La rubrica di Maymoni

Informazioni e invio articoli

lunedì 6 dicembre 2021

SCRITTURA ETRUSCA A REBUS. IL KULIX DEL GRANDE PITTORE EXEKIAS . DIONISO E I PIRATI TIRRENI.


di Gigi Sanna

Si dice che la lingua etrusca è, per svariati motivi, un enigma e un ‘rebus’. Ciò si sostiene, naturalmente, sulla base delle grosse difficoltà che insorgono nel cercare di capire di essa molti degli aspetti lessicali, morfologici e sintattici. In realtà, a mio parere, il ‘rebus’ sussiste e resiste nel tempo non ‘solo’ per motivi di carattere grammaticale e linguistico, ma anche e soprattutto perché si stenta a considerare un aspetto essenziale dell’etrusco: che la scrittura è cripica, cioè organizzata e strutturata di proposito con il rebus. E’ realizzata per non essere capita se non da pochissimi. Per tanto nella misura in cui si comprenderanno i meccanismi, spesso sofisticati, del rebus posti di norma in essere dalle scuole scribali dei santuari, si comprenderà la lingua etrusca. Essi sono simili e spesso gli stessi usati dagli scribi dei templi greci e nuragici. In particolare quelli inventati dagli scribi di questi ultimi.

 

Decus,symbolum,sonus. Sono questi gli aspetti che tengono presenti gli Etruschi (1) quando creano dipingendo o scolpendo. Gli ermeneuti di ieri e di oggi, in genere storici dell’arte, invece tengono presenti i soli primi due di aspetti e ignorano il terzo che risulta, in ultima analisi, essere il più importante. Infatti, solo con quest’ultimo si capisce il senso, il significato vero, profondo e non superficiale, che vuole comunicare l’artista, pittore o scultore che sia.

   

     Il κύλιξ  custodito a Monaco di Baviera (Staatliche Antikensammlungen)

   Prendiamo oggi come esempio il celeberrimo κύλιξ all’interno del quale il pittore ateniese Exekias ha finemente disegnato il dio Dyoniso con la piccola (2) barca, mossa da un vento vigoroso, mentre sul e dal pennone di essa spuntano e si sviluppano prosperi corimbi e intorno ad essa guizzano i delfini. E’ del tutto agevole per un critico e storico d’arte dire che nella pittura all’interno della coppa si allude e si rimanda al noto mito dei pirati Tirreni (3) trasformati in delfini dal dio vendicativo; così come è agevole capire l’allusione al pennone ligneo, senza più vita vegetativa, del tutto secco, eppure prodigiosamente rinato e trasformato in due piante rigogliose e cariche di frutti (4). 

   La critica artistica, osservando con cura e interpretando ‘oggettivamente’ il manufatto, si darà, di necessità ovvero per logica, esclusivamente all’analisi della bellezza della pittura, della vivacità dei colori, dello stile personale che possa, in qualche modo, permettere di individuare con sicurezza il pittore e, attraverso i particolari del disegno, all’analisi, la più  esaustiva possibile,  del tema mitico greco (quanto di esso mito sia riportato, quale sia la precisa fonte letteraria a cui si è ispirato l’artista, quali eventuali varianti possano riscontrarsi, come sia raffigurato il dio, come la barca, ecc. ecc.). E così procedendo nella disamina il critico penserà di aver adempiuto, nella maniera migliore possibile, al suo compito che è quello della  ‘lettura’ e della ‘explicatio’ del testo. Ma così non è perché, senza avvedersene, egli ha ‘trascurato’ la lettura di ciò che maggiormente ha impegnato l’artista pittore e cioè la realizzazione e la disposizione organica a rebus dei significanti che diano senso fonetico. In una parola, ha trascurato la ‘scrittura’, quella sola che consente di capire che ‘cosa’ realmente intenda suggerire  il tema proposto riguardante il celebre mito.

   Sulla scia di quanto abbiamo detto e scritto non poche volte (5) vediamo di adoperare le nostre conoscenze su un certo tipo di scrittura del passato (6), del tutto smarrita data la sua segretezza mantenuta, per secoli e secoli, dalle scuole scribali religiose. La scrittura a cui alludiamo è quella metagrafica a rebus, basata sulla convenzione dell’uso simultaneo dell’ideografia, della numerologia e dell’acrofonia. I pittori e gli scultori, ovviamente su commissione, usano la loro arte ma forse senza sapere che stanno creando nascostamente (e il più nascostamente possibile) senso con sintassi e lessico leggibili solo da chi è conoscenza di un particolare tipo di scrittura e delle ‘regole’ che la governano.  Un’arte che ora vediamo di trattare nel κύλιξ  di Dioniso e i Pirati tirreni ma che può essere estesa a tutta o quasi tutta la produzione artistica di pittura e di scultura etrusca (e non solo etrusca) , soprattutto nel system di scrittura apotropaica riguardante il culto dei morti.

    Vediamo ora di concentrare la nostra attenzione sull’ideogramma o gli ideogrammi presenti nel manufatto. E’ il primo passo questo, quasi obbligato, che consigliamo a chi vuole procedere con successo nell'analisi ed intendere la scrittura criptata. Osservando bene noteremo che detti  ideogrammi, proprio perché ideogrammi,  danno  una certa idea, ci suggeriscono tutti un concetto ben preciso. Quello del vigore: vigore delle due piante che spuntano e prosperano dall’albero della navicella, vigore della vela gonfia per il vento, vigore della barca che procede spinta dalla vela ed infine vigore dei delfini che sono disegnati nell’atto di tuffarsi in mare. Una volta compresa la serie degli ideogrammi, sorge però il problema di afferrare come si debba intendere 'organizzato' quel vigore ripetuto quattro volte.

    Il ‘vigore’ iterato per quattro volte ci dovrebbe dare ‘vigore quattro’ e dal momento che il numero quattro per convenzione numerologica, pensiamo antichissima, significa forza (7) dovremmo tradurre la iniziale stringa di senso con un ‘vigore della forza’. Operazione legittima perché per ottenere detta stringa abbiamo impiegato non solo l’ideografia ma anche la numerologia con le convenzioni che la riguardano. Ma il fatto è che nel quattro iterato, sia in basso che in alto della κύλιξ, si trova un altro numero ancora, il sette; numero  che non può essere stato messo a caso data la sua ripetizione e il suo significato (spessissimo adoperato in numerologia dagli etruschi e dai nuragici) di ‘santo’ (8). Infatti sia i corimbi che i delfini sono in numero di sette. Come si combina con tutto il resto il 'sette' riportato due volte? La risposta si ha nel calcolare diversamente l’iniziale supposto ‘quattro’. Vediamo allora immagine per immagine il disegno e ‘traduciamo’ alla lettera. Avremo:

-        Vigore dei corimbi sette

-        Vigore dei delfini sette

-        Vigore della vela

-        Vigore della barca  

Ma questo cosa significa? Ci dice poco e niente. Stiamo analizzzando, dicendo e non ancora comprendendo. Se però usiamo l’altro aspetto (il terzo) della scrittura metagrafica e cioè l’acrofonia, scopriamo il significato del tutto perché essa, se applicata alle 'cose' che sono disegnate (i corimbi, i delfini, la vela, la barca) e implicate nel ‘vigore’ ottenuto per via ideogrammatica, ci consente di avere quattro ‘C’ :

-        -    kόρυμβος     (C)

-         -   κνώδαλον     (C)

-        -     Carbasus       (C )

-        -    Κύμβη         (C)

-         Si sa che il segno della ‘C’ in etrusco nota il ‘tre’ (9) ovvero, per numerologia, la ‘luce’. Quindi prendendo le ‘C’ acrofoniche dei sostantivi e sostituendole ai nomi interi abbiamo:

-        Vigore della luce (tre: C)  

-        Vigore della luce (tre: C)

-        Vigore della luce (tre: C) santa

-        Vigore della luce  (tre: C) santa

-         

Sommando le espressioni uguali per contenuto di senso otteniamo :

-        doppio vigore della doppia luce

-        doppio vigore della luce doppia santa doppia

 

Il significato allora sarà:

 Doppio vigore della doppia luce/ doppio vigore della doppia luce doppia santa

     In pratica, nella seconda espressione criptata si aggiunge al vigore della doppia luce, ovvero il sole e la luna, anche la santità, alludendo con questa alla perfezione (10) dei due astri sia nell’aspetto luminoso sia nei continui movimenti ternari ciclici chiamata spesso, nell’iconografia etrusca, ‘danza’ del sei o della doppia luce.

Ricapitolando, la kulix di Dioniso, oltre che riportare apertamente un bellissimo disegno e una vicenda mitica famosa e di grande fascino nonché alludente al dio del vino, ci riporta anche, nascostamente, una espressione apotropaica nella quale si dice della forza luminosa della divinità (sole e luna/Tin -Uni) . L’oggetto dunque ha una lettura di superficie (quella che tutti sono in grado  di ‘leggere’) e una lettura di profondità a rebus, non subito visibile, che,  senza la conoscenza delle convenzioni del metagrafico (senza la misteriosa  ‘chiave’ per aprire) nessuno è in grado di notare  e quindi di affrontare. E ciò è fortemente voluto perché la non leggibilità del testo scritto è quella che permette la sicurezza, la certezza e la garanzia protettiva del talismano magico. Creato ad arte, per dirla con Catullo, ‘ne quis malus invidere possit’ una volta che venga a conoscenza  del contenuto nascosto.

 

NOTE E INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE  

 

1.Gli Etruschi e i Sardi ‘nuragici’. Ma è più che probabile che un certo tipo di scrittura ideografica e numerologica assieme l’abbiano inventata e curata per primi i neolitici sardi, i costruttori (pittori e scultori) delle domus de Jana (v. Sanna G., 2020, La scrittura in Sardegna? A Partire dal neolitico recente. Scrivere disegnando a rebus. Gli ideogrammi convenzionali nelle tombe, nella ceramica e nelle pietre. Il ‘tre’ ed il ‘sei’ taurini e la ‘religio’ neolitica astrale ripresi due millenni dopo dai nuragici e tre dagli Etruschi in Maimoni blog (4 Aprile). Manca purtroppo ad oggi  un testo esaustivo che riporti i dipinti e le sculture (laddove presenti) nelle celle e cellette funerarie della religione funeraria dei neolitici. Si potrebbe sapere di più delle influenze (che sembrano indubbie) culturali di questi ultimi sulla scrittura a rebus del periodo etrusco. Una tomba come quella di Pubusattile di Villanova Monteleone (v. fig.) mostra chiaramente con il motivo della scacchiera e la simbologia numerica (quadrato, quadratini e serpentelli) che gli Etruschi, eredi dei Villanoviani, hanno preso  non pochi suggerimenti (e per molto tempo) dai neolitici sardi per il loro system funerario assai  sofisticato



2. Forse le sproporzioni tra la barca e la persona di Dyoniso sono da imputarsi al fatto che il natante deve essere individuato senza fatica come tipologia di barca al fine di fornire la giusta acrofonia della parola. V. più avanti.

3. Sul mito di Dioniso e i pirati tirreni v. in particolare Romizzi L.,2003, Il mito di Dioniso e i Pirati Tirreni in epoca romana, in Latomus, T.62, fasc.2, pp. 352 -361. Sociètè d’Etudes Latines de Bruxelles; Nobili F., 2009, L’inno omerico a Dioniso (HMN, Omero, VII) e Corinto, Annali della Facoltà di Lettere e filosofia di Milano.

4. I cosiddetti ‘corimbi’ (da κόρυμβος, grappolo) voce che si può riferire sia ai frutti della vite che a quelli dell’edera. Specialmente a questi ultimi.  Per Mosch. 3,4, il κόρυμβος è un grappolo di fiori o di frutti terminanti a punta. Qui il pittore ha disegnato significativamente i frutti mettendone in evidenza le ‘punte’. La scelta del corimbo ovvero del nome del frutto per entrambe le piante del mito dionisiaco è fondamentale ai fini del system metagrafico basato sull’acrofonia. Circa il topos dei corimbi e del 'vigore' di essi v. il saggio della Di Poce R., 2007, Le donne in Etruria tra Orientalizzante e Arcaismo, Università di Napoli L'Orientale, di cui la fig. alla p. 17.    

5. V. di recente, tra gli altri contributi, Sanna G. 2020, Museo Nazionale di Firenze. Il cane ‘calustla’ e il system funerario metagrafico etrusco alla luce delle nuove acquisizioni. Scrittura lineare e scrittura metagrafica. Protasi e apodosi. Il Sei continuo. In maimoni blog (21 marzo).

6. Questo tipo di scrittura conobbe uno splendore continuo nel Mediterraneo: in Sardegna (nel neolitico, eneolitico e nell’età del bronzo), in Grecia (Pito) e quindi in Etruria. Per l’uso di essa in Pito (Delfi) si veda il nostro saggio del 2007: I segni del Lossia cacciatore, passim, S’ Alvure ed., Oristano.

7. Si veda la nota 1. Chiara risulta la simbologia del quattro nella figura della parete della domus de jana (neolitico recente sardo: 3000 -2500 a.C.)

8. ‘Santo’, da quello che si capisce da tutta la documentazione nuragica, significa ‘perfetto, per nulla censurabile, inattaccabile nella sua essenza'. La voce ‘santo’, ottenuta attraverso il sette numerologico, in nuragico è unita particolarmente alla parola ‘luce’ e al dio (yh) creatore di quella luce. La luce è ‘perfetta’ come ‘perfetto’ è il suo creatore. Si veda il noto (cosiddetto) ‘brassard’ di Is Locci -Santus di San Giovanni Suergiu dove si dice che la ‘Bipenne’ (detta però ‘bidente’) è di Lui (yh) padre ('ab) della luce santa (sette).

     

9. Nel system funerario etrusco non esiste documento dove non sia presente il tre o il sei ovvero i due numeri notanti la luce. Detto ‘tre’ però non si ottiene solo per acrofonia ma anche (molto spesso) per ideografia. L’idea del ‘sollevare, distendere e curvare’ (cioè del ritmo ciclico ternario del sole e della luna) è presente nelle pitture, nelle sculture e in tantissimi oggetti del culto funerario etrusco. Ad esempio nelle immagini relative al ballo (sacro) etrusco l’atto del sollevare un braccio, di distendere l’altro e di curvare la mano (ma esso si può rendere anche con le gambe o con le braccia e le gambe assieme) obbedisce alla necessità di  realizzazione criptata del tre (la luce) o del sei (la doppia luce) . Si veda, tra i tantissimi esempi che si potrebbero fare, il ‘SEI’ della ’Ydria (fig. seg.) con la guida dei ballerini’ e la caratteristica danza, nella quale però il primo dei due  ‘tre’ si ottiene  maliziosamente con la singolare variatio del ‘sollevare fallico’ del ballerino.

 

10. V. nota 8.  

 

 

 

 

5 commenti:

  1. κύλιξ" è sostantivo femminile, tazza, coppa.
    I corimbi semmai simboleggiano la sterilità, l'inganno delle aspettative, altro che vigore al quadrato

    RispondiElimina
  2. Bisognerebbe anche capire davveri come certi segni corrisponderebbero a certo numeri e a certi significati che ovviamente sono del tutto aleatori

    RispondiElimina
  3. 1. Perchè non inserisci 'calice o bicchiere'? E che mi insegni a tradurre?
    2. Perchè parli di simboli? Io parlo d'altro (e lo sottolineo), ovvero di 'scrittura' che va oltre il 'decus' e 'il simbolo'.
    3. Perchè vai alla grossa e non metti le virgolette in 'vigore al quadrato'?
    4. Perchè non usi le matite fasulle per la tua sciatteria, caro 'davveri' e caro 'certo'?
    5. Perchè non ti sforzi, almeno un po', e rifletti su quello che dico e sostengo? Cosa sai di aleatorio se non sai di cosa parlo? Dove ne parlo e quanto ne parlo?
    6. Perchè soprattutto usi il plurale (questo sì errore e gravissimo!)come persona e ti sdegni (e chini ses tui po ti ponni a cappeddu?) usando la maschera dei codardi e rammolliti?

    O Sandro, era da molto che non si godeva di tanta 'sagacitas' nel 'krinein'. Hai notato lo 'ovviamente (sic!) del tutto (sic!) aleatori'?

    RispondiElimina
  4. In un primo momento pensavo di cancellare il commento di questo signor Studiosi sdegnati (forse è un doppio cognome), perché non si qualifica per lo studioso che presume d’essere.

    Però, dato che ritiene di essere uno studioso coi fiocchi, vediamo quali siano questi fiocchi.

    Scrive l’anonimo che il termine κύλιξ è sostantivo femminile e significa tazza, coppa.

    Probabilmente il nostro studioso, che non si qualifica e per tanto è uno “studioso squalificato”, ha utilizzato un dizionario di Greco Antico-Italiano che troviamo sul web, dove alla voce “κύλιξ” vi è scritto: “sostantivo femminile”, col significato però di tazza; calice. Per tanto: la tazza; il calice.
    Nel vocabolario Rocci vi è per “κύλιξ”: coppa; calice; tazza; bicchiere; ossia: la coppa; il calice, la tazza; il bicchiere; e dato che in italiano i forestierismi si possono articolare a seconda dei casi e delle consuetudini, nonché dei contesti della frase italiana (basti dare uno sguardo alla Treccani* per rendersene conto) non vedo perché si debba elevare obiezione che sa tanto di questione di “lana caprina” da parte di un sicuro caprone.

    * a proposito è giusto dire “alla Treccani” o sarà meglio “i treccani” visto che i “cani” sono maschi? Penso non ci siano dubbi al riguardo dato che sarebbe stato piuttosto fuorviante scrivere: "basti dare uno sguardo a “i Treccani”.

    Per tanto caroxxx Studiosi sdegnati… lascia perdere, non è cosa per te.

    RispondiElimina
  5. Caro Professore più che degli Studiosi sdegnati questo fante lesto, che s’imbroglia addosso, fa parte di quella categoria di studiosi indegni di tale appellativo, vista la magra figura.

    Poi, non vorrei dire, ma tale studioso si dovrebbe sdegnare addosso visto che non ha capito un fico secco sulla questione dei “corimbi” (ho usato fico secco, in verità mi veniva un’altra parola, ma vi ho rinunciato per sensibilità religiosa (?) Poi magari vi spiego cosa intendo con questa locuzione). Infatti lo studiosso esplica: “I corimbi semmai simboleggiano la sterilità, l'inganno delle aspettative, altro che vigore al quadrato”.
    Il nostro strudiosso sembra avere qualche problema nell’inanellare le frasi, tant’è che quel “semmai” sembra sia riferito a “κύλιξ”, ma evidentemente il seguito della frase lo esclude categoricamente. Ma a parte questa scivolata, il nostro studiosso non ha idea del significato di “corimbo”.
    Studiosso caro, le infiorescenze si dividono in: grappoli, pannocchie, spighe, corimbi, ombrelle, capolini, spadici e cime.
    In particolare il pero, ad esempio, ha un'infiorescenza a corimbo semplice, mentre l'achillea a corimbo composto.
    Per tanto, perdindirindina, quale brutale arzigogolo t’indusse a pensarlo simbolo della sterilità?

    RispondiElimina