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domenica 2 maggio 2021

I falli di S'Uraki? bugne e mensoloni!

 

di Sandro Angei

Premessa

Qualche giorno fa ho ricevuto dall'amico Andy Bostro, pseudonimo di Andrea Mulas, una mail con allegato un filmato. Qui si vede un concio di forma pressoché isodoma che reca scolpita in rilievo una protuberanza di forma alquanto particolare.

 Andy, impegnato nella divulgazione della cultura sarda, ha pensato bene di rendere pubblico il suo rinvenimento denunciando, tramite la testata giornalistica linkoristano,  l'abbandono del sito archeologico di s'Uraki di San Vero Milis dove il reperto in questione è situato.

 

In verità il rinvenimento è testimoniato in un articolo comparso già nel 2009 nel blog di Gianfranco Pintore a firma di Tonino Mura e Piero Zenoni, e puntualmente obiettato (stesso giorno) dal Dr. Stiglitz, responsabile del sito archeologico, con un secondo articolo comparso nel medesimo blog.

Lì si discuteva di betili di forma fallica con funzione di mensola e di un concio  recante una forma fallica.

 In sostanza in quel suo articolo il Dr. Stiglitz scrisse quanto affermato nel recente commento comparso su linkoristano; per tanto qui non ci dilungheremo nel ribadire quanto già rilevato nel commentario di quel vecchio articolo ma ci soffermeremo, leggendo il commento comparso su "linkoristano", solo su una caratteristica del reperto che in modo del tutto improprio viene descritta quale "frattura" nel corpo della cosiddetta "bugna di forma rettangolare"; e solo se lo riterremmo necessario approfondiremo qualche altro aspetto della questione.

Nelle immagini dell'articolo di Mura e Zenoni, nonché nel sito di linkoristano, ad opera di Mulas, possiamo osservare e studiare la forma del manufatto. Il particolare lo descriveremo più avanti; leggiamo piuttosto cosa dice l'archeologo Alfonso Stiglitz, responsabile degli scavi archeologici di s'Uraki.

1. Autopsia di un commento

Lamentando la mancata sua consultazione prima della pubblicazione da parte della redazione della testata giornalistica "linkoristano", Stiglitz afferma commentando l'articolo:

“... Qualche informazione semplice:

primo non è una lapide ma un blocco;

secondo non è un fallo, ma una bugna rettangolare che una frattura ha reso simile a un fallo, per chi ha una fantasia decisamente spinta; terzo, il blocco non viene da s’Urachi ma dalla demolizione di vecchie case del paese (fu portato a s’Urachi tra il materiale per la realizzazione del muro di cinta e poi selezionato e non utilizzato per le sue caratteristiche).

Giusto per la precisione.”

Il commento del Dr. Stiglitz, alla luce del puntuale studio approfondito del manufatto, mi pare piuttosto discutibile e dà l'idea di voler mettere una pezza su quello che sembra essere un bell'incidente di percorso se analizziamo per bene tutte le affermazioni.

Esaminiamole.

1.a -  La precisione innanzi tutto!

 L'archeologo tiene a precisare che quella pubblicata non è una lapide ma un blocco. Nello specifico il rimarco operato mi sembra una questione di “lana caprina”, dato che Andy, benché appassionato, potrebbe non avere le competenze per distinguere tra "lapide" e "blocco"; e di ciò nessuno potrebbe o dovrebbe fargliene una colpa, dato che comunque il filmato e le fotografie esplicano chiaramente la natura e quindi la presunta funzione del manufatto. Ma al di là di queste affermazioni, che sia essa una "lapide" o un "blocco", non svilisce per nulla la natura del manufatto né la denuncia circa il trattamento ad esso riservato.

   Naturalmente il Dr. Stiglitz ha ragione nell'asserire che il “blocco” situato a s'Uraki non è una lapide, perché per lapide si intende, e qui ci rifacciamo al vocabolario Treccani che alla voce "lapide" recita: “Pietra sepolcrale, spec. in quanto fornita di iscrizione; generic., lastra di pietra o di marmo recante un'iscrizione commemorativa.” Ciò significa che per esser ritenuta una "lapide" il nostro manufatto deve avere: una funzione sepolcrale, essere una lastra (ossia un corpo solido di limitato spessore), ed infine recare una iscrizione. Per tanto quella di s'Uraki non è una lapide perché con ogni probabilità non è una pietra sepolcrale e non è, con tutta evidenza una lastra.

 Qualcuno, a questo punto del discorso, potrebbe obiettare che il manufatto non è una lapide anche e soprattutto perché non reca alcuna iscrizione; e qui casca l'asino, dato che, se l'esame del reperto ci induce a pensare che esso possa essere di origine nuragica, quel reperto è scritto: altroché se è scritto! Ma lo vedremo più avanti; per ora continuiamo con la disamina delle dichiarazioni del Dr. Stiglitz.

1.b - Non è un fallo ma una bugna! (?)

 Il Dr. Stiglitz afferma che quello rappresentato nel “blocco” "non è un fallo ma una bugna rettangolare che una frattura ha reso simile a un fallo”. Nell'articolo comparso sul blog di Gianfranco Pintore scrive: "Più complesso il discorso della seconda foto pubblicata, che parrebbe riportare o a elementi decorativi di una struttura o a decorazioni falliformi note in epoca romana; il blocco è fratturato e non permette di capire la reale forma del rilievo."

   A riguardo della prima affermazione (la più recente) vi è da dire che le parole a volte vengono usate per dire verità che potremmo definire "a termini di legge" nel momento in cui si afferma rimanendo sul vago. Infatti nessuno può mettere in dubbio che l'altorilievo in questione sia una "bugna" né tanto meno che sia di base rettangolare nel suo complesso. Rimanendo sul vago, l'archeologo definisce in modo asettico la forma: non gli dà un'anima (per così dire), e non spiega, in quel frangente, a cosa potesse servire, almeno a livello ipotetico, una bugna di tal fatta, sporgente in tal modo dal concio finemente lavorato, se non limitarsi ad affermare che rientra nella classe delle "decorazioni". E' lo stesso sistema adottato per definire il grafema "yod", che tante volte si incontra sui reperti nuragici, e gli archeologi si ostinano a definire "segno a forcella": e anche in quel caso nessuna spiegazione se non deputare al segno la funzione di "semplice decoro".

 Secondo questo modo di descrivere oggetti e reperti archeologici potremmo sbizzarrirci nelle definizioni ed elargire fiumi di parole: senza "anima" però!

 Faccio un esempio: Se utilizzassimo una terminologia prettamente tecnica per descrivere un particolare sito archeologico (che per ora non nomineremo) potremmo dire che esso è composto, tra le altre strutture, da un themenos la cui prima parte, a forma di ovolo, è accessibile tra un varco posto nella parte più acuminata dell'ovolo stesso; nel punto diametralmente opposto al primo vi è un secondo varco che immette nella seconda parte dell'area sacra di forma rettangolare. A circa 3/4 della lunghezza di questo recinto rettangolare, lungo ben 50 metri, vi è un varco nella recinzione che, sulla destra, immette in un ambiente circolare.

 Se ci prendiamo la briga di disegnare man mano quanto appena descritto ci rendiamo conto, alla fine, di aver disegnato il santuario nuragico di Gremanu di Fonni; ma nessuno, che io sappia, ha mai descritto almeno in tal senso la forma del recinto sacro: e se il nostro lettore si prende la briga di entrare nel sito di Sardegna Cutura potrebbe ben leggere come il santuario viene trattato: neanche una parola viene spesa per dire della sua forma fallica; attributo che in una sola parola descrive la geometria e la natura sacra e religiosa di quel santuario.

Tornando a noi: ecco che benché l'archeologo voglia chiamare "bugna rettangolare" il manufatto che emerge dal piano del blocco, di certo dice una verità dal punto di vista tecnico e geometrico, ma non sfiora neanche minimamente l'aspetto antropologico che vuole quella "bugna di forma rettangolare", per la sua conformazione particolare, espressione del fallo divino: e vedremo perché esso è divino!

   Nella seconda affermazione quella scritta nel blog di Gianfranco Pintore, si sbilancia un po' di più: "Più complesso il discorso della seconda foto pubblicata, (sta parlando sempre del nostro concio ndr) che parrebbe riportare o a elementi decorativi di una struttura o a decorazioni falliformi note in epoca romana; il blocco è fratturato e non permette di capire la reale forma del rilievo."

 Già partendo dal presupposto che il discorso sia "più complesso" significa che dubbi interpretativi sulla natura del manufatto siano più consistenti e cerca in qualche modo di indicare una funzione tanto da scrivere che il concio: "parrebbe riportare o a elementi decorativi di una struttura o a decorazioni falliformi note in epoca romana". Qui afferma una cosa e subito dopo smentisce quanto detto, tant'è che potrebbe essere un fallo: decorazione nota, però, solo in epoca romana (!), ma la frattura (?) non permette di capire la reale forma del rilievo.

Come ben si vede le due affermazioni a distanza di 12 anni una dall'altra collidono: prima afferma che potrebbe essere un fallo (2009) dopo (2021) afferma che "non è un fallo ma una bugna rettangolare che una frattura ha reso simile a un fallo".

***

1.c - Perché non una bugna a forma di fallo?!  

 Ad un esame accurato quella bugna rettangolare risulta essere sicuramente un fallo, e quella che il Dr. Stiglitz dice essere una frattura è, invece, una scanalatura operata ad arte che separa il corpo dell'asta penica dal glande (Fig.1). Un esame autoptico del reperto rende edotto chiunque che non vi è alcuna frattura. Vi è da rimarcare inoltre che il glande, che risulta ben pronunciato e rifinito nelle sue linee morbide, è conformato in modo asimmetrico, la parte destra, cioè, risulta più pronunciata della sinistra (Fig.2). Nel video indicato dalla Fig. 3 si può più facilmente osservare, nel fluire delle inquadrature, la plasticità delle forme.

 Altro che bugna rettangolare con una frattura!


Fig.1

Fig.2

Fig. 3 Video



3. Viaggio di un blocco: andata e ritorno 

 L'archeologo scrive ancora: “il blocco non viene da s’Uraki ma dalla demolizione di vecchie case del paese...”.

   A tal proposito si sa che s'Uraki, fino a non troppi decenni fa, fu oggetto di spoliazione da parte degli abitanti di San Vero Milis, allo scopo di reperire materiale di facile prelievo per l'edificazione di strutture murarie (lo dice lo stesso Stiglitz nel suddetto articolo del blog di Gianfranco Pintore); tant'è che possiamo pensare con una certa sicurezza, che quel concio sia tornato, per così dire: “a casa”! Vi è da notare però, benché non sia dirimente, che sul concio non si trova traccia alcuna di malta muraria in nessuna delle sue facce esposte, ammenoché non fosse allettato (nel fabbricato dove fu riutilizzato dentro il paese) con malta di fango facilmente dilavabile, ma anche in questo caso, almeno in apparenza, non si nota nelle bolle del basalto alcuna occlusione dovuto al fango, ma solo inserzioni di licheni.

4. Sarà una questione di estetica?

 Ma la ciliegina sulla torta la gustiamo nel momento in cui egli scrive che il blocco era: “tra il materiale per la realizzazione del muro di cinta e poi selezionato e non utilizzato per le sue caratteristiche”. Se quel blocco è del tutto insignificante, che motivo vi era di non usarlo quale materiale per la costruzione del muro di cinta?! Non vorranno farmi credere che stonava nella tessitura poliedrica del muro di recinzione cui era destinato!

 Mi sa tanto che quel blocco fu “scartato” ("selezionato": che grazioso eufemismo) perché troppo importante, e messo lì da una parte in attesa che il "bigottismo" dell'Accademia faccia il suo tempo. Ricordo però che nel blog di Gianfranco Pintore l'archeologo scrisse che: "Una cosa però va sottolineata tutti questi reperti non appartengono a s’Urachi, ma si tratta di elementi rinvenuti nei decenni nel paese e trasportati a s’Urachi in via provvisoria, in attesa del trasferimento nel giardino interno del Museo; cosa che dovrebbe avvenire (faccio gli scongiuri) entro l’anno." Mi sa tanto che si sono scordati di prelevare il concio "bugnato" per portalo al sicuro.

5. - La possibilità di una icona

Vediamo ora se è verosimile che in quel “blocco” di basalto finemente lavorato e reso isodomo possa esservi scolpito un fallo.

Durante la civiltà nuragica il fallo fu utilizzato quale manifestazione della divinità; di questo abbiamo ampie prove che lo dimostrano; una per tutte il santuario nuragico di Gremanu di Fonni (ne abbiamo già parlato), che con le sue mastodontiche misure ancora oggi tiene sul filo della reticenza la comunità accademica circa la sua natura fallica. A prescindere da questo, vi sono testimonianze del fatto che proprio a s'Uraki fu rinvenuto un betilo di forma pressoché fallica e puntualmente documentato dal G.R.S. (Fig. 4).

Fig.4 
In ragione di queste attestazioni, non ci sembra fortemente necessario portare altri esempi (ve ne sono a decine in tutta la Sardegna), per tanto accantoniamo il tema come sicura risposta affermativa circa la possibilità che gli uomini della civiltà nuragica apprezzassero la natura del fallo per quello che era, e che ancora oggi è, ossia strumento che dà la vita, ma inteso da loro quale manifestazione della divinità.

   Vi è solo da dire che il culto del fallo in età nuragica, intrepretato comunque quale manifestazione materiale della potenza della divinità unica luminosa, potrebbe provenire dall'età del rame se, come leggiamo in Ricerche archeologiche nel Marghine-Planargia1

il menhir di Montresta località Tamburi (Fig.5) viene attribuito a quel periodo, benché con tutta la prudenza del caso espressa dal Moravetti che scrive: "All’Età del Rame potrebbe riferirsi l’interessante menhir di Tamburi-Montresta, di forma fallica e infisso a fecondare la terra – ma che sembra adombrare anche una figura protoantropomorfa – che non trova significativi confronti nell’isola, se si esclude il menhir protoantropomorfo di Bandaera-Meana, ma di fattura meno raffinata e datato dal Lilliu ai tempi del Bronzo Antico". In queste affermazioni del Moravetti intravvediamo quella che è, con ogni probabilità, una continuità culturale giunta fino all'età nuragica è lì perfezionatasi, se non lo era già prima, nell'identità del divino attraverso la sua manifestazione terrena di dispensatore di vita.

In questo contesto possiamo inquadrare la forma fallica qui trattata (Fig.6), che sembrerebbe un unicum (a detta dell'archeologo di grande esperienza che a tal proposito abbiamo consultato) e che vogliamo comparare quale forma oggettivamente simile a quella di Tamburi di Meana Sardo. di Fig.5.

Fig.5


Fig.6

6. Quanta scrittura può esservi in un manufatto anepigrafico?

 Continuiamo la nostra disamina riprendendo il discorso tenuto in sospeso nel punto "1a" per verificare se davvero quel “blocco” che possiamo dire con tutta sicurezza essere “iconico” sia muto o vi sia scritto qualcosa di carattere logografico.

Ora mostro due immagini, per vedere se tra esse vi possa essere differenza o similitudine, dal punto di vista logografico, tra l'una e l'altra.

Fig.7


Fig.8

L'immagine di Fig. 7 rappresenta il betilo rinvenuto qualche anno fa nel santuario nuragico di Giorrè di Florinas. A questo reperto dedicai un saggio nel quale proposi la seguente interpretazione logografica: “Potenza di y(hw), toro divino che dà la vita” (il motivo di questa interpretazione lo si evince dalla lettura puntuale del saggio, per tanto non ci dilungheremo in tal senso, ma ognuno potrà leggerlo nell'articolo linkato sopra).

L'immagine di Fig.8 è il "blocco" qui analizzato che contiene in bella mostra e in altorilievo, un fallo che per sua natura è “strumento che dà la vita” ma con valore particolare, però, di manifestazione della divinità (lo abbiamo affermato poco sopra).

 Nel primo caso è il pugnaletto gammato che esplica in modo logografico l'atto creativo divino di dare la vita, nel secondo lo stesso principio viene esplicato dal fallo in erezione, ossia nel momento in cui ha inizio il processo creativo (in modo del tutto materiale e funzionale, almeno per quelle genti). E' un concetto, questo appena enunciato, che possiamo annoverare tra quelli più importanti della filosofia di quelle antiche genti.

"Nel mondo antico e classico e successivamente nella cultura greco-romana, il simbolo fallico era ritenuto l’origine della vita, in quanto considerato il generatore del seme. Studi antropologici e storico-religiosi attestano concordemente che il culto dell’organo riproduttivo maschile veniva associato al culto della fertilità in quanto sede del potere generativo della natura e della fecondità. Il termine fallo deriva dal latino phallus, dal greco phallós, da connettersi alla radice del sanscrito phalati (= germogliare, fruttificare) o alla radice phal (= gonfiare). Nelle religioni pagane, il fallo era il simbolo cosmogonico del membro virile in erezione, cui venivano dedicati riti e preghiere, e per secoli è stato oggetto di potere, tabù e mistero. Il simbolo fallico ritenuto l’origine della vita, in quanto considerato il generatore del seme venne trasformato in divinità in alcune civiltà antiche." Sono parole dell'antropologa Tiziana Ciavardini nelle quali intravvediamo, tra l'latro, il connubio tra la  radice del sanscrito phalati e il significato del termine Gremanu (vedi nota 6).

Naturalmente queste espressioni ad alcuni (quelli che io chiamo bigotti) fanno storcere il naso, e se non fosse per il puntuale riferimento al pensiero di valenti studiosi di antropologia che non temono di affrontare l'argomento, cercherebbero di denigrarmi  con allusioni beffarde circa il luogo comune  del “fallo” = elemento associato ad atto impuro e quant'altro menti malate possano partorire. Ma questa loro spontanea reazione, ahilóro, devono tenerla per se stessi, se non vogliono fare, quanto meno, la figura dei bigotti (ne ho scritto nelle avvertenze iniziali dell'articolo dedicato a Gremanu. In quell'occasione lamentai la mancata e puntuale descrizione del simbolo fallico lì realizzato, quale forma del themenos di quel santuario, scrivendo: " Si capisce che scrivere e parlare della conformazione del santuario di Gremanu possa essere imbarazzante per taluni, che  glissano sull'argomento per vari motivi, non ultimo per evitare facili e scurrili commenti; ma, a parte il fatto che tal genere di commenti qualificano il commentatore e non chi propone il tema, non trovo oscenità né cattivo gusto nel descrivere un complesso santuariale, costruito più d 3000 anni fa, nella verità che manifesta; verità di una immagine che di certo non da adito ad interpretazioni di fantasia. Non vedo alcun motivo pregiudizievole nel parlarne; eppure nessuno studio a livello academico, per quanto abbia cercato, descrive la conformazione di Gremanu in modo esplicito. Vedo in questo glissare, poco coraggio intellettuale. E' necessario, invece, dare il giusto significato alle cose, perché se di “Gremanu” non si dice che raffigura un fallo lungo 77 m si nasconde un dato antropologico importantissimo per la comprensione dei sentimenti e dei modi di concepire il sacro di quelle antiche genti. "

7. Quando lo stile suggerisce la provenienza

 Veniamo ora alla forma del supporto che risulta di notevole pregio tecnico e che rimanda la mente ai conci del pozzo sacro di Santa Cristina.

Non avanzeremo alcuna interpretazione logografica del supporto, benché possa sembrare palese a chi sa di scrittura geroglifica nuragica, perché se in effetti il concio fu riutilizzato per la costruzione di un edificio del vicino paese di San Vero Milis, questo potrebbe (il condizionale è d'obbligo) essere stato oggetto di rimaneggiamento. Utilizziamo il condizionale a favore della nostra tesi perché il concio non reca apparenti tracce di utensili "moderni" ed una delle facce (quella opposta all'altorilievo) è completamente grezza (Fig.9).

Fig.9 
vista dall'alto - la bugna non visibile è posizionata sulla faccia di destra

Domanda: è possibile che, benché sia dichiarato fuori contesto, il concio isodomo provenga proprio dal sito di s'Uraki?

Risposta: si, è possibile, dato che nell'antemurale del complesso di S'Uraki è stato individuato un ingresso realizzato con blocchi isodomi di basalto finemente lavorati (Fig.10.


Fig. 10 immagine tratta dal blog Mare Calmo

Vi è da notare, inoltre, che la lavorazione non completa del blocco, benché anche qui non dirimente, segue le modalità di lavorazione dei conci in età nuragica; infatti tutti i conci isodomi (anche quelli del pozzo di Santa Cristina, per intenderci) sono ben rifiniti sulle facce "a vista", mentre quelle a contatto del terreno e non visibili venivano lasciate grezze.

8. - un secondo commento

Un secondo commento, questa volta letto su Facebook all'indirizzo https://www.facebook.com/Linkoristano.it/, dell'articolo lì condiviso in data 23 aprile 2021 alle ore 21:00; commento della Dr. A. Ardu, recita praticamente quanto asserito dal suo collega nell'articolo comparso nel blog di Gianfranco Pintore, ripercorrendo, di fatto, il sentiero tracciato dal suo collega. L'unica nota che ci sembra di dover rilevare la evidenziamo per respingerla fermamente. La Ardu scrive: “Per due anni come archeologa ho partecipato agli scavi a S'Urachi. Quel concio in basalto proviene dal paese di San Vero ed è quindi fuori contesto. Le pietre trasportate all'interno della recinzione raccolte nel territorio vicino sono mensoloni di varie forme, che si trovavano posizionati sulla cima delle torri dei nuraghi. Non si sa da dove provenga la pietra con il presunto fallo, ascrivibile di più a riti praticati in età romana. Non è stata trovata alcuna prova di un culto dei membri maschili nel sitoa e quello che chiamate abbandono è causato dal fatto che l'anno scorso e probabilmente anche quest'anno l'equipe internazionale che partecipa agli scavi non può essere presente a causa della pandemia.” (mio il grassetto sottolineato. ndr)

nota a La Dr Ardu asserisce che a s'Uraki non è stata trovata alcuna prova di un culto dei membri maschili”.

L'affermazione, da quanto risulta dall'articolo comparso sul blog di Gianfranco Pintore su menzionato, sembrerebbe non rispondente a verità; ma... sorvoliamo e obiettiamo che ci sembra poco verosimile che il culto fallico di Gremanu sia stato celebrato solo a Gremanu e magari negli altri nuraghi del territorio sanverese ma non a s'Uraki (tra l'altro il corpo del nuraghe polilobato è ancora vergine!);  e questo perché da quanto traspare dalle evidenze archeologiche che sono sotto i nostri occhi, possiamo pensare che, come le torri nuragiche e i pozzi sacri e le Tombe di giganti sono distribuiti in modo pressoché uniforme in tutto il territorio sardo, così dovevano essere i riti e le convinzioni religiose di quelle genti... presumo.

Gremanu è la prova lampante che in età nuragica si praticava il culto del fallo inteso, naturalmente, quale manifestazione tangibile della divinità unica. E con forza domando retoricamente: quale prova migliore ed insindacabile può esser fornita per giustificare il culto del fallo nella civiltà nuragica?! E si badi bene che "Gremanu" dimostra la natura del recinto esterno del pozzo sacro di Santa Cristina e di Santa Vittoria di Serri e del complesso nuragico di Santa Marra di Busachi e chissà quanti altri.


9. - Ancora sul dire mezze verità, ampliamo il tema

 Il gioco di parole, benché forse in modo inconsapevole, il Dr. Stiglitz lo esprime anche con l'altro manufatto, trovato sempre a s'Uraki, anch'esso di forma fallica.


   Abbiamo detto sopra che di fatto il Dr. Stiglitz affermando che nel "blocco" ci sia una bugna, fosse sostanzialmente nel vero; ciò non toglie che se avesse detto che quella bugna è a forma di fallo, avrebbe reso giustizia alla verità circa la natura della divinità unica nuragica.

Lo stesso discorso vale per il betilo di indubbia forma fallica, denunciato nell'articolo del GRS e che lo Stiglitz dichiara testualmente: "Veniamo ai “giganteschi falli circoncisi”. In realtà si tratta di mensoloni di varie forme, di quelli che normalmente si trovano vicino ai nuraghi e che erano posizionati sulla cima delle torri, a sostenere una sorta di terrazzo, se ne possono vedere ancora in situ, sulle torri, nel nuraghe Losa, in quello di Barumini e nell’Albucciu per citare i più famosi." L'archeologo scambia un betilo per un mensolone: è mai possibile?! 

La spiegazione a questa affermazione sta, forse, in un eufemismo utilizzato (inconsapevolmente?) dall'archeologo se consideriamo che il fallo, nell'esercizio della sua funzione (diciamo così!), di fatto assume l'aspetto di una mensola. Per tanto ha ragione il Dr. Stiglitz ad affermare: fallo gigantesco = mensolone.

Questa uguaglianza indotta dall'archeologo mi ha fatto riflettere, tant'è che se scambiamo i membri (quelli matematici s'intende) dell'uguaglianza: fallo gigantesco = mensolone otteniamo mensolone = fallo gigantesco: e ci potrebbe pure stare come significato simbolico di quei mensoloni interpretati dal Lilliu quali strutture di fortezze belliche, che visti sotto questo nuovo aspetto, assumono ben altro significato allegorico a rimarcare, magari in numero di 12 (chissà!) in sommità delle torri, la natura luminosa (il 12 appunto) del fallo divino. Ma è solo una congettura... una semplice congettura.

10. - tiriamo le somme

   Alla fine di tutta questa vicenda, che fa data ormai dal 2009: a che pro rigettare in tal modo l'ipotesi sulla unicità della divinità nuragica? Perché questa è la causa; la risposta è semplice e al contempo bieca e distruttrice nel momento in cui si rigetta, senza equilibrio alcuno, l'ipotesi della divinità unica perché questa è legata a doppio filo all'altra ipotesi che vuole la civiltà nuragica pratica di scrittura, ma non quella laica, ma di una scrittura religiosa: "geroglifica", legata in modo indissolubile a quella divinità unica e androgina, che si manifestava attraverso la luce, la potenza solare e la potenza fallica; manifestazioni, queste, dispensatrici di vita.

 Scrittura che il Prof. Gigi Sanna a gran voce da ormai 25 anni rivendica quale attributo inscindibile dalla magnificenza tecnica e costruttiva della civiltà nuragica. E lo fà (è questa la spina nel fianco) con rigida filologia. Quella stessa filologia che l'archeologia dovrebbe usare in modo categorico, anziché elucubrare su certi aspetti con improponibili indizi.

Rifiuto operato da alcuni studiosi in modo poco consono alla "ragione" e che comporta azioni mentali sconsiderate, pur di negare:

- un manufatto che reca con tutta evidenza una bugna di forma fallica viene interpretato recante una bugna con frattura (?)

- un altro manufatto: un betilo con evidente conformazione fallica, viene equiparato ai mensoloni incornicianti la vetta delle torri nuragiche.

E per supportare queste ridicole interpretazioni, si mettono in campo tutta una serie di futili riscontri, che alcun "riscontro" hanno quali ad esempio e, cito testualmente dall'articolo del blog di Gianfranco Pintore: "S’Urachi, fortunatamente, è oggi in una situazione relativamente tranquilla essendo in buona parte (ma non tutta) di proprietà comunale. Ha subìto a suo tempo dei danni sia con l’asportazione di una parte consistente dei blocchi delle torri e delle murature per realizzare il vicino abitato di San Vero, con la realizzazione di una cava per l’estrazione della terra per la realizzazione dei mattoni crudi di cui ci resta la discarica (il famoso strato dello Tzunami) e, in epoca più recente, la sua trasformazione in discarica pubblica e infine la realizzazione della vecchia strada provinciale che passa sopra due delle torri dell’antemurale. " (mio in grassetto sottolineato ndr).

Quale sia e come si sia formata la discarica che resta "dall'estrazione della terra per la realizzazione dei mattoni crudi", deve essere puntualmente spiegato dall'archeologo!

 La fabbrica di mattoni crudi estrae materiale, non né accumula; perché lì dove il terreno fosse stato troppo ricco di inerti grossolani che avrebbero comportato una cernita (laboriosa e faticosa operazione), chiunque avrebbe evitata l'estrazione in quel luogo, avendo a disposizione terreni più "puliti", magari a poche centinaia di metri.

 Per tanto vorremmo sapere, tutti noi, quale sia questa discarica scambiata per strato del "famoso Tzrunami", evidentemente tirato in ballo per dileggiare l'ipotesi di Sergio Frau.

Conclusioni

   Non rimane che trarre le conclusioni da quanto appena esposto.

Si nota nell'alveo dell'Academia un generale silenzio nei confronti delle osservazioni dell'uomo comune, che non rientrino nel "dogma". Quell'uomo comune che in fin dei conti è il destinatario finale dell'alacre studio di tanti generosi e bravi archeologi che, con impegno e indubbia difficoltà, riescono a scoprire porzioni di storia passata. L'uomo comune però non è più quello di una volta che vedeva nell'archeologia una terra mitica e lontana dai propri interessi, e nell'archeologo una figura di altissimo profilo culturale e morale distaccato, però, dalla vita di tutti i giorni. Il clima è cambiato; e benché la figura dell'archeologo rimanga tutt'ora di altissimo profilo culturale e morale, è cambiato l'approccio e l'interesse all'archeologia da parte di tanti destinatari finali di quegli studi di carattere archeologico. L'uomo normale si sente più vicino alla "cosa" archeologica, e il suo livello culturale, che nei decenni si è man mano elevato e rafforzato, vuole capire bene, per tanto non gli basta più un'affermazione nuda e cruda, vuole che gli si dimostri puntualmente quel che viene detto: pure a lui, e non solo a coloro di pari cultura e pari condizione professionale dell'archeologo. Per tanto è necessario scegliere bene le parole che si devono dire, perché le parole hanno il loro peso ed hanno la  precipua funzione di spiegare con esattezza il pensiero espresso; senza possibilità di fraintendimento. 

Questo stato di cose forse ha spiazzato l'Academia, che probabilmente non era pronta ad una simile evenienza, per tanto tace. Ma in quelle sporadiche occasioni di dialogo di alcuni esponenti dell'Academia con i "non addetti ai lavori", essi devono ben ponderare le parole ed i pensieri espressi. Non bastano più labili e spicce giustificazioni. Ne va della credibilità di una intera categoria.

Post scriptum del 05/05/2021

   A pochi giorni dalla pubblicazione dell'articolo, l'indicazione del Prof Gigi Sanna circa il rinvenimento ad opera dell'archeologo Carlo Mascia di un reperto simile al nostro presso il nuraghe Sanilo di Aidomaggiore, ci induce ad inserire per mera filologia l'immagine del reperto che abbiamo tratto da Facebook, a sua volta tratta da: Salvatore Angelo Zonchello - IL culto fallico in Sardegna e presso altri popoli della terra - Edizioni Gallizzi (Fig.11).

Fig. 11

La pubblicazione di questo articolo ha scatenato il popolo di Facebook che in modo spontaneo ha pubblicato altre immagini di reperti simili al nostro. Qui esponiamo (Fig.12) il reperto che dovrebbe trovarsi presso il sagrato della chiesa di San Gavino di Aidomaggiore (naturalmente usiamo il condizionale fin quando non potremmo accertarci personalmente della ubicazione e relativa attribuzione al reperto pubblicato su Facebook).


Fig.12

note e riferimenti bibliografici:

1 Alberto Moravetti - 2000 - SARDEGNA ARCHEOLOGICA - Reprints e nuovi studi sulla Sardegna antica - Collana diretta da Alberto Moravetti Ricerche archeologiche nel Marghine-Planargia Carlo Delfino Editore.

33 commenti:

  1. Avvertimento: portavessilli e palafrenieri, potranno commentare solo se autenticano la loro identità se questa è ignota: come?! Mandino un messaggio all'indirizzo mail di questo blog (lo trovate in alto a destra), naturalmente, in tal caso, verrà rispettata la privacy, non verrà mostrato il nome dello sconosciuto e in alcun modo sarà usato quell'indirizzo senza il consenso del suo proprietario. Altrimenti sarà, come si dice in gergo, “cancellato”.

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  2. Troppo per la misofallia! I misofallici non li puoi capire, so fatti così. E sono delle chiese sia di destra che di sinistra. Ha voglia tu di mostrare loro la divinità con il fallo -guarda guarda - sulla testa (G. Ricciotti, Storia d'Israele), hai voglia tu di ricordare l'avvertimento nel convegno di Selargius dello studioso spagnolo Tabanera sull'architettura nuragica legata al sesso, hai voglia tu di spiegare che nel sigillo A3 di Tzricotu c'è scritto YHW HY 'RWH (Yahw fallo che dà la vita)! Per negare conterà la prima cavolata che passa loro per la mente. Magari quella della frattura. Vuoi vedere che ti dicono che i metri del fallo di Gremanu sono troppi per un fallo? Vuoi vedere che per il fallo del Losa di Abbasanta ti dicono che ha ragione quel tale che ha parlato di 'fallo caricaturale' (sic nel saggio di Zonchello). Ma perchè non studiano e vanno a vedersi il fallo trovato presso il Nuraghe Sanilo da Carlo Maxia? E' quasi la fotocopia di quello di S'Uraki!

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  3. Mi ricorda, questo modo di operare, l'autoevirazione che gli adepti di Cibele operavano quando erano in trance. E' una sorta di sacrificio per amore di un dogma che, nel bene o nel male, debba essere preservato... a tutti i costi, anche quello di affermazioni che li ricorderanno nei secoli per i vari: "MERDEN" o "frattura del fallo", la qual cosa fa pensare al "baculum" altrimenti detto "osso penico", di molti mammiferi placentati.
    Per il resto: qualche archeologo se la ride (le mail scritte col cuore non mentono), qualche altro sarà turbato e altri ancora saranno infuriati, non con me, bene inteso!

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  4. Siamo a quota 403 visualizzazioni: niente male.

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  5. Senti, Angei, sei sicuro sicuro che l'archeologo abbia scritto "frattura", a proposito della scanalatura parziale della bugna che appare orridamente come un fallo ben piantato?
    Sai, potrebbe aver voluto dire "frittura", molto più congeniale con gli orizzonti scientifici, un "fritto misto" di organi sessuali o presunti tali.
    Ma se tu fossi sicuro sicuro che ha scritto proprio "frattura" e perciò si dovesse trattare di frattura bugnata o di bugna fratturata, cancella pure questo commento.
    E allora potresti indagare chi opera le rotture, anzi le fratture, o chiedere il parere scientifico in merito alla dottoressa che commenta, riprendendo le parole altrui.
    E, visto che ci sei, chiedile pure come i può ovviare alle fratture sconce che fanno apparire una ignara bugna come un fallo romanesco.

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    1. Francu, perché mi dai dell’Angei?! Ah già, dimenticavo… il Maestro. A scuola ci si chiama tutti per cognome.
      Per tanto Maestro Pilloni, che dirti, gira che ti rigira la frittata c’è stata, poi che volesse friggere, non so, è questione di gusti e di fegato; come ben sai con la frittura bisogna andarci cauti. Per quanto riguarda i pareri scientifici di taluni scienziati: beh, diciamo che sanno usar bene quello che potremmo equiparare ad un dizionario o vocabolario, che dir si vuolsi (ti piace la finezza stilistica? Va beh vi è un “si” di troppo. Come dici? E’ proprio sbagliato, perché si dice “che dir si voglia”. Si hai ragione, ma suona bene! E poi, taluni possono scrivere: “membri maschili” e io non posso scrivere “che dir si vuolsi”? Eh che diamine!). Cosa stavo dicendo? Ho perso il filo del disc… ah no, dicevo che sanno usar bene quello che potremmo equiparare ad un dizionario o vocabolario, ossia il Vademecum del perfetto archeologo - definizioni e pareri preconfezionati – Topolinia Editore -, senza stare lì a disquisire sulla bontà delle affermazioni altrui: è già tutto scritto.

      Abbi pazienza caro Maestro Pilloni, ma all’ultima richiesta non posso ottemperare perché, benché non abbia mai avuto un cavallo, io di fatto sono cavaliere e certe cose alle signore non le chiedo.

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    2. Qualche informazione semplice:
      primo non è una lapide ma un blocco;
      secondo non è un fallo, ma una bugna rettangolare che una frattura ha reso simile a un fallo, per chi ha una fantasia decisamente spinta; terzo, il blocco non viene da s’Urachi ma dalla demolizione di vecchie case del paese (fu portato a s’Urachi tra il materiale per la realizzazione del muro di cinta e poi selezionato e non utilizzato per le sue caratteristiche).
      Giusto per la precisione.

      Alfonso Stiglitz

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    3. Maureddu, complimenti, un copia e incolla eccezionale; dove lo ha preso da "linkoristano" o dalla citazione del mio stesso articolo al punto 1?!

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    4. Caro Maureddu, la prima te l'ho passata benché tu non ti sia qualificato e ri-benché non abbia tu apportato alcun contributo di sostanza al dialogo; per tanto abbi pazienza, ma se non contribuisci con i tuoi neuroni, ma usi quelli degli altri e, addirittura, non ti palesi, abbi bontà ma io in qualità di "nessuno" ti cancello e non lascio alcuna traccia di te.
      Dimenticavo: Maureddu, non nascondere la mano dopo aver tirato il sasso, tanto il tuo commento è ben conservato tra le mail e posso dimostrare la tua natura di palafreniere.

      Ah, dimenticavo: quando saluti non devi scrivere asi biri cun saludi:) ma “a si biri ...” perché “asi” assume altri significati.

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  6. Certo, c'è da divertirsi circa la misofallia. Il fatto è che è una cosa serissima a motivo della quale si cassa un aspetto fondamentale della civiltà nuragica: il razionalismo legato al sesso, senza veli di sorta. Invece di procedere, sulle orme, per altro 'timide', del Zonchello sono decenni che di pronunciamenti (figurarsi i cataloghi!) neanche l'ombra! YHWH è, per attestazione scientifica, ' hy 'arwh '? Si trova addirittura nei sigilli di Tzricotu? Si trova nei sigilli dove il fallo padre rende falli anche i figli? Facciamolo fuori, quello sporcaccione del fallo sempre eretto e della prostituzione sacra, che disonora tutta una civiltà di torri -regge puritane. Nessuno ne parli nella comunità...'scientifica'!

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  7. Il guaio è proprio questo. Nascondere questo aspetto della civiltà nuragica tarpa le ali alla libertà di cercare e studiare. Chi osa andare dietro questo pregiudizio con la sicurezza di sentirsi almeno deriso alle spalle? Quale professore universitario chiederebbe una tesi su questo aspetto della civiltà nuragica, sapendo già in partenza che la bella figura non la farebbe e non certo per colpa del tesista, che potrebbe, anzi, dare il meglio e magari anche di più, con uno stimolo “sui generis” dato da una richiesta del “suo” professore fuori dal solito tran tran?

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  8. Professore, siamo sicuri che questi signori sappiano cosa significa misofallia? Nel Vademecum del perfetto archeologo mica c'é!

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  9. Sta tranquillo, avrà vita effimera. I 'perfetti archeologi' sono anche perfetti misoneisti. Ci penseranno loro a farlo morire con il silenzio.

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    1. Sarà, potranno pure farlo "morire col silenzio" ma è un morire a tempo. Prima o poi qualche studioso romperà gli indugi e farà la debita distinzione tra la "pornografia" insinuata dal nostro modo "moderno" sessuofobo di considerare gli attributi genitali e la sessualità vista come dono divino e in quanto tale da riverire ed onorare.

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  10. Oe apo bitu in su Web su video "Signs Out Of Time", su contu de s'archeologa Marija Gimbutas. Mi est de presse bendiu a conca, su traballu de importu mannu che seis faendo, solu-solu sa gherra chi seis affrontando ch'in cussa aliga de negazionistas. Sa manera de faere de cussa femina, peri in su istudiu de cussas istatueddas, e su limbaggiu chi cussas istatueddas giuchiant, custa cosa a deretu m'at giutu a subénnere a bosatero, Gigi e Sandro.
    Ch'in istima.

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  11. Iscusaremi, mi soe faddiu de ponnere su numene.
    Giuanni Luisu.

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    1. Giuanni Luisu, grazie del tuo pensiero. Come te, ne sono sicuro, ve ne sono molti altri che, benché non esternino le loro idee come tu hai fatto qui, ci seguono e ci aiutano. Ciò non significa che senza il vostro sostegno noi ci si possa fermare, ma un bel incoraggiamento fa sempre bene.

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  12. Angei, ti ho chiamato Angei per rispetto del Direttore, del Reggitore, e delle buone maniere. D'altronde io rispetto tutti, dai pi anziani ai più piccoli e, fra questi ultimi, rispetto Maureddu che, per quel suo nome diminutivo-vezzeggiativo, m'immagino giovanissimo, ma ben sveglio. Si vede infatti che legge molto, anche i classici dell'archeologia e, soprattutto, ricorda molto bene ciò che legge, a tal punto che te lo può recitare a memoria pure a distanza di mesi e di anni.
    Come maestro ho avuto alunni con tali caratteristiche e li ho coccolati e rispettati,
    Certo, mi erano di maggior conforto gli alunni che mi dicevano: maestro, credo che stia sbagliando. Il soggetto di quel verbo che pare una gabbia per polli, stia appunto, potrebbe essere IO, TU oppure EGLI.
    Mi rincuoravano soprattutto quelli che avevano sottinteso il TU: stavo sbagliando proprio IO, per la miseria!|

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  13. Dopo la topica dell'ex casemetta di Lacos, dopo il nuragico del 1944 di Mistras e dopo il trilingue Nicolino Carta c'è solo da ridere a ogni uscita

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  14. Ma comesi fa a confondere un'iscrizione del 1910 sulla casermetta di Lacos per sospetta scrittura nuragica? Ci vuoledel fegato ajò!

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  15. Quello che si firma Francu, non sono io che mi firmo francu.
    Angei, fai chiarezza.

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  16. Basta ci state buttando il ridicolo in faccia! Basta coi falli siamo Sardi non maniaci!

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  17. Eminenti "francu" (che non sei Francu Pilloni) e "noi shardana" (vorrei capire se il nome è un plurale maiestatis oppure se siete un gruppo), sicuramente vi siete fermati al titolo, come fanno molti che non si sprecano a leggere (non sia mai) un testo più lungo di due righe. Mi domando, a questo punto, se personaggi come voi siano in grado di leggere oltre le due righe, di fare comparazioni, di rilevare le sciocchezze che può pur dire un archeologo. O pensate che "l'archeologo" non sbagli mai?! Tu piccolo "francu" (non posso di certo paragonarti al grande Francu Pilloni) e tu/voi "noi shardana" vi bevete tutte le castronerie di questo mondo senza alcun critico pensiero?! Siete proprio degli ingenui. Altri avrebbero sostituito la parola "ingenuo" con la parola "coglione" ma io, essendo rispettoso, non uso tali termini perché i testicoli, non avendo alcun motivo d'essere vilipesi ed associati a persone come voi, non meritano un tale trattamento. I testicoli sono cosa sacra e da tenere in gran considerazione assieme a ciò che fa da tramite. E invece no! Secondo "noi shardana" (che non siamo noi, ma siete voi) scrivere di organi genitali è da maniaci. Per tanto, sempre secondo voi, non si può di certo parlare del santuario di Gremanu in tali termini. Ma allora è maniaco anche A. Moravetti quando descrive il menhir di forma fallica di Tamburi di Montresta; e lo fu pure G. Lilliu quando descrisse "l'aulete nudo e itifallico n.183 o quando descrisse il bronzetto chiamato "La grazia" n. 123 del suo "Sculture della Sardegna nuragica - Ilisso Ed."; ed è maniaca pure l'antropologa Tiziana Ciavardini (che cito nell'articolo). A questo punto, ora più che mai, è vero il detto che recita che la madre degli ingenui è sempre incinta; ma anche la madre dei misofallici lo è.

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  18. Caro Francu Pilloni, come vedi ho fatto "i distinguo" ed ho accentuato la distinzione affibbiando la effe minuscola al tuo omonimo. Come dici: perché non ho messo in mezzo anche "gianni di abini"? Semplice perché oltre a non aver letto l'articolo è pure fuori tema. Tu mi dirai "è fuori tema perché non ha letto l'articolo" e io ti rispondo che prima della minzione è sempre meglio vedere da dove tira il vento per evitare di bagnarsi le scarpe.

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  19. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

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    1. il commento di francolino è stato eliminato perché fuori tema e senza costrutto alcuno.

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  20. Quando “noi shardana” scrive: “Basta ci state buttando il ridicolo in faccia! Basta coi falli siamo Sardi non maniaci!” mette in mostra tutto il suo maccheronico frasario. Leggiamo e “autopsiamo” la frase.
    “Basta ci state buttando il ridicolo in faccia!”
    A cosa si riferisce “noi shardana” con tale affermazione? Sembrerebbe che abbiamo, noi, preso un “ridicolo” e lo abbiamo buttato in faccia a loro, ossia a “noi shardana” (che, bene inteso, sono loro, non noi). Vorrei capire se questo “ridicolo” sia un animale oppure un oggetto inanimato oppure qualcosa di astratto. Comunque sia non riesco a capire come si possa buttare un ridicolo sulla faccia di qualcuno; al limite si può buttare del fango o quant’altro si voglia usare, ma certamente non un “ridicolo”.
    Dopo questa esternazione, che avrei ben capito nei funambolici giuochi di parole di Totò, proseguiamo con la disamina autoptica.
    “Basta coi falli siamo Sardi non maniaci!” La qual cosa ci lascia perplessi: i sardi, che io sappia, sono gli abitanti della Sardegna; con la esse maiuscola poi, sarebbero gli antichi Sardi; per tanto nel momento in cui si afferma “siamo Sardi…” innanzi tutto parrebbe che stiano parlando gli antichi Sardi e non quelli moderni, per i quali l’iniziale deve rimanere minuscola; inoltre ci si aspetterebbe un prosieguo del tenore “siamo sardi… non scozzesi” tanto per citare una popolazione (non si offendano gli scozzesi, sono nel mio cuore), invece si tira in ballo una popolazione a me sconosciuta. Chi sono questi maniaci? Quale paese abitano?
    Come dite?! Il nostro personaggio voleva dire che i sardi non sono maniaci! Ma allora avrebbe dovuto scrivere: "Basta coi falli siamo persone equilibrate non maniaci!” Ma forse al nostro personaggio manca proprio l’equilibrio se nella lettura di quanto scritto nell’articolo vede solo falli e null’altro di ciò che vi è scritto: coglie solo i falli in quel discorso, come i cretini che guardano sempre il dito che indica la luna.

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  21. Per dovere di cronaca, presso il nuraghe Sanilo di Aidomaggiore vi è tuttora un concio con impressa una forma fallica, che non è quella ritratta nell'articolo (penso sparita) poi un'altra è custodita presso la chiesa di San Gavino (sempre proveniente da Sanilo. Concludendo, presso il nuraghe Sanilo anticamente vi erano tre conci con tre falli finemente scolpiti.
    quindi il culto fallico c'era.....eccome....

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    1. Grazie del tuo contributo MyAido, come si può constatare non siamo noi a parlare di "falli" quali manifestazione della divinità, ma sono gli stessi reperti che lo dimostrano in modo inequivocabile; e tutta l'arroganza dei vari "palafrenieri" e "porta vessilli" che anche in questo articolo hanno commentato senza sostanza alcuna, viene annichilita in un attimo; il loro urlare allo scandalo quando si parla pubblicamente di certi argomenti si traduce in un banale movimento d'aria. Parole al vento proferite da menti distorte.
      Dove sta la maniacalità nel descrivere con serenità un reperto archeologico, qualunque sia la sua forma?! Cercare il peccato lì dove non c'è, è certamente maniacale.

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  22. “Basta coi falli siamo Sardi non maniaci!” dice Noi Shardana.
    A prima vista, sembra un’esortazione ai propri compagni della squadra di calcio “Noi Shardana” a non toccare il pallone con le mani, in altre parole e fuori dalla concitazione della gara, si sarebbe potuto dire più pacatamente “Smettiamola di toccare il pallone con le mani, altrimenti ci prendono per una squadra di Handball” in cui handball significa pallamano.
    È vero che c’è di mezzo quel “siamo Sardi” e non “siamo i Shardana” che sarebbe l’equivalente più vicino ma, come si è detto, c’è di mezzo l’eccitazione del momento della gara.
    Se, invece, quel “maniaci” significa “ossessionati, fissati”, non si comprende bene da quali errori i “noi Shardana” sia ossessionati o su quali sbagli si siano ripetutamente fissati.

    Al contrario, caro Sandro Angei, se hai ragione tu a identificare i “falli”, citati dai Noi Shardana, con gli organi sessuali maschili o le loro rappresentazioni in rilievo come tante se ne rinvengono in Sardegna, allora l’esortazione di cui sopra arriva fuori tempo massimo, perché quelle sculture, quei bassorilievi, quei disegni e quei bronzi ormai sono “cosa fatta” e c’è poco da piangerci o riderci sopra.
    Infine, se l’intenzione è di travisare l’apparenza e la sostanza di tali manufatti, che in vero lasciamo poco spazio all’immaginazione, per una questione prettamente moralistica, la cultura dei Sardi-sardi ha un modo di dire che espongo nella lingua classica di aiaiu: “Ses pighendu sa minca po imballu e su cunnu po umbragu!”, in cui imballu significa trastullo e umbragu tettoia per ombreggiare, estensivamente anche su stabeddu de s’axina del cortile di casa che, quando serve, fa ombra.

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  23. Caro Francu (quello vero: non si sa mai qualcuno pensi che mi rivolga a quel franchino di cui sopra), “noi shardana” (ossia loro: non sia mai si capisca che siamo noi) hanno sbagliato indirizzo con le loro rimostranze (chissà perché ma mi viene il plurale). Perché se la prendono con me, con Andy e tutti gli altri che puntano il dito su particolari reperti archeologici, anziché con gli artisti che a suo tempo realizzarono quei manufatti? Sono i Sardi di allora che realizzarono quelle forme falliche; per tanto se vi fosse da accusare di maniacalità qualcuno, dovrebbe essere lo scultore di qualche millennio fa mica il sottoscritto.

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  24. Ho visto qualche puntata di DOMINA, il film a puntate che parla della storia di Roma negli ultimi decenni del I secolo a. C. e mi ha sorpreso la rudezza del linguaggio dei personaggi storici, quali Marcantonio, Augusto, Mecenate, Agrippa, ecc.. Una rudezza di vocabolario che mi ha sorpreso senza però disturbarmi, perché le "parolacce" vengono usate con disinvoltura, senza che la controparte dialogante se ne abbia a lamentare. Una lingua e una parlata naturale, senza le finzioni e le allusioni a cui ci hanno abituato a ricorrere.
    Non so se la scelta sia supportata da uno studio approfondito di qualche storico del linguaggio o latinista, anzi ne dubito perché, se la produzione è americana, da quelle parti la storia la comprano sempre all'ingrossa.
    Ciò non toglie che mi abbia fatto riflettere sul fatto che in Sardegna e altrove si trovino contributi "artistici" che fanno il paio con la naturalezza della parlata usata nel film.
    Forse è stato il puritanesimo del Cristianesimo che ha riempito di malizia certi comportamenti e li ha rivoltati, ammantandoli di allusioni, di prurigine e di peccaminosità, sino a sotterrare, in Sardegna, i pozzi sacri e tutto quello che rimandava agli organi femminili, sino a mettere le "mutande", fuori Sardegna, ai nudi artistici di Michelangelo e di altri.
    La crociata puritana, da noi, evidentemente ha ancora i suoi irriducibili soldati per i quali, più che rabbia o dispetto, dovremmo mostrare comprensione e pietà: non sanno quello che dicono e combattono contro la Storia, fuori dalla Storia. In questo caso, la Storia della Sardegna.

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  25. Francu Pilloni, sono dell’idea che questo signor/a “noi shardana”, che poi sicuramente è pure “francu” e “gianni di abini” e “maureddu” e di certo sta dietro tanti altri pseudonimi coi quali ello/a si firma, si permette di scrivere certe stupidaggini da misofallico/a e misoneista grafo riluttante, perché protetto/a dall’anonimato. Sarei curioso di discutere a viso aperto con questo/a “palafreniere/a” e porta vessilli altrui; ma penso non abbia abbastanza botarghe per farsi riconoscere.
    Non avendo ”botarghe”, forse fisiche, né mentali, poco incide nella tenzone, dato che poco seguito può avere una “star” sconosciuta se non a se stessa.
    Questo/a “noi shardana” è una sorta di untorino/a, benché dell’untore abbia solo l’anonimato, non certo la capacità espressiva nello scrivere.
    Concludendo mi rivolgo proprio a te "noi sharadana": carò anonimo (no, non è un errore, è proprio una “o” accentata), la differenza tra me è te sta nella mia libertà di scrivere ciò che l’intelligenza mi suggerisce, a viso aperto e senza remore, né costrizioni di alcun genere imposte dall’alto. Tu puoi dire lo stesso?! Già il fatto che non ti esponga significa che hai paura di tutto e di tutti: di noi, che accusi spinto/a da una turbe psichica, ma anche di loro, quelli che negano l’evidenza col silenzio e in ragione di ciò potrebbero appenderti per la lingua per farti tacere. Saresti accusato/a di insubordinazione agli ordini ricevuti?!

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