La rubrica di Maymoni

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venerdì 26 febbraio 2016

Sincretismo religioso tra Nuragico e Romano 3

La porta del toro luminoso
L’architettura della luce

Parte terza
Il rilievo, la ricostruzione tridimensionale, le verifiche
   Gli studi di carattere archeoastronomico fatti nel nuraghe Santa Barbara di Villanova Truschedu, dove al solstizio d’inverno si manifesta la teofania del toro della luce, mi hanno indotto a pensare che anche in questo sito potesse verificarsi un evento simile.
  In ragione di ciò, sulla base delle misurazioni e dei disegni realizzati, avvalendomi delle tecniche di simulazione tridimensionale, le cognizioni di topografia e astronomia, ho proceduto senza indugio alcuno a mettere in campo tutte le mie conoscenze atte alla realizzazione di un modello tridimensionale della cosiddetta “postierla”.

   Per realizzare un modello tridimensionale affidabile dal punto di vista astronomico è necessario che esso sia posizionato in modo corretto sulla superficie terrestre, per tanto è essenziale misurare in modo preciso l’orientamento rispetto al nord geografico e calcolarne parimenti le coordinate geografiche.
In ragione di ciò ho eseguito un rilevo topografico in appoggio a punti trigonometrici, dei quali uno stazionabile[1], atto alla individuazione dell’orientamento geografico della muraglia di “Su Murru mannu e dell’asse longitudinale della “postierla”, rilevata quest’ultima nei suoi punti essenziali nelle tre dimensioni spaziali.
   Sulla base di queste misurazioni e di quelle già acquisite, ho realizzato dell’edificio un fedele modello tridimensionale georeferenziato, del quale si possono evidenziare luci ed ombre proiettate dal sole durante la giornata, nell’arco dell’intero anno.
   C’è da dire che il corridoio purtroppo si conserva solo in parte, mancando alcune lastre di copertura e una parte del muro verticale che faceva da spalla alla falda esposta a nord della copertura stessa. Per questo motivo nel modello ho individuato con colore più scuro le parti mancanti del monumento (fig. 14 - 15). Non di meno la ricostruzione è verosimile, per via del fatto che il muro che regge la falda esposta a sud è integro, e ragionevolmente, è lungo almeno quanto lo spessore dell’intera cortina muraria da esso attraversata. Inoltre fortunatamente si conserva in esso la pendenza originaria d’imposta della capriata [2], come si evince dalla fotografia di Fig. 13 [3].
Fig. 13

Fig. 14

Fig. 15

   Studiando il materiale acquisito: descrizioni, misure, fotografie e disegni schematici, sembrerebbe che la struttura abbia subito un assestamento strutturale (vedi Fig.13). Si potrebbe pensare che le lastre di copertura spingendo sulla muratura verticale abbiano determinato una rotazione della muratura stessa visto che alla base il Tronchetti misura una larghezza del corridoio di 1,40 m, mentre all’imposta della copertura misura 1,50 m, che determina un fuori piombo medio di 5 cm su ogni parete, in conseguenza di ciò il colmo della copertura si sarebbe abbassato di 4 cm. 
   Le misure acquisite dall’eidotipo restituiscono una distanza diversa tra i punti di appoggio delle lastre che aderisco allo stipite interno della porta (1.50 misurato anche dal Tronchetti), rispetto a quella misurata sulla parte terminale verso Est. (1.56 m). Questo dato potrebbe ancor più avvalorare l'ipotesi di un cedimento dei due muri laterali sotto la spinta delle lastre, ma ciò non mi convince, in quanto la situazione attuale di postura di dette lastre e la superficie delle pareti murarie, fanno presupporre che quel fuori piombo sia di progetto.

Fig.16
La figura "a" descrive la presunta sezione della costruzione originaria
La figura "b" descrive la sezione reale che aderisce allo stipite interno della porta
La figura "c" descrive la sezione reale della parte esposta a Est del corridoio in situ


 Per dimostrare l'intenzionalità del "fuori piombo" delle pareti  ho realizzato una simulazione di cedimento della struttura (Fig. 16), col corridoio largo 1,40 m e pareti perfettamente verticali, che presuppone una certa sezione delle lastre di arenaria di copertura (Fig 16 sezione “a), queste, in seguito alla spinta generata sulle pareti sottoposte a rotazione, avrebbero dovuto non più combaciare nella faccia in mutuo contrasto (Fig. 16 sezione “b” e sezione "c"), tanto che il varco creato sarebbe stato di 3 cm all'intradosso del colmo nella sezione "b" e di 5 cm nella sezione "c" e uguale divaricazione sugli appoggi (vedi particolare di Fig.17); effetto questo, contraddetto dalla realtà dei fatti dove analizzando l’immagine di Fig. 13, si stima uno scostamento all’intradosso del colmo, che può essere al massimo di 1.5 cm. Inoltre un tale cedimento avrebbe comportato un abbassamento del colmo pari a più di 6 cm, mentre questo, per effetto del normale assestamento è limitato a soli 2,5 cm, come vedremo di seguito.

Fig. 17

  Inoltre l’azione avrebbe potuto generare uno slittamento delle lastre sopra la superficie del muro e conseguente crollo di queste ultime (che di fatto è in parte avvenuto, ma probabilmente per altre cause), cosa che non è avvenuta per l’intera struttura; ed ancora: è presumibile che sotto l’azione delle lastre non tutta la parete sarebbe stata interessata alla rotazione, ma solo i filari superiori, essendo la muratura presumibilmente a secco ed anche ciò non è avvenuto (Fig.18).

Fig.18

   In ragione di queste considerazioni ritengo di poter affermare che quel particolare fuori piombo fosse intenzionale.
   Non vorrei attribuire a quelle genti delle cognizioni tecniche che possano sembrare anacronistiche, ma alla luce della sofisticata tecnica di costruzione dei nuraghe, forse ciò mi è permesso, lì dove nella realizzazione del muro quegli architetti abbiano cercato di contrastare la spinta del terreno addossato al muro, che di fatto potrebbe avere la connotazione di muro di sostegno così come noi oggi lo concepiamo (Fig.19), tenuto conto che sicuramente avevano delle cognizioni di statica, benché solo di carattere intuitivo, che applicarono in modo significativo e stupefacente nella costruzione dei nuraghe.
   Sarei tentato di andare oltre, ma lascio spazio ad una eventuale discussione in merito.

Fig.19
      In ragione di quanto qui precisato, ritengo che il modello sia verosimile nella sua interezza, per tanto se assestamento possa esserci stato, questo sicuramente non è tale da inficiare il mio modello e quanto da esso ho potuto evincere in termini di manifestazioni ad esso correlate.



[1] Per punto trigonometrico stazionabile s’intende un punto IGM (Istituto Geografico Militare), di coordinate geografiche note di notevole precisione, sul quale si possa installare uno strumento topografico. Da quella stazione ho lanciato tre altre stazioni di dettaglio in prossimità del sito archeologico.

[2] Finora ho usato in modo improprio il termine capriata, per indicare il tipo di copertura che il Tronchetti indica più propriamente come copertura “alla cappuccina”, in quanto lo schema statico della “capriata” prevede un elemento orizzontale  chiamato “catena”. In sostanza, dal punto di vista statico, la differenza tra un tetto a capriata e una copertura alla cappuccina è dato dal fatto che il primo è costituito da due puntoni e una catena, mentre il secondo è costituito solo da due puntoni.

[3] Da: F. Barreca - La civiltà Fenicio Punica in Sardegna - Delfino editore - pag. 60.

12 commenti:

  1. Aspetto fiducioso queste manifestazioni, Sandro, ringraziandoti fin d’ora per l’accuratezza dello studio. Ma già mi spingi ad anticipare un commento generale, perché in ogni caso questo lavoro mi sembra presentarsi emblematico di quel rapporto con la protostoria e la storia antica della Sardegna che si dovrebbe avere e che invece, come qui tante volte lamentiamo, si trascura: scava scava, sotto al romano è tutto punico o, al massimo (e con più gusto) fenicio; se poi, sotto sotto, proprio non si può negare ci sia inoltre del franco nuragico, pazienza, sta là sotto, senza gran significato, surclassato da quanto è venuto dopo a portare un apprezzabile senso. Perciò non si può non gioire ogni volta che questo modello viene “minato”, è il caso di dire, dalle fondamenta, ogni volta, cioè, che si mostra quanto esso sia semplicistico, pigro, frutto di preconcetti, ogni volta di più che si denuncia quanto l’ombra di questo modello continui a sottrarre a una migliore comprensione del nuragico e della storia antica della Sardegna. È un’impresa che non sta certo tutta sulle spalle del gruppuscolo che anima questo blog (“bravi”, è risaputo, solo nel senso di “maleindottrinati, ignoranti, presuntuosi, incivili e maleducati”; insomma, più o meno una sporca dozzina), gruppuscolo che però non rinuncia a fare la sua parte (a mio parere apprezzabilissima) grazie a quanti, come te, studiano, confutano e propongono, aprendo agli altri (voglio sperare) nuove strade.
    Quanto all’utilità o meno di dedicare tante attenzioni al passato, di spendere nelle nostre riflessioni più parole su questi temi che sul drammatico presente (cruccio che personalmente a volte mi morde la coscienza), resta che se una diversa lettura della nostra storia è ancora così contrastata (se vi è questa resistenza a cambiare lenti per verificare un nuovo paradigma) sarà perché nel presente agisce anche in funzione di blocco qualcosa di ideologico, di culturale, di antropologico; ed è intervenire, in qualche modo, a “minare” questi fattori (senza teorizzare strumentali usi politici di miti storici) che potrebbe, chissà, giocare una parte nell’affrontare le urgenze del presente in modo nuovo.

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    1. Io nella mia immodesta modestia, sono il più maleindotrinato, ignorante, presuntuoso, incivile e maleducato di tutti, anzi vado oltre e rincaro la dose, sono il più orbo, visto che non vedo finestroni inesistenti; il meno lunatico, povero me, visto che non capisco nulla di lunistizi maggiori settentrionali né meridionali e neppure di quelli occidentali e ancor meno di quelli orientali, per non parlare di quelli medi e quelli piccoli. Sarà che non riesco a capacitarmene di cotanta offerta?!
      Scusa Francesco, se ho debordato, ma che vuoi rispondere a certi individui se non “macchiminadasa”?!
      Per il resto, ti posso dire che per caso ho trovato un calzino spaiato e con questo studio ho voluto cercare il suo gemello.

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  2. Lascia stare i lunistizi a chi vede e vuol far credere alla luna nel pozzo, caro Sandro.
    Per noi, nipoti di pastori erranti, valgono i luni-stazzi, i ritrovi serali sotto la Luna quando c'è, senza di essa quando sta per i fatti suoi.
    Gli stazzi, che non esistono solamente in Gallura anche se molti ne hanno scritto, sono o erano diffusi in tutta la Sardegna. Basta pensare agli stazzi del Sulcis.
    In Marmilla li chiamavano furriadroxus, luoghi di ritrovo per passare la notte uniti e dunque più al sicuro, per i pastori e i contadini che faticavano in una determinata area.
    Se furriai significa, tornare indietro o anche girare, ricordiamoci del modo di dire, ancora oggi usatissimo, di furriai a domu o solamente furriai, per dire che si torna, si rientra a casa.
    Dai furriadroxus, io credo, molto probabilmente derivano i piccoli paesi della Marmilla, distanti solamente due, tre, quattro chilometri l'uno dall'altro, spesso posti, nascosti si potrebbe dire, nell'incrocio di due valli, non distanti da un fiume. E questi punti, se si ragiona sui bisogni delle greggi e degli uomini, erano appunto i siti migliori per incontrarsi e per fare lega comune contro i pericoli, che provenissero dalla natura, dagli animali o da uomini rapaci, poco importa.
    Anzi, importava proprio tanto.
    Oggi si dice Marmilla genericamente, ma in passato, al tempo di Lionora, oltre alla curatoria di Marmilla vera e propria, si avevano quelle di Part' 'e montis, di Part' 'e Useddus e di Valenza, altrimenti nota anche come Brabaxana (jana de Brabaxa, porta della Barbagia). Ebbene, non ostante qualche piccolo paese sia sparito intorno al XVIII secolo, se si disegna una circonferenza di dieci chilometri di raggio centrando, ad esempio, l'incrocio di due strade statali, vale a dire a Escovedu, quel cerchio contiene diciotto/venti centri abitati i cui abitanti, sommati insieme, non arrivano a ventimila.
    A me pare, visto che gli abitanti si conoscono relativamente bene, quanto può essere in una cittadina di pari numero, che si tratti di una città decentrata in cui ogni rione è un paese con tanto di istituzioni, di storia, di santi, di campanili e di ... nuraghi e Tombe di Giganti.
    E allora, andiamo avanti con i luni-stazzi, per favore.

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    1. Signor Francu ,lei è veramente un pozzo di scienza,di quella scienza che mi ha sempre affascinato,cioè conoscere l'origine dei paesi,perchè nascono in certi posti,perchè hanno certi nomi.Quando ha tempo e voglia scriva ancora,la prego.

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  3. Beh, se per quello c'è anche il luni-stizza; ma lasciamo perdere. Io non sono bravo come te a parlarne. Aggiungo solo che quando la luna cade dopo le abbondanti 'popperate' del dio sole è naturale che avvenga un luni-stizza. Ma non so ogni quanti anni o quanti mesi. E non so bene durante il fenomeno chi più è predisposto ad uscir fuori di testa. Però, però! A ben pensarci forse stiamo cominciando a capire 'epistemologicamente' il fenomeno della stizza in natura e di sicuro ne avrà un vantaggio enorme l'EPISTHMH assoluta ovvero la scienza astrologica in senso lato. Lasciamo dunque perdere il sublime e cediamo l'osso alla fine scienza di 'sos cozinzos' perché si interessi, lei sola, di luni-stazzi e di luni-stizza.

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  4. Posso aggiungere un Luni-Corbellerie-Astrali!!

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  5. Cari lettori, i vostri commenti mi son graditi, benché non siano attinenti al tema, ma mi rendo conto che non è facile commentare un articolo come questo nei suoi risvolti tecnici; chi dovrebbe farlo si guarda bene dal farlo; quelli che presumono di sapere, biascicando in modo freneticamente astrologico, spero abbiano il buon senso di starsene fuori, non mi interessano i commenti di austroarcheologi, che parrebbero parlare italiano, ma la cui calata ricorda l’idioma austriaco per noi che conosciamo un po’ di italiano e a mala pena “l’ingrese “. I commenti, questi personaggi, li facciano nei loro blog… a distanza, così poter misurare la perspicacia (o si dice pervicacia?) di certuni che si dilettano di primeggiar nello mondo guardando tutti noi dalla luna e pretendendo di distinguer da lassù, con un piccolo cannocchiale, il nobile dal miserrimo popolame, contando costoro, solo su quel misero attrezzo, non rendendosi conto che finché con quello guardan Selene dalla Terra, poco male, ma a guardar la Terra dalla Luna si prendono cantonate, descrivendo le abitudini del pipistrello che dorme afferrato alla roccia a testa in su.

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  6. Infatti,signor Angei,pur apprezzando il suo lavoro mi sono guardata bene di esprimere un minimo parere,visto che sono totalmente digiuna su questo e tanti altri argomenti da lei trattati.

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  7. Angei, è inutile che ti trastulli e fai finta di non capire che stiamo tutti col fiato sospeso: hai detto quello che hai detto? Benissimo.
    Ora, per favore, dopo tanto aperitivo, ce lo servi questo pasto cucinato a lungo?
    Vuoi che decidiamo sul sapore se ancora non ne conosciamo neppure l'odore?

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  8. In attesa di nuove rivelazioni, si può continuare ad affabulare sulle vecchie credenze o anche sopra i comò, come le tre civette della filastrocca.
    Intanto, se è vero che esiste l'unicorno, altrettanto certo è che si possano vedere i lunicorni, cioè is corrus della Luna, prima e dopo i noviluni.
    Perché la Luna ha le corna? Ve lo siete mai chiesto? No?
    Ebbene, chiedetevelo ora, non è troppo tardi.

    L'antropologo, specializzato in lunologia e cornologia della scienza, si è espresso senza riserve per dire che il tradimento del Maschile (il Sole) va a discapito del Femminile (la Luna), ragion per cui chi è aduso alle corna ormai le porta come segno distintivo della propria essenza sub- e sovra- sustanziale.

    Chi non avesse capito per intero, chieda pure ad Angei.
    Angei poi chiederà a me di nascosto e, avutone un bel boh! in risposta, ve la trasmetterà virgolettata.

    Mia nonna Peppica, che non sapeva scrivere su quaderni, né leggere i libri, usava scrivere nei cuori e nelle menti e leggere i segni che ci vengono dalla natura, firmamento compreso. Mi disse una volta che quelle che chiamiamo is corrus de sa Luna, non sono corna, ma su settiu della Luna, vale a dire il l'atteggiamento della Luna che adatta il suo corpo a serena e confortevole concavità per sostenere e consolare con tutta se stessa il figlio che muore alla sera, e per sostentare e rassicurare il figlio appena nato al mattino.
    La Luna che si fa culla per stringere a sé il figlio Sole, nei due momenti cardine della vita: la nascita e la morte.

    Is corrus della Luna dunque, per la mia vecchia nonna erano il segno dell'amore più grande, non di risentimento per un tradimento subito.

    Se non fossi cresciuto in un ambiente prettamente illuministico e illuminato, se avessi riletto J. J. Rouseau, anziché inaridirmi con la scienza di Popper, oggi avrei il coraggio di rivalutare mia nonna Peppica e capirei finalmente l'etica spicciola di Eco.
    Più o meno, insomma.

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  9. Francu, se avessi postato l’intero articolo in una botta sola, nessuno lo avrebbe letto completamente, sarebbe stato come abboffarsi d’un sol colpo per fare la pennichella subito dopo. Abbi pazienza, domani pubblico la quarta parte… e poi la quinta… e poi la sesta… e poi la settima. D’altronde anche il Signore fece l’universo in sette giorni…. No, accidenti sei giorni, il settimo si riposò! Va beh, ho fatto male i conti.

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  10. Questo l'ho capito, ma così facciamo estate!
    Ricorda pure quel "Usque tandem, Sandrangei, ..." e mettilo a profitto.

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