Fig.1 |
Nel
Museo Archeologico Nazionale di Firenze (inv. n° 7013) si trova una barchetta
nuragica proveniente da Vetulonia, dal circolo della ‘navicella’. Giovanni
Lilliu nel suo volume (1) sulla
piccola statuaria sarda in bronzo, nel descrivere la barchetta nuragica (n° 288
della serie bronzea) così si esprime circa un particolare (fig. 288 b) di essa:
‘
L’elemento [della barchetta] finisce superiormente in un altro anello
saldato al ventre d’una doppia protome animalesca contrapposta in schema
araldico come i nn. 248 -249. Lo schema di bronzo come lo scafo e il manico,
rappresenta due mezzi arieti unici per il loro dorso fortemente insellato, con
lunghe e stecchite zampe cilindriche terminanti in piatti rotondi zoccoletti,
applicate al petto in modo meccanico. La testa degli animali è molto
stilizzata, il profilo è appuntito e le corna sono ritorte in un volvolo geometrico’
(p.492).
Lo studioso ha preso chiaramente un grosso
abbaglio perché quegli arieti non hanno il ‘dorso fortemente insellato’ e
neppure hanno ‘lunghe zampe stecchite’ e ‘applicate al petto in modo
meccanico’. Lo ‘schema ‘araldico’ (se proprio così lo si vuol chiamare)
presenta certamente ‘due mezzi’ arieti contrapposti ma essi sono, con il muso (non
a caso ‘appuntito’), contrapposti
anche nella parte inferiore del corpo che, manifestamente, è però quella di due
uccelli. Manifestamente lo sono, per
il piumaggio, per la coda (sempre piumata)
e per il ‘buco’ che, posto dov’è posto, non è certo quello del sesso di
un ariete ma di un volatile. Quasi incredibile, la sua ‘sbadata’ e superficiale
descrizione! Quindi il particolare della barchetta di Vetulonia riporta uno
schema ‘doppiamente’ mostruoso come quello che non solo offre due mezzi arieti attaccati e disposti
frontalmente ma anche due mezzi arieti con due mezzi corpi di uccello uniti, con una sola coda e un solo sesso. Il
manufatto quindi è doppiamente mostruoso e tende a dare con chiarezza
l’idea del due ma in uno o se si
vuole l’uno ma in due. Un mezzo
ariete e un mezzo uccello, un mezzo ariete e un mezzo uccello per due volte. Un
mostro doppio o meglio un ‘mostro
del doppio’. Due ‘siamesi’ ma di specie diversa e di genere diverso. Ma
come si spiegano i due mezzi ottenuti
dalle due unità ‘mostruose’ contrapposte? Con il fatto che l’oggetto stesso costituisce
una unità dal momento che due mezzi
(le due unità contrapposte) danno l’intero. Su base numerologica si ‘scrive’
che c’è una unità composta da due unità a metà: un 'animale' intero ‘mostruoso’, di
specie diversa (ariete - uccello) e di genere diverso (maschio - femmina). In
poche parole si può dire così: Due metà
di specie (forma, aspetto) diversa e di genere
diverso compongono una unità di specie diversa
e di genere diverso.
Ora, i nuragici ci hanno abituato ‘ad
abundantiam’ alla ‘mostruosità’(2), soprattutto di tipo sessuale; ci
hanno abituato alla doppia protome animalesca (3) ma, mai come in questo caso, da quanto sappiamo, si registra la
doppia mostruosità con un prodotto animalesco così surreale, mezzo ariete e mezzo uccello ripetuti per due volte e disposti
frontalmente. Forse paragonabile, ma solo in parte, è la Biprotome di muflone e bue (4).
Cosa
vuol dire mai tutto questo strano, quasi bizzarro, raffigurare? Che senso
‘profondo’ può avere mai? Cosa ci suggerisce lo strano manufatto, stante il
contesto in cui è stato rinvenuto e cioè la tomba di una necropoli? Perché il mix
mostruoso (5), anzi mostruosissimo
(se mi si passa la parola)?
Vediamo di spiegare innanzitutto il motivo
per cui l’artigiano del bronzo nuragico (con ogni probabilità un sacerdote) è
ricorso alla chiara simbologia dell’uno e del
due nello stesso tempo, ma di specie
diversa. E’ evidente che qui (e non solo qui) non c’è nulla di decorativo da attribuire
alla barchetta ma semmai tutto di allusivo e di simbolico. Lilliu glissa, non
capisce (o fa finta di non capire) la doppia specie animalesca; ma sorvola anche, non facendone minimamente
cenno, sulla difficoltà interpretativa
del disegno ‘foro’ posto in evidenza al centro della coda e chiude la
descrizione riprendendo brevemente l’analisi di tutta la barchetta; che poco gli
dice in quanto, a suo dire, simile ad altre della piccola bronzistica (6). Lo scriba usa la simbologia numerologica,
quella più scoperta, alludendo al ‘due’, al doppio divino in una sola ‘persona’.
Ma lo fa calcolando oltre che la ‘specie’ (forma diversa) anche il ‘genere’
diverso, essendo l’ariete maschio è l’uccello femmina. Così risulta evidente
che ci troviamo di fronte all’unità del doppio divino androgino, al doppio
inscindibile, alla coppia ‘maschio e femmina’. Nessuna novità in ciò, perché diversi
documenti nuragici, come sappiamo, sia
di natura epigrafica che metagrafica (7),
hanno da tempo fatto chiarezza sul dato dell’androginia della divinità yh, mostrando, tra l’altro, che anche lo
stesso nome (IΛ) è graficamente simbolo
del doppio non separabile, della coppia di genere diverso MF (maschio/femmina).
In modo particolare, perché lucido per chiarezza iconografica, si è compreso il
fondamentale dato della concezione androgina della divinità sarda arcaica sia sulla scorta
del disegno del documento di località sconosciuta sia su quella del concio (8) della chiesetta campestre di Sant’Antonio da Padova di Tresnuraghes (figg. 2 e 3).
Fig.2 |
Fig.3 |
Questo è dunque il senso del bronzetto (particolare di un bronzetto) , relativo all’androgino, che noi, per ora, riusciamo ad ottenere
attraverso la numerologia e l’ideografia. Domandiamoci però se c’è dell’altro
di senso ancora che si riesce ad ottenere ricorrendo all’esame
particolareggiato di tutto l’oggetto. C’è ancora qualcosa di ‘scritto’ e di
significante che ci consente di capire sino in fondo (il solo particolare
dell’androginia non soddisfa completamente) il perché del dettaglio iconografico di quella barchetta posta nella tomba di un
imprecisato defunto etrusco di Vetulonia? Se è vero che la scrittura
metagrafica nuragica si basa sulla numerologia, sulla ideografia ma anche sulla
acrofonia non potrebbero esserci anche qui dei ‘segni’ fonetici, derivati da
essa, atti ad illustrare compiutamente il motivo della realizzazione della magica
barchetta funeraria?
Per sincerarsene basta continuare a risolvere
pazientemente il rebus, seguendo le tracce dello‘scrivere’ particolarmente malizioso
dello scriba che sembra dirti: ‘non andare facile sui significanti ovvero su
ciò che ti può dare apparenza di esaustività ma calcolali uno per uno’. Infatti,
se lo facciamo, ci rendiamo subito conto che, oltre alla simbologia
numerologica dell’androgino e l’ideografia della diversità di genere
‘maschio/femmina’, c’è anche l’acrofonia ottenuta attraverso i due ultimi non
trascurabili significanti e cioè ‘foro’
e ‘coda’. Se, procedendo dall’alto,
calcoliamo, stavolta non sul piano aspettuale (9) ma su quello delle
parole dirette (immediatamente espresse) avremo la voce criptata ‘oz (10),
parola che si ottiene dall’acrofonia di ‘rwh ערוה (11) + znb זנב (12), voci semitiche che significano ‘sesso’ (in generale) l’una e ‘coda’
l’altra.
Per maggiore
comodità di chi ci segue forniamo un grafico con l’ illustrazione visiva della
scrittura metagrafica del particolare della navicella funeraria di Vetulonia,
scrittura alla quale dobbiamo aggiungere l’immancabile acrofonia dello hdmהדם (base, predella, appoggio) di tutti o
quasi tutti i bronzetti.
Pertanto il senso definitivo (13) e la lettura conseguente del particolare della barchetta, con senso autonomo (14) rispetto alla lettura in generale dell’oggetto ‘barchetta’, risulta essere: Potenza di Lui androgino (padre / madre).
Il
significato immediato simbolico viene spiegato così, con maggiore forza, in
virtù di quello fonetico - linguistico. E, ancora una volta facciamo osservare
che è la scrittura (un certo tipo di scrittura, basato soprattutto sull’acrofonia)
che riesce a dire con certezza che cosa è e di cosa parla un certo manufatto
nuragico e naturalmente, a dare l’input per spiegare, con lo stesso
procedimento interpretativo, tutti gli altri prodotti metagrafici.
Perché dunque la barchetta nuragica, la
barchetta sarda, si trovava in una tomba etrusca di Vetulonia? Evidentemente non
tanto perché fosse oggetto ornamentale decorativo e segno di sfarzo della tomba
quanto perché faceva parte del corredo salvifico,
fortemente ‘significante’ del defunto, perché gli ‘serviva’ per il suo viaggio
nell’oltretomba, nell’aldilà. Il
nobile (o la nobile) defunto fa affidamento e sulla magia del bronzo perenne e sulla presenza, ugualmente
perenne, della scrittura criptata per avere, in qualche modo, la garanzia del sostegno e del padre e della madre (apac atic) ed entrare cosi nel regno
luminoso della divinità androgina che
è una e due nello stesso tempo; divinità che, non solo per i nuragici, è
un’unica fonte luminosa (אור) ma nel cielo si presenta con due ‘lampade’ (15) utili
a quella luce perché si diffonda eternamente e ciclicamente. Il nobile personaggio defunto stava in un sarcofago
(o meglio le sue polveri stavano,
essendo esso in sostanza un’urna cineraria), oggetto che prima di tutti gli
altri, sempre criptata con tecnica metagrafica, riportava sicuramente l’espressione
topica ‘doppio sostegno certo e del padre e della madre’. Abbiamo già visto in
un nostro articolo dai numerosi esempi (16)
‘come’ e in che misura gli etruschi abbiano seguito i nuragici nella scrittura
metagrafica con l’uso dell’acrofonia, della ideografia e della numerologia (figg.
4 e 5).
L’oggetto
‘eterno’ di bronzo di fattura sarda
aveva dunque, forse assieme ad altri oggetti apotropaici e salvifici, il
compito di rafforzare quella scrittura nascosta con l’espressione alludente anch’essa
all’androgino celeste, cioè al padre e alla madre assieme che avrebbero fatto
rinascere con ‘certezza’ (17) il loro
figlio. Anche sulla presenza 'aggiuntiva' della
‘religio’ sarda in una tomba etrusca nulla di strano e di insolito. Così come
nelle tombe sarde della necropoli di Monte
Sirai si trovano (18), per
sincretismo religioso, gli scarabei egiziani (o di fattura sardo - egiziana) al
fine di esorcizzare la morte con il ricorso al dio luminoso egizio RA (tramite suo
figlio), così si trovano in Etruria, sempre per sincretismo religioso
astronomico celeste (yh padre Sole e
madre Luna - Tin padre Sole /Uni madre Luna) gli oggetti nuragici (ne
vedremo presto un altro di bronzetto, famosissimo, molto più canterino)
dell’ideologia della rinascita dopo la morte.
Note e indicazioni bibliografiche
1. Lilliu G,, 2008 (ried. 1966), Sculture della Sardegna nuragica (saggio
introduttivo di A. Moravetti), Ilisso ed., Bibliotheca sarda grandi opere,
Nuoro.
2. Si vedano ad es. il cosiddetto
‘mostro’ di Nule, (Lilliu, o.c. p.467), l’eroe
con quattro occhi e quattro braccia (Lilliu, o.c. p, 270), Il demone militare (Lilliu o.c.p. 274), Pastore che offre una ciotola (Lilliu,
cit. p. 343), Offerente ( Lilliu,
cit. p.346), Aulete nudo e itifallico
(Lilliu, cit. p. 377), La nuda
(Lilliu, cit. p. 381).
3. Bronzetti n° 248, 249, 250, 251, 252,
253, 254, 255, 256, 257, 258, 259 della rassegna delle ‘sculture’ operata dal
Lilliu.4. Lilliu G., 2008, Sculture della Sardegna, ecc. cit. p. 444.
5. Su questa ‘mostruosità’ si è discusso, in
particolare a proposito della Statue dei ‘Giganti’ di Monte Prama, varie volte in questo blog e nel blog Monte Prama. Sempre di più
appare certo che la mostruosità, il prodigioso, il ‘repellente’, lo sgraziato, è
categoria artistica gradita al ‘pensiero’ nuragico. Ma è gradita forse in
quanto si sposa all’opposto e cioè al bello, al normale, al magnifico,
all’aggraziato. Entrambi sono ‘naturali’ e quindi sono prodotto della divinità,
creatura del creatore. E Dio è bello e brutto perché, a ben pensarci, c’è di mezzo anche il noto imbarazzante versetto sulla
‘somiglianza’. Il meglio sembrerebbe sussistere quando il brutto o ‘mostruoso’
si sposa con l’imponente e magnifico. Dato questo che sembra essere proprio
delle statue dei Giganti che lasciano interdetti gli storici dell’arte che, non
a caso notano ora il brutto ora il bello senza forse rendersi conto che il
gigante ‘deve’ essere, in quanto dio anch’esso, bello/brutto in modo inscindibile. Caratterizzati da un mix
obbligato. Normale e anormale nello stesso tempo. Ma anche l’egiziano (e anche
su ciò si è detto) possiede nelle statue (solo nelle statue?) dei faraoni questo
incredibile sconcertante mix di normale e di non normale, di repellente e di
apprezzabile. I Greci (e gli Etruschi per loro influsso) sono noti per il
‘bello’, per l’equilibrio e la razionalità nell’arte, per Apollo che rifiuta
Dioniso. In realtà essi nel periodo arcaico del Lossia cacciatore, dio del santuario di Pito, così come gli
egiziani e i nuragici, usavano il mix che dava il mostruoso che partiva già
dall’androginia manifesta del Dio, raffigurato questo scopertamente come
persona con il fallo e il seno femminile e simbolicamente attraverso i famosi
‘idoles bisexuées’ (Sanna G.,2007, I
Segni del Lossia cacciatore. Le lettere ambigue di Apollo e l’alfabeto protogreco
di Pito, S’alvure ed., Oristano). Ma detto ciò va precisato che il ‘mostruoso’
per i nuragici ha valore enunciativo
di ‘cosa prodigiosa’, ‘incredibile’, ‘portentosa’ e che, in quanto tale, caratterizza,
perché non umana, il divino. Il bronzetto di Vetulonia, come tantissimi altri
bronzetti sardi ‘mostruosi’, annuncia il portentoso e l’incredibile, nascosto in
lui, che realizza l’androgino e raffigura in qualche modo il non raffigurabile.
La ‘mostruosità’ delle due metà ariete - uccello è tale perché chi ‘legge’
sappia subito che c’è del profondo e del misterioso nella stranezza e nulla di
superficiale. Se così è, risulta evidente che il Lilliu ha sbagliato quasi
tutto nell’ermeneutica dei bronzetti, perché essi non hanno, se non
marginalmente, fini artistici. Infatti, storicisticamente essi non devono
essere interpretati con le categorie del bello o del brutto perché l’uno e l’altro
si trovano per fini comunicativi, non 'decorativi', perché danno ‘scrittura’ religiosa. La
creazione di un bronzetto si ha dunque ‘a priori’, lo si immagina sulla base di
ciò che si vuole esprimere di linguistico e pertanto un certo volto con la sua varia espressione,
un cappello particolare, delle corna insolite, una pelle che copre, una coda
irritata oppure no, un saluto ‘curioso’, un doppio scudo, una veste a coda, un
bastone nodoso, gambe tremanti o no, una doppia predella illogica, piedi scalzi
o piedi con calzature, ecc. ecc., costituiscono solo ‘grammata’ funzionali a produrre scrittura criptata che inneggia alla
divinità. La categorizzazione del Lilliu sulla base degli ‘stili’, che ha fatto
tanta scuola e fa ancora scuola, non ha senso perché non risponde ai motivi
reali per cui le piccole sculture vennero prodotte. Se voglio scrivere metagraficamente
con un bronzetto devo, in primo luogo, anticipare e far capire la non ‘normalità’,
l’obliquità o ambiguità di senso di esso, e poi procedere, secondo ben precise convenzioni della scrittura scribale (alto
verso il basso, acrofonia aspettuale oppure attraverso gli oggetti, numerologia,
ecc.), a ‘parlare devotamente del dio’, di quel padre e della madre (‘ab/’am) che mi proteggono e per i
quali forgio il bronzo ‘votivo’. Come abbiamo scritto più volte, detta
‘anticipazione’ si trova anche nella scrittura epigrafica lineare dove l’obliquità, la λοξότης, è nello stesso procedere fortemente
inclinato della scrittura. Il coccio del Nuraghe
Alvu di Pozzomaggiore, la lastrina in ceramica dell’Antiquarium arborense e la stessa famosissima Stele di Nora non
furono scritte da dei balbettanti della scrittura, da dei bambini incapaci di ‘grafein’ seguendo la ‘linea’ orizzontale.
6. Lilliu G., 2008, Sculture della Sardegna , ecc. cit. p. 492.7. ‘Scrittura metagrafica’ è quella chiamata da noi anche ‘scrittura ’con’. Quella cioè che si realizza attraverso, con gli oggetti stessi e i monumenti. Si distingue nettamente dalla scrittura ‘epigrafica’ perché questa si serve di un supporto sul quale riportare ‘sopra’ (’επί) i segni, lineari o pittografici o ideografici che siano. I sigilli di Tzricotu, la stele di Nora, il concio di Bosa, l’anello di Pallosu di San Vero Milis sono, ad esempio, prodotti epigrafici, il presente documento di Vetulonia prodotto metagrafico.
8. Per il primo si veda Sanna G., 2015, YHWH in pittografia? Gerusalemme versus Sardegna; in Maimoni blogspot.com (6 settembre), per l’ altro idem, 2013, Tresnuraghes (Sardegna). La chiesetta campestre di Sant'Antonio e il concio della rete - trappola di yh(wh); in Monte Prama Blogspot.com (22 Ottobre).
9. Gli scribi
nuragici complicano di molto la scrittura metagrafica usando ora l’aspetto per
l’acrofonia ora l’oggetto rappresentato. Per esempio, se un bronzetto raffigura
un personaggio con il bastone bisogna stare attenti e calcolare se l’acrofonia
viene data dall’oggetto ‘bastone’ oppure dall’aspetto, ovvero ‘tiene in mano,
impugna’. Questo giocare o sull’aspetto o sull’oggetto è, come si sa, anche degli attuali cruciverba. Ad esempio,
se si disegna uno che va con la bicicletta bisogna stare attenti se vale ai fini della
comprensione del rebus la voce ‘bicicletta’ oppure l’aspetto ‘pedala’ o altro
ancora.
10. ‘oz עז, la ‘potenza’, come abbiamo detto e scritto tante volte, è una delle voci semitiche scritte più comuni del nuragico. V. Sanna G, 2013, La bipenne nuragica bronzea scritta di S'Arcu 'e is Forros di Villagrande Strisaili e la 'potenza' (עז) di IL YHWH ; in Monte Prama blog (8 Ottobre).
11. Lev 18,6 (nudità, sesso).
La voce si trova criptata (con lettere agglutinate con il pittogramma
antropomorfo) in Tzricotu A3.
L’espressione intera del documento è ‘YHWH HY ‘RWH: yhwh sesso che dà la vita.
12.
znb
è voce semitica (Gdc 15,4) ricorrente
per valore acrofonico metagrafico soprattutto nei bronzetti dei torelli e
dei torellini con la ‘coda irritata a
serpente’. Lascio ai volenterosi
l’afferrare il significato (certo) di znb
+ ‘irritato’ + ‘serpente’.
13. ‘Definitivo’ è ciò che ci sembra tale. C’è però da pensare e sospettare
sempre che la scrittura della ‘λοξότης’ nuragica, in quanto tale, non si
manifesti subito, nasconda sempre qualcosa e che pertanto risulti in realtà
incompleta quella lettura che potrebbe sembrare conclusa. Solo con uno studio
prolungato e sempre più attento al metagrafico, con l’intervento di più
contributi o di più ‘voci’, si potrà parlare, un giorno forse non lontano, di una lettura dei documenti a rebus che possa
essere definita esaustiva. 14. I bronzetti fanno capire, a partire già dal pugnaletto distintivo, che c’è una lettura generale con il segno con un certo valore nella catena fonetica e una particolare, ‘a parte’, con la esplicitazione di tutto il senso racchiuso nell’oggetto specifico. Ad es. la mano del bronzetto nel saluto devozionale ha sempre, da quanto si evince, valore acrofonico di hll e cioè ‘adorare, salutare acclamando la divinità’; ma ne ha anche uno autonomo che si forma in virtù, oltre che della voce hll, della numerologia (parole al posto dei numeri) che suggeriscono le dita. Si capisce solo così quella strana e fissa apertura del pollice mentre le altre dita sono sempre rigorosamente unite (anche quando non hanno ragione di esserlo).
15. Si veda di recente Sanna G., 2016, Scrittura nuragica: il doppiere di Tergu e il rebus delle due ‘fonti di luce’ del Vecchio Testamento (Gen 1,14). Scrittura ‘metagrafica’ e scrittura ‘lineare’; in maimoni blogspot.com (30 settembre)
16. Sanna G., 2014, Stele di Avele Feluskes. I nobili etruschi figli di Tin e di Uni. Scrittura e lingua dei documenti funerari. L'acrofonia sillabica e non, la numerologia e la chiara dipendenza dell'etrusco dal nuragico (II); in Monte Prama blogspot.com (28 novembre).
17. Rispetto alle espressioni nuragiche,
che dicono (come nel nostro caso) della ‘forza’ dell’androgino, gli etruschi
amano dire ‘sostegno certo’ o’ doppio sostegno certo’ del padre e della madre e,
per rendere ideograficamente quella ‘certezza, la garanzia assoluta’ della
salvezza, mettono prima del
‘pulvinar’ (il sostegno, l’appoggio), in un dito del defunto, un
anello con tanto di sigillo certificante.
Qualche volta, come nel caso di fig.4, il sigillo certificante è accompagnato anche
dal certificato.
Finora, la mancata interpretazione di questi manufatti deriva, forse, dal fatto che si ha una concezione di quelle antiche genti molto superficiale; tanto superficiale che anche lo studio rimane tale.
RispondiEliminaSi descrive con minuzia di particolari il “come” è fatto, ma non si entra minimamente nel “perché” è stato fatto in tal modo quel dato oggetto.
Quello portato dal Prof. Sanna è l’ennesimo esempio.
Purtroppo questo “modo di fare” lo ritroviamo in altre circostanze: vedi la “postierla” di Murru mannu e, come vedremo tra non molto, anche in campo archeoastronomico. Si rimane sulla superficie delle cose, non si entra mai nel dettaglio e non si analizza in modo compiuto l’oggetto di studio forse per mancanza di domande.
Domandiamoci sempre “il perché” delle cose. Per ardue che siano le domande, prima o poi le risposte arriveranno.
Sì, Sandro la superficialità è nella cultura archeologica che non riusciva ed ancora non riesce ad immaginare il sentire 'filodsofico-religioso' e il conseguente fare di una civiltà molto progredita e per certi versi assai sofisticata. E' il barbarico di Lilliu che ha impedito, sostanzialmente, l' andare oltre quella superficie. Bastava quasi il nuraghe ad 'occhiometro' e la società economica normale 'feudale' della divisione dei poteri. Con principi che lottavano gli uni contro gli altri per mantenere quel potere sfidandosi con la protezione dei nuraghi fortezza. E' stata la vicenda di Monte Prama, la scoperta delle statue a tutto tondo e la scoperta della scrittura che ha rivoluzionato l'approccio ermeneutico. Certo, si tenta di salvare, com'è costume dell'accademia, il quadro 'consoldato' di riferimento ma tutto traballa paurosamente e non ci sono puntelli e travi che tengano. Gli scavi di Monte Prama, se continueranno, faranno vedere molto di quello che già si scorge della 'vera' civiltà dei sardi dell'età del bronzo. Io come sai, non mi interesso tanto di archeologia se non per quello che basti per le mie ricerche epigrafiche. Ma noto che l'archeologia, consapevole o non, si sta schiodando e sta modificando il tiro a seconda anche (dico 'anche') delle scoperte sulla scrittura. Vedi io non credo di sbagliarmi sul fatto che gli Etruschi debbano non poco del loro modo di scrivere a rebus alla grande produzione e all''attività isolana degli scribi sardi; come non credo di sbagliarmi su di un sincretismo religioso YH/TIN/UNI. Divinità androgina sarda e divinità androgina etrusca. Padre e Madre nello stesso tempo. Il fatto che una civiltà progredita come quella etrusca abbia punti fermi di riferimento nella produzione manufatturiera sarda circa il culto funerario della rinascita vuol dire che la Sardegna aveva elaborato da tempo concezioni sul divino convincenti e affascinanti. L'archeologia si era accorta ma si è pronunciata timidamente sugli influssi sardo -etruschi, ma se avrò ascolto (ora o più tardi poco importa) il quadro storico (non pià protostorico) di una certa parte del Mediterraneo va rivisto. E con i Nuragici assoluti protagonisti. Questo i cretini la chiamano mitopoiesi. Ma non solo i cretini a dir la verità.
RispondiEliminaQuanto alla indagine sui 'perchè' tramite il metagrafico faccio una semplicissima considerazione che può valere più di un tentativo di scardinare il rebus di un bronzetto. Da quando si è scoperto definitivamente con le prove documentarie che il pugnaletto è metagrafico ma anche epigrafico si deve prendere atto che in un bronzetto quel segno è epigrafico o metagrafico e che non può essere l'unico dato scritto del manufatto. Se è scritto è scritto in qualche modo anche tutto il resto. Cosa di preciso dicano il saperlo è fatica terribile di oggi perché, anche se la ricerca parte da vari anni, i primi dati scientifici confortanti ( perché filologicamente irreprensibili) fanno comprendere il codice basato sulla numerologia, l'ideografia e l'acrofonia. Ma quel codice nasconde ancora molto di misterioso. Ecco perché bisogna essere indulgenti sulla possibilità di qualche errore ermeneutico circa i significanti in mix. Ma io sono sereno da molto tempo e non mostro fretta da quando una caro amico semitista, vedendomi sconfortato perché avevo sbagliato circa il nome della divinità scritto in alcuni documenti, mi disse che l'importante è che avessi individuato la divinità in quei pochi segni e in quella stringa di senso. Il nome sarebbe saltato prima o poi fuori. Ecco l'interessante nella ricerca scientifica è l'input. Il primo abbaiare. La muta dei segugi stanerà prima o poi la preda. Credo che sia il caso del metagrafico sia sardo che etrusco.
RispondiEliminaIo non so se hai ragione del tutto con l’acrofonia e con tutta la lettura a rebus, però una cosa te la posso dire: dato che con il libro di Lilliu, così zeppo di figure, si può fare, prima guardo poi leggo; e quando vidi quella pensai: un doppio struzzo? perché il buchino e le zampacce furono la prima cosa che notai. Poi una legge Lilliu, guarda meglio le testine e dice “cavoli, è vero, le teste sono da ariete”;ma se i nuragici erano così attenti a rappresentato il fallo del toro nei bronzetti “singoli”, perché mai qui-nell’ariete, simbolo elettivo di fecondità maschile- non lo hanno fatto? era qualche anno fa, quando ancora ai “mostri” nuragici ci pensavo poco. Tant’è vero che quel “doppio” non lo misi neppure nella figura 5 di questo vecchio post http://monteprama.blogspot.it/2013/06/egitto-e-sardegna-da-quanto-tempo-i.html: in altre parole, incredibilmente, me ne dimenticai, lo archiviai. E come è ovvio con questi reperti così ostici da leggere secondo i modelli standard che aveva in testa o mostrava di avere in testa Lilliu, quella cosa nella letteratura archeologica sarda compare solo una volta: lì; poi fecero come me, lo archiviarono; tanto può la paura ermeneutica davanti ai “mostri”. Quindi se questo oggetto lo si vuole vedere meglio non c’è altra scelta che andare a Firenze, sperando di trovarlo ancora. Con la rotella del Palmavera, che volevo mostrare a mio marito, a me è andata male: per ora al museo di Sassari non è più in mostra, dopo i restauri chissà.
EliminaCiò che è in mostra, sotto gli occhi di tutti e non più archiviabili, sono i mostri di Monte Prama.
Una cosa ti chiedo: mi pare che tu abbia trascurato il fatto che le teste siano proprio d’ariete, avresti letto uguale se fossero state due teste di toro?
E va bene, Gigi, abbiamo abbaiato anche a questa specifica preda, a questo pezzo “araldico” che avrà un’intenzione comunicativa e che risponderà come (le) altre rappresentazioni a un codice comunicativo/linguistico, quello sul quale abbai prima di tutti e più alto di tutti: l’importante è l’input e la muta dei segugi seguirà.
RispondiEliminaDavanti a tutto questo la mia idiosincrasia, in questi discorsi che si spingono nel comunque incognito, per il modo indicativo e per il profluvio di “chiaramente”, “manifestamente” e simili, passa certamente in secondo piano.
Lo stesso, però, non posso fare a meno (se ancora voglio seguire con te e con voi questa materia, come ancora voglio) di avanzare mie personali perplessità: per esempio, se dicessi di vedere delle piume entrerei dritto dritto nella favola dei vestiti dell'imperatore; devo credere che tu,Gigi, abbia potuto vedere il pezzo meglio di quanto non lo vediamo noi.
Mi sfugge poi la logica per cui, di questo manufatto, tra altri dettagli meglio accentuati si dovrebbero interpretare per una lettura acrofonica proprio il sesso (“in generale”) e (ammesso ve ne sia la rappresentazione) la coda (oltre alla lettura che si aggiunge come il prezzemolo, quella della base, predella o appoggio che qui starebbe nelle zampe ... sospese, in realtà, nel vuoto al di sopra della navicella).
Solo poco fa, infine, sono giunto a capire che il buco cui attribuisci il significato di sesso-femminile (che io, con poca fantasia, cercavo di immaginare sotto la figura, mediano) è proprio quella che interpretavo solo una macchia scura al centro del fianco visibile su questo fronte della doppia figura. Torno a sperare, Gigi, tu abbia potuto esaminare il pezzo meglio di quanto possiamo noi da questa foto. Se poi davvero di buco si potesse parlare, nell’ambito degli “incredibili mostri” ci potrà stare anche una cloaca laterale, chissà (magari anche una seconda dall’altra parte …).
Sai bene (te ne ho scritto su Faebook, lo scrivo qui per gli altri) che i dubbi sul fatto si tratti dei corpi di due uccelli contrapposti mi vengono dall’immaginare l’anello saldato al “ventre” di questa figura (quello che, tramite ancora un altro anello, la teneva sulla cima dell’albero): mi chiedo cioè se quello che può sembrare una coda non sia quel che resta, qui attaccato, di quell’anello.
Di nuovo: chissà.
Concordo integralmente, comunque (e a scanso di equivoci), con il commento di Sandro.
Ti ho risposto in facebook. E non ho, in fondo, molto altro da aggiungere e da ripetere come invece fai tu 'per gli altri'. Tu che 'immagini', 'ti chiedi', 'ammetti', 'concedi'. Già, 'interpretavi proprio una macchia scura e non vedevi lo strano cerchietto! L'ho detto tante volte: in tanti guardano ma non sono tutti che vedono. Talvolta a vedere sono in due o tre al massimo. E non mi riferisco solo alla vista degli occhi. Ma io non ci posso fare niente. In apertura di articolo ho diviso subito il 'monstrum' per far comprendere l’'uno in due ovvero l'androgino. Detto questo fammi un piacere: per me e penso, per tutti. Scrivi un bell'articolo e esponi lucidamente quello che per te è quel particolare del bronzetto. Non ci sono piume? Può essere, ma devi dire perché. Non c'è coda? Può essere ma devi dire perché? Non c'è il sesso (il culo dell'uccello) ? Può essere, ma devi dire perché. Non ci sono gambe di uccello, anzi non c’è alcun uccello? Può essere ma devi dire Perché. Non ci sono due mezzi ariete e due mezzi uccello? Anche questo può essere ma devi dire perché? Non c'entra quindi nulla l'androgino Yh e l’androgino Tin e Uni? Devi dire perché. Il mostruoso non c'entra nulla con l'anticipazione della scrittura? Devi dire, perché e quella mia nota devi farla apparire bene come uno sproloquio. Devi insomma interpretare tu, con quello che vedi con tanto acume e che io giudico fiasco quand’è un fischio . Devi fare, se mi permetti, come io ho fatto con Lilliu. Lui parla di decorazione e di motivo araldico. Io dico al mio 'maestro' con franchezza che è una autentica cavolata che non spiega nulla e che lì c'è scrittura ; ma fornendo le prove (quelle che ovviamente a me sembrano prove). Tu come vedi e interpreti? Per te cos'è quello dato per Lilliu come motivo a schema araldico senza spiegazione nessuna? Toca a ti biere bellixeddu miu! Argomenta! Argomenta se vuoi anche su una barchetta, come altre barchette e altro ancora, trovato in una tomba. Ti prego però di non parlarmi di 'corredo' funebre di persone altolocate , senza specificare. Perché allora non proseguirò neppure nella lettura. Quanto ai piedi sospesi l'hdm ( forse il grafico non spiega bene) esso non riguarda i piedi o gli zoccoli o cos'altro sarà) ma proprio il supporto a cui stava attaccato il 'monstrum' che Lilliu non ci spiega bene cosa sia. Un anello, un ponticello? Boh! E ora, al lavoro. Parte destruens e parte costruens, altrimenti ‘picche’! Aria fritta! Non è scienza il cercare di mettere dubbi su tutto. No, non dirlo: non concordi affatto con il commento di Sandro. Lui ha capito molto bene che bisogna andare nel profondo, anche a costo di notevoli rischi. Tu resti nella superficie: culo no e culo sì, piume no e piume sì, uccelli no e uccelli sì, ecc. ecc. Su di una sola cosa hai ragione ma è superfluo e banale il metterla in evidenza. La visione autoptica è fondamentale. Sempre. Sappi che andrò prima o poi al Museo di Firenze. Ma non perché premi o consigli tu. Sono andato in Francia (come sanno tanti amici) per sincerarmi su di una sola lettera 'lineare' di un documento di Glozel , figurati se non bramo sincerarmi circa il tutto di un documento che giudico così importante dal punto di vista metagrafico e della cultura religiosa sarda ed etrusca. Ma ti ho consigliato in face book di pazientare e invece ancora culo sì e culo no! Francesco, Francesco!
RispondiEliminaSandro ha capito (magari meglio di me) che bisogna andare nel profondo, anche a costo di notevoli rischi. Ma non credo ritenga che si debba procedere senza ascoltare nessuno, senza tener conto delle osservazioni e dei dubbi di chi ti segue, senza preoccuparti di spiegare quel che non risulta chiaro. Poi, è naturale, puoi sempre decidere che preferisci il silenzio, che forse e sino a un certo punto è assenso, della stragran parte degli amici; puoi decidere che continuando a seguirti ti rompo abbastanza le scatole, fino a trovare che te le ho rotte definitivamente e chiedermi di lasciarti in pace: ti asseconderei rispettosamente. Sta a te.
RispondiEliminaIntanto, però, è purtroppo facile sottrarmi alla tua sfida (purtroppo, perché troverai che sia svignarsela con un grammo di dialettica), ma è davvero così: la ragione non può andare semplicemente a chi si lanci nella spiegazione di qualcosa di mai compreso mentre gli altri, appunto, nemmeno osano imbastirne una alternativa (e se l’hai pensato per un attimo sarà perché veramente sei infastidito al punto di volermi dire, in pratica, di tacere). Se io non vedo le piume (con tutta la buona volontà; o dobbiamo davvero entrare nella favola di cui sopra?), come faccio a spiegarti il perché? Come faccio a dirti che è magari un pelo corto? E se ti dicessi che è un pelo corto, per assurdo, come la metteremmo? Ti ho detto che quell’ammasso di bronzo sotto il “ventre” potrebbe essere quel che resta del tratto in cui questo pezzo era congiunto a un anello: forse che non potrebbe essere così solo perché io non arrivo a una spiegazione unitaria? Si tratta forse di tirare in ballo (e, nel caso, direi a sproposito) il rasoio di Ockham? Se io dico pelo corto e tu piume, se io dico resto di anello e tu coda, avrebbe ragione solo chi riuscisse a documentare oggettivamente quanto sostiene, ammesso che questo risulti possibile. Io, tra l’altro, non ho interesse a dimostrare le mie ragioni, ho interesse a che tu dimostri le tue, o in alternativa a che tu non ti esponga oltre un certo limite nel sostenere (con tanto di indicativi e fior di avverbi) ragioni che possono giudicarsi insufficienti e magari, alla prova dei fatti, sbagliate.
Sei come un subacqueo che si addentra tra le diramazioni di una grotta, sai bene che devi procedere lasciando scorrere dietro di te una sagola di sicurezza che ti eviti di perderti e di non ritrovare la strada (tu diresti, penso, che è la sagola della filologia), una sagola che in aggiunta è bene che all’altro capo qualcuno tenga ben salda, a evitare che dietro di te possa tagliarsi su qualche asperità. Così, attraverso questa sagola, si mantiene un contatto fatto di strattoni, da una parte e dall’altra, che dicono si è ancora in sicurezza e vigili. Ci fossero ben altre mani a dare questi strattoni io mi godrei semplicemente gli scambi prodotti da questa salutare dinamica. Purtroppo, invece, siamo qui tra noi, non granché attrezzati (ammettiamolo), e io mi ritrovo a sincerarmi di questa sagola. Ma se questi miei strattoni ti danno troppo fastidio, lascio pure il ruolo a mani evidentemente più delicate. Scegli tu cosa ti serva meglio.
"Scegli tu cosa ti serva meglio"? Ma scusa, ma come ti permetti di parlare così? Gigi non ha bisogno di servitori, tantomeno ne ha l'argomento scrittura nuragica: ha bisogno di studiosi che interagiscano in modo dialettico, ha bisogno che si rompa il silenzio che si percorrano strade e momenti dove gli studiosi si incontrino e parlino. Non di strategie volte a qualche "causa", la scienza non va avanti così. E quando va avanti così si sporca e si arena per troppo marciume. Guarda cosa è successo, o meglio non è successo con la navicella di Teti: è l'emblema stesso del silenzio su questo argomento.
EliminaComunque se proprio vuoi una strategia te la dico io: mantieni la tua promessa.
E adesso dimmi pure che sono aggressiva, ma io di questi commenti ne ho abbastanza.
Cara Atropa, sarà al fondo colpa mia, vedo senza sorprendermi che le tue difficoltà a capirmi continuano. Sembri condizionata da questa antica sensazione che tutto quanto io pensi e scriva guardi a una strategia, a un piano strategico, e così continui a interpretare ogni mio commento (in qualcuno dei quali, è vero, a proposito di strategia ho messo del mio, ma non certo pro domo mea, credo in assoluta trasparenza, avrei detto anche laddove il tema era opportuno e comunque in assoluta buona fede). Qui, però, credo di aver ragionato semplicemente di metodo, metodo sul quale non mi permetto, lo dico subito da me, di aver niente da insegnare né a Gigi e né, tantomeno, a te. Solo questo volevo provare a chiarire, anche senza granché speranza di riuscirci.
EliminaPer il resto va bene, saprò mantenere la promessa. Promessa che però, applicandosi, avrà (temo) un portato spiacevole (spiacevole almeno per me): astenermi dal commentare articoli come questo, lasciando il campo (come chiedete) a studiosi che vogliano e sappiano confrontarsi portando le proprie interpretazioni, significherebbe un silenzio-assenso (o così io lo avvertirei) soprattutto nel momento in cui in altri articoli su questo blog continuassi invece bellamente a intervenire (e si sarà capito come non mi piaccia o non mi riesca sostenere il silenzio che suoni assenso quando non concordo o non sono convinto).
Questa, figuriamoci, non è una minaccia, è solo una spiegazione che avverto dovuta a un gruppo di persone che tutte rispetto, che in larga parte ho potuto stimare e con non poche delle quali mi sento certamente legato anche da affetto.
No, non ci capiamo: io mica ti sto accusando di avere strategie, quelli sono fatti tuoi. Ti sto dicendo che stai ingiustamente suggerendo che ne abbia o ne debba avere una Gigi, o la ricerca in genere. La ricerca è solo ricerca, grazie al cielo. Quel tuo "Scegli tu cosa ti serva meglio", è davvero fuori luogo, non c'entra nulla.
EliminaPazienta Francesco, il risultato non può venire solo da uno o due esempi, per quanto il metagrafico è assodato che esiste a motivo della prova 'regina' ovvero quella del pugnaletto che non ha solo il 'gamma', visto dagli archeologi, ma anche tutto il resto. Il risultato può venire da più raffronti e più confronti tra documenti. Quello che trovi in uno (la coda o le penne o il deretano che sia) puoi trovare in altri. Per darmi ragione sul pugnale non è bastato il mio abbaiare (tra gli scherni dei cretini): c’è voluto un pugnaletto inserito nella scrittura lineare. E non una ma due volte! Ora, hai visto tu qualcuno che da quando è stata fatta questa fondamentale scoperta si sia messo con il ‘fiuto’ suo per aiutare anche il mio a stanare definitivamente la preda per offrirla al banchetto comune? Credo di no. E dal momento che ami usare e ripetere metafore (quella della ‘cordata’ l’hai già adoperata circa la tua amichevole ‘preoccupazione’) ti prego di tenere in pregio anche la mia sul branco dei segugi. Io penso che quando ci si lancia in un’avventura di caccia bisogna tener conto di tre possibili accadimenti:
RispondiElimina1) la preda non esiste e pertanto è inutile fiutare qui e là con un abbaiare magari fasullo. Tempo perso.
2) La preda esiste ma è assai difficile da stanare. Ci vuole tempo.
3) La preda esiste ma è tanto scafata che tentare di scovarla è impossibile o quasi. Ci vuole moltissimo tempo.
Ebbene, fuor di metafora, la ricerca sul metagrafico non credo che sia tempo perso. Per i motivi suaccennati. La preda esiste ma non sappiamo quanto tempo ci vorrà, se molto o moltissimo. Il bel cinghialone potremmo portarlo in trofeo fra qualche mese oppure tra anni e anni. Chissà! Non lo sappiamo.
Per questo cosa si fa? Nessun segugio in caccia smetterà mai di mettere il naso per terra e userà tutto il suo fiuto, a prescindere. E se la preda c’è abbaierà trascinandosi dietro la muta degli altri segugi. Ma nessuno di questi, se veramente segugio e conta sul fiuto suo e non solo su quello altrui, mai seguirà il primo che abbaia, magari biasimandolo e ‘dicendo’ continuamente ‘non qui ma lì’, ‘a destra non credo e a sinistra non penso’ , ‘più avanti no ma più indietro sì’, ‘corri troppo e finisci per stare solo’, ‘più traccia qui che là’ ecc. ecc. . Se veramente tiene alla preda (ed è la cosa che solo conta) concorrerà con il suo olfatto prendendo direzioni diverse perché sa che non è il primo abbaio che va preso in considerazione, per quanto autorevole. Ancora fuor di metafora, un amico che si appassiona e si interessa anche lui della ‘ricerca’ metagrafica, se a questa crede e la ritiene esistente, aiuterà il proprio compagno dicendo la sua ed entrando nel merito perché ogni contributo è utile a far capire quello che molto difficile da capire, da mettere in luce nascosto com’è. Per farti un esempio: G.Ugas ha avuto un certo fiuto (rara avis o raro segugio) tra gli archeologi nel prendere in considerazione l’esistenza della scrittura nuragica. Ha ‘abbaiato’ come ha voluto e potuto ma io non sono d’accordo sulla direzione che ha preso sull’interpretazione e l’origine di quei segni. Ma io non gli dirò solo ‘dubito su di questo’, ‘questo non si può dimostrare’, il ‘tal segno non è possibile’, la ‘lettura è aleatoria’, ‘la direzione della scrittura può essere questa o quella’, e così via: entrerò nel merito abbaiando secondo il mio fiuto e le mie forze e prendendo una direzione diversa e spiegando per benino perché la prendo. Non è detto poi che quella direzione sia quella giusta e confido in altri che mi facciano ben capire perché non è giusta. Anzi mi auguro che ci sia perché solo così, di fiuto in fiuto, si arriverà (anche fortuna permettendo) alla agognata ‘verità’ di caratura superbamente scientifica. Ecco, il particolare del bronzetto nella sua ‘verità’ ermeneutica ha bisogno di uno che dica ‘in rebus’ quello che io non sono riuscito bene a dire e veda quello che io non ho ho visto o visto male, non di critiche generiche. Uno mi deve chiarire se ho finito la lettura acrofonica, se c’è dell’altro da aggiungere o qualcosa da togliere, se e perché non esiste nulla di fonetico. Anche perché nel mio laboratorio nessuno può entrare e non sa cosa magari scarto perché apparentemente irrilevante, banale o molto ‘rischioso’ (tra il già rischioso). Per darti l’idea (se serve) di come procedo: la voce ariete acrofonicamente mi dà ‘aleph da ‘yl e i due arieti mi rendono per traslato in nuragico la consonante ‘b’. Ma gli arieti sono due e uno potrebbe servirmi ancora per una ‘aleph’ che andrebbe ad unirsi a ‘msnh’, parola che vuol dire ‘coppia’. Se lo scriba è stato così malizioso usando ora ‘due’ arieti ora ‘coppia’ di arieti ha reso le parole ‘ab e ‘am senza che nessuno lo possa subito avvertire. Il ‘padre’ e la ‘madre’ (l’androgino) farebbe al caso nostro. Ma per dimostrare ciò ci vogliono riscontri. E non uno o due. Ma attenzione al ‘padre’ e alla ‘madre’, alla forza di essi anche nella scrittura criptata dei coperchi (e forse non solo) dei sarcofaghi. Ma, esito e non so decidermi sull’esistenza o meno delle due voci. Quindi ti ripeto, abbi pazienza. Non basta certo la lettura del doppiere di Tergu (che pur hai approvato) e non basta il pugnaletto votivo. Ci vuole altro, tanto altro. E non preoccuparti anche perché, ammesso che ci fosse un fallimento nella ricerca, anche il più disastroso, esso deve essere accolto sempre da un sorriso di indulgenza e non da una malevola risata. La ricerca è ricerca. L’esito lo conosce solo Iddio.
RispondiEliminaSilenzio assenso?
RispondiEliminaNon sempre il silenzio significa assenso, anche nei fatti quotidiani della vita. Certe volte silenzio significa rifiuto, rigetto, o altre cose ancora.
Qui in particolare, il silenzio, il mio in particolare, significa solamente una presa d'atto di quanto esposto, l'acquisizione di una conoscenza o ipotesi di conoscenza, come vuoi, senza che abbia gli strumenti per approfondire, né il dubbio su qualche punto su cui chiedere maggiori spiegazioni.
Così faccio, per esempio, di fronte a nuove scoperte (ipotesi nuove su acquisizioni recenti) di tipo astronomico o astrofisico: le leggo tutte perché mi appassionano, ma non possiedo la cultura per approfondire, né chiedo maggiori spiegazioni per le quali, molte volte, non esiste alcuna possibilità reale.
Ecco perché, alcune volte, i tuoi interventi mi spiazzano e non li comprendo, pur riconoscendo la tua buona fede e non rinnegando la simpatia, se non l'amicizia.
Anna Depalmas riporta nel suo lavoro "Depalmas, Anna (2005) Le Navicelle di bronzo della Sardegna nuragica. Cagliari, Ettore Gasperini editore Società poligrafica sarda. 395 p.: ill. (La terra dei re). ISBN 978-88-8894-380-9." un disegno di quella navicella al museo di Firenze. https://core.ac.uk/download/pdf/11693312.pdf
RispondiEliminaNella tavola 46 e a pag. 82; Lilliu non riportò l'asta di connessione, forse non ne conosceva l'esistenza: non c'era un anello che univa navicella e "mostro", c'era una sorta di asta-per di più snodabile. Dal disegno non è chiarissimo, ma così scrive la Depalmas: " Dentro l'anello di sospensione, saldato ad esso a causa dell'ossidazione, vi è un frammento di ferro appartenente probabilmente all'anello di base di un'asta costituita da due segmenti cilindrici, in origine snodata grazie ad un giunto che unisce le due parti. L'estremità superiore dell'asta è collegata ad un elemento zoomorfo di bronzo costituito da due protomi d'ariete contrapposte e unite tramite il dorso a profilo concavo; parte anteriore dei corpi a profilo convesso e sezione triangolare; capo con breve muso assottigliato e arrotondato, corna, sui lati del capo, ritorte a ricciolo chiuso. Ciascun mezzo animale ha due lunghe zampe a sezione semicircolare e piedi ellittici."