La rubrica di Maymoni

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giovedì 9 gennaio 2020

L’hydria etrusca del Museo di Villa Giulia in Roma. Danza, abilità, vigore: l’aiuto (protezione) del Sei, ovvero della luce doppia del Sole e della luna (TIN/UNI) per la rinascita e la salvezza. La incerta presenza, nella raffigurazione del vaso funerario, del mito di Dioniso e dei pirati tirreni.


di gigi sanna   

  





1.Hydria etrusca del Museo di Villa Giulia in Roma

Si dice che la lingua etrusca è ancora, per svariati motivi, un enigma e un 'rebus'. Ciò si sostiene, naturalmente, sulla base delle grosse difficoltà che insorgono nel cercare di capire di essa molti degli aspetti lessicali, morfologici e sintattici. In realtà, a mio parere, il 'rebus' sussiste e resiste nel tempo non 'solo' per motivi di carattere grammaticale e linguistico, ma anche e soprattutto perché si stenta a considerare un aspetto essenziale dell'etrusco: che la scrittura è criptica, cioè organizzata e strutturata di proposito con il rebus. E' realizzata per non essere capita se non da pochissimi.  Per tanto nella misura in cui si comprenderanno i meccanismi, spesso sofisticati, del rebus, posti di norma in essere dalle scuole scribali dei santuari, si comprenderà la lingua etrusca. Essi sono simili e spesso gli stessi usati dagli scribi dei templi greci e nuragici. In particolare quelli inventati dagli scribi di questi ultimi.



      Il vaso funerario, di tipologia ‘hydria’ (1), che qui sottoponiamo ad analisi costituisce un altro (2) esempio, molto chiaro, tra i tantissimi (3), della ‘scrittura’ o system espressivo -comunicativo funerario che gli Etruschi, sulla scorta di invenzioni precedenti altrui (4), adoperarono per un lunghissimo arco di tempo (VIII – II secolo a.C.) nascondendo con il rebus la magia del contenuto linguistico. Insisto nell’affermare che moltissima della produzione etrusca riguardante il culto dei morti (le tombe con la loro realizzazione architettonica, la ceramica con la pittura e la scultura, l’oggettistica, la varia bronzettistica, le urne, i sarcofaghi, ecc.) non debba essere letta con le solite categorie dell’ermeneutica estetica adoperate dalla storia dell’arte, ma con i procedimenti della scrittura metagrafici, fondati secondo gli espedienti dell’ideografia, della numerologia e della acrofonia. Per dare patente di scientificità a questa ‘scrittura’, per altro di origine assai antica (5), abbiamo proceduto, in questi ultimi anni, alla lettura di diversi ‘documenti’ di uso chiaramente funerario. L’uso ternario della ideografia, della numerologia e della acrofonia da parte degli Etruschi abbiamo cercato di dimostrarlo scientificamente attraverso la ‘formula’ segreta adoperata in diverse tipologie di documenti i quali solo con essa possono trovare significato, soprattutto se si considera il fine per il quale certi oggetti e monumenti furono realizzati. E così si è potuti andare oltre il significato superficiale, oltre quell’oggettivo compreso con immediatezza e approvato da tutti ma che è spesso, proprio per l’apparenza di significato indiscutibile, causa di remora per accontentarsi,  non andare oltre e  stare saldi su  ciò che occhi, e mente con essi, suggeriscono.


Vediamo dunque di esaminare l’iconografia dell’Ydria da due punti di vista diversi: attraverso la metodologia (la solita), basata sul descrittivo e sul decorativo e l’altra fondata sulle norme della scrittura metagrafica nascosta e a rebus.


Descrizione e decorazione:


L’ydria presenta con figure nere su sfondo rosso chiaro tre motivi iconografici:


-        Una danza che vede come ballerini un ἐραστής ed un ἐρώμενος.


-        Un mostro (tritone) che sembra emergere dall’acqua dopo aver afferrato per la coda due pesci che solleva con entrambe le mani. Al di sotto, quasi a sottolineare tutta la scena marina, è dipinto un motivo decorativo ad onda corrente.


-        Sei uomini - delfini, gambe e fianchi di uomo ed il resto con fattezze di pesce, che, dopo essersi tuffati, nuotano verso il basso. Uno di essi è, al contrario degli altri cinque, uomo dai fianchi in su mentre è pesce per il resto.  Accanto a questo uomo-delfino, sulla sinistra, è disegnato un motivo fitomorfo, un virgulto con delle gemme, e in basso un secondo motivo, ancora ad onda corrente, così come nella scena precedente.


     Una siffatta descrizione delle tre parti iconografiche appare sicura, irreprensibile e nessuno può mettere in dubbio quello che gli occhi non possono non vedere. L’apparenza offre questo e basta, senza possibilità di discussione. Però è subito evidente che il senso è affatto perspicuo e non può non sorgere immediata la domanda del come e del perché sono state collegati nel vaso a partire dall’alto verso il basso tre ‘temi’ così differenti tra di loro. Che c’entra un motivo di danza tra due omosessuali e poi quello della singolare pesca di un mostro marino ed infine quello del tuffo di ‘mostri’ uomini-delfino? La risposta in genere viene data ricorrendo alla categoria del ‘decorativo’ artistico.  L’ydria ha, con quelle tre scene espresse in pittura, scopo prevalentemente estetico, cioè di bellezza artistica. Non c’è bisogno pertanto di chiedere dell’altro di senso al manufatto.  Tanto più che il ‘decorativo’ è (sarebbe) accompagnato, nell’ultima scena in basso, dal ‘culturale’, ovvero dall’allusione al noto mito di Dioniso giovinetto e i pirati tirreni (6). Aspetto questo - come si sa - ‘normale’ in dei vasi come le ydrie che fanno largo uso di miti e di leggende, tratti anche e soprattutto, da noti passi omerici (7). Quindi la risposta interpretativa comune che ne deriva in sintesi è questa: hydria etrusca decorata sul collo con il motivo della danza, sul corpo con l’attività di pesca di un non precisato mostro marino e impreziosita infine, sempre nel corpo,  con la scena mitologica omerica del mito dei pirati Tirreni trasformati in delfini da Dioniso.


   Una risposta ‘necessariamente’ credibile ed esaustiva quella della decorazione e del soggetto culturale se nel frattempo non avessimo compreso che l’etrusco si serve di una scrittura metagrafica crittografica, di un system funerario con delle regole, variate spesso ma uguali per tutti, che attraverso l’ideografia, la numerologia e l’acrofonia, offre oltre che il decus e il symbolum (8) anche il sonus. Cioè, come ormai si è detto una infinità di volte, c’è un lessico ed una sintassi nascosti che spiegano il motivo profondo della realizzazione e del fine particolare dell’oggetto. L’ydria quindi può aumentare di senso se interpretata e spiegata ‘anche’ ( si direbbe 'soprattutto') in altro modo. Vediamolo subito, analizzando di nuovo le singole scene attraverso il detto system.


Prima scena. La doppia danza.  


     La danza o ritmo dei due ballerini omosessuali (9) è un certo tipo di ballo comune etrusco (10) che si effettua  con le continue mosse  del sollevare (il braccio destro), del distendere (il braccio sinistro), del curvare (la mano sinistra). E’questo, possiamo ormai dire con sicurezza (11), l’ideogramma preferito dall’etrusco, perché con esso si allude, si dà l’idea, dei tre movimenti ritmici o di ‘danza’ del sole e della luna. I tre movimenti danno il SEI, numero fondamentale dell’etrusco (12), come quello che indica la ‘doppia luce’ soli - lunare. Quindi la lettura di questa prima scena dà un facile ‘doppio ritmo del SEI continuo’ (13).


Seconda scena. La doppia abilità.


    Questa seconda scena è di più difficile interpretazione perché i ‘segni’ sono alquanto più nascosti della precedente soprattutto quelli che permettono l’ottenimento del doppio tre (C C) per via ideogrammatica e per via acrofonica. Non difficile però è capire subito il senso generale della raffigurazione data l’azione della singolare ‘pesca’. Infatti, il mostro marino è raffigurato nell’atto del pescare i due pesci ‘afferrandoli e tenendoli per la coda’. Interpretando il gesto, per altro assai comune in tutte le lingue del mondo, otteniamo il significato di ‘abilità’, ‘destrezza’. Afferrare e tenere un pesce per la coda dà l’idea di una mossa pressoché impossibile, davvero straordinaria. Di un’abilità 'manuale' fuori del comune. Significato però monco questo se non procediamo ad interpretare tutta la figura che ci dà anche ‘un mostro marino che solleva le due braccia, distende il corpo e curva la coda’. Tenendo presenti i requisiti del metagrafico abbiamo un ‘tre’ che si ottiene per via ideografica ed un secondo ‘tre’ si realizza per via acrofonica. Quest’ultimo tre è dato dall’acrofonia di κνώδαλον perché in greco il ‘mostro marino’ si chiama così, con un nome iniziante per la consonante velare (gutturale) sorda ( K = C).


Abbiamo quindi il senso della seconda scena, cioè ‘abilità’ del ‘doppio tre’ o del ‘sei’ (o della ‘doppia luce’). Se poi aggiungiamo nella lettura l’ideogramma dell’onda corrente ovvero dell’onda ‘continua’ avremo ‘doppia abilità (i pesci presi con entrambe le mani) del SEI continuo’. Il ‘segno’ dell’onda continua permette nella seconda scena di inserire quel ‘continuo’ che invece nella prima era dato dalla danza con le mosse del tre sempre ripetute o 'continue'.  


 Terza scena: Il doppio vigore.


La terza ed ultima scena dipinta dell’Hydria è quella che maggiormente ha attirato l’attenzione degli studiosi. E si comprende il perché.  Infatti, molti sono coloro che hanno riconosciuto in essa aspetti del mito del Pseudo-Omero circa i pirati tirreni tramutati in delfini da Dioniso da essi rapito (14). Della possibilità o meno della presenza del mito parliamo più in là, ma prima è necessario interpretare metagraficamente anche la ‘scritta’ della terza scena. Essa presenta come significanti fondamentali sei uomini - delfini. Iconografia interessante perché il Sei non può non richiamare subito gli altri due Sei delle due scene precedenti. E ancora  interessante è il fatto che dopo il SEI si presenti ancora l’onda corrente con il valore di ‘continuità’. C’è quindi un doppio tre o un SEI continuo ma manca quel soggetto di cui il doppio tre o SEI era specificazione nelle altre due scene. Detto soggetto si comprende ancora per via ideografica se si considerano ancora due segni: il segno del virgulto (15) e quello dei sei uomini - delfino ‘tuffatori’. Entrambi suggeriscono l’idea di ‘vigore, forza’. Leggeremo allora ‘ doppio vigore del SEI continuo’. Ne consegue che il vigore, l’abilità, la danza sono soggetti di un complemento di specificazione (SEI) sempre uguale e sempre con il medesimo attributo (continuo)


Ricapitolando il significato delle scene dell’ydria è:


Doppia danza del SEI continuo


Doppia abilità del SEI continuo


Doppio vigore del SEI continuo.


  L’interpretazione però non risulta, a mio parere, completa perché bisogna capire anche il senso degli uomini delfino, ovvero dei tuffatori pesce. Nell’interpretare  abbiamo messo in risalto il ‘vigore’ dei tuffatori (uomini) ma non abbiamo considerato che i tuffatori uomini  sono anche tuffatori  ‘pesci’. Il pesce, come si sa, richiama l’idea del ‘muto, silenzioso’, motivo per cui dobbiamo aggiungere silenzioso al SEI: doppio vigore del SEI silenzioso continuo. Diciamo ‘dobbiamo’ perché ci sembra ormai molto chiaro che il SEI (ripetuto per tre volte!) altro non è che la coppia astrale Sole e Luna, quella che dà la doppia luce immortale. Nella attività del Sole e della luna compaiono tre qualità di movimento fondamentali: la danza (il ritmo ternario ciclico della coppia del sorgere, del distendersi e del curvare), l’abilità (nel percorrere con sicurezza, senza incertezze il solito percorso celeste) (16), il vigore (nel tuffarsi nel mare profondo silenziosamente). Il tuffarsi senza rumore alcuno è aspetto assai singolare, il più stupefacente della dinamica comportamentale ciclica del Sole e della luna. A quel vigore immenso non corrisponde un rumore corrispondente ma viceversa un paradossale silenzio assoluto.


L’umanizzazione dei fenomeni celesti soli - lunari


  Detto ciò, come spieghiamo la celebrazione e l’esaltazione della grandiosa fenomenologia astrale? Lo si spiega solo se gli atti naturalistici astronomici della doppia luce li si ‘umanizza’ e li si riporta alla potenza delle divinità, o meglio, della doppia divinità luminosa ,Tin e Uni. E lo si spiega ancora se si pone tra i significanti fondamentali di tutta la scritta metagrafica anche l’hydria (17), la sua simbologia che non si discosta, a nostro parere, da quella di un’urna, di un sarcofago e della stessa tomba. L’ hydria, il vaso funerario, con l’idea della ‘pancia’, del ‘grembo’ materno, simboleggia, con ogni probabilità, la protezione del defunto, nuovo nascituro. Essa non è un semplice oggetto strumentale realizzato per accogliere affettuosamente le ceneri del defunto e neppure è oggetto di pregio artistico fine a sé stesso.  L’estetica è, come sempre, solo apparenza che nasconde la sostanza.  Il vaso poi, se deposto nella tomba, fa parte di una comunicazione crittata più generale nella quale ogni oggetto, ogni pittura, ogni dato architettonico si inserisce con lo scopo di fortificare magicamente, con la reiterazione dei simboli e la loro correlazione, il concetto della certezza della rinascita e della nuova vita per la luce con la luce. Data la simbologia di grembo materno, ovvero l’ideogramma che suggerisce la ‘protezione’, sembrerebbe  chiaro il significato ‘scritto’ nella sua superficie (collo e corpo). Il brio (danza), l’abilità, il vigore della coppia divina o doppia luce sono una esplicazione sul ‘come’ avverrà l’aiuto protettivo. Senza di essi è insperabile il poter raggiungere un nuovo ‘status’ luminoso, ottenere il superamento del buio e della morte e l’evitare di dormire dopo la ‘brevis lux’ terrena, per dirla con Catullo (18), ‘per una unica notte’ continua.


Il mito di Dyoniso con i pirati ‘tuffatori’ tramutati in delfini? Forse, ma del tutto irrilevante per il profondo significato nascosto ‘scritto’ nel vaso funebre.


      Da quanto si è detto il soffermare la nostra attenzione sul mito di Dioniso giovinetto rapito dai pirati tirreni non sembra recare alcun giovamento ermeneutico. La terza scena, oggettivamente, è consequenziale al significato delle altre due. Serve, in buona sostanza, a ripetere il numero 'sei' a scopi apotropaici e a ‘spalmarlo’, dall'alto verso il basso,  nel vaso funebre in modo crittato. Data però l’insistenza della pittura tombale e vascolare etrusca per il tema ‘tuffo’ che in altri documenti (19), ha sicuramente valore simbolico, la terza scena potrebbe alludere al tuffo dell’uomo, dopo la morte, nel buio profondo: tuffo, la cui pericolosità può essere esorcizzata solo dall’intervento ‘vigoroso’ della divinità capace, giorno dopo giorno, di superare brillantemente il massimo momento critico dell’esistere. Certo, non si può escludere che il riferimento mitologico, se davvero tale, potesse obbedire ‘anche’ a fini di prestigio sociale ovvero alla moda di richiamare aristocraticamente la classicità letteraria greca quella di cui, per influsso della vicina civiltà della Magna Grecia, era da tempo permeata la società ‘alta’ dell’Etruria. Né si può escludere d’altro canto che il mito fosse adoperato da parte degli artisti etrusco -greci come distrazione e inganno per sviare l’osservatore dalla ‘lettura’ più profonda, quella non eseguibile pena l’annullamento della magia salvifica data dalle potenti voci nascoste ottenute con il singolare system funerario. C’è da aggiungere però nei confronti di coloro che interpretano la terza scena come probabilmente o sicuramente dionisiaca che essi forzano di non poco un ‘testo’ dove del mito appare una sola immagine sia pur fondamentale. E per renderla ‘giustificabile’ si invoca la grande notorietà di esso per cui il solo accenno pittorico ai delfini pesci o agli uomini delfino era bastevole per rappresentare il tutto. Tanto che si è pensato che potesse essere sott’intesa la nave con il dio vendicativo trasformato in mostro.




Note ed indicazioni bibliografiche

1.  Gorys A., 1997, Wörterbuch der Archäologie, München, DTV.
2. Sui soggetti pittorici in scrittura metagrafica presenti nelle ΰδριαι ci siamo già espressi con tentativi vari e risultati ermeneutici  ora ritenuti validi ora abbandonati in tutto o in parte. V. https://maimoniblog.blogspot.com/2018/02/i-bellissimi-rebus-del-metagrafico.html#more
3. Non si contano, a mio parere, i manufatti di scopo funerario e religioso in genere che fanno uso del metagrafico ovvero della scrittura ideografica, numerologica e acrofonica. Si veda il nostro ultimo saggio: https://maimoniblog.blogspot.com/2019/11/il-gioiello-apotropaico-etrusco-scritto.html
4. L’influsso della scrittura metagrafica a rebus partì dal nuragico (e forse dalla stessa cultura funeraria del neolitico dell’isola: pitture, sculture e oggetti delle cosiddette ‘domus de jana’). Gli Etruschi imitarono il codice funerario dei sardi dell’età del bronzo ma con delle varianti. La più importante di queste fu quella di usare l’acrofonia sulla base del lessico indoeuropeo (etrusco, greco, latino) e non  semitico. 
5. Furono gli Egiziani ad inventarla elevandola ad arte con l’uso della crittografia amunica.  Detta crittografia è presente in Sardegna nell’età nuragica: V. Atropa Belladonna , 2012, I copioni sardi della crittografia amunica. Ma da che cosa? In GianfrancoPintore blogspot.com. (9 luglio); eadem, https://monteprama.blogspot.com/2013/10/gli-scarabei-sigillo-della-sardegna-e.html
6. Hymn. Homer. VII.  V.  De’ Spagnolis M., 2004, Il mito omerico di Dionysos ed i pirati tirreni in un documento da Nuceria Alfaterna  "L'ERMA"di BRETSCHNEIDER. 
7. La cultura greca, attraverso le colonie della Magna Grecia, a partire dal VII -VI secolo a.C., era di casa negli ambienti aristocratici delle ricche città etrusche. In Etruria venivano realizzati, su commissione ad artisti greci famosi della ceramica, molti oggetti (vasi, piatti , ecc.), compresi quelli di scopo funerario il cui disegno però aveva ‘input’ sacerdotale  trattandosi non solo di pittura ma anche di ‘scrittura’ legata al sacro e alla magia del lessico salvifico.   
8. In questo specifico caso l’ydria quali simbologie recherebbe e dove? E’evidente che una lettura essoterica sarebbe costretta a fermarsi al solo aspetto estetico. Anche il soggetto del pseudoomero sui pirati tirreni (sempre che sia esistente) resterebbe fine a sé stesso.   
9. Per capire la ‘sottolineatura’ della omosessualità bisognerebbe aprire un’ampia parentesi circa la ‘danza amorosa’ degli astri Sole e Luna (TIN/UNI) ai fini della procreazione e della rinascita. Che tipo di rapporto c’è tra i due astri sotto l’aspetto sessuale? E’ quello di un normale ‘menage’ tra un maschio (sole) e una femmina (luna) oppure esso si configura idealmente come quello ‘spirituale’ intercorrente tra un ἐραστής ed un ἐρώμενος? L’iconografia etrusca attraverso le pitture parietali delle tombe e quelle vascolari non ci dà una risposta univoca, indizio questo di un ‘dibattito’ teologico razionalistico circa la sessualità astrale. Qui basterà ricordare le scene di danza amorosa maschio -femmina dove chiaramente il rapporto è eterosessuale (v. fig. seg.) e dove invece, come in questo caso, il rapporto è omosessuale. E basterà ancora richiamare, per capire l’esistenza di un vero e proprio dibattito, l’omosessualità esecrata e, viceversa, l’eterosessualità esaltata nella tomba dei tori dipinti di Tarquinia (v. seconda fig. seg.).

  
10. Le immagini di danza (di questo tipo particolare di danza etrusca), sono molto frequenti nelle pitture parietali tombali, nelle sculture delle urne e dei sarcofaghi. Il motivo è chiaro: con i movimenti dei ballerini, col ritmo ternario (v. figg. segg.) che può essere eseguito sia con la parte superiore che con quella inferiore del corpo, impegnando così braccia e gambe, si ottiene l’ideogramma del ‘tre’ e del ‘sei’ (ovvero della doppia luce) ripetuto in una serie continua che, a scopo salvifico funerario, intende rimarcare la presenza del nome magico, cioè della luce divina nei singoli manufatti.
   
11. L’iconografia funeraria etrusca di centinaia e centinaia di documenti da noi esaminati riporta l’ideogramma astrale dei tre tempi del sole e di quelli della luna che rendono il Sei, la luce in assoluto sia diurna che notturna.  Naturalmente il Sei può essere ‘scritto’ anche diversamente, ricorrendo sia alla numerologia che all’acrofonia.  
12. IL Sei come numero sacro di origine astrale è di derivazione sarda e risale, con ogni probabilità, non tanto al nuragico (dove tuttavia è molto presente) quanto all’iconografia neolitica  delle cosiddette ‘domus de jana’ (v. fig. seg. 1). Gli stessi oggetti rinvenuti a Monte d’Accoddi e nell’oristanese, nonché immagini pittoriche tombali, mostrano gli ‘oscilla’ taurini (v. fig. seg. 2), ovvero gli astri con il loro movimento ritmico pendolare del tre e del sei,   
  
13. ‘Continuo’ perché la danza è basata, in particolare, sulla reiterazione della gestualità del ‘sollevare, distendere e piegare’.
14 V. nota 6.
15. E’ segno ideografico topico delle raffigurazioni tombali. Il ‘vigore’ è sottolineato di solito con la ricchezza delle gemme. V. ad es. la seconda figura in nota 10.
16. Il motivo potrebbe essere anche un altro. La stessa danza potrebbe suggerire l’abilità dei ballerini nel rispettare l’uno il ritmo dell’altro e procedere in perfetta sintonia.
17. Non sempre è agevole (lo abbiamo rimarcato altre volte) capire se e quanto il supporto come ‘ideogramma’ possa incidere sul senso complessivo. Pei il gioiello (la spilla) apotropaico etrusco, da noi da poco interpretato, non abbiamo avuto dubbi sul suo significato di ‘sicurezza’(https://maimoniblog.blogspot.com/2019/11/il-gioiello-apotropaico-etrusco-scritto.html).  In questo specifico caso ci sembra che l’aggiunta della simbologia del recipiente meglio contribuisca a completare il significato del valore salvifico offerto dalle eccezionali qualità comportamentali del sole e della luna, dalla potenza unita alla grazia e alla destrezza.   
18. Siamo intervenuti altre volte, soprattutto per la numerologia, con il richiamo al famoso carme 5 del corpus di liriche di Catullo. Essa è stata spesso commentata da celebri e meno celebri studiosi di letteratura latina. Si può dire che non ci sia verso o parola che non siano stati indagati e spiegati dal punto di vista tecnico -retorico, dal punto di vista ‘poetico’ e infine da quello ideologico (l’epicureismo di fondo). Eppure riteniamo  che non ancora tutto sia stato detto e che ci sia altro di rilevante da aggiungere. Infatti, se si osserva, i ‘basia’ catulliani occupano, nel computo, ‘tre’ dei 13 versi complessivi del componimento: Dà mi bàsia mìlle, dèinde  cèntum/,dèin mille àltera, dèin secùnda cèntum/,dèinde usque àltera mìlle, dèinde cèntum. Inoltre, calcolando il numero dei baci si ottiene 3000 +300 (il tre per le centinaia  ed il tre per le migliaia), un numero ben preciso questo che non si può certo pensare posto a caso da un poeta di raffinatezza tecnico -stilistica - come si sa - pressoché insuperabile. Catullo, oltre che affermare come un ‘niente’, le chiacchiere dei vecchi troppo severi, in questa parte del carme sembra ricorrere alla numerologia per ironizzare su di un altro ‘niente’ ovvero sulle credenze ‘volgari’ e l’uso  di reiterare per magia il numero ‘tre’ ed il ‘sei’, il numero astronomico della luce, per poter ottenere la salvezza e una nuova vita dopo la morte. La ‘conturbatio’ dei baci (del numero preciso dei baci: 300 e 3000) intende alludere, a nostro parere, all’uso  ‘volgare’  di cospargere per magia, da parte dei creduloni, numerosissime volte, del tre e del sei i monumenti e gli oggetti funerari, nascondendoli poi alla vista con il mescolarli e non facendo capire l’esatto numero di essi. Anche in questo oggetto abbiamo visto quanto sia operante la ‘conturbatio’ dei tre e dei sei, assai criptati contro il malocchio attraverso il ricorso alle convenzioni del metagrafico.  Certo, Catullo vive in un periodo (seconda metà del I sec. a.C.) relativamente lontano dai secoli dell’influenza della ‘religio’ etrusca in Roma circa la morte e la vita dopo di essa. Ma non dobbiamo pensare, anche perché i sarcofaghi tardi lo attestano, che il credo del ‘tre’ e del ‘sei’, della luce salvifica soli - lunare e della coppia divina (Tin/Uni, Jupiter/ Juno), fosse venuto meno. Le credenze religiose e le azioni conseguenti sono state sempre e sono, come si sa, assai dure a morire. Catullo, l’epicureo Catullo, sbeffeggia i superstiziosi a motivo della loro vana ‘conturbatio’ e il ‘malocchio’ (a cui certamente da ‘laico’ non crede, come non crede ad una vita post mortem) serve al poeta semplicemente da scherzo, da lusus letterario in un componimento dove come  non contano le ‘chiacchiere, le dicerie’ dei vecchi criticoni così non contano le eventuali azioni di disturbo dei ‘mali’ invidiosi che in qualche modo vengono a sapere. Conta invece solo la tragica realtà delle cose dell’uomo destinato a morire per sempre, a dormire nel buio (nox) eterno e a non godere più delle gioie della vita (lux). 
19. Si pensi solo alla pittura di Tarquinia detta della ‘caccia e della pesca’ e a quella eseguita nel lato inferiore del coperchio della tomba detta del ‘tuffatore’ in Paestum (v. fig. seg.).               



3 commenti:

  1. Certamente pensare e dire che si tratta solamente di un vaso ben decorato è come dare un manrovescio all'intelligenza di cui ciascuno è dotato.
    La sintassi è sempre la stessa, non c'è che dire.
    Nella parte mediana, quella del mostro che afferra due pesci per la coda, ho notato due cose:
    - che il braccio destro è sollevato, mentre quello sinistro mi pare anche abbastanza disteso;
    - Che il pesce afferrato con la mano sinistra, quella del braccio distesa, non è neppure un pesce, ma un delfino, che è marino, ma pure un mammifero.
    Non so se anche questo particolare nasconda qualcosa d'altro, visto che nulla è posto a caso.

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  2. Certo nulla è posto a caso. E potrebbe esserci dell'altro. Ma 'cosa' ancora? Io mi sono limitato a ricondurre il 'decorativo' allo 'scritto'. Naturalmente a ciò che è scritto secondo un system che comporta delle 'regole' precise e riscontrabili non in uno ma in centinaia di documenti. Altrimenti tutto diventa opinabile, campato per aria, per nulla scientifico.

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  3. Nulla è messo a caso
    Anche il numero dei delfini

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