La rubrica di Maymoni
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giovedì 22 giugno 2023
La stele di Nora alla prova del nove - un esempio di scuola scribale.
giovedì 8 giugno 2023
Lingua Sarda poberitta? Tostorruda, siat a nai!
(Francu Pilloni)
Certo è, cara vecchia Lingua Sarda, che è anche colpa tua, almeno un poco, la causa della tua malattia, se di malattia si vuol parlare.
Io non credo che tu sia malata, data l’età potrei pensare a una sorta di demenza senile, perché i sintomi sono altri: una dose di irrazionalità e la testardaggine a non voler cambiare, non dico con le mode passeggere che si sovrappongono di anno in anno, ma non fai una piega neppure di secolo in secolo. Oggi sono di moda i jeans e le t-shirt e tu continui a parlare de camisas e brusettas, la gente cammina su sneakers e slinky che tu continui a chiamare crapittas e crazzolas, … ascurta, no s’indi podit prus de tui, ses foras de su mundu!
Se fosse ancora viva, se avesse superato l’esame autoptico a cui è stata sottoposta, se avesse recuperato il dono della parola, cosa mi avrebbe risposto questa veterana lingua con la voce di nannai?
“Seu tostorruda, mi naras? Tenis arraxoni. No ses tostau tui puru? E babbu tuu? Prus tostorrudu de issu ind’has connotu?”.
Non mi resterebbe che abbassare lo sguardo; capisco che la lingua sarda è nata e cresciuta a misura di Sardo: noi siamo la nostra lingua, la nostra lingua siamo noi.
Però, obbietto, la Lingua Sarda ormai è fuori dal mondo.
“No est aici! Est su mundu ch’ind’est intrau a domu nosta! Comente a sa stracìa”.
Questa era la voce di aiaia manna, la mia bisnonna.
Sì, è testarda questa Lingua, come tutti noi Sardi. O quasi tutti, non vorrei dare del testardo a chi non se lo merita.
Però un poco irragionevole lo è. Questo è sicuro.
Faccio un esempio, ma chi ha paura delle parole, tiri dritto: se uno vuole tagliare un ramo di un albero, bollit segai unu cambu, cosa gli serve? Facile da dire: po segai, serbit una sega!
Ma neanche per sogno: po segai serbit una serra, o almeno unu serraccu.
Ma guarda tu! E io che pensavo che sa serra servisse po serrai.
Serra, a ben vedere, è una parola che è tutto un pasticcio: si pensi a cosa significhi fai su serra serra, oppure pesai a sa serra, o ancora sa serra de sa camba che non taglia proprio nulla, anzi si taglia essa stessa se riceve un colpo.
Quando in sardo si sente la parola sega, la mente corre subito ai dieci comandamenti, a quello che proibisce l’atto impuro che, in verità, è conosciuto anche come puliga.
Ma se sentite una santaiustesa dire “Ariserenotti a Luisu dd’hapu fattu una puliga po cena”, vuol dire solo che le aveva cotto una folaga, volatile ben presente nello stagno.
Ci sono parole sarde con le quali è facile giocare. Lo facevano infatti i nostri padri e i nostri nonni prima di loro quando, riuniti nel piazzale della chiesa in attesa della predica delle Quarantore, raccontavano e ridevano di questi equivoci più che onesti.
Ora non ci sono più quegli uomini, non ci sono neppure le prediche delle Quarantore. E non c’è più, soprattutto, la Lingua Sarda.
Purtroppo.
venerdì 2 giugno 2023
Lingua sarda? Poberitta!
de Francu Pilloni
Se ci mettessimo a giocare a “che differenza c’è?” fra immigrati e indigeni, sarebbe facile indovinare: i nativi la fanno da padroni; gli immigrati vivono di stenti e più spesso ne muoiono. Non ostante i livelli di protezione disposti per legge e scarsamente attuati.
Ma se il gioco lo allargassimo alle lingue?
Il paradigma si rovescia: quelle immigrate spadroneggiano; quelle native languono e muoiono. Non ostante le leggi di supporto.
E non si venga a sottilizzare dicendo che gli immigrati (uomini, donne e bambini) sono in massima parte irregolari, per non dire clandestini.
Forse che le lingue straniere in Italia non sono entrate di straforo?
Non c’è una legge che autorizzi, non c’è una legge che impedisca. Al contrario di quanto avviene, per esempio, in Francia.
Per la Sardegna, invece, le lingue straniere sono entrate così come entra il maestrale. Anzi, c’è stata una legge che non solamente ha autorizzato, ma addirittura ordinato l’introduzione della lingua straniera propria di chi al momento comandava.
Se i Catalani e i Castigliani parlavano la loro lingua, i Sardi che volevano capire si adeguavano; successivamente, dal canto loro, i re di Sardegna (pensa un po’!) misero subito in chiaro che la lingua dello Stato Sardo era … il dialetto toscano. Anzi, un centinaio di anni or sono, quella parlata ormai diventata Lingua Italiana, fu imposta come obbligatoria, mentre la Lingua Sarda, in qualunque variante espressa, fu messa al bando dalle scuole, dagli uffici, dalle pubbliche manifestazioni, eccettuate (forse) quelle religiose.
Adesso però ci sono leggi dello Stato Italiano, dell’Unione Europea, della Regione Sarda a tutelare la vetusta Lingua Sarda che, a detta di molti e a semplice vista d’occhio, è scomparsa non solamente dai discorsi ufficiali, ma anche dal parlare comune e dal linguaggio degli affetti, come è stato chiamato quello dentro la cerchia famigliare.
In seguito alla (ri)trovata attenzione per effetto della recente legislazione, la Lingua Sarda è stata fatta oggetto di cure, come si conviene a chi tanto bene non sta. Disgrazia ha voluto che Essa, una volta deciso l'intervento, non è finita nel reparto “Malati cronici” o, meglio ancora per riguardo all’età, a “Geriatria”, ma l’hanno depositata direttamente sul tavolo dell’Obitorio.
In effetti, chi si aspettava le visite specialistiche e gli esami mirati, ha potuto notare con stupore che gli è stata riservata solamente un’autopsia.
Osservata così, nuda e cruda sotto la fredda luce della scienza linguistica, la nostra vecchia lingua non ha potuto nascondere le sue carenze e le sue imperfezioni per cui, gli illuminati chirurghi estetici e funzionali chiamati al suo capezzale, hanno tagliato qui e là, hanno innestato questo e quello e, a conclusione, ne hanno recuperato una foto, anzi un ologramma, che però nessuno riconosce come cosa che gli appartiene.
A chi infatti, bambino o adulto che sia, verrebbe la voglia di abbracciare l’ologramma di una lingua frankenstein?
Questo è lo stato odierno della Lingua Sarda: un semplice ologramma, vale a dire un’illusione. O un ricordo, se volete.
Poberitta, appunto!