di
gigi sanna
Si dice che la lingua etrusca è ancora, per svariati
motivi, un enigma e un 'rebus'. Ciò si sostiene, naturalmente, sulla base delle
grosse difficoltà che insorgono nel cercare di capire di essa molti degli
aspetti lessicali, morfologici e sintattici. In realtà, a mio parere, il
'rebus' sussiste e resiste nel tempo non 'solo' per motivi di carattere
grammaticale e linguistico, ma anche e soprattutto perché si stenta a
considerare un aspetto essenziale dell'etrusco: che la scrittura è criptica,
cioè organizzata e strutturata di proposito con il rebus. E' realizzata per non
essere capita se non da pochissimi. Per tanto nella misura in cui si
comprenderanno i meccanismi, spesso sofisticati, del rebus, posti di norma in
essere dalle scuole scribali dei santuari, si comprenderà la lingua etrusca.
Essi sono simili e spesso gli stessi usati dagli scribi dei templi greci e
nuragici. In particolare quelli inventati dagli scribi di questi
ultimi.
Gli essoterici, stando in superficie, direbbero senza sforzo intellettivo: ‘si tratta di un gioiello etrusco con decorazioni a cerchi e a perline recante al centro l’immagine dei profili dei volti di due personaggi, uno maschile e l’altro femminile’ (1). Andando invece ‘oltre’, sforzandosi di vedere (ed interpretare) ‘nel profondo’, non si può non scoprire che il manufatto ha chiaro valore apotropaico e investe, con tutta la sua notevole simbologia, il potere protettivo delle massime divinità del pantheon etrusco, cioè TIN/UNI, la divinità androgina celeste soli-lunare (2). Per comprendere il messaggio bisogna tener ben presente la ‘formula’ (3) attraverso la quale gli etruschi, così come i nuragici (4), riuscivano a scrivere in modo crittato ‘andando oltre’ il system vocalico - consonantico, facilmente riconoscibile questo e sempre interpretabile come scrittura, cioè contenente, attraverso la catena dei simboli alfabetici convenzionali, il lessico della loro lingua. Detta formula, da noi spiegata più volte (5), si basa sugli artifici dell’ideogramma, della numerologia e dell’acrofonia. Naturalmente, in quanto scrittura ermetica, crittata e a rebus, si tratta di comprendere di volta in volta l’uso di essi. Questo uso si scopre per via di un dato ‘fondamentale’ quanto a significato, come quello che accomuna tutte le scritte (del system funerario ma non solo). Il dato onnipresente è quello dell’aiuto, del soccorso da parte delle due divinità (o della divinità androgina) TIN/UNI perché la persona eviti i pericoli e le situazioni negative sia durante la vita sia dopo la morte.
Detto ‘soccorso’ è esplicitato, con l'uso dell'ideogramma, attraverso le voci specifiche di ‘sostegno’,
‘protezione’, ‘forza’, inserite nel testo metagrafico o tutte e tre, oppure due o
una sola. Si è visto, ad esempio, nel nostro commento della raffigurazione della cassa dell’urna di
Chiusi, quella contenente il motivo della ‘ascensione’ del defunto al mondo
luminoso, che le voci relative all’aiuto divino risultano essere presenti tutte
e tre (6). Il ‘chi è’, cioè l’entità divina a cui è rivolta
l’invocazione e deputata al soccorso, viene invece espresso o attraverso l’acrofonia
o attraverso il numero.
La numerologia non è difficile da individuare perché vengono sempre coinvolti nella scrittura il numero tre ed il numero sei che sono quelli che, ancora per via ideogrammatica, alludono allo spuntare, al proseguire e al tramontare ciclico, cioè al movimento ternario, dei due astri luminosi nella volta celeste. Per facilità di comprensione ci serviamo ancora - come ancora penso che ci serviremo per i futuri esempi - dell’immagine seguente che rende in sintesi i movimenti ciclici del sole e della luna e i conseguenti ideogrammi del tre e del sei, numero quest’ultimo importantissimo in quanto indica la ‘luce’ totale data dai movimenti congiunti del sole e della luna.
La numerologia non è difficile da individuare perché vengono sempre coinvolti nella scrittura il numero tre ed il numero sei che sono quelli che, ancora per via ideogrammatica, alludono allo spuntare, al proseguire e al tramontare ciclico, cioè al movimento ternario, dei due astri luminosi nella volta celeste. Per facilità di comprensione ci serviamo ancora - come ancora penso che ci serviremo per i futuri esempi - dell’immagine seguente che rende in sintesi i movimenti ciclici del sole e della luna e i conseguenti ideogrammi del tre e del sei, numero quest’ultimo importantissimo in quanto indica la ‘luce’ totale data dai movimenti congiunti del sole e della luna.
Il ricorso ai numeri sarebbe già sufficiente a rendere i simboli di TIN Sole e UNI Luna, ma gli scribi dei templi etruschi si servono di un altro espediente, inventato dai nuragici, per render in modo diverso il tre ed il sei, i numeri riguardanti la divinità androgina. Si servono cioè dell’acrofonia, inserendo nel soggetto raffigurato quelle immagini (7) che possano dare una voce iniziante per la velare sorda ovvero la lettera C/K che in etrusco è il numero ‘tre’ (8). Questo ritrovato del ricorso alle voci acrofoniche è importantissimo perché consente di ottenere numerose volte il sei, il numero della luce e della divinità; ‘numerose volte’ si è detto, idea questa che si traduce nella voce ‘continuo’, ‘senza fine’, ‘ricorrente’, ‘immortale’, ecc. Il sei ottenuto per via acrofonica sottostà però ad una costante e obbligata convenzione (9): che i due tre (C C) che formano il sei o siano esito di una coppia organica (due mani, due canne, due colonne due volti, due calzari, due cuscini, ecc.) o di due oggetti (cose) in stretto rapporto di senso (centro: circonferenza; corona: capelli; tunica: mantello, ecc.).
Ora, non si può non vedere che siffatta
scrittura metagrafica, di carattere prettamente religioso e solo religioso (10), è
presente in questo bellissimo gioiello custodito nel museo di Ferrara che ha
quindi non esclusivo valore ornamentale e decorativo, ma anche e soprattutto
religioso salvifico. Con ogni probabilità esso fu rinvenuto in una tomba ma poteva
anche aver fatto parte dei gioielli di una domus di una ricca famiglia etrusca.
Analizziamolo
tutto per benino sulla base delle suddette convenzioni.
Innanzitutto noteremo quello che è un topos
dell’iconografia etrusca (11): il copricapo che, semplice o doppio,
‘copre’ la testa di uno o due personaggi (in questo caso uno maschile e uno
femminile). Il copricapo ha valore simbolico di ‘protezione’. Essendo doppio
suggerisce subito l’idea della ‘doppia protezione’. Ma protezione di chi? Di
quale ‘doppio? Le due particolari immagini con schema MF certamente davano agli
etruschi subito l’idea della loro identità ma a noi, a tanta distanza temporale, che idea danno? Come
riusciamo a capire 'comunque' chi essi siano?
Lo si comprende con la consapevolezza dell'uso, da parte degli Etruschi, dell'espediente
dell’acrofonia, quealla che consente di avere il sei luminoso (C C o 3
3) ripetuto più volte e reso con l’organicità dei due tre o due ‘C’ di cui
si è detto:
-
κάρα - κάρα:
6 (volto - volto)
Oppure
con quello della numerologia:
3 motivi a
cerchio ornamentali (nel primo cerchio esterno)
- 3 cerchi:
6
sei
numero: 6 (i sei punti o le appena accennate lineette verticali comprese tra i due
volti in basso).
In una
sintesi grafica l’esito del mix numerologico e acrofonico risulta essere questo
(12):
Riprendendo
quindi l’ideografia, l’acrofonia e la numerologia presenti nell’oggetto otterremo
il seguente significato nascosto della spilla:
Doppia
protezione del sei continuo (cioè: doppia protezione
del sole e della luna continui o doppia protezione della luce
continua oppure doppia protezione di Tin e di Uni immortali)
Significato
che si completa, a nostro avviso, con la ‘traduzione’ della simbologia del supporto ovvero della
spilla (13) che è quello di ‘certezza’, ‘sicurezza’, ‘stabilità’.
Quindi ‘ Certa doppia protezione del sei continuo’.
(continua)
1
L’immagine non può essere evidentemente quella di Giano Bifronte perché
l’artista raffigura intenzionalmente, in modo quasi impercettibile, ‘asciutto’ il
profilo virile mentre rende con fattezze leggermente diverse (l’occhio più grande,
la guancia più piena, le labbra più spesse) quello femminile. Il motivo crediamo
sia da ricercarsi nel fatto che si cerca di rendere simili ma non identiche le
immagini del viso di quelle che sono, come vedremo, le due divinità luminose, Tin
e Uni. Questa leggera diversità, appena accennata, la si riscontra in
particolare nei cosiddetti ‘genucilia’, i noti piatti apotropaici (assai
diffusi e non solo in territorio etrusco), nei quali l’androginia è resa manifesta
non solo dall’ambiguità delle fattezze del viso (donna più o meno
accentuatamente mascolina) ma anche dal particolare del collo ‘taurino’ e non
certo femminile del soggetto raffigurato (v. figg. segg.).
2 Anche per gli Etruschi, così come per i nuragici, la divinità suprema è androgina. Il sole e la luna hanno due nomi specifici come divinità e cioè TIN e UNI (Jupiter e Juno romani) ma costituiscono un insieme inscindibile perché assieme concorrono a determinare la luce totale che è padre e madre assieme della vita del mondo. Inoltre gli Etruschi, così come i nuragici, evitano di chiamare, sia per rispetto che per necessità di lasciare, in certi contesti, l’identità loro nascosta, le due divinità solari con i loro nomi. Usano pertanto, come si vedrà più avanti, dei sostituti allusivi.
3
Noi riteniamo che detta formula (per altro fortemente ternaria e cioè ‘sacra’)
stia alla base di ogni raffigurazione funeraria etrusca. Si cerca di rendere
tutto ‘luminoso’, tutto abbracciato dal simbolo del Dio che è la luce. Tutto
pervaso da TIN/UNI. Il fatto che nella scrittura metagrafica si proceda per decus,
simbolum e sonus, che scrittura si ottenga per ideografia,
numerologia e acrofonia, che le lingue adoperate siano tre,
non è certo frutto del caso ma è indice di coerenza e logicità volutamente
ricercate dalla scuola scribale; scuola
templare guidata da sacerdoti che si mostrano sempre vigili quanto all’uso del system. Perché
un codice che è protettivo del messaggio sacro non può essere, in quanto
divino, in alcun modo soggetto all’estemporaneità e alla casualità.
4
Il nuragico possiede (precedendola nel tempo) la stessa formula ternaria del decoro, del simbolo e del
suono presente nell’etrusco ma con una variante non trascurabile circa
quest’ultimo: l’uso della sola lingua semitica per l’acrofonia. Il nuragico, da
quanto si riesce a comprendere dai nostri riscontri - ottenuti con ricerche continue di non pochi anni - non sembra tener conto acrofonicamente del sardo
indoeuropeo sia pur presente e nettamente maggioritario nell’isola.
5
V. di recente https://maimoniblog.blogspot.com/2019/05/perugia-ipogeo-dei-volumni-scrittura.html#more
6
V. nota 5.
7
Bisogna subito far presente che la decodifica dell’immagine ai fini acrofonici,
data la lontananza temporale e l’ignoranza nostra di certi oggetti singolari e comuni
invece alla cultura materiale etrusca, non sempre risulta agevole. Un certo tipo di veste, un certo tipo di
coltello, un certo tipo di remo, ecc. non si capisce a primo acchito come
possano denominarsi. L’identificazione
del loro nome tuttavia è facilitata dal fatto che esso non può che iniziare con
la ‘C ‘ (o con la ‘χ’ o addirittura con la ‘g’ ,
fonemi che in etrusco mutano di norma in ‘C’). Ma spesso è agevolata anche
dalla presenza acrofonica in ‘C’ del secondo ‘elemento’ in collegamento
organico. Se per esempio, come nel nostro caso, ci troviamo con un copricapo e
con una chioma, il nome certo di quest’ultima ovvero κόμη
induce a ritenere che l’altro, con buona probabilità, non possa essere che il κάλυμμα
(copertura, cappello),
voce che solo consente di formare la seconda acrofonia e quindi il SEI.
8
‘C’ (terza lettera dell’alfabeto etrusco) sta per CI (tre). V. https://maimoniblog.blogspot.com/search?q=Crocores+gigi+Sanna+
9
Convenzione che impedisce che l’acrofonia possa risultare anarchica, sparsa qui e
là nel soggetto trattato, e soprattutto fa sì che essa riesca a rendere l’idea
del rapporto organico esistente tra le due divinità Sole e Luna, rapporto
inscindibile perché inscindibile è la luce (il SEI) di cui entrambi sono
espressione.
10
Quante volte lo abbiamo detto e scritto! Quante volte in tutte le nostre
pubblicazioni abbiamo sottolineato il dato dell’esistenza in Sardegna di una
scrittura (metagrafica e non) di solo intento e significato religioso! Anche
per l’etrusco il carattere della scrittura sacra (d’uso per la sola divinità)
non sembra venir meno, anche se si notano esempi del sistema usato per fini
laici! Naturalmente l’uso specifico del metagrafico a rebus, volendosi
salvaguardare il più possibile il messaggio religioso del soccorso divino
criptato, è solo dell’esoterico, della ‘religio’ e del sacro sia per il
nuragico che per l’etrusco.
11
Ma anche nuragica. Una delle caratteristiche dei bronzetti sardi ‘scritti’ in
metagrafico è l’uso frequente del copricapo di distinzione (הדרה in semitico) con
valore ideografico e acrofonico assieme. Tale valore si mantiene anche in
etrusco, ovviamente con acrofonia di voci indoeuropee e non semitiche. In
questo manufatto abbiamo il doppio copricapo che rende l’ideogramma ‘ doppio sostegno’,
‘doppia protezione’ e, con ogni probabilità, l’acrofonia di κάλυμμα e di κόμη ripetuta due volte.
12. Il fenomeno sorprendente, davvero spettacolare, è che il computo finale complessivo dei
sei (le coppie organiche dei tre in numero e in acrofonia) ‘scritti’
nell’oggetto offre ancora il numero Sei. Il numero di Tin e di Uni o numero
della luce. Non si pensi però ad accidentalità e a combinazione: lo scriba
artigiano progetta ‘prima’, con rigore, il gioiello in modo tale da rendere,
tramite gli artifici, ‘quel’ preciso numero di sei (sei in quantità sei). Si osservi come le sei unità, quelle che sembrerebbero una
semplice decorazione con dei punti di riempimento nel medaglione o cerchio
centrale, costituiscano la ‘pennellata’ finale per dare, con un altro sei, il
massimo di senso sacro all’oggetto. Questa non accidentalità circa la
realizzazione del numero complessivo dei Sei la si dimostrerà con un altro
manufatto, stavolta in terracotta e non in metallo, riproducente lo stesso
soggetto di due profili uniti per la nuca e contrapposti di personaggi, uno
maschile ed uno femminile.
13.
Sulla simbologia della ‘certezza’ (della protezione) resa con l’ideogramma
supporto si consideri, ad esempio, la scritta nuragica dello ‘spillone’ della tomba di Antas
di Fluminimaggiore (prov. Cagliari) oggetto del tutto frainteso nella scrittura lineare (segni addirittura
ciprioti!) letta, ahimè, capovolta.
Comprendere nella lettura del nuragico il
significato del supporto è fondamentale sia che ad esso seguano segni alfabetici
lineari sia che seguano i significanti del metagrafico. Per una scritta con il
supporto con valore di ideogramma seguito da segni alfabetici lineari V.
https://monteprama.blogspot.com/2013/05/aidomaggiore-sardegna-il.html
Fondamentale
è spesso (o sempre?) per l’etrusco.
Caro Professore è giusto rammentare ogni volta che quella qui trattata è una scrittura di carattere religioso e “solo” religioso. Non dobbiamo stancarci di puntualizzarlo, a scanso di equivoci. Equivoco che pare onori l'intelletto di alcuni accademici. E' bene ripeterlo come un “mantra” in un modo che può sembrare ossessivo, ma diverrà in futuro normale epiteto (scrittura sacra) da alternare alla voce sinonima “scrittura geroglifica”. Perché di questa si tratta, non di “banale” scrittura laica che deve essere per sua natura esplicita e condivisa in modo tendente all'universalità. Una scrittura sacra che, in quanto tale, è apotropaica e salvifica; una scrittura a senso unico: io uomo scrivo, la divinità legge. Nessuna interferenza vi deve essere in questo rapporto; nessuno deve sapere che mi accingo a percorrere la strada che mi porterà verso la luce divina; perché creature malvagie potrebbero ostacolare il ricevimento del messaggio.
RispondiEliminaEra questo l'intendimento di quelle antiche genti?!
In questo senso dobbiamo sondare l'animo della civiltà Etrusca e di quella Nuragica. Per i primi forse l'incombenza è relativamente più facile rispetto ai secondi, per via di notizie che comunque sono pervenute di quella Civiltà. Tutto a parer mio è da inquadrare nell'ottica dell'aruspicina etrusca, nel momento in cui l'uomo Etrusco cerca in vari modi di conoscere, mediante presagi naturali, il suo futuro. Nel momento in cui, però, non ha alcun modo di conoscere ciò che vi è dopo la morte, si affida alle sue divinità lucifere, che possano nell'aldilà accoglierlo, rinato a nuova vita.
Aruspicina che ritroviamo nella ben più antica epoca nuragica, nel momento in cui l'uomo Nuragico usa a suo favore i segnali naturali e li registra nei suoi monumenti in modo da poter prevedere il raccolto, abbondante o scarso che fosse; e da quell'aruspicina muovere, di conseguenza, azioni di tutela della popolazione promuovendo attività di raccolta di altri beni di prima necessità alimentare oppure, in caso di abbondanza, rilassarsi e vivere più tranquillo il futuro prossimo. Nell'uno e nell'altro caso doveva rendere onore alla sua divinità magnanima costruendo nuovi pozzi sacri, torri templari e quant'altro potesse onorare il suo dio.
Sentimenti elementari di antiche genti... sentimenti elementari di noi uomini “moderni”. Ma siamo veramente moderni quando nel 21° secolo ci affidiamo a santoni e guaritori nel momento in cui vediamo profilarsi la morte all'orizzonte?! Oppure inalterato è dentro di noi il sentimento ancestrale di impotenza nei confronti della morte. Quel sentimento che ci induce a chiedere aiuto ad un santone o un guaritore in ambito materiale, oppure ad un sacerdote, un santo o l'entità suprema quale ultima ratio.
condivido quasi appieno,credo probabile che la forma scritta non era per tutti,l'approccio al "divino"credo fosse il contrario,e l'elaborazione litica a mio parere conferma un sentire comune o popolare,fermamente convinto della parentela stretta delle genti quì sopra nominate.
EliminaBeh del resto la messa in latino non é molto lontano.....un paragone un po leggero ma non tutti capivano e si affidavano al sacerdote.Il gesú bizantino raffigurato nei mosaici manda messaggi velati con le sue mani. Grazie
RispondiEliminaAdesso non so se i sacerdoti-scribi nuragici fossero gelosi delle loro cose così che si preoccupassero di non socializzarle, ma cercassero invece di tenerle dentro una cerchia ben ristretta.
RispondiEliminaEssendo però gli scribi individui perfettamente umani, neppure semidivini come i sacerdoti-re, mi viene da supporre che la mania di tenersi le cose fra loro imperasse.
Non so se Iavè fosse contento di questo modo di fare dal momento che a un certo punto dettò Lui stesso la storia dell’Uomo e del Mondo, in termini tali che tutti potessero intenderla.
Che i sacerdoti-scribi fossero gelosi conservatori delle Parole Rivelate, è cosa risaputa. E ciò perdurò per mille e mille anni ancora, visto che la Chiesa di Dio subì una dolorosa scissione perché a qualcuno saltò in testa di affermare che ognuno dei credenti poteva leggere le Parole Rivelate e farsi un’idea personale e tutta sua del loro significato.
Vigeva rigida infatti la regola che l’interpretazione “corretta” delle famose Parole spettasse solamente al Vescovo e alla sua cerchia.
Qui da noi è ancora così, visto che la traduzione e la pubblicazione delle Parole è sempre autorizzata da un’autorità, un qualche vescovo, insomma.
Di conseguenza, ancora oggi le omelie domenicali prendono spunto dalle letture che, correttamente interpretate, poi ci vengono spiegate. Qualche volta con risvolti non privi di comicità.
Ho pure un aneddoto al riguardo, ma sono un poco fuori contesto e già mi sono dilungato abbastanza.
Lo racconterò un’altra volta, anche qui, ma solo se ne avrò il permesso.
Aruspicina nella cultura nuragica? Davvero???
RispondiEliminaNon è da intendere certamente in senso Etrusco, ma in senso Nuragico; ossia ben più pragmatico e calendariale.
RispondiElimina"più pragmatico e calendariale" non significa nulla. L'aruspicina etrusca è attestata in varia forma ed era una pratica e quindi comportava una pragmatica. Dove sono le attestazioni dell'aruspicina nuragica?
RispondiEliminaL'aruspicina come ben sai era un'arte divinatoria; per tanto il vocabolo da me usato in ambito nuragico: “aruspicina” è intesa in questo senso lato, mio caro etruscologo. Per tanto “aruspicina” intesa quale arte divinatoria con ben altro significato legato alla data del 21 di aprile. Se vuoi saperne di più leggiti gli articoli qui pubblicati relativi alla data del 21 di aprile; perché quella era una data di divinazione, o per lo meno così dovevano intenderla quelle genti. Non fermati al significato primario, deborda sulle sfumature.
RispondiEliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaPaolino, immaginavo che dietro Thurms l'etrusco ci fossi tu... chi altri?! Eh, eh! Mi sembra tu non abbia afferrato appieno quello che ho scritto. Ho letto il tuo commento, benché tu lo abbia prontamente eliminato.
RispondiEliminaUna riflessione. Vedo che benché il nostro “messaggero” etrusco, remi contro, comunque rema... perché?! Cosa dà fastidio al nostro postino?!
RispondiEliminaTalune persone si invischiano in argomenti che non conoscono, pensando di supplire coi loro, di argomenti; ma non funziona così (vedi aruspicina in ambito etrusco, che non ha – per il momento almeno – alcuna attinenza con la presunta divinazione nuragica, per via che di quest'ultima nulla è rimasto di quei riti dell'uomo per l'uomo). Se vuoi dialogare, Paolo, in questo contesto devi innanzitutto acquisire conoscenza di quel che qui si vuol dire e si sta dicendo. Non puoi entrare a gamba tesa pensando di stroncare l'argomento con l'espulsione del mal digerito. Per tanto prima di lanciarti in asserzioni accettate di conserva in ambito Etrusco, amplia gli orizzonti e intendi quel che si scrive. Non puoi venir qui a dettar lezioni della serie: . Cosa pensi non lo sappia?! Se però allarghi gli orizzonti e vai a scavare sul significato del termine, scopri che in fin dei conti è semplicemente un arte divinatoria, ossia una “previsione” più o meno scientifica (?) (più meno che più). In ragione di ciò, ho annoverato nel complesso delle arti divinatorie quella nuragica... stop.
RispondiEliminaPerché, caro etruscologo, anziché adoperarti a coglier le inezie non cerchi di dialogare (leggasi obiettare se si vuole) in modo documentato e attinente al tema della scrittura nascosta in ambito Etrusco?! Dialogare, intendiamoci, no significa dire come certuni son usi: “sono tutte corbellerie”! Ma significa portare dati e riscontri oggettivi.
Dopo "Non puoi venir qui a dettar lezioni della serie:" manca la fine della frase: "Il termine Aruspicina ha un significato ben preciso".
EliminaL'aruspicina etrusca è ben lungi dall'essere scienza. Traevano infatti il “significato delle cose non perché avvengono, ma esse avvengono in quanto portatrici di significati”. E questo lo diceva Seneca.
RispondiEliminaIl Sardo Nuragico invece in certi contesti traeva appunto “auspici” dai fatti che avvenivano - segnali naturali – mettendo paletti temporali (21 aprile) che facevano la differenza tra segnale positivo e segnale negativo, ma in modo del tutto pratico, mica legato a tuoni e fulmini e fegati d'oca volanti. Ve ne era almeno un altro che però non posso ancora svelare e che riguarda il pozzo sacro di Is pirois di Villanova putzu, che ha pure attinenza con l'aruspicina previsionale, più o meno così come noi la intendiamo.
Non vorrei che gli Etruschi avessero frainteso l'esame autoptico del fegato, appreso chissà come, osservando l'insulso anziché quel che di positivo o negativo si poteva trarre dall'esame in termini di parassiti intestinali o quant'altro (organi vitali) che avesse potuto trasmettere l'animale all'uomo. Non di rado in nostri pastori ancor oggi possono contrarre spiacevoli infezioni dovute alle cosiddette “zoonosi”.
La lingua etrusca non è un enigma né tantomeno un rebus. Il problema, l'unico, è che manca di tantissimi elementi, legata com'è essenzialmente a iscrizioni funerarie e sacre. Da tempo gli studiosi della lingua etrusca hanno cercato di sfatare questo mito dell'enigmaticità, ma si comprende che non è cosa facile. L'etruscologia, inoltre, non parla assolutamente di rebus, enigmistica e acrofonia presenti nelle opere figurative e decorative etrusche: un argomento che risulta dunque del tutto "inventato"
RispondiEliminaBuon per te che ne sei così sicuro. E' di pochi giorni fa la notizia di un algoritmo nascosto nel disegno dell'Uomo Vitruviano di Leonardo (e non solo un algoritmo come spiega se pur per grandi lenee lo scopritore, il direttore del Museo Archeologico di Cagliari), che di fatto prova la necessità che avevano taluni artisti di nascondere una sorta di firma nei loro capolavori. E già il fatto che Leonardo scrivesse in modo speculare dimostra l'intenzione di nascondere il proprio lavoro ad occhi indiscreti. Perché non poteva essere così in ambito etrusco?! Bene inteso, con motivazioni diverse!
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