di
Sandro Angei
Fig. 1
Sommario
Il
presente saggio intende confutare con prove scientifiche di natura tecnica
la tesi, avanzata in ambito archeologico
altomedioevale, che la cosiddetta tavoletta A1, rinvenuta nei pressi del Nuraghe Tzricotu di Cabras (ancora custodita
nei locali della Sovrintendenza archeologica di Cagliari) sia una matrice per
mòdani. In sostanza si porranno due argomentazioni; la prima di carattere
prettamente tecnico, che si basa sulla metodologia di realizzazione del
reperto, che confuta in modo sistematico la tesi “medievalista” che vuole la
tavoletta A1 una “matrice in bronzo ad una sola valva per un mòdano da
sbalzo”. La seconda argomentazione, confuterà la medesima tesi dal punto di
vista iconografico, dimostrando infondata la tesi che vuole alcuni dei segni
ivi incisi, quali motivi fitomorfi.
Avvertenza
Per la
stesura di questo studio ci siamo avvalsi di un gran numero di note; alcune di
essere rimandano semplicemente ai testi di riferimento o articoli di blog e le
abbiamo contraddistinte col numero blu; altre note sono contraddistinte dal
numero rosso; queste sono di natura esplicativa e, in genere,
sono tese all’approfondimento dello specifico tema trattato.
***
Nello svolgersi della trattazione
chiameremo la “tavoletta A1” di Tzricotu: “specimen A1” o
semplicemente “specimen[1]”. Vogliamo usare questo
vocabolo per indicare in modo univoco il reperto “A1” e solo quello.
Precisiamo inoltre che useremo il termine “mòdano”, per indicare nello
specifico lo strumento di metallo o altro materiale resiliente, usato quale
utensìle da impressione (vedi nota 15). Il termine “campione” o “modello”
lo useremo in tutti gli altri casi. Useremo, momentaneamente, il termine “tavoletta”
per indicare gli originali e/o le copie delle tavolette A3, A4, A5.
1. Premessa.
Tornare sul problema delle
cosiddette “tavolette” di Tzricotu
potrebbe apparire solo un voler rivangare un argomento ampiamente discusso per
circa vent’anni e ormai accantonato e/o
snobbato da chi, per questo o quel motivo, non vuole che di esse si parli.
Invece, per ciò che diremo, riprendere la “vexata quaestio” ci sembra
assolutamente necessario dal momento che la posta in gioco non è di poca
importanza. Perché se la “specimen” A1 di Tzricotu è un documento epigrafico
nuragico e non della cultura del periodo altomedioevale e se le tavolette denominate A3, A4, A5 non
sono opera di falsari, vuol dire mettere in corsa, sul tema “scrittura
nuragica”, forse le più antiche attestazioni di essa nell’isola.
***
Non stiamo qui a
ripercorrere le vicissitudini dei reperti, tanto meno a riesumare e riproporre
gli argomenti ‘pro’ e ‘contro’, durati praticamente vent’anni, se non per
l’indispensabile per chi ci legge e per
quel tanto che basti alla conduzione del nostro discorso.
Per l'Accademia sarda[2],
per bocca del Dott. Paolo Benito Serra, l’unica tavoletta originale, rinvenuta
nella penisola del Sinis nei pressi del nuraghe Tzricotu: lo “specimen”, oggi in possesso della
Sovrintendenza ai Beni Culturali di Cagliari[3],
sarebbe una matrice di mòdano del periodo altomedioevale. Le tavolette A3, A4 e
A5, quelle in copia, sarebbero di dubbia genuinità.
In quel periodo, quando si discettava e si combatteva, anche piuttosto
aspramente pro e contro l’origine di quei manufatti, ero all’oscuro
dell’argomento dibattuto e, per così dire, all’infuori dei giochi. Inizialmente
non conoscevo neppure il blog di
Gianfranco Pintore, tant’è che vi entrai per caso dal momento che provavo interesse e passione per alcuni
degli argomenti ivi trattati.
Purtroppo sono pochi gli articoli dedicati
alle tavolette di Tzricotu che
oggi si possono leggere integralmente
in quel blog ormai “cristallizzato”. In genere restano i commenti e le prese di
posizione, anche caparbie, di alcuni “contro”, che sciorinando obiezioni
(talune solo all’apparenza di carattere scientifico), cercavano di inficiare le
tesi di chi, forte soprattutto di studi mirati
e di pubblicazioni di carattere epigrafico, era propenso ad inquadrare
le tavolette in un periodo ben più antico di quello altomedievale.
Nell’articolo “Qualche cosa in più su
Tzricotu” apparso nel detto blog di Gianfranco Pintore[4]
i sostenitori “contro” affermarono, addirittura, che le tavolette di
Tzricotu sarebbero matrici di fusione.
Naturalmente senza giustificare ed
entrare minimamente nel merito dell’assunto. Come vedremo più avanti tale
connotazione fu il risultato di una iniziale errata interpretazione da parte di
un autorevole studioso.
Si scrisse inoltre che, siccome le copie
risultano in negativo, l’originale sarebbe sicuramente in positivo. Ipotesi
respinta da alcuni “pro” che
ribattevano con sicurezza che la “specimen”
A1 è scritta (come realmente è scritta) in negativo.
Altri ancora fecero tale confusione che,
in quel contesto di spumeggiante rivalità, il barcamenarsi tra le
argomentazioni sul negativo dell’uno e sul positivo dell’altro, è impresa assai ardua.
In quel frangente un implacabile
sostenitore “contro” pubblicò un articolo col quale chiedeva spiegazioni
circa un precedente articolo di un sostenitore “pro”, obiettando sulla genuinità delle copie A3, A4 e A5 con
argomentazioni che lì per lì potevano sembrare giuste e infirmanti le tesi di
coloro che sostenevano la sincerità delle tavolette[5].
Ma il caso vuole che, come dice il
proverbio, “il diavolo fa le pentole ma non i coperchi”: quelle che
sembravano legittime obiezioni “contro”, giudicate sotto altra luce si
rivelano indizi, se non vere e proprie
“prove” a favore della genuinità delle tavolette A3, A4 e A5. Lo vedremo
più avanti.
Vediamo ora di fare un po’ di ordine e di
offrire, soprattutto, una spiegazione razionale e plausibile a tutto quel “ben
di dio” che il lavoro di un agricoltore esumò accidentalmente dalle viscere
della terra di Cabras. Anche perché comprendiamo, tutti noi, che l’uomo
nuragico non solo fu architetto, ingegnere, geometra, astronomo, fabbro, vasaio
e marinaio, oltreché pastore e contadino, ma anche adoratore di un dio: quel yhw[6],
che gli mise in mano uno bello stilo per scrivere di lui per perpetrarne le
lodi e quelle dei suoi figli, i piccoli
giganti.
2. I dati oggettivi
1° - La “specimen” A1, la
sola a tutt’oggi in mano alla Sovrintendenza e della quale esistono per fortuna
belle fotografie, reca dei segni che senza alcuna ombra di dubbio sono in
negativo.
2° - le fotografie dei calchi (per ora chiamiamoli ancora così) delle
tavolette A3, A4 e A5 mostrano che pure questi sono oggettivamente in negativo,
per via delle ombre proiettate dalla luce radente[7]
che li colpisce (Fig.2-a e 2-b).
In ragione di ciò, ci rendiamo conto che
è assolutamente necessario trovare una
giustificazione a questo stato di cose.
E ci sono subito due aspetti da sottolineare.
3.
I punti da sottolineare.
Primo punto: se la
“specimen” A1 reca, come sicuramente reca, le incisioni in negativo, i calchi
predisposti dal professionista che li realizzò (vedi più avanti), avrebbero
dovuto essere in positivo; se non lo sono, di certo essi sono il calco di un
calco: ciò perché auspichiamo fosse
precisa intenzione del possessore delle tavolette di creare una copia
“simile” all’originale. In ragione di ciò le fotografie delle tavolette A3, A4
e A5 (Fig. 2 a) e A1, A3, A4, A5 (Fig. 2 b) non raffigurano i calchi ma le
copie degli originali di bronzo.
Fig. 2-a
Fig. 2-b
Le motivazioni di questo doppio passaggio,
per la realizzazione di copie “simili” all’originale, non saremo di certo noi a
desumerle, ma ognuno può trarle per proprio conto; e ciò può indurre a pensare
che le tavolette A3, A4 e A5 esistono.
Come apprendiamo dalla lettura del libro
di didattica sulla scrittura nuragica pubblicato recentemente dal Prof. Gigi
Sanna[8],
la realizzazione delle copie dei sigilli fu affidata da ignoti ad un
odontotecnico di Oristano (pag. 29 del libro),
confidando sulle sue competenze e i mezzi propri della sua professione.
Si vede subito però che l'artigiano oristanese ebbe parecchie difficoltà nel
realizzare le copie; infatti, come si evince facilmente dalle figure del libro menzionato (pag. 31), le copie
scartate risultano difettose e in più parti illeggibili nei particolari. Ciò fu
dovuto al fatto che venne sicuramente usata una resina odontoiatrica, materiale
questo, che può andar bene per le protesi dentarie, ma non per creare copie di
oggetti con caratteristiche assai peculiari e finissimi dettagli, come possono
essere quelle di un gioiello o un oggetto di particolare finitura. L'aver
affidato la realizzazione delle “copie” ad un “semplice”[9]
odontotecnico dimostra scelta poco oculata da parte dei committenti e
improvvisazione e poca o nessuna dimestichezza, da parte del professionista,
con le tecniche che sono proprie invece dell'arte orafa. Infatti si sa che la
figura dell’orafo, professionista esperto nella realizzazione di oggetti anche
miniaturistici ed estremamente sofisticati, non avrebbe trovato alcuna
difficoltà a realizzare una riproduzione fedelissima all'originale. Di certo ad
Oristano non mancano, oggi come ieri, artigiani di altissimo livello.
Secondo punto: è
quello più intrigante, in quanto tende a dimostrare il genio dei fonditori antichi, sardi e non[10],
e nel contempo la poca dimestichezza di certi “addetti ai lavori” di oggi nei
confronti di problematiche estranee all’approccio archeologico.
L’archeologo Paolo Benito Serra a suo
tempo esaminò, sia pur tardi[11],
in modo autoptico il reperto e ne trasse le seguenti conclusioni[12]:
“… Comunque, onde evitare ulteriori equivoci, occorre precisare che il
reperto A1 è il calco di una matrice per modani con i quali si fabbricavano in
serie guarnizioni di cinture da parata per l’abbigliamento e l’equipaggiamento
di personaggi di alto rango delle elitès aristocratiche, militari e agrarie
dell’orizzonte altomedievale:…”[13]
in seguito scrive: “L’esame autoptico dell’originale del calco A1,
eseguito dallo scrivente nel 2007, ha confermato che si tratta di una matrice
in bronzo ad una sola valva per un modano da sbalzo”. Per il Dr Serra
la “specimen” A1 è senza ombra di dubbio una “matrice in bronzo ad
una sola valva per un mòdano da sbalzo”, del periodo medievale. Se si fosse
soffermato più a lungo sulle fotografie dei “calchi” (così li chiama lui) A1,
A3, A4, A5, e avesse indugiato sull’analisi delle loro ombre, avrebbe convenuto
che i cosiddetti “calchi”, sono in negativo come lo “specimen”
originale (Fif. 2-a); inoltre avrebbe desunto, sempre dalle ombre, che le copie dello
“specimen” e delle altre tavolette furono fotografate tutte sullo stesso
supporto (scrivania?) sotto la stessa sorgente luminosa. (fig. 2-b)
In un primo tempo nella rivista “L’Africa
Romana ” lo stesso Dr Serra scrive[14]: “Sono
infatti documentate anche in Sardegna le matrici in bronzo di tipo
bizantino-mediterraneo, alcune delle quali rinvenute nel nuraghe Tziricotu di
Cabras (FIGG. 3, 5), utili per la produzione in serie di guarnizioni di
finimenti equini e di linguelle e pendenti di cinture multiple da parata,
decorate in un caso e nell’altro con motivi ornamentali a punti e a virgole,
sulla cui origine orientale, turco-mongolica, si era già espresso J. Werner”[15] (mio
il sottolineato, ndr).
Cosa significhi “matrice in
bronzo ad una sola valva per un mòdano da sbalzo” rimane tutto da spiegare
e chiarire in modo esaustivo.
Nel campo specifico ci riferiamo alla
nomenclatura adottata dalla Dr C. Giostra nel suo saggio “L’impressione
delle lamine in età altomedievale: il processo tecnologico sulla base degli
strumenti rinvenuti” [16].
In ragione di detta nomenclatura, la
terminologia utilizzata dal Dr Serra nei suoi articoli sembra per nulla
pertinente quando definisce la “specimen” A1: “matrice in bronzo ad una sola
valva per un mòdano da sbalzo”.
Infatti nella fusione a matrice, il
metallo liquefatto ad altissima temperatura viene colato dal crogiolo
all'interno di una matrice costituita da una o due valve in materiale dalla
temperatura di fusione sensibilmente più alta del metallo da fondere[17]. In ragione di questa definizione
che oltretutto è alquanto intuitiva, si capisce sin da subito che la “specimen”
A1 di Tzricotu non possa essere una
matrice, tanto meno una valva, se intendiamo con questo termine una concavità
(si veda l’esempio ipotetico di Fig.3).
Fig.
3
Continuando nella disamina della
locuzione del Dr Serra ci imbattiamo nel vocabolo “mòdano” per il quale il
significato è quello di “strumento da impressione in positivo che produce
una impronta in negativo” (C. Giostra).
Secondo quanto asserito dal Dr Serra
l’ipotetica “matrice A1”, viste le sue caratteristiche (segni in
negativo) sarebbe servita solo (e ribadisco solo) per realizzare un mòdano in
positivo.
Questo “ipotetico” mòdano però avrebbe
assolto la sua funzione se fosse stato abbastanza resiliente
(resistente) da sopportare il colpo di maglio per imprimere l'impronta sulla
linguella.
Inoltre, se la “specimen” A1 fosse una
matrice di mòdano, dovrebbero essere tali pure le tavolette A3, A4 e A5, perché
a quella simili per forma e aspetto (incisioni in negativo). Per tanto la “specimen” A1
sarebbe non solo la matrice di un mòdano, ma anche matrice di matrici di
altrettanti differenti mòdani!
Ma tutto ciò è
assurdo e vogliamo dimostrarlo seguendo passo passo le fasi di realizzazione di
questo improbabile mòdano.
Ricapitolando: l'archeologo afferma che
l’oggetto, essendo una matrice in negativo (che denominiamo γ), serviva
per la realizzazione di un campione in positivo: “mòdano” (che
denominiamo δ)
per la realizzazione di ornamenti in negativo: “linguelle” (che
denominiamo ε) da
fissare alle cinture da parata. Se così stanno le cose, ci sembra che i
passaggi per la realizzazione di quegli ornamenti siano in primo luogo
ridondanti, in secondo luogo inconcludenti, data la forma e il materiale della
presunta “matrice” A1; infatti quest’ultima, con i segni in negativo
(γ), è senza ombra di dubbio il
risultato di un calco in positivo (che chiamiamo β) basato su una originaria matrice in negativo
di materiale tenero, che possiamo presumere essere di talco con incisioni in
negativo[19] (che chiamiamo α). Per tanto per la realizzazione di queste
ipotetiche linguelle di cintura da parata si sarebbero avuti i seguenti
passaggi consecutivi:
1° (α
) matrice in negativo di talco o modello di piombo da incidere a
freddo (sempre in negativo).
2° (β)
calco in positivo di materiale refrattario.
3° (γ
) colata di bronzo per la realizzazione della presunta matrice in negativo
(“specimen” A1).
4° (δ
) creazione del campione in positivo, che per la sua funzione
dovrebbe essere ancora di bronzo con alto tenore di stagno, tale da essere
abbastanza resiliente[20].
5° (ε)
?
Il grosso punto interrogativo del punto
5° sta ad indicare che al punto 4° sorge un problema. A parte la forma della
“specimen” A1, che evidentemente non può ricevere, da sola[21] alcuna colata di metallo fuso, i vari testi di metallotecnica
consultati (lo abbiamo già detto) affermano che la colata debba avvenire
all’interno di matrici di materiale dalla temperatura di fusione sensibilmente
più alta del metallo fuso. In ragione di questa sola affermazione
possiamo escludere a priori che la “specimen” A1 di Tzricotu sia una matrice
per mòdano resiliente[22]; per il semplice motivo che non
corrisponde ad alcun oggetto delle fasi suddette: α, β, γ, δ.
Facciamo osservare che, ripercorrendo
tutta la filiera qui sopra esposta, ci si rende conto che per ottenere il
mòdano resiliente accennato (δ), sarebbe
bastata la sola matrice di talco (α) con
incisioni in negativo; ossia due soli passaggi: realizzazione della matrice in
negativo seguita dalla colata di bronzo che avrebbe reso il positivo. Punto!
La “matrice” (sic!) in negativo (“specimen”A1) sarebbe stata
perfettamente inutile (Fig. 4).
Per onestà intellettuale possiamo aggiungere
e dire in tutta franchezza che ci sarebbe ancora la possibilità, se pur assai
remota, che lo “specimen” possa essere un mòdano in negativo; però nello studio
della Dr Caterina Giostra, già citato, leggiamo che i mòdani rinvenuti sono quasi
esclusivamente positivi (evidentemente allude a siti di rinvenimento
extraitaliani visto che in Italia nessuno di questi è stato rinvenuto, come
scrive in premessa del suo articolo).
Per tanto l'uso del mòdano negativo,
benché non impossibile, era raro ed eccezionale e del tutto assente in Italia
(almeno al momento).
5. I paragoni non pertinenti
Proseguendo nella lettura dello studio
della Dr C. Giostra ci imbattiamo in due immagini che ritraggono mòdani da
sbalzo col decoro in positivo, trovati in sepolture del periodo medievale (Figg.
5 e 6). Nelle raffigurazioni si nota che non ci sono due mòdani simili per i
quali si possa ipotizzare che derivino da una comune matrice di base.
Viceversa, per quanto riguarda le tavolette
di Tzricotu, quelle conosciute hanno
alla base la “specimen” A1. Se ammettiamo (vedi più avanti) che tutte le
tavolette esistano, la “specimen” A1 (anche inquadrandola in via ipotetica nel
periodo medievale) sarebbe modello (mòdano) di almeno altri tre mòdani (le
tavolette A3, A4, A5). Cosa che nello scenario dell’artigianato medievale
sarebbe del tutto eccezionale.
Fig. 5
Fig. 6
A questo punto ci sembra di poter dire
che la “specimen” A1 non è una matrice di mòdano per la realizzazione di
linguelle da fissare alla cintura; e bassissime probabilità esistono che sia
una mòdano negativo, perché l'inventario dei reperti scoperti lo dimostra
chiaramente (lo afferma la Dr. Giostra).
In ragione di ciò
chiediamo: “Quale altra precisa funzione possiamo attribuire, sempre nel
periodo medievale, alla tavoletta A1?
In attesa di una risposta, che
dubitiamo possa pervenire, siamo dell'idea che la “specimen” A1 di Tzricotu rechi dei segni di scrittura[23]
e appartenga alla civiltà nuragica. In ragione di ciò ci uniamo con fervore
alla richiesta del Dr. Paolo Benito Serra che auspicava nel suo articolo[24]:
«per allontanare i plausibili sospetti di falsificazione dei calchi di
Tzricotu che, in tempi brevi, siano effettuate accurate analisi metallografiche
sulla matrice del calco A1, l’unica attualmente disponibile».
Ci chiediamo quali siano ancora i
motivi del lungo indugio.
6.
L’iconografia della tavoletta
secondo l’ipotesi ermeneutica di Paolo Benito
Veniamo ora alla interpretazione dei
motivi iconografici individuati dal Dr Serra nella “specimen” A1.
Egli
scrive: “La lettura corretta del tema iconografico del reperto, la cui sagoma originaria ad U diritta[26] (mia la nota, ndr) esige una rotazione di 180° rispetto
all’immagine ad U rovescia pubblicata (Fig.1)[27] [riferimento alla Fig. 1
dell'articolo del Dr Serra. ndr], consente di
apprezzare, a partire dal basso, un ornato a punti e a virgole dato da un arco
di cerchio periferico, chiuso nella parte sommitale da una concavità a U, il
cui specchio è campito da due elementi fitomorfi stilizzati, simmetrici, con
fusti subtriangolari, cuneiformi, e chiome a rami fogliati.
Al
centro la decorazione si compone di altri due alberi
stilizzati, graficamente analoghi ai precedenti ma con un numero minore di fronde …”[28].
Confrontando il particolare iconografico
della “specimen” A1 con quello del puntale (di fodero di spada si presume)
medievale posto a confronto dallo studioso (Fig.7), notiamo in effetti una
certa somiglianza[29] del motivo degli “alberi stilizzati“ con un “numero minore di fronde” dello “specimen” col motivo iconografico del puntale. Si dà il caso
però che, se per interpretare quale alberello il motivo iconografico della
“specimen” A1 dobbiamo ruotare questa di 180° (Fig.8), la stessa operazione
occorre effettuare nei confronti del puntale di Castel Trosino! E allora i casi sono due: o il puntale di fodero (quello di Castel
Trosino) non è un puntale, ma è altro da esporre nel senso della U
rovesciata (come in Fig.8), oppure il motivo
iconografico dello “specimen” non è un alberello.
A questo punto possiamo dire, con tutta
evidenza, che quello di Castel Trosino è un puntale da fodero medievale da
esporre nel senso della U dritta (come la espone il Dr Serra nel suo articolo -
Fig.7), e in esso vi compare come motivo ornamentale qualcosa di simile ai
segni della “specimen” A1 e delle altre tavolette, che però sono da
esporre, queste ultime, nel senso della U rovesciata, come le espone il Prof.
Sanna nei suo studi (ancora Fig.7). Ciò dimostra senza alcuna ombra di dubbio, anche dal punto
di vista iconografico che lo “specimen” A1 e le tavolette A3, A4 e
A5 di Tzricotu
non hanno nulla a che vedere con i puntali di fodero o
linguelle di cintura da parata del periodo medievale.
Accertato (ci sembra ormai di poterlo
affermare con sicurezza), che la “specimen” A1 non è una matrice di mòdano per linguelle decorative di
cintura da parata, e ancora, che il motivo iconografico non è quello fitomorfo
(alberello) auspicato dal Dr Serra, cerchiamo di scoprire ora il procedimento
tecnico che portò alla realizzazione del manufatto.
Ciò per un motivo ben preciso. Perché
intendiamo sostenere che le tavolette A3, A4 e A5 esistono realmente e che le
riproduzioni che a suo tempo furono realizzate sono ad esse coerenti.
Nel blog Archeologia Sarda[30] fu pubblicato un articolo circa la
possibile contraffazione dovuta a successivi interventi di manipolazione della
“specimen” A1; ciò in quanto tutte le tavolette in copia recano sostanzialmente
lo stesso cliché di base e certe irregolarità di forma presenti in tutte le immagini.
Inoltre l'autore riteneva che realizzare calchi di calchi fosse “tremendamente”
complicato. Obiezioni queste che potrebbero apparire legittime, ma che, da un
diverso punto di vista, dimostrano, invece, che di fatto la “specimen” A1 è un
modello[31] e
non una matrice.
Modello dal quale furono ricavate in antico
tutte le altre tavolette: A3, A4, A5.
7.
Come
furono realizzati: lo “specimen” A1 e le tavolette A3, A4, A5.
Premessa
La nomenclatura da noi utilizzata è quella
della Dr C. Giostra. Di conseguenza:
·
per matrice
di fusione intendiamo le possibili matrici di talco o in osso di seppia
·
per
modello di fusione intendiamo la “specimen” A1 o il modello in piombo
inciso
Fase 1 (Fig.9)
Da un blocco di
talco (di Orani) fu realizzata una matrice di fusione per la
predisposizione del modello nella sua forma di base; ossia il supporto di
metallo dove poter incidere i segni in negativo.
Fig. 9
Fase
2 (figg. 10 –11-12)
Fu realizzato, mediante colata, un
prototipo di piombo. Fu scelto certamente il piombo perché è un metallo
facilmente reperibile in Sardegna, fusibile a basse temperature, malleabile a
freddo; per tanto esso si lascia incidere con facilità e sopporta una
sollecitazione a pressione senza fratturarsi, incidente invece che potrebbe capitare con un prototipo di argilla;
prototipo che, tra l'altro, necessiterebbe di cottura, con conseguente
riduzione delle dimensioni.
Inoltre, benché il prototipo (almeno il
primo), potesse essere realizzato in pietra di talco, quest'ultimo non ammette
errori di sorta, perché una volta inciso difficilmente si può rimediare ad un
errore; mentre il piombo, essendo plastico e malleabile si presta più
facilmente a correzioni. Inoltre l’incisione di segni piccolissimi, in alcuni
casi dell’ordine di 0.3 mm, difficilmente sarebbe realizzabile su talco, sul
quale si agisce per asportazione di materiale (incisione appunto); mentre sul
piombo si può agire per impressione con uno stilo, mediante modellazione
plastica, senza asporto di materiale dunque, con segni che risultano sempre
decisi e puliti[32]. Il
modello così ottenuto e lavorato diventava di fatto modello da colata.
Fase 3
(fig. 13).
Il successivo calco fu realizzato con
un semplice osso di seppia[33] di adeguate dimensioni, che di
fatto diventava matrice di fusione; fu spianato accuratamente nella
parte friabile e, mediante lenta compressione, in esso si impressero in
positivo i segni in negativo del prototipo di piombo. Si tenga presente, per il
sicuro processo negativo-positivo, che
l’osso di seppia ha una grana talmente
fine che il minimo particolare (anche le imperfezioni) vengono riportate
puntualmente e fedelmente.
Fase
4. (figg. 14-15-16 ).
La matrice di fusione così ottenuta
(a freddo), opportunamente fissata in posizione, a questo punto poteva
accogliere il getto di bronzo fuso; quello che diede origine alla “specimen”
A1, ossia il modello da fusione definitivo[34].
Fase 5
(fig. 17)
E’ facile osservare che il modello da
fusione “specimen” A1 poteva, a questo punto, essere utilizzato quale
modello per tutte le altre tavolette; infatti su di essa si poteva predisporre
un nuovo calco di osso di seppia (l'osso di seppia può essere utilizzato una
sola volta), tale da realizzare una nuova matrice da fusione.
Fig. 17
Fase 6
(fig. 18 - 19)
La nuova
matrice in osso di seppia fu usata per creare ancora un modello da
fusione di piombo.
Fase 7
(fig. 20)
Il nuovo modello da fusione di piombo così ottenuto poteva essere
tranquillamente arricchito di nuovi particolari e nuovi grafemi.
Fig. 20
Fase 8
(fig. 21)
Sul nuovo modello
da fusione, così arricchito di particolari, fu creata una nuova matrice da
fusione in osso di seppia.
Fig. 21
Fase 9
(figg. 22-23-24)
La nuova matrice così ottenuta avrebbe
ricevuto la colata di bronzo per la creazione di un sigillo simile
all’originale (“specimen” A1), con tutti i segni e “difetti” di forma di
quest’ultimo, ma con i nuovi segni aggiunti: il
sigillo cerimoniale[35].
Fig. 22
Fig. 23
Fig. 24
Con questo metodo
si poterono dunque realizzare, a partire dalla “specimen” A1, tutti i sigilli
che via via si resero necessari: A3, A4, A5 e chissà quanti altri.
Conclusioni
Pensiamo che ognuno possa trarle per proprio conto le conclusioni. Ci
limitiamo, alla
fine di questa trattazione, solo a dire
che pensiamo di aver fornito un contributo (forse decisivo) alla
risoluzione dell’annoso problema relativo ai “sigilli di Tzricotu”
(da non chiamare quindi più
impropriamente “tavolette”).
Riteniamo di aver confutato
puntualmente e con rigore, le tesi del Dr. Serra. Se lo studioso potrà e/o vorrà replicare, dovrà spiegarci
in altro modo (scientifico), non solo la funzione del “sigillo” A1, ma
anche quella degli altri tre “sigilli” alla luce di quanto affermato nel
recente libro del Prof. Sanna su “I geroglifici dei giganti”[36].
In esso vi è scritto, come si è detto,
che le copie delle tavolette furono realizzate da un
noto odontotecnico oristanese, deceduto alcuni anni fa: si
capisce allora agevolmente, dalle immagini ivi pubblicate, che dette copie
furono realizzate faticosamente, in modo arbitrario e del tutto
improvvisato, con mezzi poco idonei e dopo prove su prove, dati i continui
fallimenti. Abbiamo dimostrato che se dei falsi si fossero voluti realizzare,
si sarebbe potuto operare in ben altra maniera, affidandosi alle abili mani di
un orafo. Ma così non fu.
E riteniamo ancora che si possa affermare,
essendo tutte le tavolette dei veri e propri “sigilli”, che questi vadano interpretati con la
paleografia e l’epigrafia, alla luce dei codici arcaici della seconda metà del
secondo Millennio a.C. e non certo con l’estetica. Inoltre personalmente (e non
da oggi) condivido la tesi[37] che i sigilli fossero quelli
cerimoniali “post mortem” dei Giganti di Monte
e Prama, scritti secondo i principi del mix e della ‘variatio’ compositiva.
Dedicato
al Prof. Gigi Sanna, a Atropa B. e a tutti coloro che usando il metodo scientifico, cercano la verità.
Note e riferimenti bibliografici
[1] Il vocabolo latino fu usato per la
prima volta dal Prof. G. Sanna in “Sardôa Grammata” 2004 -S’Alvure Editore e
vuole significare semplicemente “campione” o “modello”.
[3] Il reperto fu consegnato nelle mani
del Dr Raimonda Zucca che puntualmente lo consegnò all’organo costituzionale
che ancora lo tiene in custodia.
[6] Il nome “yhw” e le sue abbreviazioni
“y, yh, yhh, nonché il quadrilittero impronunciabile “yhwh” fu presentato quale
nome della divinità unica nuragica dal Prof. Sanna già in “Sardôa Grammata ‘ag
‘ab sa‘an yhwh. Il dio unico del popolo nuragico”, S’alvure Editore Oristano;
esso è attestato nella scrittura nuragica in una quantità di attestazioni tale
che elencarle sarebbe troppo lungo.
[7] Il dato ci sembra di fondamentale
importanza. Da questa caratteristica si capisce che dell’oggetto originale non
fu realizzato un semplice calco.
[9] Nessuna intenzione è in noi di voler
sminuire la figura professionale dell’odontotecnico, che nei limiti della sua professione non
vi è dubbio possa essere un maestro.
Non di meno non può competere nel caso specifico da noi trattato con la figura
professionale dell’orafo. Figura ben più attinente e preparata alla bisogna.
[10] L’arte del fondere il bronzo si perde
nella notte dei tempi. Il criterio di realizzazione che più avanti esporremo
non vogliamo e non possiamo attribuirlo senza prove al genio di fonditori
Sardi. Di sicuro il metodo era conosciuto in altri contesti e altre antiche
civiltà.
[11] L’affermazione non è casuale, infatti
nel suo primo studio (vedi infra nota 14) il Dr Serra mostra le copie delle
tavolette A3 e A4 (al rovescio), e le classifica in didascalia della Fig. 5 del
suo studio (pag. 1291 del testo vedi ancora infra nota 14), quali “Matrici in bronzo dal nuraghe
Tziricotu-Cabras (OR) (da Sanna, 2004)” (sic!).
[12] Paolo Benito Serra – Su un amatrice di
modano e su una placca di fibbia dell'oristanese – Quaderni 25/2014 https://www.academia.edu/20747241/Su_una_matrice
[13] La frase non sembra sortisca l’effetto
desiderato di: “precisare” ed “evitare ulteriori equivoci”. Anzi,
visto che usa il termine “calco” in modo improprio, in quanto il “calco”
è in negativo come la cosiddetta “matrice”. Inoltre quando scrive del “calco”
del reperto A1 non si riferisce alla immagine A1 della Fig. 3 del suo studio
(vedi immagine qui sotto), che con tutta evidenza è la fotografia
dell’originale (basta guardare le ombre proiettate), ma si riferisce proprio al
calco della tavoletta A1 (si faccia il raffronto tra le immagini della Fig. 3
dello studio del Dr Serra -qui sotto- e le immagini delle Fig. 2-a e Fig. 2-b
del presente articolo.
Tratto dallo studio di cui alla
nota 12.
[14] L’Africa romana - Mobilità delle
persone e dei popoli, dinamiche migratorie, emigrazioni ed immigrazioni nelle
province occidentali dell’Impero romano a cura di Aomar Akerraz, Paola Ruggeri,
Ahmed Siraj, Cinzia Vismara - Volume secondo – Carocci Editore. Pag. 1289.
[15] E’ assai probabile che in quel frangente,
siamo nel 2004 (il convegno di Rabat si svolse tra il 15 e il 19 dicembre 2004
poco dopo l’uscita di Sardôa Grommata) il Dr Serra abbia ritenuto che le
fotografie da lui edite nel suo studio fossero vere e proprie “matrici in
bronzo” (sic!) e dimostra imprecisione allorché scrive in didascalia che i
reperti furono trovati nel nuraghe Tzricotu. Prima di me Atropa nel suo
articolo “Le tavolette-sigillo di Tzricotu e la questione medievale” comparso
nella rivista semestrale Monti Prama – Quaderni Oristanesi – n° 62, scrisse: “…
In realtà Sanna riporta che le tavolette sono state rinvenute non nel nuraghe,
ma nei pressi”.
[16] La
Dr. C. Giostra in “L’impressione delle lamine in età altomedievale: il processo
tecnologico sulla base degli strumenti rinvenuti” Da:
https://www.yumpu.com/it/document/read/15557501/limpressione-delle-lamine-in-eta-altomedievale-bibar scrive:
“Circa la terminologia adottata per indicare lo strumento sul quale è raffigurato il motivo da riprodurre sulla lamina metallica mediante impressione si registra, nella letteratura specialistica italiana, una certa disomogeneità e imprecisione:...[A]” e più avanti : “Nel presente lavoro, nel caso dello strumento da impressione si è adottato il termine “modano”, da impressione o stampo o sbalzo (senza confondere quest’ultimo con la tecnica dello sbalzo diretto, ovvero “a mano libera”), tenendo presente la distinzione fra raffigurazioni “positive” o a rilievo (la totalità dei rinvenimenti italiani noti), che producono un’impronta negativa sulla superficie che viene a trovarsi a contatto con essi, e modelli “negativi” o scavati, che restituiscono l’immagine in risalto, alle quali le fonti sembrano fare riferimento. Destinerei invece il termine “matrice” alle forme in negativo destinate alla fusione (matrice da fusione) e ricavate dal “modello” iniziale (modello da fusione)” (mio il sottolineato ndr).
https://www.yumpu.com/it/document/read/15557501/limpressione-delle-lamine-in-eta-altomedievale-bibar scrive:
“Circa la terminologia adottata per indicare lo strumento sul quale è raffigurato il motivo da riprodurre sulla lamina metallica mediante impressione si registra, nella letteratura specialistica italiana, una certa disomogeneità e imprecisione:...[A]” e più avanti : “Nel presente lavoro, nel caso dello strumento da impressione si è adottato il termine “modano”, da impressione o stampo o sbalzo (senza confondere quest’ultimo con la tecnica dello sbalzo diretto, ovvero “a mano libera”), tenendo presente la distinzione fra raffigurazioni “positive” o a rilievo (la totalità dei rinvenimenti italiani noti), che producono un’impronta negativa sulla superficie che viene a trovarsi a contatto con essi, e modelli “negativi” o scavati, che restituiscono l’immagine in risalto, alle quali le fonti sembrano fare riferimento. Destinerei invece il termine “matrice” alle forme in negativo destinate alla fusione (matrice da fusione) e ricavate dal “modello” iniziale (modello da fusione)” (mio il sottolineato ndr).
- [A] Disomogeneità e imprecisione che riscontriamo nello studio del Dr Raimondo Zucca «Storiografia del problema della ‘scrittura nuragica’»[B] dove leggiamo: “Chi scrive, dopo un iniziale tentativo di interpretazione dei calchi in chiave cipro-sillabica, espresse riserve sull’antichità dell’unico manufatto disponibile, mentre oggi ritiene plausibile, seguendo l’interpretazione di Paolo Benito Serra, che l’unico esemplare in bronzo noto sia un mòdano per lamelle metalliche a decoro geometrico e fitomorfo simmetrico che fungevano da guarnizione per l’abbigliamento e l’equipaggiamento di personaggi di rango della società sardobizantina”. Il Dr Zucca disattende il collega allorquando definisce il reperto “mòdano” anziché “matrice in bronzo per mòdano”. Tutto ciò comporta confusione nel lettore che fiducioso nella puntualità di chi assume dei dati, che devono essere veritieri e incontrovertibili, potrebbe ritenere due vocaboli significanti cose diverse, intercambiabili tra loro; ingenerando così nel lettore la convinzione che “mòdano” e “matrice per mòdano” possano significare la stessa cosa.
- [B] http://www.filologiasarda.eu/files/documenti/pubblicazioni_pdf/bss5/01zucca.pdf
[19] Oppure un modello di piombo basato su
una matrice di talco. La distinzione tra l'una e l'altro è un passaggio di
lavorazione in più o in meno che non turba comunque il ragionamento che stiamo
delineando.
[20] Il bronzo con un tenore di stagno fino
al 6% è malleabile; con una percentuale dal 7 al 18% è una lega molto
resistente che attualmente è usata per pezzi meccanici: cuscinetti, armature
etc.; con percentuali di stagno del 22%
la lega è utilizzata per la fusione di campane; con oltre il 33% di stagno
forma una lega durissima ma fragile. Da: Marcello Cabibbo – 2016 2° ed. 2018 -
Leghe e metalli non ferrosi – Società
Editrice Esculaio - pag. 234.
[21] Evidentemente, sempre ragionando per
assurdo, per ricevere una colata di metallo, la tavoletta A1 dovrebbe essere
alloggiata in un contenitore, tale da delimitare ed accogliere il getto.
[22] Il risultato di una colata di bronzo
su altro bronzo sortirebbe solo l’effetto di creare una massa compatta.
[23] Si veda: G. Sanna 1996 – OMINES Dal
neolitico all’età nuragica – Edizioni Castello. G. Sanna 2004 - Sardôa
Grammata” 2004 -S’Alvure Editore.
[25] Atropa B. nel suo articolo “Le
tavolette-sigillo di Tzricotu e la questione medievale” comparso nella rivista
semestrale Monti Prama – Quaderni Oristanesi – n° 62, mette in risalto le
incongruenze dell’assunto del Dr Serra.
[26] Per sagoma ad U il Dr Serra intende
quanto indicato dal contorno in rosso nella immagine qui affianco prodotta
[27] La frase è talmente contorta da
risultare sibillina se non senza senso; essa recita: “La lettura corretta del tema
iconografico del reperto, la cui sagoma originaria ad
U diritta esige una rotazione di 180° rispetto all’immagine ad U rovescia pubblicata[C] (Fig.1), consente di apprezzare… etc etc”.
Bastava dire che: “La lettura corretta del tema iconografico del reperto, esige, come mostrato in Fig.1, una rotazione di 180° rispetto all’immagine ad U rovescia pubblicata dal Prof. Sanna”. Evidentemente è pericoloso giocare di dritto e di rovescio.
- [C] L’immagine della Fig.1 pubblicata nell’articolo del Dr Serra si mostra come U diritta, per tanto la parte finale della frase non ha attinenza con quella figura: Fig.1. Ammettendo che la medesima (Fig.1) si riferisse alla prima parte della frase, avrebbe dovuto inserire lì il riferimento alla Fig.1 ossia: “La lettura corretta del tema iconografico del reperto, la cui sagoma originaria ad U diritta (Fig.1) esige una rotazione di 180° rispetto all’immagine ad U rovescia pubblicata, consente di apprezzare… etc etc”. Ma anche in questo caso la frase non scorre perché ci si domanda: “pubblicata” da chi? Dal Dr Serra nel suo articolo (e non avrebbe senso) o dal Prof. Sanna nei suoi studi? Senza questa precisazione la frase è destinata a rimanere una incognita.
[28] Analizziamo quanto descritto e
spiegato dal Dr Serra a riguardo del tema iconografico, prescindendo da
quanto già scritto da Atropa a riguardo della lettura del tema
iconografico. La Atropa infatti scrive (vedi
l’articolo di cui alla nota 25): “Una procedura davvero inusuale per la
descrizione di una matrice per modani da sbalzo altomedievali che contiene,
secondo lui (il Dr Serra, ndr), solo decorazioni”.
[29] La somiglianza si ferma lì dove a
primo acchito e senza entrare nei particolari, si intravede in entrambi i
reperti, opportunamente “ruotati”, quello che potrebbe sembrare un fitomorfo.
Dall’attento esame dei particolari, però, si individuano nei due reperti dei
segni morfologicamente diversi gli uni (puntale di Castel Trosino) dagli altri
(tavoletta A1). Infatti nel puntale di Caster Trosino, il fusto del fitomorfo
ha la forma di un triangolo isoscele, ricavato per impressione con strumento
posto in posizione pressoché verticale, e fondo dell’incavo perfettamente
piatto (caratteristica questa anche dei segni a “punto e virgola” ivi
incisi); inoltre tutti i triangoli isosceli lì presenti furono eseguiti
per singola punzonatura col medesimo utensìle[D] di sezione triangolare pressoché
costante e punta tronca (il reperto è d’argento, per tanto duttile e malleabile); mentre il segno del “fusto” del presunto fitomorfo della “specimen” A1 è una composizione
tripartita realizzata con tre impressioni[E] cuneiformi successive; tant’è che tutti
i nove segni cuneiformi tripartiti sono uno diverso dall’altro[F].
- [D] Il dato è stato da me estrapolato in seguito ad una verifica grafica eseguita sulla immagine del reperto.
- [E] Impressioni eseguite, evidentemente, sul modello in piombo (vedi più avanti il capitolo 7).
- [F] Con tutta evidenza, i segni furono impressi con uno stilo posizionato in modo obliquo rispetto alla superficie della tavoletta, altrimenti i “cunei” sarebbero stati tutti uguali.
[31] come ben vide e scrisse Gigi Sanna nel saggio del 2004 - Sardôa
Grammata” 2004 -S’Alvure Editore.
[32] La tecnica è simile a quella della
scrittura sull'argilla plastica delle tavolette ugaritiche, dove il segno
cuneiforme è impresso per punti, mai per trascinamento dello stilo.
[33] L’osso di seppia fu utilizzato in
antico e ancor oggi si utilizza nei laboratori orafi artigianali; infatti
questo, composto per lo più da carbonato di calcio, resiste ad altissime
temperature, tanto da poter essere usato quale matrice per getti di fusione
con argento (punto di fusione 961°),
oro (punto di fusione 1064°) e bronzo
(il punto di fusione del bronzo diminuisce col crescere della percentuale di
stagno. Mediamente questa temperatura si aggira sui 900°).
Per quanto riguarda l’uso del
piombo, questo fonde ad una temperatura di 327°; per tanto si può ben capire
che la predisposizione del modello in piombo è relativamente agevole.
La lavorazione dell'osso di seppia è
relativamente facile e veloce, benché sia necessaria grande esperienza per il
suo utilizzo.
Sul web è visionabile un filmato nel
quale un noto orafo di Oristano, il Maestro Nanni Rocca esperto in arte orafa,
mostra la fusione con osso di seppia:
Per eventuali approfondimenti si
consulti: “Augusto Giuffredi12, 2010 - Formatura e fonderia: guida ai processi
di lavorazione – Alinea Editrice”, pag.169].
[34] Ci si domanderà del perché creare un
modello di bronzo, quando si aveva a disposizione quello di piombo. La risposta
sta nel fatto che il modello, in quanto di bronzo, avrebbe dovuto durare “in eterno” nella prospettiva di quelle
genti; ossia doveva essere usato per glorificare, uno dopo l'altro, tutti i piccoli giganti che si
sarebbero susseguiti nel corso dei secoli. Tale ufficio il piombo non poteva
adempierlo, essendo troppo tenero e malleabile, per tanto soggetto ad incidenti
che avrebbero potuto modificarne l'aspetto originario.
[35] A questo punto si può parlare di vero
e proprio sigillo cerimoniale, in quanto esso recava il nome del sovrano
defunto.
[37] In modo definitivo il Prof. Sanna
definisce quelli di Tzricotu i sigilli cerimoniali dei Giganti di Monte e Prama
(vedi “I geroglifici dei Giganti – PTM Editrice cap. 10.2).
Se non avessi condiviso questa tesi
e quanto essa comporta (lo studio della scrittura nuragica), non sarei arrivato,
come sono arrivato, alle illuminanti scoperte in campo archeastronomico.
L’imput fu la proposta di lettura eseguita dal Prof. Sanna del muro di “Su
murru mannu” in Tharros; per la quale fui sollecitato dalla mia professionalità
al voler mettere alla prova la tesi del Professore (e lo dico senza tema di
smentita né timore di esser tacciato di presunzione); professionalità unita
alla grande curiosità e ricerca della verità. In quella occasione le due
discipline si aiutarono a vicenda e aprirono la strada allo studio di un nuovo
tema di ricerca in campo archeoastromico, legato ad una data, che ritengo
fondamentale nel quadro della civiltà nuragica: il 21 aprile[G].
- [G] Vedi “Sincretismo religioso tra nuragico e romano nel blog Maimoni. La medesima data fu individuata ancor prima e in modo del tutto autonomo dal Dr Borut Juvanec, che a suo tempo studiò il pozzo di Sant’Anastasia di Sardara. Da : http://www.fupress.net/index.php/ra/article/view/17954 - Borut Juvanec - Sacred well Sant’Anastasia, Sardinia (Pozzo Sacro Sant’Anastasia, Sardegna). Vedi anche nel blog Maimoni l’articolo del 04 settembre 2017: Sandro Angei - Il pozzo sacro di Sant'Anastasia di Sardara - Ovvero, finiamo il lavoro lasciato a metà... .
Bravissimo Sandro. Articolo cardine. Una punizione alla' Cigarimi' e 'zac' il pallone dentro. Partita chiusa. Dovremmo oggi essere felici per questo tuo enorme contributo che liquida definitivamente la superficialità e l'ignoranza dei bizantinofili, istupiditi e ciechi, se non fosse che un pensiero e una riflessione d'obbligo ci fa ribollire di rabbia. Infatti, per colpa delle stupidaggini (e quale voce mai, se non questa, si dovrebbe usare?) accolte acriticamente da non pochi archeologi e, soprattutto, dagli 'epigrafisti della domenica', da venti e più anni si è perso, in polemiche pretestuose quanto sterili, il tempo prezioso della scienza. E non solo di quella epigrafica, ma anche storica, religiosa, antropologica. Le cosiddette 'tavolette' (addirittura denominate 'placchette!) di Tzricotu sono dei sigilli; i bellissimi e sofisticatissimi sigilli dei Giganti di Monte 'e Prama. Punto! Quattro (per ora) capolavori dell'arte della scrittura e della sfragistica di ogni tempo. Sigilli antichissimi perché, caro Sandro, se la tavoletta A1 è lo 'specimen' (il modello ideale) e se le sepolture dei Giganti, per prove scientifiche archeometriche, risalgono all'inizio del XII secolo a.C., questo vuol dire che la ricerca epigrafica sulla scrittura nuragica deve essere condotta oggi sulla base di documenti che, per fare qualche esempio, vengono due o tre secoli prima della barchetta di Teti e tre o quattro prima della stele di Nora. Vengono per colmare (iniziare a colmare) lo iato tra la scrittura delle stele del Sarcidano e quello dei bronzetti più arcaici (ugualmente scritti). Ti dirò che mi hai fatto anche sorridere un po' con quell'ennesimo pasticcio di Paolo Benito Serra, ostinato e sfortunato nel capovolgere oggetti che non vanno capovolti: due capovolgimenti e due sciocchezze! Lo avevamo avvertito più volte (e Aba Losi lo aveva fatto in modo particolare, con garbata ironia, nella rivista Monti Prama) che era bene che si parlasse di 'antropomorfi' e di cunei ugaritici e non di motivi 'fitomorfi' (con fusto e fronde di triangoli equilateri!). Ma non c'è stato nulla da fare. Nessuna correzione, nessun ‘dietro front’. Anzi, nel 'secondo tempo' sono spuntate una quarantina di pagine in più per mascherare con inutili dati su dati (quelli sì ...bizantini) la nullità dell'assunto circa la ‘matrice per modani per linguelle di cinturoni da parata’ . Pietra tombale, dunque! Ma tu vuoi quella definitiva della perizia metallografica. Giusto. Ma sai cosa ti dico? Che è del tutto superflua. E sai cosa ti dico ancora? Che quel sigillo ‘ora’ non lo porteranno mai a periziare. Pena la figuraccia che si è fatta, da parte degli scettici e dei negazionisti, con il pronunciamento circa la scrittura e l'antichità della barchetta di Teti.
RispondiEliminaCaro Professore, sono contento di questo suo commento, ma un fondo di tristezza conservo nel constatare la superficialità nell'analisi di oggetti e nell'uso di termini (impropri) da parte di chi dovrebbe essere molto cauto nell'esporre dati che non fanno parte del suo sapere. Bastava rivolgersi ad un orafo, un artigiano tra tanti, e la tesi “matrice per mòdano” sarebbe stata scartata a priori sin dall'inizio. Già all'ora (2004) si sarebbe parlato di “ossi di seppia” e di modalità di realizzazione dei “sigilli”. E' mai possibile che in quel frangente (dal 2004), nessuno fosse in grado di capire che una matrice di bronzo non poteva essere utilizzata per creare un altro oggetto di durissimo bronzo?!
RispondiEliminaE' mai possibile che uno studioso avalli in modo del tutto cieco la tesi di un collega?! E per giunta disattendendo la nomenclatura del collega stesso (vedi nota 16B); e che, per ironia della sorte, si avvicinò inconsapevole, alla vera funzione dell'oggetto (lo definisce “mòdano”, che non vuol dir altro che “modello”).
Spero che questo articolo faccia davvero breccia nell'animo della gente e nella consapevolezza di chi vuole indietro la “specimen” A1: Il Comune di Cabras che nel 2007 indirizzò la richiesta alla Soprintendenza per i Beni Archeologici. Ma spero, in modo speciale, che faccia breccia nella consapevolezza degli studiosi.
Sarò un illuso ma sai cosa mi auguro? Che i tre sigilli (e gli altri) vengano consegnati alla Sovrintendenza da parte di chi li ha scoperti (nei pressi del nuraghe Tzricotu) e possano diventare così patrimonio sardo, di Cabras e dell'umanità intera. Nell'occidente Mediterraneo del XIII secolo a.C. c'era un solo popolo capace di realizzare 'gioielli' epigrafici di quella caratura. Nel mio saggio di didattica ( I geroglifici dei Giganti) ho scritto che le più grandi scoperte archeologiche della Sardegna del secolo scorso sono state le Statue 'in serie' di Monte 'e Prama e i sigilli 'in serie' di Tzricotu. Non mi sono pentito, anzi vado orgoglioso di quella affermazione. Dopo il tuo articolo 'scientifico' chi potrebbe eccepire e dire che quel mio pronunciamento sia censurabile?
RispondiEliminaIl comune di Cabra? Deve essere consapevole che quei sigilli valgono quanto le statue. E deve reclamare con forza quello che è suo. Quanto sarebbe bello ammirare nel museo le statue e, accanto ad esse, i sigilli con i loro nomi (o per lo meno, i nomi di alcuni) scritti, come nel sigillo A3, nel mix del modus scribendi, ovvero il protocananaico dei nuragici (shrdn).
RispondiEliminaSandro,una domanda. Pensi che ora si debba pensare all'esistenza di più sigilli (lo pensò anche un noto archeologo oristanese)? Tanti quanti furono i Giganti di Monte 'e Prama. Da quanto siamo riusciti a sapere in tutti questi anni, i sigilli vennero trovati in un ripostiglio nuragico a tholos (dentro un contenitore d'argilla). Se così fosse e se i sigilli venissero restituiti, dell'epigrafia e della scrittura nuragica del periodo d'oro dei nuragici si saprebbe tantissimo!
RispondiEliminaPenso che lo “specimen” debba essere inteso quale modello “eterno” come scrivo nell'articolo. Per tanto è auspicabile che i sigilli siano in numero maggiore di quelli conosciuti. D'altronde, come ho dimostrato, confezionarli “ad personam” era relativamente facile.
EliminaGuardate come commenta (da storico con gli 'attributi') Francesco Cesare Casula nella mia pagina di facebook: 'visto che studio la storia (specie sarda) da sessant'anni potrei confutare le asserzioni degli storici locali italianisti fra cui quella di partenza che collocherebbe le tavolette in periodo altomedievale. È una scansione cronica kelleriana che in Sardegna non esiste. Quindi ? Se poi applicata al Sinis fa ridere (coi vandalj ? coi bizantini ?). Dal 900 in poi si ha il Regno di Arborea e le tavolette pensate prodotte in questo periodo statuale è impossibile. Riassumendo non resta che collocarle in periodo nuragico aprendo la porta ad una rivisitazione della storia sarda che si dovrebbe far iniziare col periodo nuragico e non con l'arrivo dei Fenici.
RispondiEliminaCerto è che la presenza dello 'atelier' altomedioevale a Tharros (inventato di sana pianta dal Serra dal momento che a Tzricotu non c'è nulla di bizantino) fa solo ridere. E piangere nello stesso tempo! Il peggior peccato di uno storico è addomesticare la storia.
RispondiEliminaNon pensavo di avere l'onore di un commento da parte del Prof. Francesco Cesare Casula, benché in modo indiretto su Facebook. Ho letto tutti i commenti di quella pagina Facebook e me ne rallegro. Una visione obiettiva come quella di un grande esperto di storia quale è il Prof. Casula, che di fatto nobilita il mio studio (e quasi ne arrossisco), non può che far crollare il “castelletto” medievale; se nel frattempo non è già crollato!
RispondiEliminaBello vero? Ma Cesare dall'alto delle sue conoscenze storiche non vuole essere 'generoso'. E' uno storico e basta. Uno dei pochissimi storici sardi che se ne fotte delle ideologie. Sei dalla parte della verità? Dammi del tempo per leggere e meditare e poi darò il mio giudizio. Senza guardare in faccia nessuno. Se ne trovassero di più storici dello stesso calibro! Ha lottato tutta una vita per far capire lo scippo fatto dai Savoia in Sardegna circa il loro titolo di 'RE'e la storiografia italiana non si è degnata di scrive due righe (soprattutto nei testi di scuola) circa questa lapalissiana verità. Ma conosciamo bene la 'mano destra' della storia nazionale italiana, solo italiana, caparbiamente italiana.
RispondiEliminaLo stile del Prof. Casùla è nobile, nell'accezione più alta e profonda del termine (scusate l'antitesi). Da risalto al mio studio solo (e dico solo) implicitamente. Tutto il merito lo dedica a Lei Professore e solo a Lei. E' giusto che sia così.
EliminaComunque. Vedo che il nuovissimo saggio sulla 'storia, i problemi e le considerazioni' di Francesco Masia già invecchia. Oggi su Tzricotu (e credo con maggiore sua soddisfazione) scriverebbe ben altro. Ma gli eventi di quest'anno, anche per tutte le belle novità che ci saranno sul piano documentario, faranno raddoppiare presto quelle pagine. Ci sono tre codici metagrafici che si danno una mano: il pitico, il sardo e l'etrusco.
RispondiEliminaDa Caterina Bittichesu (mia pagina di Facebook)
RispondiElimina'Bravissimo, Sandro Angei, il suo saggio è molto acuto e di grande interesse. I miei complimenti!'
Con grande emozione apprendo le parole della Dr Bittichesu. Un motivo in più per continuare a studiare. Grazie!
EliminaArrivo ultimo, Sandro Angei, ma sai che non sono corsaro.
RispondiEliminaIl tuo studio è illuminante e dà corpo alle nostre antiche intuizioni che, al tempo, avevamo espresso sul blog di Gianfranco.
Mi credi se ti dico che alle parole "ossi d seppia" mi venivano in mente alcuni versi di Montale o quei frammenti che si inseriscono nella gabbia dei canarini?
Non vorrei che si scopra che furono i Fenici a far conoscere gli ossi di seppia agli sprovveduti abitatori di Tharros, ai quali probabilmente vendettero anche i canarini, si può supporre.
D'ora in poi, se comprerò le seppie, butterò la testa con gli occhi e le appendici, ma conserverò gelosamente l'osso. Un giorno o l'altro, visto che ho imparato i preliminari, mi verrà lo sfizio di fondermi una personale cinghia di bronzo puntinata e virgolettata.
Fortunatamente le seppie arrivarono sulle coste sarde ben prima dei fenici.
EliminaSe vuoi, caro Franco, ti aiuterò a mettere punti e virgole e motivi fitomorfi. Ma orientati questi ultimi nel senso giusto e con fusto perfettamente triangolare. Che stupidaggini quelle del Serra. Inanellate una dopo l'altra! Vedo che non hai 'gridato' anche tu sul bisogno assoluto della perizia metallografica. Ora rimane solo questo adempimento (se proprio si vuole, perché, secondo me e secondo la paleografia, è del tutto inutile: il resposnso è certo al cento per cento. Punto!
RispondiEliminaSarà una fibbia paleografica, unica al mondo!
RispondiEliminaSpieghi bene, Sandro, che i calchi delle tavolette A3, A4 e A5 sono in negativo (nel senso che i segni riportati vi risultano incisi e non in rilievo); quindi, essendo lo specimen in nostro possesso pure in negativo, detti calchi sono in realtà “copie” ottenute attraverso calchi dei calchi.
RispondiEliminaBene, solo che spiegato questo passi a scrivere: “le motivazioni di questo doppio passaggio, per la realizzazione di copie ‘simili’ all’originale, non saremo di certo noi a desumerle, ma ognuno può trarle per proprio conto; e ciò può indurre a pensare che le tavolette A3, A4 e A5 esistono”.
Ecco, come questo doppio passaggio possa indurre a pensare (di per sé stesso) che effettivamente esistano gli originali, davvero continua a sfuggirmi.
Mi sembra invece doveroso contemplare questa ipotesi: un falsario in possesso di un pezzo in bronzo antico comunque riconducibile a un cartiglio vuole far credere all’esistenza di reperti con scrittura entro detto cartiglio, perciò trova agevole procedere a realizzare su questo pezzo proprio quanto spiegato sopra: calchi (con i segni in rilievo) e su questi ancora calchi (con i segni incisi, copie dell’originale), per potervi apporre finalmente gli aggiuntivi segni di scrittura che vuole spacciare (più facili da realizzarsi incidendoli su questo secondo calco che costruendoli in rilievo sul primo calco; realizzare a quel punto un terzo calco per dare a credere di aver direttamente prodotto la semplice immagine in positivo, con impressi in rilievo i segni incisi sulle tavolette “originali”, probabilmente sarebbe risultato un passaggio ormai troppo inaffidabile).
Perché farlo a partire da un bronzo magari medievale (mi chiede Gigi)? Magari perché questo può sembrare un cartiglio, perché può essere preso per nuragico (e quando lo esamineranno mai?), quindi perché potrà essere consegnato e, alla luce delle sue copie contraffate, potrà indurre a credere che esistano anche gli altri originali.
Poi dimostri (a mio avviso) bene (forse non per primo, è stato detto, ma con grande accuratezza) che il bronzo di Tzricotu non poteva ricevere “colate” (non colate atte a produrre guarnizioni di finimenti equini o di linguelle e cinture multiple da parata ), come nemmeno poteva sopportare le martellate per imprimere i suoi segni su una lamina di metallo. E qui si inserisce l’ipotesi che ho raccolto da Andrea Loddo, il quale è certamente d’accordo sull’escludere la funzione sostenuta da P.B. Serra, ma avanza l’idea che il nostro bronzo potesse essere uno stampo per decorazioni su cuoio bagnato (materiale che il bronzo verosimilmente avrebbe potuto impressionare senza alterare la propria forma) o, al massimo, per realizzare una sottile foglia d’oro per decorazioni (ricevendo allo scopo, a quanto ho capito, una “colata” davvero minima).
Ancora, riconosci che segni dello specimen sono simili a quelli sui reperti medievali citati da P.B. Serra, salvo che poi trovi non si tratti di una reale somiglianza essenzialmente per via dell’orientamento; e qui la dimostrazione mi sembra assai debole. Le immagini eventualmente risultanti dallo specimen potrebbero tranquillamente esporsi come, qui, nella fig. 8 (le parti distali delle linguelle di cintura da parata, per esempio, cadranno proprio a U “dritta”; ed è ragionevole siano ornate in favore dello sguardo di chi osservi colui che tale cintura indossa); mentre un puntale (di fodero di spada, ammettiamo) potrà pure essere orientato in favore, come dire, dello sguardo del possessore, nel senso coincidente con quello della lama che (nel fodero) si inserisce (una ricerca di immagini non mi porta subito a una chiara e soddisfacente casistica, ma non mi sembra vi sia una regola univoca).
RispondiEliminaTanto posso dire su alcuni passaggi di questa inchiesta, interessante quanto gli ulteriori motivi portati in ultimo da Gigi a sostegno della reale presenza, qui, della scrittura nuragica più antica.
Come poteva un falsario realizzare intorno al 1995 quel mix alfabetico che solo dopo si sarebbe rivelato il codice di tutti i documenti successivamente emersi? Ovviamente non so rispondere, ma dovendo esprimermi: posso pensare che un falsario potrebbe aver preso (per gettare scompiglio?) lettere di qua e di là tra gli antichi (e antichissimi) codici di scrittura.
Non sono epigrafista e perciò non mi sento di scrivere, strettamente, di epigrafia.
Se il bronzo di Tzricotu risulterà nuragico ne sarò solo felice e, potete crederlo, festeggerò.
Nell’ipotesi, però, dovesse risultare medievale, cosa che (come ho cercato di spiegare) semplicemente non mi sento di escludere, allora resto qui a non puntare tutto (o troppo) su un solo numero (anche se in quel caso la vincita, quando dovesse essere sancita, sarebbe superiore).
Sarà poi prematuro, concordo, accreditare l’ipotesi avanzata (ufficiosamente) da Andrea Loddo, ma (provo a spiegarlo un’altra volta) quello che volevo sottolineare era che, stante l’errore nell’interpretazione di P.B. Serra del bronzo di Tzricotu (errore pedissequamente fatto proprio da tutta l’accademia, così come per la fusaiola del Palmavera frutto di un lusus degli operai, oppure di chiodi sul fondo di un sacco), se questo reperto fosse comunque medievale la sua migliore spiegazione potrà magari dirsi avanzata anzitutto da un appassionato e non dall’accademia.
Ma si vedrà.
Tu dici: 'Come poteva un falsario realizzare intorno al 1995 quel mix alfabetico che solo dopo si sarebbe rivelato il codice di tutti i documenti successivamente emersi? Ovviamente non so rispondere, ma dovendo esprimermi: posso pensare che un falsario potrebbe aver preso (per gettare scompiglio?) lettere di qua e di là tra gli antichi (e antichissimi) codici di scrittura'
RispondiEliminaE questa tu la ritieni una risposta? Io quindi avrei interpretato lo...scompiglio? Avrei ritenuto 'logico' il guazzabuglio di eccelsa ermeneutica di cui sai? I miei yhw wa ha ben (Yhwh e il figlio) e Yhw hey 'arwh (yahw dche dà la vita) sono arte mia nell'interpretare i guazzabugli? Ascolta, cato Francesco,non offenderti. Come non mi sono offeso io. E porco cane se c'era il tanto! Delle due l'una: o hai bevuto per due giorni interi cannonau da 15 gradi oppure se in vena di spararla come viene per sola (patetica) vis polemica.
E poi. Non hai proprio capito a cosa alludesse Sandro con quella battuta. Non hai capito nulla della reticenza. Nessuna contraddizione, proprio nessuna. Ma questo fatelo spiegare da Sandro. Perché è un po' colpevole di non dire pane al pane, vino al vino e casino al casino. E se non hai capito tu vuol dire che quella espressione non l'ha capita nessuno.
Dimenticavo. 'Festeggia, festeggia'. Il bronzo è nuragico, nuragicissimo. E scritto, magnificamente scritto (come dimostro in decine e decine di pagine in SAGRA e nell'articolo versus Zucca). Ma non bere troppo. Perché una seconda volta rischi, senza volerlo, di scassare tutto.
RispondiEliminaVedo che abbiamo superato poco fa le 900.000 visualizzazioni. Sono contento per tutti noi!
RispondiEliminaCaro Gigi, se considerassi (io) gli studi di cui parliamo materia che potrebbe scassarsi per la semplice espressione delle mie opinioni, mi sarei da un pezzo liberato del tempo per altro.
RispondiEliminaD’altronde, forse, il “tutto” che potrei scassare (senza volerlo) riguarda magari qualcosa come (grevemente) le tue parti intime, o (più gravemente) la nostra amicizia; non vorrei davvero e, sinceramente, mi dispiace ve ne sia il rischio. Ma non penso avrebbe giovato ad alcunché evitare questa discussione o giovi adesso sopirla evitando di aggiungere, per parte mia, almeno quanto segue.
Dici che ho sbagliato a mettere il punto interrogativo davanti a “scrittura nuragica” (parliamo del titolo del mio libro) perché questa è ormai dimostrata. Una dimostrazione non riconosciuta, o sarei stato un bello stupido a impegnarmi a scrivere il libro per avvicinarne appunto il riconoscimento.
Sì, teniamoci stretto (l’ho sottolineato e non lo dimentico) l’importante schierarsi del Prof. Francesco Cesare Casula (e la generosa apertura della dottoressa Caterina Bittichesu), ma a che serve negare che il necessario riconoscimento ancora non vi sia?
Dici, soprattutto, che devo considerare i sigilli A3, A4 e A5 certamente esistenti e, come lo specimen, autenticamente nuragici, perché magnificamente scritti (così come da te ampiamente dimostrato) come solo i Nuragici avrebbero potuto,
Ho cercato un’altra volta di spiegare che non posso avallare con nessuna competenza, titolo e autorità dimostrazioni puramente (e fieramente) epigrafiche. Chi come me “non ne sa” può solo fidarsi di ciò che convengono tra loro gli epigrafisti, e rimanere incerto quando questi sostengono cose diverse. Vuoi avercela con me per la consapevolezza di questo (o per la modestia)? Sono io quello che si deve convincere perché si avanzi di un altro passo? Non credo.
Io mi impegno a seguire la materia su un piano molto più basico, che a ben vedere cerca di guardare a tutte le prove “intorno” all’epigrafia, quindi essenzialmente alle verifiche scientifiche “altre” sui reperti/documenti (verifiche che la scienza epigrafica ha il compito, com’è naturale, di indicare e raccomandare).
Se A3, A4 e A5 fossero dei falsi (come non saprei escludere, non potendo io avallare soli argomenti epigrafici) riporterebbero lettere, ho scritto, prese allora di qua e di là tra gli antichi (o antichissimi) codici di scrittura: se messe a casaccio o con l’intento di suggerire qualche possibile lettura non potrei dirlo e non l’ho detto (né saprei quale opzione ti piacerebbe di meno). Anche, però, a seguire l’ipotesi che le lettere di eventuali falsi siano state disposte senza un disegno preciso (ribadito che non ho parlato di “gettare scompiglio” in questo senso), sarebbe sbagliato concludere che l’epigrafista il quale abbia saputo ricavarne un’interpretazione sia meno capace di chi non ne abbia trovata nessuna (o semplicemente non l’abbia cercata, o comunque non si sia pronunciato): se affido una sequenza di numeri (per me casuale) a un gruppo di matematici, sarà più probabile che solo i più bravi tra loro risultino capaci di trovarvi una logica, magari a me (quando poi provassero a spiegarmela) ancora inafferrabile. E questo perché non capisco abbastanza di matematica (così come non capisco abbastanza di epigrafia).
In sostanza, sostenere che A3, A4 e A5 (mai esibita una loro foto, mai visti se non nelle loro presunte copie) siano autentici solo perché tu, Gigi, li hai potuti interpretare resta (a mio avviso) sul piano logico non corretto; e ancora non potrebbe dirsi sicurissimo (sempre quanto alla logica scientifica) nemmeno se fossero d’accordo con te schiere di epigrafisti (il che, purtroppo, non è).
Per ora, quindi, vedo di festeggiare per tante altre cose (una, con tutti voi, le 900.000 visualizzazioni di Maymoni già superate). E resto fiducioso e sereno.
Ora sì che gli 'intellettuali' (a frotte perché stimolati dalla tua retorica sulla matematica) entreranno in campo! Saggi e giornali saranno tutti per te. Ci sarà anche chi scriverà un saggio sulla necessità filologica di introdurre nella saggistica punti interrogativi calibrati: 'grandi', 'medi' e 'piccoli'. Saranno banditi del tutto gli stictogrammi. Esumaria! Bae cun Deus!
RispondiEliminaCaro Francesco, stai reiterando le tue ragioni. le tue perplessità, le tue opinioni in un modo che direi instancabile, ma solo per quanto riguarda te, perché non è piacevole rileggere e rileggere sempre le stesse cose, specialmente se inframezzate da interlocuzioni come questa:
RispondiElimina"Ho cercato un’altra volta di spiegare che non posso avallare con nessuna competenza, titolo e autorità dimostrazioni puramente (e fieramente) epigrafiche....",
Lo sai che mi hai ricordato un certo Mauro Peppino Zedda?
Non posso credere che abbiate un filo di logica in comune!
Rispetto alle pronunce sulla scrittura nuragica da parte del mondo scientifico "ufficiale" che tu aspetti per convincerti, ma poi elucubri su prospettive surreali mettendo in conto che il Sigillo A1 sia un falso (e questo non l'ha detto mai nessuno ancora!), mi preme evidenziare che la scienza non è democratica, nel senso che la maggioranza delle opinioni non costituisce verità scientifica, ma le prove ripetute e dimostrabili fanno di una teoria una cosa vera o una cosa non vera.
A oggi, quanti epigrafisti, di quelli buoni intendo, trarrebbero un vantaggio concreto, sia di soldi che di fama, ad avvallare la teoria della scrittura nuragica, così come si è scoperta?
A oggi, quanti epigrafisti, veri o presunti, si esimerebbero dal provare infondata la suddetta teoria se mai avessero in mano delle dimostrazioni utili allo scopo?
In ultima analisi, ma non ultima per le vicende che stiamo vivendo come Popolo sardo, a chi vuoi che importi fuori dalla Sardegna che Monti Prama, Tharros e i mille altri siti, scritti o meno dai Nuragici, diventino importanti siti di attrazione mondiale, scientifica e turistica, se neppure a chi ha responsabilità in Sardegna frega nulla di tutto ciò?
Ora, Francesco, fai lo sforzo di saltare sulla cima di quel monte da cui Satana mostrò a Gesù, promettendoglieli, tutti i regni del mondo: vedrai tutti i popoli del mondo che non guardano verso la Sardegna, ma ci mostrano le spalle, concentrati sulle loro cose.
Da dove aspetti risposte ai tuoi dilemmi?
Io scrivo come se ti avessi di fronte, a portata di voce. Non ho mai frequentato un corso di diplomazia, mi preme solamente di farmi capire.
Ti confesso, Franco, che anche a me è venuto in mente MPZ: a stabilire differenze significative basta ricordarmi che io ho scritto quel libro mentre lui aveva scelto, tra l’altro, di condurre una campagna dal suo blog con quella serie di articoli persecutori (giudicare i quali mi ha guadagnato una querela).
RispondiEliminaMi scuso con tutti i lettori per la ripetitività e le interlocuzioni stancanti. Perché si producono?
Perché anche chi vuole, come me, seguire e sostenere Gigi nell’affermare le evidenze favorevoli (in sintesi) alla scrittura nuragica si trova in qualche caso davanti a pretese dimostrazioni (addirittura di autenticità di reperti noti appena da presunte copie) fondate solo sull’epigrafia, tutt’altro che condivise tra gli epigrafisti, sulle quali sa di non potersi esprimere (come MPZ, è vero), per le quali ha rispetto e delle quali, però, può pensare (è il mio caso) che un discorso condivisibile sul tema potrebbe o dovrebbe, oggi, fare a meno, almeno quando sostenuto da non epigrafisti e specie quando proposto anche a non epigrafisti.
Prometto che in futuro, in caso di bisogno (se ancora, cioè, mi si dirà che sbaglio a non considerare accertata qualcosa), rimanderò a questa discussione, felice anch’io di non dovermi ripetere.
In ultimo, non vorrei allungarmi ancora, ma credo tu abbia frainteso qualcosa (certamente per la stanchezza, quindi per colpa mia) perché non ho mai voluto elucubrare che A1 sia un falso.
A prescindere da qualsiasi considerazione sulle copie dei sigilli A3, A4 e A5, sta il fatto che sul sigillo A1, si è cercato sin da subito (2004) di inficiare la tesi del Prof. Sanna (Sardoa grammata del 2004) con una ridicola quanto superficiale ipotesi medievalesca del reperto. Tanto superficiale da dar l'idea di esser salito sulla carrozza al volo sotto l'acquazzone chi, vedendo nuvoloni ancor più neri all'orizzonte, pensava di evitare d'inzupparsi. Ma è arrivata una grandinata con chicchi che parevano noci; la carrozza aveva il tetto di tela.
RispondiEliminaHai fatto bene a sottolinearlo, Sandro. Su quella sciagurata interpretazione (chiamiamola così) si sono buttati un po' tutti: giacobini negazionisti, epigrafisti della domenica, archeologi di infimo ordine, 'intellettuali' della mano destra della storia, pappagalli del paradigma 'i sardi non scrivevano', dilettanti di scienze storiche e religiose, illetterati, perdigiorno, invidiosi, ecc. ecc.. Persino ceffi pseudoscrittori inclini al mal fare, anche organizzato. Per interrompere tutto quel casino una scienza responsabile avrebbe dovuto fare una cosa semplice: far periziare subito il reperto oggetto di tante polemiche. Invece si è preferito 'appoggiare', comunque, un parere (si badi bene, un parere) basato su paragoni che erano veri e propri 'paracarri', con alcuni archeologi che scambiavano addirittura il simmetrico con lo speculare e pronti a dire che 'a loro parere' (sic! caspita che prova scientifica!) il sigillo (chiamato con disprezzo 'placchetta')era manufatto bizantino e che su quella placchetta del Nono secolo a.C. avevano riprodotto in serie segni di scritture antiche orientali di 3000 anni prima. Solo pazzesco! Oggi (te l'ho detto da subito e te lo posso confermare) chi vorrà parlare di quel sigillo di Tzricotu dovrà fare i conti non solo con l'epigrafia ma anche con la tua vigorosa ricostruzione tecnico -scientifica che ha portato a comprendere tutto (proprio tutto) il processo che ha condotto lo scriba artigiano nuragico a realizzare lo 'specimen' dei sigilli seriali taurini dei Giganti dalle statue ugualmente 'seriali' perché tutti di ‘Giganti’. Vedo che nessuno ha aperto bocca (figurarsi il Serra dell'ermeneutica botanica! Cosa può fare se non alzare le mani?) e credo che nessuno l'aprirà.
RispondiEliminaC'è solo chi, del tutto inesperto di procedimenti sofisticati in campo metallurgico, preferisce snobbarti, non parlare (o parlare senza capire proprio niente) del tuo saggio e magari proporre soluzioni alternative, ma sempre bizantine, in base a 'pareri' (caspita quanto valgono i pareri nella scienza!) di amici metallografi dilettanti (sia pur abilissimi nell'arte di riprodurre gli oggetti antichi in bronzo). Magari dicendo esplicitamente che si avrebbe così la 'soddisfazione' di smentire comunque il Serra. Caspita la soddisfazione! Ci tuffiamo tutti in allegria in quella purissima gioia intellettuale! Ma come non capire che il Serra non va smentito solo (sottolineo solo!) sul piano tecnico periziale circa il metallo e l’oggetto in sè. Va smentito anche e soprattutto sul piano 'epigrafico', cioè sul ‘cosa’ c'è inciso su quel metallo. Va smentito sui significanti. Tutti i segni dello 'specimen' (per attestazione documentaria, anche del Lutzu: o non è così?) sono segni di scrittura e lo scarabeo di Su crastu biancu di San Vero Milis è l'ultimo della serie dei documenti che confermano quei segni. Bisogna leggere e meditare (così si apprende ogni disciplina) perché l'epigrafia non è un mostro incomprensibile per maghi e per persone dall’intelletto marziano, ma una scienza umana chiarissima manovrabilissima (fosse così l’archeologia!) e dove il dato documentario insieme a tutta la serie di dati simili o identici di attestazione permettono di dire con certezza, nella sequenza grafica, se c'è intento decorativo o scrittorio, oppure sussistano entrambe le intenzioni. Oggi si discute del segno a ‘yod’ dato ancora (e ancora, e ancora!) come ‘decorativo’. Un assurdo ermeneutico ripetuto ostinatamente ‘per paura’. L’intenzionalità scrittoria (anche perché il segno risulta spesso abbinato ad altri segni e nelle catene fonetiche) negata ad oltranza (resistere! resistere! resistere!) pur essendo lapalissiana. Ma chiediamoci: perché mai aver paura della scrittura se ci dà, con ogni probabilità (la certezza lasciamola a Dio) l’acrofonia della divinità nuragica YH, YHH, YHW, YHWH? Non è una cosa bella? Anzi bellissima e commovente nella sua straordinarietà? Forse che gli etruscologi hanno timore nel dire che il segno a ‘V’ è acrofonico della dea ‘VNI’? E perché acrofonia lì e non qui? Come non capire che Y:Y(HWH) = V:V(NI)?
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