La rubrica di Maymoni

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lunedì 6 giugno 2016

5 - GENTI E COSTUMI ROSSO PORPORA

SEMIOTICA NELL’ABBIGLIAMENTO  
IL RAPPORTO SACRALE CON IL PROPRIO VESTITO

di Giancarlo Casula



sulbu, sulbu e trama,
ispolas, iscassas e pèttenes,
licias e barrigeddas,

In una realtà che nel corso dei secoli è stata così difficile e senza tante gratificazioni l’elemento che ha rappresentato per la donna una risposta alla fatiche della vita è il costume. E’ l’abito con cui ti presenti la domenica alla messa al cospetto di Dio e che stabilisce l’uguaglianza culturale e sociale all’interno della comunità. Quello che ti segnala all’occhio degli uomini e che ti segue, in tutti i sacramenti, rappresentandoti dal battesimo sino alla morte. La sua bellezza e’ tale che, nonostante le difficoltà quotidiane, riesce ad elevare l’importanza esistenziale. Con il costume la donna assume il coraggio filosofico della metafisica. Supera l’instabilità, l’incertezza e la precarietà degli elementi mutevoli e gravosi per cogliere ciò che considera autentico, universale, necessario ed assoluto.
Con il suo costume la donna ha una risposta a tutti i sacrifici ed ai quesiti fondamentali della sua esistenza.


 
Va oltre gli elementi contingenti ed empirici  guidata verso prospettive più autentiche e fondamentali. L’abito l’accompagnerà in ogni rito, dai momenti festosi a quelli tristi e, con la sua bellezza e la sua solennità  celebrerà l’importanza di ogni avvenimento. Nella comunicazione dei segni, durante i riti funesti o felici, esprimerà quei concetti che saranno perfettamente decifrabili dalla comunità’. I suoi colori comunicheranno, a distanza, la partecipazione al dolore, sanando, forse, antichi dissidi, dichiarando solidarietà ed alleanza o ribadendo vincoli di amicizia e parentela. Così come anche nella festa, i componenti del suo abito esprimeranno tutta la felicità e l’importanza di un avvenimento che la unisce ai partecipanti. 


La donna infatti segna e comunica con il suo vestito gli avvenimenti che caratterizzano la propria vita e quella del clan di appartenenza: l’abito rappresenta il libro o il dipinto della propria esistenza. Il mondo femminile segnala, cucendo e ricamando ogni dettaglio, la propria situazione sociale ed il proprio stato emotivo.
Per la realizzazione di un abito nuovo ci voleva più di un anno intero. Solitamente, stante la disponibilità economica, ogni donna ne possedeva almeno due: uno per tutti i giorni e uno di circostanza. Farsi un costume, dato il suo valore economico ed il tempo che occorreva per realizzarlo, era quasi come costruirsi la propria casa. Per questo motivo doveva durare tutta la vita o perlomeno fino a quando non diventava vecchio tanto da non poterlo piu’ indossare. Con gli anni, strutturalmente, rimaneva sempre lo stesso ma  la sostituzione di trame e  ricami, oppure, gli apporti di tessuti ed infine le tinture, lo rendevano perennemente mutevole. Seta gialla, nastri in raso o gigliati, damaschi e broccati ne accendevano i toni esaltandone lo stato d’animo di festa e di felicità. Il vestito, o parti di esso, indossato al rovescio, il raso nero, il ricamo in seta verde, la tintura che dal rosso porpora, per grado di gravità, portava il vestito ad una colorazione sempre più spenta fino a raggiungere il bordeaux ed il marrone dovevano rappresentare il disaggio, l’afflizione, il dolore e lo sconforto.





Il massimo grado di lutto veniva raggiunto con l’abito da vedova completamente tinto in nero. Questo sistema era, al tempo stesso, estremamente flessibile e laborioso. In definitiva l’intricato modo di indossare le varie parti di cui e’ composto, assieme all’uso differente di colori, materiali e ricami, rappresenta le varianti di un lessico in cui vengono raccolti e disciplinati i segni che, attraverso articolate composizioni, raffigurano gli inequivocabili significati.


La donna recepisce le circostanze e gli eventi che la riguardano, ne stabilisce il grado di importanza e, attraverso questo sistema linguistico, trasmette indizi, segnali, avvertimenti, sintomi, notificando con il vestito il grado di serietà o di gravità dell’evento. Dichiara inoltre la sua condizione sociale di nubile o sposata, libera o impegnata, ma soprattutto stabilisce, annuncia e certifica, indiscutibilmente, ogni circostanza. Il vestito ha, riassunti, tutti i concetti della semiotica che vanno dal segno al significato, dal simbolo alla metafora e, soprattutto il codice. Lo studio del costume ci porterà a capire segnali e concetti che vanno dall’etica alla metafisica, dagli effetti psicologici creati con i colori o, viceversa, al significato della loro totale assenza. Da equivalenze tra espressione e contenuto a segni di autosignificanza.


4 commenti:

  1. « Il massimo grado di lutto veniva raggiunto con l’abito da vedova completamente tinto in nero ».
    Caro Casula, prendo spunto da questa tua dichiarazione, per ammettere quanto imponente sia stato questo modus operandi in seno alla Sarda Comunità.
    MAMA mia, at appidu sa manna dilfortuna de abbarrare fiuda cando no aiat galu lompidu 31 annos!
    A trent’uno anni, rimare senza marito, senza sposo, senza innamorato, dovette rappresentare la tremenda fine di tante vite vissute tutte insieme. In una sola volta! In un solo istante le si è tinto il futuro del nero più profondo e chiusa definitivamente la più flebile speranza!
    Quale immane tormento possa rappresentare la più grande delle disgrazie per una giovane sposa, solo Lei potrebbe, avendone le forze, raccontare per rendercene edotti!
    E, la espressione segnica (per quanto tacita sia diventata col trascorrere del tempo) del vestito nero, è (ma direi, era) talmente forte e radicata ed INELUDIBILE che, MAMA mia, tenne il lutto per tutta la vita: dai 31 fino ai 96 anni! Sessantacinque anni vissuti, come il Padreterno volle, vestita a lutto! Rappresentando esso ancora gli estremi, pur diluiti, della Più Disgraziata Sfortuna!
    mikkelj

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  2. La ringrazio sig. Mikkeli per le sue considerazioni. Con i primi 4 articoli, attraverso gli abiti, siamo andati nello spazio e nel tempo alla ricerca di lontane parentele o semplici affinità culturali che ci legano ad altri popoli. Da questo articolo in poi seguirà la descrizione, tratta dal libro Desula ed estrapolata dalle vite reali delle protagoniste, in cui si esamina la complessità , l’articolazione e la raffinatezza del linguaggio dei segni nei vestiti. Spero tanto che i lettori della Sardegna, così come ha fatto lei, trovino nei costumi dei loro paesi le affinità ed altri elementi in grado di portare un contributo alla rilettura di questo enorme patrimonio culturale.
    Vedrà come anche il costume nero da vedova non rappresenta il capolinea del vestito delle donne. Infatti quel tipo di società in caso di vedovanza “s’areu” (il parentado) in una sorta di endogamia, si adoperava a favorire un secondo, un terzo o anche un quarto matrimonio. Il vestito si rigenerava con segni e colori codificati che rimarcavano la nuova condizione sociale. Sarà la descrizione che darò in un articolo successivo.

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    Risposte
    1. Gianfranco , condivido le tue gratificazioni ampiamente meritate, poiché hai curato lo studio di una documentazione di assoluto significato culturale, che prosegue l' iter del tuo impareggiabile avo, aedo dell'identità della mia seconda Madre Terra. Ad maiora !

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