La rubrica di Maymoni

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lunedì 27 aprile 2020

LA VITA QUOTIDIANA NEL CASTELLO DI SANLURI


de Francu Pilloni



Castello di Sanluri - Foto del 1949, da Wikipedia

Portai la mia classe a visitare il Castello di Sanluri una trentina d’anni fa. Ci fece da guida nientemeno che il proprietario, il Conte di Villasanta, che era pure un generale dell’esercito in pensione.
Due particolari mi impressionarono oltremodo: una camera da letto dove dormì pure una regina (suppongo di casa Savoia, non ricordo bene) e la latrina. Naturalmente c’erano raccolte di armi, documenti storici, cere, tutte cose che poi sono confluite in una vera e propria esposizione museale, che sono molto importanti, sebbene qui tralasci di trattare.

La camera da letto non aveva un locale da toilette annesso, perché allora i bisogni si depositavano in appositi vasi (di ceramica, d’argento o d’oro, secondo le possibilità) che di regola sostavano sotto il letto e venivano scaricati, quelli delle signore, dalla servitù proprio in un apposito locale, oggi lo assimileremmo a un ripostiglio, che aveva solamente le mura e un buco rotondo nel pavimento. Sotto quel foro non c’era nulla, se non il pavimento sei, forse sette o anche più, metri più sotto.
Ciò comportava che i signori maschi e anche la servitù in genere, deponeva nel “ripostiglio” stando attenti a centrare il foro. Naturalmente non c’era l’acqua corrente, che veniva serviti in bacili, portata al piano superiore a braccia, io voglio credere in brocche di terracotta provenienti dalla vicina Pabillonis.
Ora, per entrare nel merito, si può facilmente immaginare, senza ricorrere alla scienza per calcolarne l’accelerazione, con quale velocità impattasse il liquame gettato nel foro di scarico del “ripostiglio” superiore.
Il Conte non lo disse, ma io ho supposto che sotto, alla perpendicolare, ci fosse una sorta di mastello di raccolta, affinché il prodotto non si disperdesse nell’ambiente, schizzando all’intorno.
C’era pure un servo, detto de su comudu, che ogni mattina, a un’orario stabilito, caricava il mastello sulla carretta dell’asino e lo portava a scaricare fuori paese, nel letamaio di proprietà, perché nulla andasse sprecato.
Questo speciale servo era tenuto in buona considerazione dai padroni e aveva un incarico fisso e non stagionale, per le ovvie ragioni che è inutile spiegare. Egli aveva infatti, come dire?, il termometro del benessere intestinale dei castellani, ma non per questo gli capitava mai di essere invitato a pranzare coi signori dato che, anche a causa delle abitudini generali consuete in quel periodo storico, non si lavava di frequente e finiva per assumere l’odore tipico del proprio lavoro, proprio come un capraro sapeva di capra, ecc..
E oggi?
Oggi c’è l’acqua corrente anche nella casa dei poveri, c’è il vaso sifonato, ci sono le fognature.
Dovremmo pensare quindi che il servo de su comudu sia un mestiere non più in auge, ma qui ci sbagliamo. Esistono ancora individui che si incaricano di raccogliere la merda dei potenti o dei supposti tali e, invece di cederla al letamaio o alla fogna, la spargono in giro usando dei mezzi ben più sofisticati della carretta d’asino, come sono i socialmedia.
Non sanno però che difficilmente siederanno al desco di chi conta e non si accorgono che stanno espletando due incarichi: quello del servo de su comudu e quello dell’asino.


3 commenti:

  1. Signor Francu,il suo racconto,come al solito fa tornare indietro nel tempo,quasi con nostalgia,è vero che c'era maggiore differenza tra ricchi e poveri ma,forse,maggiore responsabilità (il letame usato in modo più civile).Ritorna un po' la sua ironia che mi mancava tanto.Questo corona virus,mi dà la sensazione,le lascia tanta amarezza e preoccupazione,mi sbaglio?

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  2. Prima le confesso una cosa: se parenti e amici continuate a dimostrarmi tanto affetto, mi renderete più penoso il morire. Me ne andrò dispiaciuto per voi.

    Seconda cosa: l'ironia c'è sempre, anche se questa voltaci vedrei il sarcasmo contro quelli che si prestano a buttare fango su persone perbene per conto di altri che cercano di tenersi nascosti, come è capitato spesso nel blog e anche recentemente su fb.
    Visto che anche nella Gazzetta Ufficiale va tanto di moda l'anglo-americano, avrei potuto chiamarli Killer, assassini per conto terzi, me è una soddisfazione senza pari tornare alle radici e chiamarli per quelloo che sono: serbidoris de su comudu.
    Avrei potut

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  3. NOoo,mi raccomando non sono in grado di avere altri dispiaceri,lei deve continuare a scrivere e non si permetta di andare via da questa vita un po' tormentata per tutti noi ma sopportiamo ancora un altro pochino,la prego.Cumpresu mi ata?MI piace "serbidoris de su comudu"

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