Esame autoptico di una
chiesa
Di Sandro Angei, Stefano Sanna, Gigi Sanna.
1° parte
1° parte
Fig. 1
28 febbraio 2014, Monte Prama blog pubblica un articolo dedicato
alla chiesetta dell’Eremita Matteu dal titolo: “Le donnine scolpite di
Narbolia”.
L’articolo descrive alcuni particolari di quella chiesetta,
focalizzando l’attenzione sulle tre donnine presenti sul frontone.
Come al solito abbiamo voluto vederci ancora più chiaro e ci siamo prefissi il compito di indagare a fondo questa costruzione, che potrebbe celare qualcosa di più di ...'tre donnine'.
Quella denominata
S’eremita Matteu è una costruzione alquanto insolita nel quadro delle
chiese campestri sarde. Il piccolo edificio, un ambiente interno voltato a
botte di 4.50 m di larghezza per 6.80 m di lunghezza, si erge seminterrata nel
pendio esposto a Est Sud-Est della collina de S’eremita; tanto che salendo il
pendio che costeggia i suoi fianchi si riesce a salire agevolmente sul tetto
della costruzione. Nessun’altra chiesa campestre, che noi si sappia, è
edificata in simile posizione.
Sopra il varco dove in origine si presume fosse situata la porta
d’ingresso, è incastonata una finestra circolare ricavata all’interno di un
quadrato di conci di bianco tufo di '' "Santa Caterina”, poggiato sopra una lastra
del medesimo materiale decorato a dentelli. La finestra circolare è sormontata
da un concio esagonale, sormontato a sua volta, da un concio quadrangolare.
Sopra quest’ultimo concio si staglia in bassorilievo una delle tre figurine
femminili con le braccia alzate; in posizione simmetrica rispetto a questa, ad
una distanza di circa 1.40 m, si individuano le altre due.
Fig. 2
All’interno della chiesetta è presente nella parete di fondo e
in posizione asimmetrica, una piccola nicchia absidata (Fig. 3) ; nicchie che, come di consueto,
troviamo in altre chiese.
Sopra la nicchia
corre orizzontale per tutto il
perimetro dell’ambiente, un cornicione decorato a dentelli sul quale è
impostata la volta a botte.
Sono degni di
nota tre particolari decori realizzati nel tratto di cornice posto proprio
sopra la piccola nicchia (fig. 4, 5, 6).
I due fregi laterali propongono il fiore della vita, simbolo di
rinascita. Il fregio centrale (Fig. 5), già notato nell’articolo pubblicato su
Monte Prama e descritto quale “stella di Ištar” (dea della fertilità), è
posizionato esattamente a metà della corda che sottende l’arco di volta.
Stella a sei punte
posizionata all’estremità sinistra del concio.
Particolare della
stella a 8 raggi, posizionata al centro esatto della navata
Stella a sei punte
posizionata all’estremità destra del concio
Di certo, se non descrivessimo più compiutamente la stella di Ištar qui rappresentata, quale mirabile e certosino lavoro, non renderemmo giustizia allo scultore che la realizzò. Il fregio fu realizzato incidendo la tenera roccia calcarea in modo da ricavare quattro pentaedri e otto tetraedri (quelli che possiamo interpretare come sorta di piramidi in negativo: quattro a base quadrangolare e otto a base triangolare, Fig. 7 a). Tra pentaedri e tetraedri sono frapposti 12 solchi (Fig. 7 b).
La figura è
estremamente complessa, tanto che si pone d'obbligo la domanda: perché realizzare un
fregio cosi elaborato in una chiesa d’eremiti, la cui semplice vita era dedita
alla preghiera e alla contemplazione? Forse il fregio nasconde qualcosa di più
di un semplice logogramma… ma lasciando in disparte (per ora) altre considerazioni,
sembrerebbe chiaro il messaggio simbolico di richiesta di fertilità e
rinascita che suggeriscono i tre decori.
Seguendo il
cornicione si nota che su questo è impostata la parte interna della finestra
del frontone, che però non è di forma circolare come all’esterno, ma di forma
quadrangolare (Figg. 8 - 8b).
Lungo le pareti
della chiesa si incontrano varie nicchie (Fig.9) e, poco sotto il cornicione,
due finestrelle quadrangolari sulle murature laterali (Fig.10);
mentre nella parete di fondo si apre un varco che immette
in una piccola cella, voltata pur’essa a botte, con il pavimento elevato di
circa 50 cm rispetto a quello della chiesa. Nella immagine di Fig.11 vediamo
l’accesso alla celletta costituito da un varco rettangolare che però è il
risultato di un restauro alquanto maldestro, che potrebbe non rispecchiare la
situazione originaria.
Probabilmente questo piccolo ambiente in origine non era molto
visibile dall’esterno dell’edificio e tutt’ora è individuabile solo
inoltrandosi nel fitto della vegetazione che cresce rigogliosa nella terra che
in parte la ricopre. Perché mai realizzare una chiesa a ridosso della collina,
cosa che dal punto di vista pratico crea problemi di infiltrazioni? E ancora: perché realizzare una sorta di piccola cappella completamente interrata e
celata alla vista del visitatore che si avvicinava all’eremo?
Già in periodo nuragico tutte le torri furono costruite
dislocandole in terreni con giacitura piana benché elevata. L’uomo antico
studiava con attenzione il luogo dove posizionare qualsiasi costruzione che si
apprestava a costruire. Tutte le chiese campestri ( sono circa 1300 quelle sparse in
tutta la Sardegna) sono dislocate su luoghi pianeggianti, lontane da perniciosi
declivi, mentre i romitori sono in genere in grotta. Che fosse questa la sua
funzione? Quella di imitare una grotta? Alcuni indizi potrebbero
avvalorare questa ipotesi: imitare un luogo buio, visto che un
attento esame dell’antica intonacatura colorata di nero (fig. 11), fa pensare
che l’intero edificio fosse completamente pitturato di questo colore; tant’è
che pure il cornicione interno di base al soffitto a volta (fig.5, 6, 7) e la
nicchia absidata (fig. 3), erano neri e ancora lo sono i tre fregi: stella di
Ištar e i due fiori della vita.
Questa lettura potrebbe essere avvalorata da un particolare non certo trascurabile, come quello che
potrebbe ricondurre al rito delle acque sotterranee[1];
si tratta di una tegola curva posta a compluvio sopra il vertice che simula un
tetto a due falde posto sopra la nicchia absidata (Figg. 12, 13, 14).
Sotto la nicchia, sulla verticale della tegola innanzi
descritta, è presente una profonda scanalatura praticata nel potente spessore
murario; che sia una scanalatura e non un crollo dovuto all’ingiuria del tempo,
ce lo suggerisce la posa delle pietre poliedriche impilate una sull’altra in
perfetta verticalità (Figg. 15 e 16).
Perché mai inserire una tegola in tal modo sopra la nicchia?
L’unico motivo che posso arguire, oltre alla mera funzione decorativa (?) è che
la tegola sia la parte terminale di una canala che in qualche modo raccoglieva
l’acqua meteorica; forse quella proveniente dalla collina a monte; tanto da
poter supporre che l’acqua scorrendo all’interno della muratura per
infiltrazione, venisse raccolta dalla canala e da questa, colando lungo la
semicupola della nicchia absidata, si raccogliesse probabilmente in un bacile
(ormai scomparso), dal quale, mediante un troppopieno, veniva incanalata in una
sorta di tubazione, della quale la grossa scanalatura residua potrebbe essere
la sede[2]
(Fig.16). E’ molto probabile che l’acqua meteorica venisse incanalata
all’interno della chiesetta perché lungo un bordo della scanalatura suddetta,
si riscontra un deposito di calcare dovuto a stillicidio. D’altronde è
verosimile che attualmente ci sia “solo” stillicidio, dal momento che il
passaggio dell’acqua lungo la tegola, in una qualche epoca fu ostruito con
l’impiego di pezzi di laterizio e pietrame minuto, murati con malta di calce
(Fig. 13).
[1] Vedi M.G.
Melis “Osservazioni sul ruolo
dell’acqua nei rituali della Sardegna preistorica” Rivista di Scienze
Preistoriche - LVIII - 2008, 111–124, dove leggiamo al paragrafo “ACQUA ED
ALTRI STRUMENTI PER IL CULTO”: Nei rituali preistorici l’acqua ebbe
presumibilmente un ruolo anche come strumento di gesti e attività legati alla
sfera religiosa. Lo testimoniano la presenza di fossette e canalette in
contesti cultuali o funerari, spesso prive di un valore funzionale.
Mentre al paragrafo “LE GROTTE E LE MANIFESTAZIONI
ARTISTICHE” leggiamo tra gli altri interessanti riferimenti: “… Di
straordinario interesse è la presenza di un culto paleocristiano di
Sant’Erasmo, che sottolinea la persistenza della valenza cultuale della cavità”.
Quanto scritto potrebbe avvalorare la persistenza del culto dell’acqua in un
contesto sincretistico nel tempietto di S’eremita, oppure una sorta di
camuffamento di un rito “pagano” in un contesto cristiano, reminiscenza e
persistenza in età tarda di culti ancestrali.
[2] Sarebbe
auspicabile uno scavo archeologico teso al rinvenimento di una eventuale
canalizzazione sotto il pavimento della chiesetta.
Quanta ricchezza in un rudere che si tiene su da solo e non ostante tutto.
RispondiEliminaNon ricordo a quale secolo è datato.
Rilevo comunque che, come per i nuraghi, nessun particolare costruttivo è lasciato al caso.
Alla buonora i fori casuali che dipingono tori di luce!
Andai la prima volta a visitare la chiesetta con la curiosità di vedere quelle tre “donnine” (spero nessuno fraintenda e le Tanit non si offendano!); in quell’occasione entrai all’interno dell’edificio e non vidi alcun particolare, se non la celletta e la nicchia absidata. Ci vollero altre numerose visite, a volte da solo, altre in compagnia del Prof. Sanna e Stefano, per scovare, riflettere e capire tutto il resto.
RispondiEliminaE' una chiesetta singolarissima, con struttura e simbologie introvabili in altre chiesette campestri della Sardegna. Difficilissima da interpretare. Ma non poco della risposta ermeneutica può venire dai dati dell'orientamento e da quelli epigrafici. Perché le 'donnine' non sono certo decorazioni o solo simboli. Ma ben altro. E ci dicono,dal momento che la Tanit è nuragica (Tanit dei cocci di Orani e Tanit di 'Arcu 'e is Forros di Villagrande Strisaili)che il nuragico non è ancora finito mentre si costruisce quel fabbricato religioso. Ma con le altre due 'puntate' forse riusciremo a dire qualcosa di più!
RispondiEliminaLa volta della chiesetta è forse realizzata con pietre affogate nella calce viva?
RispondiEliminaA vederla mi ha fatto tornare in mente "Funtana de Cuccuru" di Orroli, che è sistemata quasi in cima alla collina chiamata appunto solamente Cuccuru e addossata ad essa, con una base appositamente spianata.
L'ho vista una volta solamente. Che la volte fosse di tal genere me lo disse mio suocero. Non so se sia un dato proprio della conoscenza tradizionale della popolazione, o qualcosa raccolto da un esperto, visto che mio suocero accompagnò Giovanni Lilliu per lungo tempo, specialmente nei lavoroi per il Pozzo sacro di Su Putzu.
Davvero interessante!
RispondiEliminaChe strana coincidenza questo articolo!Ho visitato il sito appena qualche giorno fa (mentre cercavo asparagi) e sono rimasto impressionato dalla collocazione e dalle forme di questa chiesa, dallo spessore poderoso delle pareti e dalla finestrella posta sopra l'ingresso,fuori tonda e dentro quadrata, la forma della volta etc. tutti questi elementi rimandano altrove. Nonostante lo stile architettonico mi ricordi il nucleo più antico della chiesa di S. Giovanni di Sinis o quella di S. Saturnino a Cagliari, una volta all'interno sembra di stare in qualche modo dentro un nuraghe. Circa duecento metri più a ovest mi è parso di individuare una cava. Sarebbe molto interessante un'indagine del sito per capire se sia sorto su una struttura preesistente o per individuare eventuali sepolture; per concludere, stante la frequentazione dei monaci, non escluderei l'esistenza di ulteriori fonti scritte.
RispondiEliminaRispondo alla domanda di Francu.
RispondiEliminaLa volta della costruzione è quasi interamente intonacata; solo in alcuni tratti della base d’appoggio e in un piccolo tratto della parte sommitale, si può vedere il materiale utilizzato per costruirla. Da questi tratti si evince che molto probabile, alla stregua della muratura portante, l’intera volta sia stata realizzata con massi poliedrici di varia natura, tra i quali il basalto (di pezzatura movimentabile da una sola persona), murati con malta di calce e inframmezzati da pietre di media e piccola pezzatura.
Visitai una volta sola Funtana de Cuccuru e anche frettolosamente per via che ci portammo appresso i bambini e il posto era disagevole. Ricordo che non mi accertai se vi fosse l'acqua oppure no, anche se mi venne la curiosità per via del fatto che fosse quasi in cima alla collina.
RispondiEliminaDi sicuro mio suocero mi disse che la copertura era fatta con "coccoredda" e "carcina buddida", vale a dire con calce viva e ciottoli.
Per certo nessuno andava a prendere l'acqua, specialmente per la difficoltà a salire e scendere, dato che non si vedeva neppure un sentiero praticato.
Non sono specialista, ma mi pare che quella tecnica di costruzione fosse in auge presso i Romani più che presso i Nuracini. Poiché suppongo che non si sappia nulla di certo per studi o scavi, si può pensare pure a un riuso in varie epoche.
D'altra parte penso al pozzo sacro di Settimo San Pietro, che ha l'ingresso in cima a una collina isolata e affonda, essendo praticabile, per una trentina di metri, sino all'acqua.
In Sardegna ci si può aspettare di tutto, come si vede. Qualche volta anche di più, dico io che esagero per incorreggibile inclinazione.
La chiesa è veramente bella ma resto esterrefatta che una chiesa ,così antica, non sia stata restaurata dalle autorità competenti.
RispondiEliminaAnche io la penso allo stesso modo , mi meraviglia che il comune di Narbolia non abbia mai avuto interesse per questo edificio sacro di interesse storico per il comune e la provincia...mahh
EliminaTutto molto interessante,spero di cuore venga portata a una nuova osservazione e ne venga reso noto la sua storia ,valorizzandola al massimo,speriamo venga presa in considerazione più seriamente e nn abbandonata ulteriormente💜
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