgabello in esame sostenesse, in origine e per certe occasioni, senza essere fissata, una statuina vera e propria , figurata seduta come quelle di 183 e 184, che sono pure di natura sacra. (p. 463). E’ inutile sottolineare che per i nuragici la divinità era una sola e cioè yhwh. Come per tradizione essa non era ‘raffigurabile’ (se non per cenni ‘umanoidi’). Nei bronzetti sardi è costante (anzi è necessaria)  la presenza del dio scritto con la forma ‘hē’ (lui /lei) ricavato per via acrofonica ma mai è presente la raffigurazione del suo ‘volto’. Solo nel bronzetto del cosiddetto ‘demone  di Nule’ l’aspetto taurino del Dio (con tutto il solito apparato di scrittura metagrafica) è accompagnato da un volto che assomiglia, in qualche modo,  a quello di una persona (Lilliu G. , 2008, Sculture della Sardegna nuragica, ecc. cit. pp. 467 - 471, n. 267).     
5. Lilliu G., 2008, Sculture della Sardegna nuragica, cit. pp. 204 -206 . n. 68 e pp. 305 -307 n. 123. Per quanto riguarda il tema dello ‘sgabello’ e del ‘grembo’ c’è un altro bronzetto nuragico assai interessante che riguarda la stessa simbologia (Lilliu, ibid. pp.201 -203 n. 66).  Stavolta però non c’è un ‘gruppo’ (madre - figlio defunto) ma un singolo  personaggio maschile, un artigiano lavoratore del cuoio intento a riparare ( o a realizzare) un certo tipo di cappello che tiene in grembo. Il significato è lo stesso di tutti i bronzetti con il caratteristico sgabello, con la variante ‘ideografica’ del cappello. Lasciando per ora ai volenterosi la soluzione del piccolo rebus ci limitiamo a mostrare il bronzetto di Aidomaggiore  che, per la sua singolarità,  preferiamo trattare in un articolo a parte.

  6. Il Lilliu insiste su questo aspetto ‘affettuoso’ e ‘protettivo’ della madre cosa che risulta, ovviamente, assai manifesto in tutte le statuine con lo stesso tema.
7. Per quanto riguarda l’esegesi della statuina di Santa Vittoria di Serri il Lilliu pensa che tra le tante spiegazioni date la più ‘ovvia’, la  più appropriata  anche al fondamento culturale e spirituale della civiltà nuragica’ sia quella ‘ di una comune madre mortale, una donna del popolo, che impetra la grazia per il suo malatino’ (p. 307). Circa l’interpretazione del gruppo di Urzulei lo studioso così si esprime, ritenendo un ‘ucciso’ il giovane nel grembo della madre: ‘ La statuina è fra le più forti e suggestive della bronzistica proto sarda: la pietà della madre e il mistero della morte vi trovano un’espressione di una selvaggia drammaticità. Negli occhi fermi, nel viso impassibile c’è la fissità di Niobe. Il corpo afflosciato e la rigidità quasi cadaverica del figlio introducono una nota di barbarico realismo. Non mai gruppo di ‘Pietà’ ebbe tanto vigore istintivo e tanta poetica aderenza alla realtà. Ché di una ‘Pietà’ si tratta, come vide il Taramelli, e non di una ‘kourotrophos’. E’ una madre comune che accoglie in grembo il figlio morto, ucciso forse in uno scontro rusticano tra i boschi di quercia, con speciali riti di sangue. La madre avvolge il figlio nel manto che diventa un sudario , e lo offre in ‘devozione’ alla divinità, per suggellare il patto di vendetta, voluto dalla ‘legge - ombra’. Poiché la figurina viene da una caverna, di carattere evidentemente sacro e con culti ctonii, non è impossibile di riconoscervi l’ex - voto della Dea Madre, che era Dea delle grotte e degli inferi, alla quale ben si adattava una funeraria ‘dicatio’ (p. 206).  Questi due brani si sono voluti riportare per mostrare a quali risultati aberranti interpretativi (per quanto suggestivi) può portare l’esegesi  dei bronzetti sardi se di essi non si conosce l’aspetto metagrafico, cioè la particolare ‘scrittura’, quella che sola può spiegare il simbolismo contenuto in ogni manufatto. Sono lo sgabello, il manto e il grembo della madre che danno il senso all’oggetto, non altro; sono essi i simboli di cui tener conto perché in essi c’è la spiegazione, tramite allusione, ad un ‘altro’ luogo di riposo, con un altro manto  e ad un altro grembo, dove si giunge (si può giungere) dopo la morte. C’è un’altra madre, non quella ‘terrena’ presente come pretesto nel bronzetto, che accoglierà il defunto, così come tutti i defunti,  nel riposo eterno.  
8. Si è visto, nel primo dei nostri due articoli, http://maimoniblog.blogspot.it/2018/02/un-gigante-sardo-pellita-pantauros.html l’aspetto paterno e materno della divinità celeste che accoglie nella luce i suoi figli defunti. Tale aspetto di ‘padre/madre’, ribadiamolo ancora una volta, fu ripreso in ‘toto’ dagli Etruschi con la divinità androgina TIN/UNI, inteso come Sole il primo e come Luna la seconda.
10. Il ‘tre’ con il 'sei'  sono numeri (astronomici) fondamentali dei nuragici per alludere alla divinità. Ma lo erano anche per gli Etruschi che spesso indicavano TIN e UNI con due ‘C’ ovvero con due segni del ‘tre’.  http://maimoniblog.blogspot.it/2018/01/i-documenti-etruschi-di-allai-falsi.html
11. V. nota 3.
12. In questo caso, cioè quello della presenza di un particolare sgabello dove stava seduta la donna,  si avrebbe la ripetizione dell’immagine precisa rappresentata nei bronzetti di Urzulei e di Serri. Non solo. Si avrebbe il dato del rito della combustione  arricchito da una vera e propria ‘scrittura’, leggibile forse ancora meglio, perché  ancora più ‘viva’ per simbologia,  di quella poi offerta a rebus attraverso i due minuscoli oggetti simbolici dello sgabello e del cesto. 
13. Le tombe etrusche sono giustamente famose per i ritrovati, spesso assai fantasiosi, per alludere alla certezza della raggiungimento di una nuova vita nella luce del padre e della madre. Le stesse pitture con scene erotiche spinte, davvero ‘scabrose’, come quelle della famosa ‘tomba dei tori’ di Tarquinia, vanno interpretate non in senso ‘laico’ ma esclusivamente religioso. L’eros e l’attività sessuale 'spinta'  non appartengono a coppie ‘terrene’ (come i più sono portati a credere), ma alludono sempre allo sforzo incessante (anche di fantasia) dell’androgino luminoso ‘e padre e madre’ (TIN/UNI) per far sì che la morte non prevalga e che una nuova vita possa far seguito ad una precedente.
14. Non sappiamo dai dati tombali né il nome della donna sarda né quello del nobile uomo (un lucumone?) a cui essa andò sposa.
15. Se il fatto tragico riguardò la mamma ed il figlio (e non una figlia)  ci sarebbe perfetta consonanza formale tra i  bronzetti sardi che, in tre casi su tre, mostrano bimbi (o giovani) e non bimbe nel grembo materno.
16. Se si potesse dimostrare scientificamente che non ad una bimba ma ad un bimbo appartengono le ossa combuste dell’urna  si potrebbe persino ipotizzare che quest’ultimo potesse essere il nipote (figlio della figlia) del Gigante di Monte ‘ Prama rinvenuto effigiato in pietra durante gli ultimi scavi, cioè uno degli eredi o forse l’unico erede del ‘toro sacerdote’ figlio del dio. In questo ultimo caso la morte del piccolo sarebbe risultata un’ insopportabile  tragedia non solo familiare ma a anche sociale  per la mamma che (chissà!) per il dolore avrebbe deciso di suicidarsi e quindi di morire assieme al proprio figliolo. Ma qui siamo nel campo delle ipotesi e ciò che pensiamo e diciamo valgono naturalmente per quello che valgono. Quello che però ci sembra sicuro dalla lettura dei tre bronzi è il fatto che (come si pensò sin dagli inizi della scoperta della tomba di Cavalupo) il lutto riguardò una donna di altissimo rango per la identità sarda della quale testimoniavano, senza ombra di dubbio,  gli oggetti  simbolici del sacerdote - guerriero, il cesto e lo sgabello.

3 commenti:

  1. Davvero ci sono evdienze che il bimbo fu posizionato sul grembo della madre? che interessante

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  2. La semplice lettura che da il Prof. Sanna di quei gesti e delle caratteristiche di base delle figure realizzate con la bronzistica, rendono edotti di un modo “semplice” e “naturale” di intendere il rapporto con la divinità.
    Sforzarsi di interpretare oltre misura i bronzetti sardi, risulta aleatorio e di ciò ne ho avuto la prova in prima persona cercando di leggere, mediante acrofonia, nei gesti e l'abbigliamento dei bronzetti, un messaggio che, potrebbe pure esserci, ma è difficilmente provabile.

    Riflettendo su questo assunto di base, questa stessa semplicità concettuale possiamo, o meglio, dobbiamo trasferirla in ambito archeoastronomico a parer mio; tanto che, visto sotto questo aspetto “semplicistico”, dal carattere dei monumenti sardi dedicati al culto mediante ierofanie, traspare semplicemente la natura osservatoria dell'evento astronomico; scevra da qualsiasi macchinosa superfetazione. Quelle che possiamo definire, anche a ragione, delle sofisticare architetture (ad esempio la Porta del sole di Murru mannu), sono frutto di esperienza empirica e non frutto di elaborati calcoli o competenze astronomiche legate alla meccanica celeste. Queste ultime fanno parte del “nostro” approccio al problema, quelle genti osservavano, punto. Mettevano in pratica esperienze legate alla percezione materiale, se pur sofisticata.
    Ma avrò modo di parlarne più diffusamente in altra occasione. Qui basti dire che l'approccio al problema archeoastronomico è simile a quello della interpretazione delle urne cinerarie etrusche e dei bronzetti sardi nell'ottica della scrittura metagrafica insita in quelle e in questi. Sofisticate architetture o complicati rebus che siano, entrambi rispondono a semplici e ripetitivi concetti di base.

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