La rubrica di Maymoni

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venerdì 21 ottobre 2016

Da Santu Antine e da Monte Olladiri. Litterae infelices, lectio nulla. Ma, in fondo, fa poco o niente: sempre scrittura è. Nuragica.

Fig. 1
Se si sbagliano clamorosamente le lettere, se si fraintendono i segni è evidente che la lettura o risulti  sbagliata oppure che nessuna lettura possa esserci che possa avere senso. Giovanni Ugas nel suo saggio sulla scrittura nuragica (1) affronta con decisione (e coraggio) il tema della scrittura arcaica dei sardi (2) facendo vedere agli scettici o ai negazionisti a priori, della sua esistenza. Servendosi di non pochi documenti (una sessantina). Forse qualcuno ricorderà che già qualche tempo fa,  abbiamo sottoposto ad esame critico  epigrafico e paleografico una lettura dello studioso circa  una iscrizione da Nuraxinieddu (3) dove la scrittura era sì nuragica ma, secondo noi, fraintesa notevolmente sia nell’individuazione delle lettere sia nella direzione della scrittura.
Oggi prendiamo in esame ancora dei documenti esaminati dallo studioso e ritenuti sempre ‘scrittura nuragica’. Sono due brevissime scritte che provengono rispettivamente da Santu Antine e da Monte Olladiri. I grafemi sono tracciati su ceramica come si può vedere dalle didascalie del fig. 1 (frammento di olla e  secchiello fittile).

Esaminiamoli i testi,  uno per volta.
   Come ognun vede il resto dell’olla di Santu Antine reca incisi quattro segni lineari, non tutti della stessa grandezza ma riportati con sufficiente precisione rispetto alla  ‘linea’ immaginaria che coincide con la stessa  del colletto del recipiente. A partire dalla sinistra Giovanni Ugas intende così i ‘grammata’:  una ‘I’, una ‘chi’, una ‘pi’ (o una ‘lambda) e infine una ypsilon. Scrive quindi ICHPU (o ICHLU). La sua base di partenza per il riconoscimento di vocali e consonanti è un alfabeto con segni di tipologia greca (4) e  pertanto si ipotizza anche che la lettura debba seguire il modo destrorso (ma non certo quello arcaico!) di scrivere dei greci da sinistra verso destra. Ma così facendo non ne vien fuori nulla di sensato. Solo un pasticcio:  le lingue, classiche e non, non  sanno proprio che farsene di un ICHPU o di UN ICHLU. Motivo per il quale si innalza la ‘crux desperationis’ e si affida ‘volentieri’ (così si dice) alla preparazione e alla sagacia dei glottologi la spiegazione di una parola (o più parole) che si ritiene, evidentemente, comunque sicura o abbastanza sicura. Lui per ammissione è solo un archeologo epigrafista, mica un linguista!

    In realtà le cose non stanno così e la lettura della scritta risulta nulla semplicemente perché sono state fraintese tutte, ma proprio tutte,  le lettere. Infatti ci troviamo di fronte a dei segni del codice nuragico a sua volta influenzato da codici di tipologia semitica, particolarmente dal cosiddetto ‘protocananaico’ (5) . Un codice, quello nuragico,  con variazioni di lettere che spesso sono omofone ma non omografe secondo il gusto o il lusus di scrivere, anche ai fini di cripticità, dei nuragici. Esse sono, partendo dalla destra, una ‘yod’, una ‘hȇ’, una seconda ‘hȇ’ e un secondo ‘yod’. I 300 e passa documenti (ma aggiunti a quelli di Ugas, ovviamente, sono molti di più), trovati in una nostra ricerca di venti anni (6) circa,  da noi inventariati per la pubblicazione di un  ‘corpus iscriptionum’ , danno il primo segno attestato per 31 volte,  il secondo per 21 volte, il terzo per 25 volte, il quarto per 48 volte. Sono quindi segni molto comuni ma talvolta, mantenendo sempre lo stesso suono consonantico,  sono ‘variati’ nell’andamento schematico lineare e, soprattutto,  nella loro pittograficità. Ad es. una yod a ‘forcella’ può essere con la ‘forcella’ rivolta verso l’alto, oppure obliqua, oppure orientata verso il basso. Tre esempi (figg. 2-3-4) con documentazione, la scritta di Aidomaggiore (7), la tavoletta A3 di Tzricotu di Cabras (8), la pietra di Villamassargia (9),  pensiamo che bastino (v. anche tab.1) per chiarire  il dato della ‘variatio’ di orientamento segnico. Non dissimile in fondo da quello che accade quando troviamo in periodo, arcaico e non  (10),  una ’aleph ruotata di trenta, sessanta o novanta gradi (v.tab.2)

 
Fig.2                                                                                                   Fig.3  

Fig.4
trascrizione  e segni fonetici
 
Tab.1
Tab.2.

Tab.3
Fig.5

     Per la lettera ‘he’ (terza lettera in sequenza della nostra lettura) essa non è nient’altro, a nostro parere,  che il segno,  estremamente schematico (a bambolina), che il nuragico possiede in una notevole varietà di forme, pittografiche e meno pittografiche (v. tab. 3). Nella stessa forma, quasi  precisa, si riscontra un’altra volta in posizione di rilievo finale (fig.5) grazie alla documentazione apografa fornitaci da Pietro Lutzu nel suo, ormai noto, dattiloscritto sulla scrittura nuragica (11). Il secondo segno, ritenuto (faticosamente) una ’pe’ o ‘una lamed’ è invece una ‘hȇ’, come si dimostrerà (forse) anche grazie al documento di Monte Olladiri. Risulta solo scritto con una ‘sbavatura’ che ha fatto sì che il tratto  obliquo a destra del segno ‘Λ’ sia stato traslato verso l’alto (12). Oppure, cosa meno probabile, può essere accaduto che lo ‘stilo’ dello scriba nuragico nel ‘graffiare, incidere ’ (grafein) ha spostato lievemente il tratto perché non andasse unito al segno precedente, creando così una incomprensibile legatura.  Tuttavia, anche se noi dovessimo omettere il ‘gramma’ nella catena fonetica, esso si otterrebbe per via indiretta a motivo del senso che sembra risultare possibile se solo si presta orecchio a quello che tante volte si è detto sulla ‘religio’  dei sardi nuragici e sulla loro specifica divinità.

Quanto al ‘gramma’ finale, la ‘yod’ ad asta verticale, il numero dei documenti nuragici che la riportano (più o meno obliqua a destra e a sinistra) quasi non si contano più. Facciamo due soli esempi documentari (figg. 6 e 7), ma molto importanti, come quelli che riguardano il nome stesso della divinità riportato secondo lo schema I Λ o I ΛΛ  che coinvolge anche la nostra lettera in seconda posizione:

Fig.6
                                                                                      

     

     






Fig. 7                Trascrizione

    
      Se noi, trascrivendo, riportiamo Y [.] H Y, otterremo, partendo dalla destra, YH [.] Y. Avremo  cioè il nome della divinità seguito da una seconda voce di due consonanti. Questa non può che essere, secondo noi, l’attestato ‘hy’ (13) che significa’, come sappiamo, ‘vivificante, che dà la vita’, una delle specificazioni di YHWH creatore. Ma attenzione! La scritta non risulta banale, non è solo comunicativa ma anche espressiva: è ben pensata e prende vigore e pregio, così ricostruita, dal fatto che risulta chiaramente palindroma, potendosi leggere indifferentemente da sinistra verso destra o da destra verso sinistra. A ben vedere non è nient’altro che l’esplicitazione del nome dell’androgino  (= ) che può essere letto (v. tab. 4) ugualmente da entrambe le direzioni  e scritto anche in modi diversi mantenendo sempre gli stessi grafemi omofoni.

tab.4
    Quindi Ugas fa bene a mostrarci scrittura nuragica (non fosse per altro perché essa è ‘oggettiva’ ed insiste al di fuori di ogni dubbio (14) per autenticità su manufatti nuragici) ma purtroppo non la intende né epigraficamente né paleograficamente per forti pregiudizi, diciamo,  di natura epigrafico storica (15),  Da ciò il fraintendimento e la inevitabile  ‘nulla lectio’. Mentre invece essa è possibile se solo si prende la nostra tabella dei 22 segni ricavata da centinaia di documenti di scrittura nuragica risalenti ad un lunghissimo periodo che va dal XVI secolo a.C. al III secolo d.C. (16). Bastava che lo studioso, senza preconcetti causa di esclusioni, desse solo una sbirciatina ad un repertorio che oggi sembra non subire sostanziali variazioni e che ormai è noto da quasi un decennio (v. tab. 5 e 5 bis ). Una lettura inoltre il cui senso va a confermare ed arricchire il lessico semitico riguardante le qualità e la natura della divinità e cioè YH o YHWH che si voglia chiamare.   




Tab. 5   e Tab. 5 bis

Prendiamo ora la scritta del secchiello di Monte Olladiri.
    Si noti che anche qui l’Ugas legga nello stesso preciso modo da sinistra verso destra, individuando tre segni greci; una vocale  ‘I’ , una  consonante ‘chi’ e una consonante ‘mi’(o Sh) . Sicuramente pensa, per  quest’ultima, anche ad un ‘sigma’ greco arcaico rifiutando, ci sembra di capire  la ‘shin’ ‘semitica’ (di tipologia 'fenicia'  ma rovesciata)  per i detti pregiudizi.

    Anche qui, evidentemente, bisogna pensare diversamente sulla natura precisa dei grafemi; anche  perché stavolta c’è un dato fondamentale come quello che che caratterizza la scrittura nuragica a rebus. Quello dell’obliquità. Non è un caso che l’ Ugas sia stato costretto a raddrizzare la scritta e a porla su di una linea perfettamente orizzontale e non obliqua. La λοξότης, ormai l’abbiamo fatto vedere (v. fig. 8 -9 -10)  e spiegato più volte (17), è accorgimento scrittorio di scuola a cui lo scriba nuragico ricorre quando si rende conto che il testo è scritto 'in difficile' e quasi impossibile da interpretare e pertanto vuole avvertire sulla ambiguità della scritta o di parte della scritta presente nel testo.

  

                     Fig. 8                                                      Fig. 9                                                 Fig.10

Infatti, non c’è scritto ICHS , sequenza che non ha senso, ma c’è scritto invece quello che di senso nascosto dà il grafema in forma di  ‘shin’. Ma andiamo per ordine sulla lettura del testo.   
   A partire dalla sinistra si trova, come in Santu Antine,  non una vocale ‘I’ ma una consonante ‘yod’, non una consonante ‘khi’ ma una consonante ‘hȇ’ semitica (con lo schema più rigidamente angolare, leggermente variato rispetto alla ‘hȇ’ della scritta precedente) e per ultimo un segno  ‘shin’ oppure  da interpretare, ma secondo filologia ovvero secondo raffronti e riscontri, i più ampi possibili, circa la documentazione nuragica e circa la natura e la composizione dei significanti fonetici. Se si tratta di una ‘shin’  si potrebbe ipotizzare, cosa normale nella scrittura nuragica in mix (18), la presenza di un segno lineare con valore logografico e non consonantico. In relazione a ciò potremmo trovarci di fronte all’espressione yh sh(msh) e cioè ‘sole, luce di yh’. Ma, sempre secondo il modo criptato di scrivere dei nuragici potremmo vedervi anche un agglutinamento dei segni  a zig - zag (19) FMF  che renderebbe  la parola ‘hyh’ (vivere, esistere) oppure ‘hy’ + ‘he’ (lui che dà la vita). In questo secondo caso ci troveremmo con una espressione praticamente identica, come senso, alla prima: YH HYH. Composta da cinque consonanti e non da quattro, di cui tre in legatura. La prima interpretazione però  ci sembrae da preferirsi perché la ‘shin’ , come la scritta, è obliqua e a serpentello. Se la loxoths (λοξότης) ci avverte che la ‘shin’ è ‘ambigua’ perché logografica (20) e non consonantica e che, ancora, il segno a zig zag è segno riferibile al serpente, avremo ‘SH’ (= shemesh) + il pittogramma serpente che, come, sempre, è segno di ‘wlm עולם    (continuità, immortalità). Avremo quindi ‘yh sole eterno’    yh shemesh ‘wlm יה שמש עולם.

Se poi, seguendo rigorosamente la ‘griglia di Sassari’, diamo valore al numero dei segni avremo, partendo da sinistra,  ‘tre’  yh  shmsh  ‘wlm:  Yh  sole (luce) immortale lui. Leggendo da destra invece si ottiene 'Lui sole (luce) eterna che dà la vita' ( he shmsh 'wlm  hy ). Se così fosse si noti che si ricavano  due espressioni complementari. In una si dice che 'yh è luce immortale' nell'altra che quella luce 'dà la vita'. Naturalmente, per coerenza,  dovremo scrivere, aggiungendo la numerologia anche per il documento di Santu Antine , ‘quattro yh hy/ yhhy (forza di Yh hy)’. Così operando  il senso del testo risulterebbe più sicuro ancora perché i nuragici amano costruire la frase (formulare) mettendo in incipit la voce ’z עז (forza, potenza, toro, fallo): ad esempio (v. fig.2), nella stele di Aidomaggiore, si ha  toro, fallo, potenza (il supporto) della luce (NR) di yhwh.  
    Altre soluzioni, per ora, non vediamo. Naturalmente soluzioni che non solo diano un minimo di senso dal punto di vista linguistico ma che, soprattutto, siano in sintonia con quanto sappiamo oggi (21) sulla religione nuragica e sugli oggetti in ceramica, in bronzo o in pietra che di lui parlano riportandone il nome o il pronome o le sue qualità. In ogni caso, resta il fatto che sia in Santu Antine sia in Monte Olladiri abbiamo delle sequenze  o delle singole lettere dove è presente, con ogni probabilità,  il nome della divinità sarda (22).

     Per concludere. I ‘grammata’  dei due  oggetti in ceramica presentati da Giovanni Ugas non hanno nulla a che vedere con quelli degli alfabeti greci post-fenici. Sono ‘grammata sardȏa’ che si trovano attestati ampiamente, alcuni con delle leggere o leggerissime  variazioni, nel repertorio dei segni adoperati dai costruttori dei nuraghi. Bisogna stare molto, ma molto attenti circa la loro tipologia perché a prima vista (soprattutto nel periodo più tardo, dal V secolo a.C. in poi) ) possono trarre in inganno in quanto  sembrare ( su sbrigativa base repertoriale) molto vicini a quelli degli alfabeti classici (si pensi alla sola  ‘I’ che sembra una vocale greca o latina quando invece è una comunissima ‘yod’ consonantica). Ne vedremo altri di documenti presentati dallo stesso studioso come contenenti lettere del repertorio classico quando invece sono prettamente nuragiche. Detto ciò però, nella sostanza, forse è il caso di affermare  che non esiste insanabile contraddizione tra la nostra ricerca e quella dell’Ugas. Perché si ha la consapevolezza che si tratta di segni e scritture solo nuragici. Di ispirazione certamente esterna ma adoperati in loco. La contraddizione a nostro avviso  sussiste solo perché l’Ugas, nonostante l’evidenza, si ostina a considerare i segni come influsso degli alfabeti classici anche se non ricava nulla sul piano linguistico. Noi invece (grazie alla consistente  documentazione che gode, per quantità, anche dei ‘prodotti’ del complesso codice metagrafico) insistiamo nel dire che quei segni partono da molto lontano, sono pregreci, sono semitici e appannaggio di una ben precisa divinità. Insistiamo, ricavandone non solo molto di paleografico ma  ‘anche’ molto di linguistico. I segni fanno parte di una scrittura scribale di sacerdoti parlanti una lingua di matrice indoeuropea ma scriventi con il linguaggio della ‘letteratura’ colta semitica di origine cananaica; sono scribi  che sanno bene, per consolidate convenzioni di scuola, come nel caso sia di Santu Antine  sia di Monte Olladiri, come usare in modo assai sofisticato il codice  per ‘formule’, variandolo e rendendolo consono alla ‘sacralità’ degli oggetti religiosi. Come abbiamo detto tante volte - respingendo fermamente teorie non scientifiche e di seconda o terza mano, abbandonate dalla scienza epigrafica moderna - niente c’è di laico, di palaziale, di economicistico in quella originalissima scrittura a rebus. Tutto è a gloria del dio androgino celeste e dei suoi figli divini che lo rappresentano in terra. Sempre per YH e ancora per YH. Sempre per yhw o yhh o yhwh. Quando non è, più semplicemente, per ‘y’. Curiosamente (e incredibilmente)  il nome di dio (voce precedente a quella di ‘El)  del noto passo del Paradiso dantesco (23).    

Note ed indicazioni bibliografiche
1. Ugas G, 2013, I segni numerali e di scrittura in Sardegna tra l’Età del Bronzo ed il I Ferro, in Tharros Felix 5, a cura di A. Mastino, P. G. Spanu, R. Zucca. Roma Carocci pp. 295 -377.
2.  Questa scrittura chiamiamo per comodità ‘nuragica’ perché codice proprio, usato per tantissimo tempo, dai costruttori dei nuraghi. Anche quando i nuraghi non si costruirono più il codice ‘nazionale’, basato su ben precise convenzioni (v. la cosiddetta Griglia di Sassari) continuò ad essere applicato. Esempio eclatante di ciò si ha nella pietra scritta, custodita nell’Antiquarium arborense di Oristano, con tenore relativo al  culto funebre e alla ‘religio’ di yhwh. Essa, con λοξότης (scrittura obliqua) e mix consonantico - linguistico (sardo semitico, etrusco e romano) fu rinvenuta in una necropoli del III secolo d. C. 

3. Sanna G., 2015,  SCRITTURA NURAGICA DA NURAXINIEDDU: LITTERAE INFELICES, LECTIO INFELICISSIMA; in Maimoni blogspot.com (26 maggio).

4. Ugas G., 2013, I segni numerali e di scrittura in Sardegna, ecc. cit. , passim.
5. Sul cosiddetto ‘protocananaico’ abbiamo detto più volte. Detta scritta richiama per il mix (caratteri arcaici con caratteri più recenti, pittogrammi  misti a segni lineari, ecc.) ) il ‘protocananaico’ dei documenti siriani e palestinesi. Per questi ultimi si vedano Amadasi M.G., 1998, Sulla formazione e diffusione dell’alfabeto, in Scritture Mediterranee tra il IX ed il VII secolo a.C. Atti del Seminario (a cura di Bagnasco Gianni G. e Cordano F.) Università degli Studi di Milano. Istituto di Storia Antica (23 -24 febbraio).
6. Detta ricerca inizialmente fu condotta dal sottoscritto e dal compianto Gianni Atzori (fino all’anno 2001). Successivamente fu accompagnata dall’attività di diversi collaboratori (docenti universitari, guardie forestali, dilettanti e appassionati di archeologia, corsisti dei ‘Corsi di Epigrafia nuragica’, ecc.). Essa continua tuttora proficuamente come dimostrano le nostre pubblicazioni (ma non solo le nostre) di questi ultimi anni e mesi.     
7. Sanna G.,2013,  Aidomaggiore (Sardegna). Il tetragramma/crittogramma di YHWH per la prima volta nella storia della scrittura; in Monte Prama Blog ( 27 maggio) . 

8.  Sanna G., 2004, ‘ag ‘ab sa’an yhwh. Il dio unico del popolo nuragico, S’Alvure ed. Oristano, passim; in particolare cap. 4, pp. 117 -120


9. Sanna G., 213, Villamassargia: il 'protocananaico' per un altro santo nuragico della Sardegna; in Monte Prama Blog ( 11 giugno)

10. L’uso delle consonanti, pittografiche o meno, dura per oltre 1500 anni. Possiamo chiamare periodo ‘arcaico’ quello compreso tra il XVI secolo a.c sino al VI –V secolo a.C.  e ‘recente’ quello compreso tra il V secolo a.C. sino al III secolo d.C.
11. Sanna G., 'BUON NATALE' DA PIETRO LUTZU (1859 - 1935), UN SOLITARIO PIONIERE DELLA RICERCA DELLA SCRITTURA NURAGICA, in Monte Prama Blog Spot.com ( 16 Dicembre).
12. Se si osserva il tratto è, per lunghezza, corrispondente a quello di sinistra e contrapposto ad esso.
13. La testimonianza più esplicita si ha in Tzricotu A 3 dove, con l’accorgimento dei tre agglutinamenti, si ha un’ ulteriore lettura del sigillo: YHW HY ‘RWH ( YHW sesso che dà la vita),  

14. Come archeologo si rende lui garante della bontà di tutta la documentazione. Il fatto è però che lo studioso non cita un documento che un documento epigrafico che stia al di fuori, nonostante prove di autenticità incontestabili, di quella presunta garanzia. I cosiddetti ‘cocci di Orani’, la barchetta fittile di S’Urbale Teti, il coccio del Nuraghe Alvu di Pozzomaggiore (v. fig.8), il coccio di Selargius, la pietra di Villamassargia (v.fig. 4) e quella di Aidomaggiore (v.fig.2) sono esempi, con la loro esclusione ingiustificata,  di un uso distorto e molto soggettivo della documentazione. Se così si facesse, nelle università siriane e palestinesi la non ‘garanzia’ e il sospetto continuo avrebbero impedito e paralizzato totalmente lo studio dell’epigrafia e della paleografia in quel territorio. Le provenienze, come si sa, sono quasi tutte ‘ignote’ , decontestualizzate e raramente costituiscono materiale (reperti) certo di scavo.   

15. All’ Ugas non viene minimamente il sospetto che tutta la ormai imponente documentazione (non più, pena il ridicolo universale, accusabile di falso)  abbia radici ben profonde in ‘casa’ anche se esse partono da codici consonantici semitici della prima metà e della seconda metà del secondo Millennio a.C. Pertanto, a costo di ‘addomesticare’ più o meno disinvoltamente il dato epigrafico-paleografico, usando talvolta il letto di Procuste, riporta tutto all’alfabeto greco e in particolare all’euboico. La lettura delle due scritte di Santu Antine e di Monte Olladiri sono un esempio di un’ermeneutica spesso  ‘a occhiometro’, modernizzante e per nulla convincente. Anche perché storicamente dove stanno, quali sono le prove storico -archeologiche, di contatti così intensi tra il IX e il VIII secolo a.C. tra i nuragici e gli euboici? Tali da giustificare  l’input del codice pressoché  ‘unico’ greco di scrittura nuragica?
16. I primi documenti con scrittura pittografica, ideografica e acrofonica sono le cosiddette ‘statue’ stele del Sarcidano, l’ultimo  (ma oggi sospettiamo che non lo sia ) è la pietra, con avvertimento in λοξότης, dell’ Antiquarium arborense di Oristano.

17. Si veda ad esempio Sanna G., 2016, Antiquarium arborense di Oristano. La tarda scritta nuragica tharrense della luce salvifica per il figlio (non nominato) di Yhwh. Il 'segno' complesso della λοξότης (obliquità); in Maimoni blogspot.com (26 gennaio).

18. Sanna G., 2011, Scrittura nuragica: ecco il sistema. Forse unico nella storia della scrittura; in Monti Prama. Rivista semestrale di cultura di Quaderni Oristanesi, n° 62, pp. 25 - 88.
19. Sempre di più ci si rende conto dalla documentazione che i cosiddetti segni a zig - zag , a serpente, notano graficamente (v. fig. 6) il nome della divinità yh. Reiterati, più o meno serpentiformi,  alludono alla ‘continuità’ e quindi all’immortalità. 
20. Cioè, l’acrofonia non dà consonante ma l’intera parola. Un esempio molto interessante di ciò si ha nella Stele di Nora dove nella riga centrale e al centro di essa sta la sequenza ‘h ‘A’ che significa ‘lui toro’(Sanna G., 2009,  La stele di Nora. Il Dio, il Dono, il Santo, 3. pp. 85 - 86). Ma forse più interessante ancora per il nostro testo è il B Sh iniziale della pietra della capanna di Perdu Pes di Paulilatino dove le due consonanti iniziali stanno per Beth - Shemesh בית שמש(casa del sole): v. Sanna G.,2008. Le iscrizioni in alfabeto nuragico (protocananaico e protosinaitico) della capanna di Perdu Pes di Paulilatino; in Quaderni Oristanesi, nn. 59/60, pp. 5 -34.   
21.  Gli oltre 300 documenti in scrittura epigrafica e lineare e i numerosissimi documenti metagrafici ci consentono di avere oggi un quadro, ancora limitato, ma abbastanza chiaro sulla divinità sarda (Y,YH,YHH,YHW,YHWH) e sulla ‘religio’ nuragica in genere. Soprattutto su quella relativa all’ideologia dell’aldilà e ai riti e ai culti dei morti. Ci piace sottolineare che la 'religio'  sarda astrale di yh androgino ha il corrispondente in quella etrusca dell’androgno  Tin/Uni.
22. Qualcuno potrebbe storcere il naso notando queste nostre difficoltà interpretative. Ma sentiamo di poter dire che bisogna saper convivere con esse,  per la semplice considerazione che tutta la scrittura nuragica è a rebus e sempre ambigua. La certezza della soluzione della scrittura criptata può esserci solo con la ripetizione  del dato e, possibilmente, con documenti che per via diversa portino sempre alla stessa identica conclusione. Questo - come abbiamo iniziato a vedere e vedremo sempre di più - accade nella scrittura metagrafica acrofonica dei bronzetti e dei coperchi dei sarcofaghi etruschi, che iniziano spesso e spesso chiudono con voci identiche. Pertanto accontentiamoci, per ora. dell'onesto  ventaglio delle soluzioni, ricordando, per usare una metafora usata di recente sempre per lo stesso motivo, che ci troviamo ancora, generalmente parlando,  nella fase dell'abbaiare e non in quella del 'comprehendere'. La preda certamente è braccata. E' stata individuata e si 'sente'  ma scappa di qua e di là  ancora e si nasconde. 

23.  Paradiso, XXVI, 135 -138:  I’ s’appellava in terra il sommo bene / onde vien l letizia che mi fascia;/ e ‘El’ si chiamò poi; e ciò convene /che l’uso dei mortali è come fronda/in ramo; che sen va e altra viene. Vedi  Corrias G.M., 2013, ll simbolo dell’asta e il primo nome di Dio nel XXVI del Paradiso di Dante; in Maimoni blogspot.com  (24 gennaio).

5 commenti:

  1. Gigi, hai visto l'ultima puntata di 40esimo parallelo? http://www.videolina.it/video/40-parallelo/106063/40-parallelo-l-evoluzione-della-civilta-nuragica-seconda-parte.html
    Ugas ne ha parlato

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  2. Visto....Ne volevo parlare ma mi sembrava di essere fuori tema.Però non c'è stata molta chiarezza e mi è sembrato che abbiamo interrotto in fretta e furia il discorso sulka scrittura.Alla fine si comincia a parlare di molte cose ritenute fino a poco tempo fa fantarcheolgia ......

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  3. No, non l'ho vista. Ma non credo, per quello che mi interessa, di ver perso nulla. Che Ugas ne abbia parlato mi è del tutto indifferente: non credo ugualmente, stando come stanno le cose, di essermi perso qualcosa di importante. Importante (e molto) invece è se, al di fuori delle luci della ribalta, sa replicare o replicare in qualche modo a quanto abbiamo scritto in questo post. Dubito che lo farà ma lui (e gli 'altri') non si rendono ancora conto che con gli ICHPU e gli ICHS/ICHM non si fa scienza; anche perché nessuno è tanto sciocco da accettare il quasi ridicolo. Sono in tantissimi ad aspettare un confronto scientifico su basi scientifiche. Quando si vuole e dove si vuole. Ma ciò non lo si vuole neppure nei luoghi deputati alla ricerca, alle novità, vere o presunte che siano. Io l'ho avviato già dal 2004 ma hanno fatto subito fuoco di sbarramento con il falso, il bizantino o il longobardo, con il fuori contesto, con il 'non è possibile', persino )chissà perché) sparando vigliaccamente da dietro il muretto, anche con apporti di pallettoni di 'amici compiacenti' (imbecilli) germanici. Ma soprattutto con il silenzio. Ma chi è vicino a me (basta seguire facebook) sa quanto io sono sereno circa la valenza dei miei studi, tanto che sento più che mai il desiderio e il dovere di dire che l'epigrafia è una cosa seria, molto seria. E che anche la filologia è una cosa seria. Non si possono fare ricerche né epigrafiche né linguistiche ad occhiometro, con incredibile superficialità, non conoscendo in diacronia tutto il percorso che abbiamo già individuato in venti anni sulla scrittura nuragica. Per questo si scambiano vocali per consonanti quando invece il nuragico non ha mai, dico mai, usato le vocali se non come 'matres lectionis'. E tutto inevitabilmente diventa' unu nudda nieddu'. Ma aspettate ancora un altro articolo, e poi un altro e poi un altro ancora. Dobbiamo ripeterlo? Non abbiamo mai inteso né intendiamo ora 'fare la gara di un giorno'. Presunzione? Ognuno negli studi scientifici 'presume'.Ma la pensi pure come vuole. Un altro, poi un altro e un altro ancora. E qualche libro se dio lo vorrà. E, si stia attenti all'apparenza: non sono affatto solo in questa bellissima avventura che sta cambiando tutto o quasi tutto il quadro relativo alla stupenda civiltà nuragica. Chi vuole può ancora baloccarsi con 'il culto delle acque' e con il politeismo dei sardi antichi. E con i Giganti prodotti in qualche modo di artisti 'levantini'. Esumaria ite orrore! Che orrore che è 'la politica della scienza'. Quella che Aba ha chiamato degenerazione e marciume.

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  4. Di là del fiume c'è un albero con molti frutti, ma quando si deve andare oltre un corso d'acqua, se qualcuno non ti costruito un ponte, o ti bagni i piedi o salti di sasso in sasso di quelli che sporgono sopra il livello dell'acqua, spesso posizionati a bella posta,
    Ma se non sei cresciuto abbastanza fisicamente, intellettualmente, moralmente, culturalmente;
    se non hai il coraggio di bagnarti le scarpe;
    se hai le gambe corte come le bugie;
    allora ti viene difficile saltellare di sasso in sasso mantenendo l'equilibrio.
    Capita allora che l'altra sponda la vedi da lontano, non ci metti i piedi, non riesci a cogliere alcun frutto dall'albero.
    E se qualcuno te ne lancia uno dall'altra riva, faresti bene a morderlo subito.
    Magari ti capiterà come accadde a Eva: consumato il frutto, ti sentirai nudo. Di scienza, ovviamente.
    Ecco, Giovanni Ugas forse prende fichi per mele, ma si ha l'impressione che abbia una gran voglia di saltellare sui sassi o anche di bagnarsi i piedi.
    All'altra sponda, Giovanni! All'altra sponda ...

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  5. Ciao Sandro, sono Francesco Masia.
    Tu sai se il sito Santu Antine di cui qui si tratta è quello in comune di Genoni? O quale? “Il” Santu Antine di Torralba?

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