di Gigi Sanna,
dedicato agli amici del movimento di Autodeterminatzione
dedicato agli amici del movimento di Autodeterminatzione
- Il dato epigrafico. Prime considerazioni.
Immaginiamoci di trovare un disegno di un
animale riportato su di una pietra, su di una roccia, su di un frammento di
ceramica o su di una superficie metallica. E immaginiamo ancora che esso sia uno scarabeo. Il nostro primo compito, se dovessimo avere
l’impressione della possibile antichità di esso, sarà ovviamente quello di
esaminare per benino le modalità con cui è stato riprodotto (la grafia), il
secondo sarà quello di cercare di capire
la precisa tipologia di esso.
Solitamente i nostri occhi vanno non ai dettagli ma all’insieme e di conseguenza la prima operazione avviene dopo la seconda. Pertanto chi vede l’immagine può già cominciare a dire che l’animale (l’insetto) è uno scarabeo perché ‘quelle’ sono o ‘sembrano’ grosso modo le fattezze di quel particolare animale (fig. 2).
Fig. 2. Scarabeus sacer (Sardegna) Fig. 3. Scarabeo di Su crastu biancu
‘Grosso modo’ però perché, dopo il primo
sguardo (il vedere non è mai osservare), le cose si complicano di non poco in quanto l’insetto risulta del tutto particolare avendo
le parti che lo compongono ora in marcato rilievo ora no. Più precisamente la
testa, il torace e il dorso appaiono in rilievo (in positivo) mentre le elitre
e le zampette sono ottenute attraverso le linee o, meglio, attraverso la
solcatura (la linea profonda in negativo) continua eseguita (fig.3) quasi si
volesse dare l’idea che il disegno
sia stato eseguito in ‘quel’ modo non tanto (o non solo) al fine di disegnare uno scarabeo quanto al
fine di richiamare un sigillo con
‘soggetto’ uno scarabeo.
E si complicano ancora perché il disegno
della testa e del torace non è quello che uno si aspetterebbe di trovare (fig. 4)
se veramente uno avesse voluto riprodurre uno scarabeo ‘comune’ ma è dato da
una disarticolazione che investe la
testa che compare staccata dal torace e, in particolar modo, il torace che
risulta composto da cinque segni: uno a breve tratto orizzontale, due ricurvi
(a un quarto di cerchio), uno a tratto verticale ed infine uno ancora a tratto
orizzontale più lungo del precedente (fig. 5) .
Fig. 4
Fig. 5
Ora, come si sa, di scarabei ne esistono di
tanti tipi, sparsi in tutto il mondo. Non è difficile procurarsi repertori e
cataloghi che mostrano quanto vasta sia la gamma tipologica e capire così se
chi ha riprodotto l’insetto esistente in natura abbia eseguito il suo disegno
attingendo da scarabei di un certo luogo piuttosto che di un altro. Se
rinveniamo in Sardegna l’insetto disegnato, in qualsiasi supporto, comprendiamo
subito se il tipo sia quello che abitualmente si trova nell’isola oppure no. E’ quindi evidente che il tipo di
scarabeo scolpito a Su crastu biancu
non è uguale a quello sardo, perché questo si presenta così come nelle figg. 2
e 4 e non come nelle figg. 3 e 5. Si presenta cioè con il torace ben diverso, ‘anepigrafico’,
liscio, senza alcun ‘segno’ che lo caratterizzi in modo particolare.
- Il dato naturalistico (zoologico). Lo scarabeo di Su Crastu biancu: un unicum. Prodotto di fantasia. Così come molti degli amuleti sigillo egizi.
La constatazione dello strano disegno del
torace porta a dire che l’animaletto è certamente altra cosa rispetto a quello
che si riscontra comunemente in Sardegna. Non solo. L’aspetto del torace non
risulta assente solo in Sardegna: per quanto uno si sforzi di cercare uno
scarabeo siffatto, il tipo Crastu biancu- per così dire - non esiste in nessuna parte del mondo. Nessuno
che possa essere paragonato neppure alla lontana. E ciò è dovuto ad un fatto molto
semplice: che l’animaletto è mero esito della fantasia umana e non frutto della
fantasia della natura. Tanto che, non essendo stato copiato dalla natura e, con
ogni probabilità, neppure da un altro disegno di un altro (magari di uno scriba
egiziano che ne riporta il nome in geroglifico: fig. 6), possiamo
tranquillamente considerarlo un unicum.
Fig. 6.
Pertanto, se è frutto solo della
fantasia umana e non una semplice copiatura, bisognerà capire perché a su Crastu biancu l’insetto è stato
disegnato ‘volutamente così’, con quei segni particolari del torace, in apparenza
solo ‘decorativi’ e frutto dell’estro dell’incisore.
Nessuno meglio di un egittologo potrebbe
dare la risposta giusta perché solo gli scienziati della specifica disciplina sono
subito in grado di spiegare che gli scarabei egizi, soprattutto a partire da
una certa data in poi (1), non sono sempre disegnati
schematicamente, con ‘essenzialità’ e con il rispetto delle loro sembianze reali, ma anche modificando, in
modo arbitrario, ora parti del corpo (in genere la testa) ora aggiungendo dei
‘segni’ su di esso. Ciò fecero semplicemente perché gli scarabei si prestavano
ad essere scritti non solo sulla superficie inferiore dell’addome ma anche (seppure con maggior difficoltà) su quella superiore (fig. 7 e 8) in modo da contribuire ad arricchire semanticamente
l’oggetto, ad aggiungere senso al senso, a partire da quello ideografico convenzionale,
comune a tutti, della forza che fa ‘rotolare’ la palla luminosa e ciclicamente
permette in un certo periodo dell’anno, la rinascita e la continuità della vita. In altre parole, gli egittologi ci spiegheranno
che dietro la strana testa di uno
scarabeo o di uno strano
‘torace’ può esserci un testo scritto (in genere criptato) che riguarda la
divinità (Amun RA) di cui è simbolo lo scarabeo oppure il nome di un faraone
figlio di Ra.
Fig. 7. Fig.8
Per
capirlo meglio ricorriamo ad un esempio concreto prendendo uno scarabeo (fig. 9)
di epoca tarda (XXV dinastia), quello in
faience gialla del faraone Shabaka
(713 - 690 a.C.) . E’ questo un periodo in cui in Egitto si diffonde il
vezzo di sostituire la testa dello scarabeo con quella di un ‘ariete’ (2) e di inserire sull'addome di esso dei
segni di scrittura che, riportati in uno
o più ‘cartigli’, danno, in genere, il nome del Faraone.
Fig. 9. Scarabeo di Shabaka
(Museo di Bologna)
Lo scarabeo quindi non è più un
animaletto con fattezze sue proprie, ovvero quelle prodotte dalla natura, ma è
un manufatto artificiale,prodotto dalla fantasia dello scriba egiziano che lo
ha modificato a suo piacimento per dare nella parte inferiore dell’addome ), in crittografia amunica,
‘Amun è il mio signore’ e in quella superiore (nell’apposito cartiglio) il nome del
Faraone ‘Shabaka’.
Da tutto ciò possiamo dire e affermare che così
come quello del faraone Shabaka ed
altri scarabei ancora (fig. 8) anche lo
scarabeo di Su Crastu biancu di San
Vero Milis non è un manufatto riprodotto naturalisticamente ma in parte modificato
per aggiungere senso a quello già presente nell’insetto. E affermare ancora
che Il suo particolare disegno artificiale e non naturale, come negli scarabei
egiziani, tende a nascondere ‘scrittura’. Una scrittura già suggerita dall’idea
della composizione a‘sigillo’ di cui sopra.
Tutti
dati questi che, ovviamente, tendono a liquidare, in modo definitivo, le
frottole sui ‘buontemponi’ autori della composizione e le varie dicerie sulla sua
‘recenziorità’, quelle che immancabilmente nascono ad opera degli sbadati o dei mitomani ‘testimoni’
diretti o indiretti, quando si trovano dei graffiti, delle iscrizioni, delle pitture
e delle sculture giudicati ‘antichi’ e
‘misteriosi’ (3).
- Quale scrittura? Cosa c’è scritto? I segni su base certa documentaria.
Ora, nel nostro caso, quale sarebbe
scrittura del ‘sigillo’? Quale l’alfabeto? Dove starebbero e come sono sarebbero
disposti i segni nascosti che ne dimostrerebbero l’esistenza? Di che natura essi
sono? E, soprattutto, cosa c’è scritto?
Lo
si capisce se analizziamo con acribia la figura e diamo, seguendo il ‘progetto’
dello scriba nuragico, ovvero partendo dall’alto (4), senso alfabetico - fonetico ai ‘segni’
iniziando dalla testa. Il primo segno (fig. 10) è dato dalla testa più le corna che rendono, con facilità, pittograficamente l'idea della
protome taurina. Il secondo è dato da un una lettera a tratto orizzontale che
nota la consonante semitica ‘hē’. Il terzo segno è dato da una lettera ‘lunata’
(luna sorgente), simbolo alfabetico che conosciamo molto bene del nuragico, che
rende la consonante semitica yod. Il quarto segno è reso con il tratto verticale che nota la lettera consonantica ‘yod’. Il quinto
segno, ugualmente lunato (luna calante), noto anch’esso e assai attestato in tutta la documentazione
nuragica, è dato dalla lettera che
rende la consonante semitica ‘hē ’. Il sesto e ultimo segno è dato dal tratto orizzontale che rende, come
la seconda lettera a tratto orizzontale, il suono della consonante ‘hē’ (per i
segni del torace v. disegno fig. 5 e foto
fig. 11).
Fig.10 Fig. 11
Chi è pratico della simbologia segnica
alfabetica nuragica capisce subito che Il lusus dello scriba, nel creare lo
schema che allude al torace e che in qualche modo anche lo sostituisce, è
stato, tra l’altro, quello di disegnare
una coppia di lettere (yod ed hē) dell’alfabeto omofona ma non
omografa. Praticamente ha ‘giocato’ sull’uso di due sole lettere per dare senso
al tutto: hē (h), yod (y), yod (y), hē (h), hē (h). Sequenza che gli permetteva di rendere le due voci semitiche hy yhh che ovviamente vanno ad unirsi al
pittogramma ‘toro’.
Si consideri che, per quanto riguarda la sequenza
della scrittura sul torace, lo scriba nuragico aveva più opzioni (v. tab. 1),
ovviamente tutte quelle del codice alfabetico (5) che convenzionalmente davano i segni consonantici della yod e della hē. Ma dal momento che
prassi della scrittura nuragica era quella di renderla la meno manifesta
possibile (6), ha optato per la soluzione più ingegnosa da
questo punto di vista. Ha nascosto i segni, praticamente tratteggiandoli lungo la linea del disegno del torace ed
aggiungendone uno come ‘decorativo’ sull’asse verticale mediano di esso. In
questo modo ‘ideograficamente’ ha rispettato in qualche modo il disegno del
torace ma nel contempo è riuscito a ‘scrivere’ organicamente (7) un testo, ad aggiungere altri cinque segni al di sotto
del pittogramma ‘toro’, accennando ad essi in modo impercettibile
Tab. 1
E’ questa, quella del tratteggio, una soluzione scrittoria dei
nuragici non nuova, come quella che conosciamo da diverso tempo in quanto la si
trova in tutti e quattro i sigilli di Tzricotu
di Cabras (fig.12) dove la protome taurina viene resa non solo schematica
ma del tutto astratta, tanto che per ricomporla bisogna unire, così come per la
testa ed il torace dello scarabeo, tutte le linee teoriche. Non solo: il dato
sorprendente è che lo scriba di Tzricotu
e quello di Su Crastu biancu si sono
serviti entrambi, onde suggerire i necessari contorni ad arco di cerchio, delle
stesse lettere alfabetiche schematiche in forma lunata sia crescente che
decrescente. Lettere che hanno permesso di riportare in entrambi i documenti,
in modo criptato, il nome della divinità yhh
(fig. 13).
Fig. 12 Fig. 13
Disarticolazione
che è dato riscontrare ancora in altri documenti nuragici scritti, come ad
esempio la barchetta di Teti (8)
che riporta come quinto segno (fig.14 e trascr. doc.), il pugnaletto e (guarda
caso), anch’esso realizzato con due segni (schematici) identici a quelli dello
scarabeo de su Crastu Biancu ovvero
il tratto orizzontale (lettera hē) al
di sopra del tratto verticale (lettera yod).
Fig. 14
Trascrizione docum. Il pugnaletto disarticolato
Circa le lettere (lunate e non) presenti nel torace dello scarabeo, oltre ai
succitati documenti di Tzricotu e di S’Urbale di Teti, si vedano, per altri
riscontri:
Fig. 15. La pietra di Santa Caterina di Pitinuri di Cuglieri (9).
Fig. 16. Il Coccio del Nuraghe Alvu di Pozzomaggiore
(10).
Fig. 17. Pietra del Nuraghe Arbori con trascrizione di Pietro Lutzu (11)
Fig.18.
La pietra di Terralba (12)
Fig. 19.
La mano fittile rinvenuta nel porto di Cagliari (13).
- Scrittura metagrafica nuragica ottenuta con altri coleotteri. La coccinella di Gadoni.
Se è chiaro che tutti i suddetti aspetti
portano a concludere che lo scarabeo di Su crastu biancu (14) è stato disegnato e scritto da uno raffinato scriba nuragico,
si deve aggiungere però, come dato di non poco momento, che non è questa prima
volta nella quale i nuragici si servono dell’esoscheletro dei coleotteri per
‘disegnare scrivendo’, alterando,dove più dove meno, l’essere specifico (la
conformazione) dell’animaletto.
E’
il caso della nota coccinella (fig. 20) di Funtana
de perdu della foresta di Corongia in
Gadoni ‘sfruttata’ in parte dallo
scriba per i suoi segni specifici naturali (i caratteristici puntini) e modificata
nel torace e, particolarmente, nella testa dove le elitre sono state
trasformate (chi potrebbe negarlo?) in due ‘segni’ diversi, in due lettere
consonantiche di tipologia semitica arcaica, ovvero in una ’aleph e una lamed (15),
in modo da rendere, con ogni probabilità, la voce ’al (dio).
Fig. 20.
Coccinella ‘scritta’ di Gadoni (Funtana
de perdu) Fig. 21. Coccinella comune in
Sardegna
- Scarabeo e orientamento astronomico.
Appurato dunque che lo scarabeo di Su crastu biancu non è disegno recente e
che inoltre esso si inserisce in un modus
scribendi dei nuragici (di cui solo il tempo impietoso o la sfortuna nei
ritrovamenti ci impedisce forse di quantificare), vediamo però di proseguire con
l’esame e l’indagine facendoci questa domanda:perché è stato inciso nella
roccia marina, in quel particolare luogo, l’animaletto simbolico e per giunta
impreziosito con la scritta a rebus ‘toro
yhh che dà la vita’?
Per capirlo basta semplicemente dar retta a
ciò che da tempo si è osservato da tanti e cioè che lo scarabeo, attraverso
l’asse mediano verticale è orientato perfettamente (fig.22) al sorgere e al
tramontare del sole nell’equinozio e quindi ha come riferimento astronomico il
21 marzo (16). Lo scarabeo è posto quindi in
relazione a un preciso momento ciclico astronomico. Ciò sta a significare
che, con ogni probabilità, il dato dei significanti epigrafici (scarabeo
e segni della testa e del torace) in terra deve completarsi, quanto a
‘lettura’, con il significante astronomico in cielo, perché risulta evidente che la
lettura - scrittura ideata dallo scriba
non è solo quella apparente del solo scarabeo ma quella dello scarabeo che si
accompagna al sole (alla luce solare) secondo l’immagine consueta naturalistica
dell’animaletto, piccolo ma potentissimo, che spinge la sua palla di sterco. Con
la conseguente simbologia della sfera celeste spinta incessantemente da una
forza straordinaria o taurina (17)
che permette la luce continua e quindi la vita (18). Dobbiamo allora aggiungere, nel giorno
21 marzo, giorno dell’allineamento ‘sacro’, giorno dell’inizio della primavera, anche la
lettura del pittogramma celeste che,
come si sa, è RA per l’egiziano e Nl per il nuragico. E si avrà la lettura
definitiva : ‘Della luce (nl) toro (’ak)
yhh che dà la vita (hy)’ ovvero Yhh (19) è il toro della luce che dà la vita.
Fig.22. Orientamento dello
scarabeo agli equinozi (foto e disegno di Stefano Sanna)
- La doppia lettura, egiziana e sarda.Il disegno su roccia quindi risulta essere un prodotto fantasioso di uno scriba sacerdote antichissimo che intendeva , con ogni probabilità, suggerire, attraverso tutti i significanti ‘scritti’, sia in terra che in cielo, una doppia lettura: quella ‘normale’ egiziana (luce di RA che dà la vita, la rinascita) e soprattutto quella nuragico - semitica, praticamente identica, dove anche yhh (yh, yhw,yhwh), come si è visto, è toro della luce che dà la vita: NL ’AK HY. Aspetto questo che, come altre volte si è detto e scritto per altri documenti (20), manifesta il sincretismo religioso sardo - egiziano in fatto di religione, con le divinità luminose, RA e YHH , abbinate.
Per altro il tema’ del toro - scarabeo - sole, ovvero quello della sequenza tripartita (21) non è originale dell’iconografia
sarda se non (forse) per il modus
scribendi naturalistico cielo - terra. Infatti, esso sembra corrispondere (fig.23)
al soggetto e al significato (22) del cartiglio di Karnak del grande e famoso faraone egiziano CHEPER-KA-RA (SESOSTRI I: XII dinastia: 1964
-1919 a.C.): Toro (KA) di RA che dà nuova vita (verbo ‘cheper’).
Fig.23.
Geroglifici di Karnak in
Egitto con il cartiglio toro - scarabeo -
sole del faraone CHEPERKARA. A destra una sua immagine (Petrie Museum di Londra)
- Il solito toro, simbolo ‘forte’ della civiltà nuragica. Scrittura a rebus nuragica: scarabeo toro del Sinis e scarabeo toro di Santa Anastasia di Sardara.
Soffermiamoci
però, ancora per un po’, sul dato della presenza del toro come pittogramma, perché esso ci sembra ancora fondamentale per
l’interpretazione ‘filologica’ della scritta sanverese, in quanto tendente a raccordarsi, per forme e contenuti, a tutti gli altri dati di scrittura e di
astronomia presenti nella costa del Sinis a partire da Tharros ovvero da Murru Mannu.
Infatti toro, scrittura e astronomia (orientamento
astronomico) sono presenti in Murru Mannu,
ma anche nella cosiddetta Sala da Ballo
e a punta Maymoni (v. figg. 24-25 -26).
Figg. 24 -25 -26. I tori ‘muggenti’.
Dove c’è il ‘toro’ disegnato ,
immancabilmente si trova o all’interno della protome stessa dell’animale o
accanto ad essa, la scrittura a rebus
che si estende e si completa sempre con il dato astronomico. Ciò non è
senza significato perché tutti i tori si trovano espressi in immagine e
‘commentati’ linguisticamente ma soprattutto
caratterizzati dagli allineamenti che realizzano così la ‘porta’ (l’ingresso שער), quella
(23) che mostra la ciclicità, la continuità
e quindi l’immortalità della potenza luminosa taurina. In essa però è
privilegiato ed enfatizzato il momento dell’anno, l’equinozio di primavera, in cui l’astro mosso dal toro determina con le piogge fecondanti (lo
sperma) il risveglio della natura e la crescita delle messi (24). Si
osservi la seguente tabella (tab.2) che riporta le concordanze dei quattro siti
che con ‘variatio’ (25) intendono tutti glorificare
la divinità taurina sardo - egizia durante la manifestazione degli equinozi,
divinità espressa significativamente come
‘toro muggente’ (26).
- Lo scarabeo di Su Crastu biancu di San Vero Milis e lo scarabeo di Santa Anastasia di Sardara.
La relazione toro - scarabeo però non è presente solo nella
scrittura a rebus di Su crastu biancu.
La si riscontra anche in Santa Anastasia
di Sardara dove uno scarabeo (figg. 27 -28 -29), ancora con scrittura a rebus, mostra incisi sia nella parte
superiore sia in quella inferiore (27)
i chiari simboli taurini, pittografici e non.
Fig. 27 Fig.28 Fig.29
Il dato iconografico di Sardara non ha solo valore di
rafforzamento documentario sull’abbinamento toro - scarabeo. Ne ha un altro, importantissimo, che riguarda, come nei
graffiti e le sculture della costa del Sinis, il toro della luce e l’acqua, dal
momento che lo scarabeo, come si sa, è
stato rinvenuto in un sito particolare, come quello di Santa Anastasia di Sardara che è caratterizzato dalla presenza di
un celebre pozzo sacro; una costruzione
templare questa con il suo sofisticatissimo simbolismo (28) dell’anastasis, riguardante il comportamento del sole che si riflette, con
un effetto speciale, nell’acqua del pozzo in un determinato momento dell’anno
che è quello primaverile.
- Riti dell’acqua anche a su Crastu biancu? In tutta la costa del Sinis? In tutta la penisola del Sinis?
Facendoci forti di tutti i dati a nostra
disposizione circa l’inequivocabile rapporto toro - acqua, offerto dalla
continua realizzazione iconografica del toro primaverile ‘muggente’,
rapporto presente con particolare chiarezza in Santa
Anastasia di Sardara, in Murru Mannu
di San Giovanni e in Maymoni di Cabras (29)
possiamo avanzare l’ipotesi, potremmo dire plausibile, che anche a Su crastu biancu lo scarabeo toro non vi fosse per motivi calendariali (30) ma per motivi legati alla ‘religio’
del dio luminoso (yhh come si è visto)
che veniva invocato, così come in Maymoni (Maym
-o!), perché portasse l’acqua salutifera e fecondatrice in abbondanza.
Se così fosse si potrebbe affermare che
praticamente tutta la costa del Sinis, da San
Giovanni (Tharros) sino a Sa rocca
tunda (v. cartina fig. 30), fosse interessata da aspetti cultuali -rituali
religiosi riguardanti la divinità
nuragica luminosa nelle sue manifestazioni cicliche. Tutti i siti pertanto
andrebbero ben studiati archeologicamente, per quel poco (31) che purtroppo di loro resta nei
dintorni (32), per tentare di capire come le varie
‘scritte’ si inserissero, organicamente, in più vasti contesti templari
(all’aperto o no) di cui certamente costituivano solo parte e piccola parte.
Infatti, così come la scritta monumentale di Murru Mannu che risulta chiaramente collegata alla costruzione
templare (33), anche le altre scritte, con quei
precisi allineamenti e orientamenti astronomici, dovevano far parte di
complessi architettonici destinati alle funzioni dei riti e del culto yhwhistico nuragico (riguardante, in
particolare, l’acqua salutifera) nonché
all’accoglienza dei devoti e dei pellegrini. Culto che, come ricaviamo, durò
moltissimo tempo ancora (34) se è vero, com’è vero, che le più
tarde testimonianze, sia epigrafiche che monumentali, sono quelle (sempre
riguardanti la penisola del Sinis) della chiesetta di S’Eremitanu di Narbolia (35)
e di San Salvatore di Cabras del III -
IV secolo d. C. (36).
Note ed indicazioni bibliografiche
1. In Epoca Tarda (XXV dinastia)) In Egitto furono molto diffusi i sigilli di piccole
dimensioni per indicare il possesso di merci, di oggetti e di ambienti, per
autenticare documenti, per trasferire poteri, e anche, in funzione amuletica,
per proteggere magicamente l’individuo che li indossava come monili.
2. L’ariete è simbolo di Amon Ra così come nel
nuragico è simbolo di yhh. Entrambe
divinità luminose. V. anche nota 17.
3. E’ un
fenomeno, mi dicono, presente a tutte le latitudini. In Siria, in Egitto e in
Palestina, in Libano, in Etruria, ecc. è un continuo pronunciarsi (in genere da
parte di anonimi) per questa o quella (sempre ‘chiara’) bufala, soprattutto
quando si rinvengono scritte su pietre ovvero su supporto difficile da datare
rispetto alla ceramica o al metallo. Recente è il caso delle scritte in
geroglifico egiziano (autenticissime perché messe in luce dopo imponenti
mareggiate nella scogliera di San
Giovanni del Sinis ovvero in Tharros): subito sono state messe a correre le ‘voci’
che a realizzarle sarebbe stata una sconosciuta professoressa ‘continentale’ in vacanza
estiva. Non di rado ad alimentarlo il detto fenomeno sono, purtroppo, alcuni archeologi con
il loro sciocco scetticismo ‘aprioristico’
allorquando si trovano davanti a scritte non facilmente addomesticabili
e fuori paradigma circa la conoscenza della scrittura da parte dei sardi antichi.
4. E’ questa la norma della lettura del nuragico sia
nella scrittura di tipologia lineare sia in quella metagrafica (conta sempre il
segno più alto, come nella scrittura egiziana).
5. Sanna Gigi, 2016, I geroglifici dei Giganti. Introduzione allo studio della scrittura
nuragica, PTM ed. Mogoro,3, p. 44, tab. 1.
6. Sanna Gigi, 2016, I geroglifici dei Giganti. Introduzione allo studio, ecc. cit. PTM ed. Mogoro, passim
7. Il brevissimo testo è in una specie di bustrofedico:
alto (lettera hē) /destra sinistra
(lettere yod yod hē)/
basso (lettera hē).
10. V. Sanna G., 2010, Il documento in ceramica di Pozzomaggiore; in Melis L. , Shardana Jenesi degli Urim, PTM ed., pp.
153 - 168.
12. V. Sanna G. http://gianfrancopintore.blogspot.it/2012/07/ed-ecco-finalmente-la-parola-nuraghe-in.html;
13. La mano votiva fittile è stata rinvenuta fortuitamente
nel 1994. Nonostante il lungo tempo trascorso, da quanto ci risulta, il reperto
scritto non è stato oggetto di specifica attenzione paleografica ed epigrafica
da parte degli studiosi del settore. E’ stato fatto un timido tentativo di
decifrazione (‘hwt’: che possa vivere!)
in base al riconoscimento di alcuni caratteri
‘neopunici’. In realtà la scritta è altro. Le ultime tre lettere, appartenenti
tutte al nuragico semitico, farebbero pensare che le prime due siano ‘nun’ e
‘kaph’, entrambe pittografiche. Se così è, ovvero Kaph + nrhy, nella mano potrebbe
esserci scritto ‘mano (kaph) della
luce (nr) che dà la vita (hy). Cioè la mano luminosa del Dio (yhh). E’ opportuno ricordare che hy הי (vivificante) è attestato più
volte nel nuragico riferito al toro o al dio stesso yhh. Una di queste attestazioni è quella dello scarabeo di Su Crastu biancu, documento di cui ora ci stiamo occupando
14. ‘Crastu biancu’ significa roccia bianca. In effetti la roccia del luogo dove è tracciato lo
scarabeo compare più chiara delle rocce
attorno.
15. Il segno della lamed ‘arricciata’ è caratteristico
del protocanananaico: coppa di Qubur bel
–Walaydah e ‘Yzbet Sartah (Attardo
E. ,2007,
Utilità della paleografia per lo studio, la classificazione e la
datazione di iscrizioni semitiche in scrittura lineare. Parte I: scritture del II Millennnio a.C. , in Litterae Caelestes, 2 (1), p.177. Center
for Medioeval an Renaissance Studies UC Los Angeles. Per un altro segno
simile nella documentazione nuragica si veda fig. 17 e Sanna G. http://monteprama.blogspot.it/2014/04/un-gigante-nuragico-brocca-di-il-yhwh.html;
16. E’ lo stesso allineamento astronomico
equinoziale del ‘volto’ taurino di Maymoni e del ‘volto’ taurino della Sala da ballo di San Giovanni del
Sinis.
17. Tale forza del toro in nuragico può essere simbolizzata
dall’ariete del cervo e talvolta dal
montone dello stambecco o del muflone. Si tenga presente che tale sostituzione
costituiva una semplice ‘variatio’ per gli scribi nuragici in quanto era il
dato linguistico fonetico dell’acrofonia
ad interessare. Infatti l’ariete del cervo (e presumibilmente quello dello
stambecco e del muflone) si diceva in semitico
’yl איל, cioè l’inizio della stessa consonante aspirata di ’lph אלף
. In una
sequenza linguistica come ad esempio ’ab
אב (padre) si poteva quindi usare
per la prima consonante il pittogramma del toro o quello del cervo o dello
stambecco o del muflone.
18. Si consideri che come la ‘sfera’ in senso
naturalistico terreno dava alimento ad una nuova vita (di scarabei) così
quella celeste dava sostentamento a una nuova esistenza per tutto il creato.
19. Come altre volte si è detto (Sanna Gigi, 2016, I geroglifici dei Giganti. Introduzione, ecc.
cit. , 9 pp. 183 - 201) Yhh è il nome (uno dei nomi: yh, yhw, yhwh) del dio di origine
cananaica IL o ILI in nuragico. yhh è
doverosamente ‘nominato’ nella scritta sanverese forse perché per la ‘religio’
nuragica il dio non è il sole o la luce (sue semplici, seppur grandiose, manifestazioni)
ma yhh (o yh, yhw, yhwh), divinità inconoscibile, arcana forza poderosa (lo scarabeo - toro) che permette alle lampade del giorno e della notte di dare
incessantemente quella luce. Si ricordi che la parola ‘nuraghe’/nurake’ è
composta da tre voci: nl (luce) - ’ak (toro) + hē. Hē (pronome ‘indicativo’) è
il modo più frequente, ottenuto anche per via acrofonica (hdrhהדרה,hdm הדם, hycl יכל, hll הלל, hrh הרה ecc.), di
alludere ed ‘indicare’ il dio inconoscibile con velocità e semplicità e nel
contempo con alto valore simbolico (lui,
l’innominabile e il non conoscibile).
20. v. in particolare Atropa Belladonna http://monteprama.blogspot.it/2013/10/gli-scarabei-sigillo-della-sardegna-e.html;
21. Egiziani, nuragici ed etruschi poi erano
religiosamente ossessionati dal numero ‘tre’, il numero ‘santo’ del ritmo
ciclico degli astri. Abbiamo scritto non poco in proposito, soprattutto a
partire dal 2004 con lo studio epigrafico e la illustrazione dei sigilli di Tzricotu di Cabras (Sanna G., 2004, Sardōa grammata. ‘ag ‘ab
sa’an yhwh. Il dio unico del popolo nuragico, S’Alvure Oristano, 4, pp.
85 - 179). Vedi di recente il nostro http://maimoniblog.blogspot.it/2018/01/i-documenti-etruschi-di-allai-falsi.html;
22. Solitamente si dà il significato di ‘Creato è il Ka
di Ra’.
23. Sanna GIigi, http://monteprama.blogspot.it/2014/06/shaar-ha-baal-di-san-giovanni-del-sinis.html:
24. Tre millenni fa l’attuale landa desertica e arida
del Sinis, era, con ogni probabilità (lo conferma la presenza di numerosi pozzi
nuragici costieri e non) un luogo assai fertile e intensamente coltivato,
soprattutto a grano. Per questa ragione pensiamo che si invocasse (maym-O!), così come in altri luoghi (di pascolo) della
Sardegna, l’evento delle piogge primaverili.
25. Per il concetto di ‘variatio’ v. Sanna G., 2016, I geroglifici dei Giganti. Introduzione alla
studio della scrittura nuragica, PTM Mogoro, 6, pp. 133 -143.
26. Il toro ‘muggente’ è segno della potenza sessuale della divinità taurina in un
determinato momento dell’anno che è quello primaverile. Nell’iconografia di Su murru mannu e di Maymoni detto segno è visibilmente molto marcato nel volto taurino della divinità. Meno invece
in quello della Sala da ballo (v.
figg. 24 -25 -26 e la tabella sulle
concordanze).
28. V. Angei Sandro, http://maimoniblog.blogspot.it/2017/09/il-pozzo-sacro-di-santanastasia-di.html;
29. Tracce di luoghi di religiosità legati a culto
dell’acqua salutifera si hanno ancora in territorio di Riola (Sanna G., http://maimoniblog.blogspot.it/2017/04/rf-iacci-iai-iacci-il-nome-del-dio.html;) e, soprattutto, in
territorio di Cabras. La notissima
chiesetta campestre di San Salvatore
reca tracce notevoli sia architettoniche sia epigrafiche (Angei S., http://maimoniblog.blogspot.it/2018/02/lipogeo-di-san-salvatore-di-sinnis-1.html#more ;)
30. La sottolineatura dei fenomeni equinoziali e
solstiziali era legata ai riti della fertilità e della rinascita della
natura e non alla ‘semplice’ scansione del tempo ciclico. Non è un caso
che il toro fosse il simbolo principe
usato nella ‘scrittura’ sacra, sia che questa fosse realizzata con il
metagrafico sia con il lineare. Un
esempio eclatante di ciò lo si ha nel fenomeno solstiziale invernale del Nuraghe Santa Barbara di Villanova
Truschedu con la morte del vecchio toro e la contemporanea nascita del torello,
nuovo fallo che assicurava la continuità della luce e la nuova vita nel mondo.
V. Angei S. http://maimoniblog.blogspot.it/2015/12/il-toro-sullaltare.html#more; Sanna G. http://maimoniblog.blogspot.it/2016/04/la-nascita-del-toro-bambinello-nel.html#more;
31. Praticamente della Sala da ballo e di Maymoni come
luoghi di culto si hanno vestigia estremamente ridotte e illeggibili. Bisogna
tener conto che una volta essi si trovavano ad una certa distanza dal mare.
Essendo il livello di questo aumentato di circa quattro metri dalla seconda metà
del primo Millennio a.C. (sono trascorsi quindi circa 25 secoli!) l’acqua ha
guadagnato terreno sulla costa e ha eroso notevolmente (cosa che invece non è
accaduta a Murru mannu) e
sconvolto,per via delle burrasche, gli originari siti archeologici. Di ciò
hanno sofferto molto le scritte, compresa quella di Su crastu biancu (lo scarabeo).
32. Sembrerebbe, ad esempio, che nelle vicinanze dello
scarabeo di Su crastu biancu si
trovino resti di edifici (di dubbia origine e di incerta lettura a detta degli
archeologi) che potrebbero essere pertinenze di una vasta area templare
comprendente forse quella stessa dove si
è congegnata dagli scribi sacerdoti la particolare ‘scritta’ sardo - egiziana.
34. Ipotizzando che le scritte di Murru Mannu, della Sala da
ballo, di Maymoni e di Su crastu biancu siano state realizzate
tra il V ed il IV secolo a.C., passarono quasi sette secoli prima che il culto
della divinità unica nuragica yhwh
venisse meno. Incredibilmente il culto cristiano, sempre con lo stesso Dio, si
sovrappose con estrema facilità a quello nuragico (v. Sanna G, 2004, Sardōa grammata. ’ag ’ab sa‘an yhwh. Il dio unico del popolo
nuragico, S’Alvure, Oristano, 8, pp. 347 -359).
http://pierluigimontalbano.blogspot.it/2013/11/archeologia-della-sardegna-iscrizione.html?m=1
RispondiEliminaDall’articolo di Roberto Casti del 23-11-13, dove legge HWT e si interpreta “che possa vivere” (a parte che mi chiedo perché non abbia spiegato il motivo per cui legge solo le tre lettere centrali delle cinque che riconosce: OHWTA) vorrei comunque riportare due considerazioni che non mi sembrano di poco conto.
“Il secondo segno grafico, per quanto inciso con una forma anomala e straordinariamente speculare rispetto alla sua normale rappresentazione nella scrittura neopunica, non può essere altro che una ‘He’ (unica attestazione della lettera in questa forma particolare che dimostra ancora una volta come la scrittura neopunica assuma in Sardegna forme specifiche e del tutto nuove rispetto al resto del mediterraneo, v. iscrizione di Bithia).”
“Va infine sottolineato come la vocalizzazione presente in questa iscrizione rifletta con tutta probabilità influssi del linguaggio parlato locale.”
Si legge inoltre che i segni sono incisi prima della cottura e che il reperto si data (in base a comparazioni stilistiche?) al III-II secolo a.C.: crepi l’avarizia, lo aggiungerei ai 17 reperti fittili con segni di scrittura (se non ho contato male) dei quali, dopo quella della navicella di Teti, sarebbe necessario conoscere la datazione scientifica.
Datare? Mica sono fessi! Ne hanno già abbastanza delle date che li sconfessano ( sempre): sigillo della tomba XXV, pozzetti e statue di Monte 'e Parma, barchetta di Teti. Se fanno quello che non è altro che il loro dovere sarà una catastrofe. Con la 'vergogna' annunciata di Tzricotu. La sciocchezza più grande da quando esiste l'archeologia dal momento che mai è stato formulato un pronunciamento più puerile e più superficiale. Il 'miracolo' della barchetta purtroppo non si ripeterà e decine e decine di documenti li si vorrà lasciare nella più assoluta incertezza. Quelli di Orani in testa.
RispondiEliminaDal 1994 sono trascorsi quasi 25 più di venti anni dal rinvenimento della mano votiva. Un rinvenimento del genere in Palestina sarebbe stato pubblicato dopo qualche mese! E gli studiosi avrebbero detto subito che i due segni prima della resh non sono della scrittura neopunica. E indovina perché! Sai bene quanto durò il nuragico, ben oltre la data,IV -III secolo a.C., del manufatto rinvenuto nel porto di Cagliari.
RispondiEliminaCome una vera osssessione la storia della Sardegna Nuragica,sembra di cadere sempre nelle mani votive di seguaci del Dio Toro o dei adoratori del mondo semitico mah..sarà possibile che non si riesce a guardare un po oltre? l' archeologia non e' una scienza esatta..e' solamente un accumulo di concetti atistotelico-tombarolici, spesso creati da egocentrici o da ossessionati dal ovvio Ci vogliono diverse discipline in armonia(astronomia,geologia, matematica,fisica, navigazione,linguistica,eletrofisica etc) per "investigare" i dati che continuano ad apparire..invece di arrivare a conclusioni,spesso assurde..come il dio toro,spade votive, torri di difesa etc etc l'Sardegna e'troppo profonda per arrivare a la punta del naso e dire.. Abbiamus nasus.. un semplice esempio.. l' costellazione del toro,usata spesso nella antiquita'come guida nautica era vista da molti "moderni"come una forma di adorazione al Toro..una popolazione del nordovest da l'India conosciuta come i Sardar,pastori nomadi in origene e grandi cavalieri, hanno pariglie e sartiglie come quella della Sardegna..e? Cosa ci porta a capire? Che dobbiamo ampliare i orizzonti e andare molto piano e molto attenti, nel dubbio leggere un po di Sherlock Holmes
RispondiElimina