La rubrica di Maymoni

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sabato 25 dicembre 2021

Buon Natale

 Buon Natale


Buon Natale a tutti noi che in un modo o nell'altro stiamo combattendo, giorno dopo giorno, una battaglia contro i pregiudizi, i paradigmi obsoleti, le ingessature mentali e i Farisei.

Buon Natale a Gigi, Francesco, Stefano, Aba, Caterina, Marina.... e  quanti altri... tanti.

Buon Natale a chi ci sostiene e, con fiducia, ci segue. Sarebbe lungo l'elenco, e di certo non esaustivo.

Buon Natale a tutti coloro che in un modo o nell'altro, pensando di ostacolarci, cercano di scalfire il nostro entusiasmo. Grazie di cuore, perché proprio questo è il carburante che ci rende più vigorosi e imperterriti nei nostri studi.

Buon Natale alla verità storica che giorno dopo giorno stiamo rievocando con le nostre scoperte.

Ma ci pensate che dopo 3000 e passa anni, possiamo rifesteggiare la nascita del torello il 21 di dicembre; possiamo rifesteggiare il 21 di aprile, possiamo rifesteggiare dei riti, presunti "pagani", che di pagano hanno solo il punto di vista. Ci pensate che possiamo rileggere (dissacrandole ne siamo consci) formule apotropaiche e inni privati alla divinità. 

Buon Natale. Buona "Rinascita".



sabato 18 dicembre 2021

SCRITTURA NURAGICA. IL PUNTINATO. QUANTO E’ (ERA) ISTRUTTIVA LA BARCHETTA DELL’ANTIQUARIUM ARBORENSE!

 

di Gigi Sanna


   

fig. 1

La barchetta bronzea dell’Antiquarium Arborense di Oristano, purtroppo trafugata, possiede sia sul fondo piatto sia su di una fiancata dei segni ‘alfabetici’ realizzati a puntinato. Il Lilliu, esaminandola e studiandola, pensò, forte del dogma (che lui stesso aveva contribuito a creare e a divulgare) che i nuragici non avessero conosciuto la scrittura, che quei segni fossero romani (1). Più tardi lo studioso Raimondo Zucca, allievo del Lilliu, pensò anche lui che la scritta stante sul fondo fosse romana e che nascondesse una sigla; più precisamente quella di un nobile, una volta possessore della navicella, dal nome S(EXTUS) N(I)P(IUS). Abbiamo da tempo respinto quella interpretazione (2) perché le lettere, del tutto travisate, non sono romane ma nuragiche e più precisamente una ‘nun’ arcaica a serpentello (3), una ‘nun’ di tipologia più recente e una ‘resh’. La ‘resh’ e la ‘nur’ sono agglutinate (v. fig. 1) per cui i segni sono due.  Il significato è quello di ‘ Lui (4) luce (nr) continua ‘(5).

Stessa precisa espressione si trova in una delle fiancate, scritta sempre a puntinato, ma diversamente, con un segno solo apparente (v. fig.2). In realtà nella ‘silhouette’ del serpente sono inserite due lettere che sono ancora, come nella scritta del fondo, una ‘nun’ e una ‘resh’. Quindi abbiamo di nuovo ‘ Lui luce continua'. 


 
fig. 2
                                        
Ora, cosa vogliono significare mai due scritte con senso uguale ma tracciate in due posti differenti della barchetta? L’enigma si scioglie considerando un dato quasi costante nella scrittura nuragica: che nella lettura di un documento conta anche (spesso soprattutto)  il supporto e che quindi bisogna inserire la voce che esso suggerisce (6). Praticamente il supporto funge da ideogramma che si aggiunge agli altri segni. Il fondo della barchetta dà ovviamente l’idea della stabilità e la fiancata l’idea di protezione (7). Ragion per cui si ottiene:

 FONDO: Stabilità (sicurezza) della luce continua di lui

 FIANCATA: Protezione della luce continua di lui   

 Si comincia dunque a comprendere dalle due voci (stabilità e protezione) che la barchetta non è un ex voto e tanto meno funge da lucerna ma è un oggetto apotropaico, un amuleto protettivo contro il male e le situazioni avverse. E che le cose stiano così lo dimostra la parte mancante della navicella ma facilmente ricostruibile. Infatti, su di essa potremo mettere il ‘topos’ di tutte le barchette nuragiche ovvero l’albero della nave sormontato dal 'cerchio' con sopra la colomba (v. fig. 3)

 
                       fig.3                                                             fig. 4

Il ‘topos’ raffigurativo - scrittorio riguarda una colomba, un anello (un cerchio) e una torretta di un nuraghe (8). Nella seconda figura (fig. 4) si noti che il cerchio dove posa la colomba non è completo ma è vistosamente interrotto  (9). Che significa tutto ciò? Come lo si deve leggere? La soluzione stavolta si ha non solo attraverso l’ideografia ma anche attraverso l’acrofonia. Innanzi tutto, vediamo l’ideografia. Essa dà, per quanto riguarda il pennone - nuraghe, il valore di ‘forza', 'toro’. Per quanto invece riguarda l’anello dà quello del disco luminoso, della ‘luce’. L’acrofonia (e ideografia assieme) invece ci dà la lettera he perché la colomba è ‘la viaggiatrice, quella che va e viene’ e il verbo semitico con questo valore è hlk הלך. Avremo pertanto Lui (he) + luce + forza (toro). Ma nella figura 4 si nota che il disco è interrotto come se ne mancasse una piccola parte. Quasi ci fosse un difetto tecnico di costruzione riguardante la colata del bronzo. Ma così non è perché quella interruzione è voluta, del tutto intenzionale. Infatti, lo scriba artigiano ha voluto aggiungere, con la piccola  variazione, un particolare importante; ha disegnato in maniera più esplicita l’uroboro (10) ovvero il segno del serpente continuo, cioè il simbolo della luce continua. Avremo pertanto nella ipotetica parte superiore della navicella dell’Antiquarium oristanese questa espressione : Forza della luce continua di lui. La barchetta si mostra allora scritta, nelle tre parti che la costituisco,  con la stessa espressione ma disegnata in tre modi diversi:

Forza della luce continua di lui (oppure Lui è forza della luce continua)

Protezione della luce continua di lui (oppure Lui è protezione della luce continua)

Sicurezza (stabilità) della luce continua di lui (oppure Lui è sicurezza di luce continua)

     E’ questa la formula dell’aiuto del dio (yh) che riguarda tutte le barchette. Formula che può essere più o meno variata (11), ora più semplice ora arricchita da altri ideogrammi ancora. Per detta formula apotropaica le barchette erano particolarmente apprezzate e adoperate perché si prestavano già di per sé, con la loro struttura ‘naturale’, a rendere con la forza (l’albero maestro), con la protezione (le fiancate) e con la stabilità  (il fondo) le qualità salvifiche del dio. Negli altri bronzetti invece il lavoro di scrittura attraverso l’ideografia, la numerologia e l’acrofonia risultava sempre molto più complesso;  così come complesso fu sempre il lavoro degli Etruschi che detta formula nuragica, più o meno ampia e più o meno  variata, ugualmente adoperarono per gli oggetti sacri, soprattutto quelli de culto funerario (12).

La barchetta dell’Antiquarium Arborense con la sua scrittura, anche alfabetica (13), risulta molto istruttiva perché consente

-         -  di capire cos’è l’oggetto sacro ‘barchetta’ e a cosa servisse.

-  - di capire che la scrittura a puntinato (ricorso non infrequente (14) nel nuragico) serviva per dare acrofonicamente la lettera del pronome he riguardante la divinità.

-         -    di capire perché le barchette possono riportare segni fonetici su alcune delle loro parti.

-        -   di capire  che in nuragico il supporto va letto per dare senso completo all’espressione scritta.

-        -   di capire che gli Etruschi, per ovvi motivi cronologici (15), hanno appreso la formula della forza, della protezione e della sicurezza, riguardante l’aiuto della divinità, dalla cultura religiosa nuragica.

 

NOTE E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

 

1.‘ Nel fondo e su d’un fianco, la navicella reca incisa, a puntini, un’iscrizione in latino aggiunta successivamente all’oggetto, considerato prezioso, e tramandato di generazione in generazione, in una famiglia, sino a diventare proprietà di un ricco signore provinciale romano’ (v. Lilliu G., 2008, Sculture della Sardegna nuragica (ristampa), Illisso, Nuoro, p. 482, fig.276.

2.Sanna G., 2010, Serpentelli di tutti i nuraghi unitevi; in Gianfranco Pintore Blogspot. Com  (16 gennaio). Sui segni, ritenuti sempre romani, si veda anche Ugas G. 2013, I segni numerali e di scrittura in Sardegna tra l’età del bronzo ed il I ferro, in Tharros felix, a cura di A. Mastino, P.G. Spanu, R. Zucca, Roma Carocci, pp. 295 - 377. 

3.Per un segno identico a ‘S’ romana si veda la pietra betilica di Aidomaggiore (custodita nei locali del Comune),  la scritta della fiasca del pellegrino di Ruinas nonché l’iscrizione, con le lettere tra quadrati, della parete della scogliera di San Giovanni del Sinis (oggi purtroppo deturpata). V. figg. segg.).

 

4. Lui è pronome indicativo. E’ usato molto spesso nelle iscrizioni nuragiche. Si ottiene attraverso l’acrofonia di vari oggetti che diano l’idea della decorazione, dell’ornamento (si pensi al cappello o all’elmo nei bronzetti nuragici oppure al pugnaletto ornamentale nuragico) oppure l’ornamento di per sé. Si veda come esempio la figura che segue, il doppiere bronzeo di Tergu (Lilliu, fig. 261. pp. 460 - 462). In questo caso come nel nostro  il ‘decus’ è il ‘puntinato’, le lettere scritte a ‘puntinato’ ovvero ‘decorate’. L’acrofonia di decoro, ornamento, come da noi detto tante volte, è data dalla voce semitica HDRהדר

Forse sarà benne ricordare che altre voci semitiche  sono impegnate per l’acrofonia e l’uso dell’aspirata h sono quelle di HRK הרך (che viaggia, che va e viene: la colombella, l'anatrella) e HRH (essere incinta). Un uso interessantissimo di HRHהרה   si ha nella pietra scritta del Nuraghe Losa di Abbasanta dove la 'serpentella' è disegnata incinta al fine di notare il pronome indicativo: Lui (è) il toro  straordinario continuo (v. fig. seg.)





5.   Il serpente è ideogramma che rende la 'continuità'. Abbiamo affermato, anche di recente, che il pittogramma - ideogramma, con ogni probabilità, era un segno di scrittura già presente nelle domus de jana del neolitico recente sardo (3500 -3000 a.C.). La tomba di Pubusattile di Villanova Monteleone sembra attestarlo al di là di ogni ragionevole dubbio. Naturalmente, come nella scrittura a rebus etrusca, la continuità può essere espressa in vari modi, talora molto fantasiosi. Uno di questo è, per esempio, l’ideogramma della cosiddetta ‘onda corrente’, significante questo presente nella barchetta nuragica scritta di s’Urbale di Teti; segno che ha sorpreso non poco gli archeologi dal momento che l’onda corrente è usatissima nell’etrusco. Sembra quindi che i nuragici, che già adoperavano il segno nel IX secolo a. C. , lo abbiano trasmesso agli etruschi che iniziarono ad usarlo dal VII -VI in poi

6. Un bell’esempio che si può fare circa la lettura del supporto è quello che riguarda il betilo a scopo funerario di Aidomaggiore (v. fig. seg.) La scritta ‘occhio alato (uccello) silenzioso (pesce) ‘ non si capisce se non con l’aggiunta dell’ideogramma ‘betilo’ con significato di ‘vigore, forza’: ‘Vigore della luce alata silenziosa’ ovvero il vigore del sole (e forse anche della luna). Senza quel vigore divino il defunto non potrà godere di una seconda vita.  


  

7. E’ l’idea che dà anche la fiancata scritta della barchetta di S’Urbale di Teti. All’idea di protezione si aggiunge anche l’ideogramma della continuità (l’onda corrente). La ‘protezione continua’ è l’incipit della espressione che verosimilmente prosegue nella fiancata: ‘Protezione continua di lui toro (creatore) del ‘sei’ che dà la vita. Toro straordinario della luce (è ) lui’.

8. Ovviamente dal punto di vista ideografico il ‘nuraghe’ richiama il toro così come lo richiama l’albero maestro che sopporta la vela.  

9. Non si dà molto peso al dettaglio. Il Lilliu annota il dato, parla di ‘variatio’ e di tipologie d’anello ma più in là non si spinge. Si veda il commento al bronzetto n. 278: ‘Varia l’anello di sospensione, messo al solito di traverso al listello semicircolare, completa il giro senza che le estremità si saldino, segnando un’altra piccola variazione (nelle barchette descritte l’anello ha il filo completamente chiuso).Lo studioso, inchiodato com'è sull'esame del decorativo o delle tipologie o dello stile dei manufatti è molto lontano dal solo sospettare quale sia veramente il motivo delle variazioni. Le estremità si saldano o non si saldano. E tutto finisce lì.   

10. L’uroboro è segno e simbolo assai antico, usato (si pensa) per prima dagli egiziani. Si veda l’immagine di Horus bambinello (il sole nascente) del papiro di Dama - Heroub. Con ogni probabilità nelle barchette il disco luminoso, anche senza interruzione, è sempre l’uroboro, l’animale che si morde (o sta per mordersi) la coda espresso in modo estremamente schematico.

 

11. Le cosiddette ‘decorazioni ‘ (ad esempio le colombe e le anatrelle aggiunte) altro non sono che arricchimento della formula con gli ideogrammi della forza, della protezione e della sicurezza.

12. Vedi di recente il nostro saggio (Sanna G., 2021, Scrittura etrusca a rebus. La kulix del grande pittore Exekias.Dioniso e i pirati tirreni; in Maimoni blog (6 dicembre).                                                                                                                                          

13. Le barchette bronzee nuragiche raramente risultano scritte con scrittura lineare, così come quelle fittili. Praticamente sia quella in bronzo dell’Antiquarium oristanese sia quella in ceramica del museo di Teti sono per ora da considerarsi entrambe un ‘unicum’. Nella barchetta oristanese i segni (a puntinato) sono in tutto sei: nun + nun + resh sul fondo,   nun + nun + resh ancora sulla fiancata. Nella navicella di Teti i segni lineari sono 12: ‘aleph + gimel + he + 3 + 3 (le due lineette)  + he + yod + ‘aleph + gimel + nun + resh + he. Per quest’ultima v. la tab. seg.

 

14. V. nota 4. Si veda anche il pugnale ad elsa gammata proveniente dalla grotta Pirosu su Benatzu di Santadi (Lo Schiavo F. - Perra M. 2018, Le armi, le armature, il conflitto e la guerra; in Il tempo dei nuraghi in Sardegna dal XVIII al VIII secolo, a.C, Ilisso ed. Nuoro, p.337, fig.395.

15. I nuragici precedono gli etruschi per uso della scrittura di almeno quattro o cinque secoli. Le prime attestazioni dell’uso da parte degli Etruschi , sia dell’impiego della scrittura lineare alfabetica sia di quella metagrafica a rebus, risalgono al VII - VI secolo a.C.

 

 

 

lunedì 6 dicembre 2021

SCRITTURA ETRUSCA A REBUS. IL KULIX DEL GRANDE PITTORE EXEKIAS . DIONISO E I PIRATI TIRRENI.


di Gigi Sanna

Si dice che la lingua etrusca è, per svariati motivi, un enigma e un ‘rebus’. Ciò si sostiene, naturalmente, sulla base delle grosse difficoltà che insorgono nel cercare di capire di essa molti degli aspetti lessicali, morfologici e sintattici. In realtà, a mio parere, il ‘rebus’ sussiste e resiste nel tempo non ‘solo’ per motivi di carattere grammaticale e linguistico, ma anche e soprattutto perché si stenta a considerare un aspetto essenziale dell’etrusco: che la scrittura è cripica, cioè organizzata e strutturata di proposito con il rebus. E’ realizzata per non essere capita se non da pochissimi. Per tanto nella misura in cui si comprenderanno i meccanismi, spesso sofisticati, del rebus posti di norma in essere dalle scuole scribali dei santuari, si comprenderà la lingua etrusca. Essi sono simili e spesso gli stessi usati dagli scribi dei templi greci e nuragici. In particolare quelli inventati dagli scribi di questi ultimi.

 

Decus,symbolum,sonus. Sono questi gli aspetti che tengono presenti gli Etruschi (1) quando creano dipingendo o scolpendo. Gli ermeneuti di ieri e di oggi, in genere storici dell’arte, invece tengono presenti i soli primi due di aspetti e ignorano il terzo che risulta, in ultima analisi, essere il più importante. Infatti, solo con quest’ultimo si capisce il senso, il significato vero, profondo e non superficiale, che vuole comunicare l’artista, pittore o scultore che sia.

   

     Il κύλιξ  custodito a Monaco di Baviera (Staatliche Antikensammlungen)

   Prendiamo oggi come esempio il celeberrimo κύλιξ all’interno del quale il pittore ateniese Exekias ha finemente disegnato il dio Dyoniso con la piccola (2) barca, mossa da un vento vigoroso, mentre sul e dal pennone di essa spuntano e si sviluppano prosperi corimbi e intorno ad essa guizzano i delfini. E’ del tutto agevole per un critico e storico d’arte dire che nella pittura all’interno della coppa si allude e si rimanda al noto mito dei pirati Tirreni (3) trasformati in delfini dal dio vendicativo; così come è agevole capire l’allusione al pennone ligneo, senza più vita vegetativa, del tutto secco, eppure prodigiosamente rinato e trasformato in due piante rigogliose e cariche di frutti (4). 

   La critica artistica, osservando con cura e interpretando ‘oggettivamente’ il manufatto, si darà, di necessità ovvero per logica, esclusivamente all’analisi della bellezza della pittura, della vivacità dei colori, dello stile personale che possa, in qualche modo, permettere di individuare con sicurezza il pittore e, attraverso i particolari del disegno, all’analisi, la più  esaustiva possibile,  del tema mitico greco (quanto di esso mito sia riportato, quale sia la precisa fonte letteraria a cui si è ispirato l’artista, quali eventuali varianti possano riscontrarsi, come sia raffigurato il dio, come la barca, ecc. ecc.). E così procedendo nella disamina il critico penserà di aver adempiuto, nella maniera migliore possibile, al suo compito che è quello della  ‘lettura’ e della ‘explicatio’ del testo. Ma così non è perché, senza avvedersene, egli ha ‘trascurato’ la lettura di ciò che maggiormente ha impegnato l’artista pittore e cioè la realizzazione e la disposizione organica a rebus dei significanti che diano senso fonetico. In una parola, ha trascurato la ‘scrittura’, quella sola che consente di capire che ‘cosa’ realmente intenda suggerire  il tema proposto riguardante il celebre mito.

   Sulla scia di quanto abbiamo detto e scritto non poche volte (5) vediamo di adoperare le nostre conoscenze su un certo tipo di scrittura del passato (6), del tutto smarrita data la sua segretezza mantenuta, per secoli e secoli, dalle scuole scribali religiose. La scrittura a cui alludiamo è quella metagrafica a rebus, basata sulla convenzione dell’uso simultaneo dell’ideografia, della numerologia e dell’acrofonia. I pittori e gli scultori, ovviamente su commissione, usano la loro arte ma forse senza sapere che stanno creando nascostamente (e il più nascostamente possibile) senso con sintassi e lessico leggibili solo da chi è conoscenza di un particolare tipo di scrittura e delle ‘regole’ che la governano.  Un’arte che ora vediamo di trattare nel κύλιξ  di Dioniso e i Pirati tirreni ma che può essere estesa a tutta o quasi tutta la produzione artistica di pittura e di scultura etrusca (e non solo etrusca) , soprattutto nel system di scrittura apotropaica riguardante il culto dei morti.

    Vediamo ora di concentrare la nostra attenzione sull’ideogramma o gli ideogrammi presenti nel manufatto. E’ il primo passo questo, quasi obbligato, che consigliamo a chi vuole procedere con successo nell'analisi ed intendere la scrittura criptata. Osservando bene noteremo che detti  ideogrammi, proprio perché ideogrammi,  danno  una certa idea, ci suggeriscono tutti un concetto ben preciso. Quello del vigore: vigore delle due piante che spuntano e prosperano dall’albero della navicella, vigore della vela gonfia per il vento, vigore della barca che procede spinta dalla vela ed infine vigore dei delfini che sono disegnati nell’atto di tuffarsi in mare. Una volta compresa la serie degli ideogrammi, sorge però il problema di afferrare come si debba intendere 'organizzato' quel vigore ripetuto quattro volte.

    Il ‘vigore’ iterato per quattro volte ci dovrebbe dare ‘vigore quattro’ e dal momento che il numero quattro per convenzione numerologica, pensiamo antichissima, significa forza (7) dovremmo tradurre la iniziale stringa di senso con un ‘vigore della forza’. Operazione legittima perché per ottenere detta stringa abbiamo impiegato non solo l’ideografia ma anche la numerologia con le convenzioni che la riguardano. Ma il fatto è che nel quattro iterato, sia in basso che in alto della κύλιξ, si trova un altro numero ancora, il sette; numero  che non può essere stato messo a caso data la sua ripetizione e il suo significato (spessissimo adoperato in numerologia dagli etruschi e dai nuragici) di ‘santo’ (8). Infatti sia i corimbi che i delfini sono in numero di sette. Come si combina con tutto il resto il 'sette' riportato due volte? La risposta si ha nel calcolare diversamente l’iniziale supposto ‘quattro’. Vediamo allora immagine per immagine il disegno e ‘traduciamo’ alla lettera. Avremo:

-        Vigore dei corimbi sette

-        Vigore dei delfini sette

-        Vigore della vela

-        Vigore della barca  

Ma questo cosa significa? Ci dice poco e niente. Stiamo analizzzando, dicendo e non ancora comprendendo. Se però usiamo l’altro aspetto (il terzo) della scrittura metagrafica e cioè l’acrofonia, scopriamo il significato del tutto perché essa, se applicata alle 'cose' che sono disegnate (i corimbi, i delfini, la vela, la barca) e implicate nel ‘vigore’ ottenuto per via ideogrammatica, ci consente di avere quattro ‘C’ :

-        -    kόρυμβος     (C)

-         -   κνώδαλον     (C)

-        -     Carbasus       (C )

-        -    Κύμβη         (C)

-         Si sa che il segno della ‘C’ in etrusco nota il ‘tre’ (9) ovvero, per numerologia, la ‘luce’. Quindi prendendo le ‘C’ acrofoniche dei sostantivi e sostituendole ai nomi interi abbiamo:

-        Vigore della luce (tre: C)  

-        Vigore della luce (tre: C)

-        Vigore della luce (tre: C) santa

-        Vigore della luce  (tre: C) santa

-         

Sommando le espressioni uguali per contenuto di senso otteniamo :

-        doppio vigore della doppia luce

-        doppio vigore della luce doppia santa doppia

 

Il significato allora sarà:

 Doppio vigore della doppia luce/ doppio vigore della doppia luce doppia santa

     In pratica, nella seconda espressione criptata si aggiunge al vigore della doppia luce, ovvero il sole e la luna, anche la santità, alludendo con questa alla perfezione (10) dei due astri sia nell’aspetto luminoso sia nei continui movimenti ternari ciclici chiamata spesso, nell’iconografia etrusca, ‘danza’ del sei o della doppia luce.

Ricapitolando, la kulix di Dioniso, oltre che riportare apertamente un bellissimo disegno e una vicenda mitica famosa e di grande fascino nonché alludente al dio del vino, ci riporta anche, nascostamente, una espressione apotropaica nella quale si dice della forza luminosa della divinità (sole e luna/Tin -Uni) . L’oggetto dunque ha una lettura di superficie (quella che tutti sono in grado  di ‘leggere’) e una lettura di profondità a rebus, non subito visibile, che,  senza la conoscenza delle convenzioni del metagrafico (senza la misteriosa  ‘chiave’ per aprire) nessuno è in grado di notare  e quindi di affrontare. E ciò è fortemente voluto perché la non leggibilità del testo scritto è quella che permette la sicurezza, la certezza e la garanzia protettiva del talismano magico. Creato ad arte, per dirla con Catullo, ‘ne quis malus invidere possit’ una volta che venga a conoscenza  del contenuto nascosto.

 

NOTE E INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE  

 

1.Gli Etruschi e i Sardi ‘nuragici’. Ma è più che probabile che un certo tipo di scrittura ideografica e numerologica assieme l’abbiano inventata e curata per primi i neolitici sardi, i costruttori (pittori e scultori) delle domus de Jana (v. Sanna G., 2020, La scrittura in Sardegna? A Partire dal neolitico recente. Scrivere disegnando a rebus. Gli ideogrammi convenzionali nelle tombe, nella ceramica e nelle pietre. Il ‘tre’ ed il ‘sei’ taurini e la ‘religio’ neolitica astrale ripresi due millenni dopo dai nuragici e tre dagli Etruschi in Maimoni blog (4 Aprile). Manca purtroppo ad oggi  un testo esaustivo che riporti i dipinti e le sculture (laddove presenti) nelle celle e cellette funerarie della religione funeraria dei neolitici. Si potrebbe sapere di più delle influenze (che sembrano indubbie) culturali di questi ultimi sulla scrittura a rebus del periodo etrusco. Una tomba come quella di Pubusattile di Villanova Monteleone (v. fig.) mostra chiaramente con il motivo della scacchiera e la simbologia numerica (quadrato, quadratini e serpentelli) che gli Etruschi, eredi dei Villanoviani, hanno preso  non pochi suggerimenti (e per molto tempo) dai neolitici sardi per il loro system funerario assai  sofisticato



2. Forse le sproporzioni tra la barca e la persona di Dyoniso sono da imputarsi al fatto che il natante deve essere individuato senza fatica come tipologia di barca al fine di fornire la giusta acrofonia della parola. V. più avanti.

3. Sul mito di Dioniso e i pirati tirreni v. in particolare Romizzi L.,2003, Il mito di Dioniso e i Pirati Tirreni in epoca romana, in Latomus, T.62, fasc.2, pp. 352 -361. Sociètè d’Etudes Latines de Bruxelles; Nobili F., 2009, L’inno omerico a Dioniso (HMN, Omero, VII) e Corinto, Annali della Facoltà di Lettere e filosofia di Milano.

4. I cosiddetti ‘corimbi’ (da κόρυμβος, grappolo) voce che si può riferire sia ai frutti della vite che a quelli dell’edera. Specialmente a questi ultimi.  Per Mosch. 3,4, il κόρυμβος è un grappolo di fiori o di frutti terminanti a punta. Qui il pittore ha disegnato significativamente i frutti mettendone in evidenza le ‘punte’. La scelta del corimbo ovvero del nome del frutto per entrambe le piante del mito dionisiaco è fondamentale ai fini del system metagrafico basato sull’acrofonia. Circa il topos dei corimbi e del 'vigore' di essi v. il saggio della Di Poce R., 2007, Le donne in Etruria tra Orientalizzante e Arcaismo, Università di Napoli L'Orientale, di cui la fig. alla p. 17.    

5. V. di recente, tra gli altri contributi, Sanna G. 2020, Museo Nazionale di Firenze. Il cane ‘calustla’ e il system funerario metagrafico etrusco alla luce delle nuove acquisizioni. Scrittura lineare e scrittura metagrafica. Protasi e apodosi. Il Sei continuo. In maimoni blog (21 marzo).

6. Questo tipo di scrittura conobbe uno splendore continuo nel Mediterraneo: in Sardegna (nel neolitico, eneolitico e nell’età del bronzo), in Grecia (Pito) e quindi in Etruria. Per l’uso di essa in Pito (Delfi) si veda il nostro saggio del 2007: I segni del Lossia cacciatore, passim, S’ Alvure ed., Oristano.

7. Si veda la nota 1. Chiara risulta la simbologia del quattro nella figura della parete della domus de jana (neolitico recente sardo: 3000 -2500 a.C.)

8. ‘Santo’, da quello che si capisce da tutta la documentazione nuragica, significa ‘perfetto, per nulla censurabile, inattaccabile nella sua essenza'. La voce ‘santo’, ottenuta attraverso il sette numerologico, in nuragico è unita particolarmente alla parola ‘luce’ e al dio (yh) creatore di quella luce. La luce è ‘perfetta’ come ‘perfetto’ è il suo creatore. Si veda il noto (cosiddetto) ‘brassard’ di Is Locci -Santus di San Giovanni Suergiu dove si dice che la ‘Bipenne’ (detta però ‘bidente’) è di Lui (yh) padre ('ab) della luce santa (sette).

     

9. Nel system funerario etrusco non esiste documento dove non sia presente il tre o il sei ovvero i due numeri notanti la luce. Detto ‘tre’ però non si ottiene solo per acrofonia ma anche (molto spesso) per ideografia. L’idea del ‘sollevare, distendere e curvare’ (cioè del ritmo ciclico ternario del sole e della luna) è presente nelle pitture, nelle sculture e in tantissimi oggetti del culto funerario etrusco. Ad esempio nelle immagini relative al ballo (sacro) etrusco l’atto del sollevare un braccio, di distendere l’altro e di curvare la mano (ma esso si può rendere anche con le gambe o con le braccia e le gambe assieme) obbedisce alla necessità di  realizzazione criptata del tre (la luce) o del sei (la doppia luce) . Si veda, tra i tantissimi esempi che si potrebbero fare, il ‘SEI’ della ’Ydria (fig. seg.) con la guida dei ballerini’ e la caratteristica danza, nella quale però il primo dei due  ‘tre’ si ottiene  maliziosamente con la singolare variatio del ‘sollevare fallico’ del ballerino.

 

10. V. nota 8.  

 

 

 

 

lunedì 22 novembre 2021

Il pozzo di Santa Cristina: una obiezione


di Sandro Angei

      Qualche giorno fa un amico ha avanzato una obiezione relativa al pozzo di Santa Cristina.

     Lo ha fatto in privato pensando che la stessa domanda formulata in pubblico potesse mettermi in difficoltà.

    Dal punto di vista umano ringrazio l’amico per la sua sensibilità, ma da ricercatore non farò altrettanto, perché non devo e non posso presumere a priori che quel che dico e scrivo sia verità assoluta. Per tanto nel momento in cui espongo pubblicamente uno studio devo, e sottolineo DEVO, rispondere alle obiezioni, perché queste mettono alla prova la tesi formulata. Sono le obiezioni ad offrirci la possibilità di avvicinare la verità dei fatti, rispondendo ad esse in modo efficace e convincente, oppure potrebbero farci capire di essere in un vicolo cieco nel momento in cui non riusciamo a rispondere a queste in modo adeguato.

mercoledì 17 novembre 2021

Effimere riflessioni da: Sa Sardigna scuntra 'a Sicilia



di Sandro Angei

Il 13 novembre appena trascorso si è svolto all'Hospitalis Sancti Antoni in Oristano il convegno organizzato dal Rotaract club di Nicosia, di Terralba e Oristano.

Al convegno, come è noto, ho partecipato quale relatore sul tema: il pozzo di Santa Cristina - una nuova lettura in chiave archeoastronomica.

Il mio intervento era incentrato prevalentemente sull'aspetto tecnico scientifico di alcune particolarità architettoniche che rendono possibile la manifestazione luminosa all'interno del pozzo il 21 di aprile.

Con questo post vogliamo dar modo ai nostri lettori che non hanno potuto prendervi parte, di assistere al mio intervento.

Buona visione.

clicca su 👉 Effimere riflessioni


Chi volesse visionare l'intero convegno può cliccare qui

martedì 16 novembre 2021

Incomode riflessioni.

 Questa mattina ho avuto una brutta sorpresa: Facebook ha inibito il mio post dove facevo alcune riflessioni sul convegno tenutosi ad Oristano sabato 13 novembre “Sa Sardigna scuntra ‘a Sicilia” corredato del link relativo al filmato integrale della conferenza.

In modo retorico posso dire che non ho ben capito quali siano i motivi di questa "inibizione”, ma li intuisco.

Questo è il testo del post:

Ieri sera si è svolto un bell'incontro divulgativo.

Un bell'incontro tra due isole cariche di storia.

Da una parte e dall'altra si è cercata la chiave per illuminare la grandiosità di queste due isole dal punto di vista archeologico, cercando di puntare l'attenzione su quei percorsi alternativi che difficilmente il “turista” include nei suoi luoghi preferiti; non perché non li preferisca ma perché non li conosce.

Che brutta parola “turista”, ha origine da “tour” evidentemente, ma essendo diventato un “brend” non possiamo più modificarlo. Cosa potremmo utilizzare in alternativa: viaggiatore? Certo sarebbe più sobrio perché non ricorda, come fa “turista”: capello ombreggiante, bermuda e infradito. Ma vi immaginate di leggere nei documenti che servono per entrare in alcuni paesi: visto per viaggiatori? Sarebbe un orrido quanto ridicolo pleonasmo.

Per tanto teniamoci “turista” ma per favore cerchiamo di toglierci di dosso tante altre parole, brutte, insulse, macchinose, ingiustificate. Parole che allontanano il “turista” dai siti archeologici perché gli fanno capire quanto sia ignorante e digiuno di quel parlare accademico che straborda in certe descrizioni “turistiche”.

Questo è uno dei messaggi lanciati da Andrea Riccio nel suo intervento; e questo ho scritto nella sua pagina Facebook:

Il tuo intervento mi ha colpito, e divertito direi, in modo significativo.

Un fare, il tuo, inizialmente anche sornione, che però è sfociato in un coinvolgimento del pubblico che avrebbe seguito il tuo discorso per ore... altro che i fisiologici 30 minuti!

Il tuo intervento mi è stato di lezione: mi ha coinvolto, e stare affianco a te mi ha reso partecipe di questo coinvolgimento... della tua professionalità.

La necessità di utilizzare termini il più possibile semplici quando si fa divulgazione è proprio la spina nel fianco di chi, oltre a studiare, vuole divulgare: compreso il sottoscritto; tant'è che a certe insolite (eufemismo) parole da te indicate in talune didascalie “archeologiche” aggiungerei: azimut, altezza all'orizzonte, zenit, georeferenziazione.

Ne terrò conto e cercherò in futuro di privilegiare questo aspetto.

Grazie Andrea. 

Questo è il testo e  le parole sottolineate sono, FORSE, il motivo della inibizione.

Parole che, scritte in un altra situazione sono innocue, ma utilizzate in questo contesto evidentemente fanno paura a qualcuno.

martedì 9 novembre 2021

Sa Sardigna scuntra 'a Sicilia


Sabato 13 novembre dalle ore 15:00 all'Hospitalis Sancti Antoni, Via Cagliari, 161 in Oristano si terrà il convegno promosso dal Rotaract Club di Oristano, il Rotaract Club del Terralbese e il Rotaract Club di Nicosia, in sinergia con i Comuni di Cerami, Oristano e Terralba, durante il quale studiosi di archeologia, archeoastronimia e comunicazione marketing vi racconteranno da vicino il sito nuragico di Santa Cristina in Paulilatino e le recenti scoperte archeologiche nel Comune di Cerami. 
Un approfondimento culturale e interregionale da non perdere.








 

giovedì 4 novembre 2021

LA LASTRA DI PELAU DI JERZU. UN ANTICHISSIMO (E BELLISSIMO) DOCUMENTO NURAGICO ‘SCRITTO DISEGNANDO’. LE STAGIONI, L’ANNO, IL VIAGGIO SEGRETO DEL SOLE E DELLA LUNA. IL TORO CREATORE CONTINUO DELLA LUCE.

 

di Gigi Sanna

Dedicato agli amici  Giovanni e Antonio Mura



 



   Il documento è stato scoperto  di recente da Giovanni e Antonio Mura (1) in territorio Pelau di Jerzu murato in una parete di un’antica abitazione ristrutturata, a detta dei proprietari, negli anni sessanta del secolo scorso. E’ di pietra scistosa e risulta di 40 cm circa di larghezza e di 30 cm di altezza.  Per quanto un po’ deteriorato dal tempo in qualche parte (2) reca incisi cinque ‘motivi’ molto chiari e ancora tutti sufficientemente leggibili. A partire dalla sinistra in alto le figure di quattro ‘persone’ a cappello con il ‘volto’ rivolto a destra, al di sotto delle quali insiste la figura di un serpente e sottostante un disegno con sette o nove cerchielli; segue un motivo astrale con dodici raggi; quindi in basso rivolti

domenica 31 ottobre 2021

Tzricotu chiama Mont'e Prama. Mont'e Prama risponde.

 Un nuovo tassello post lilliano per scrivere un nuovo capitolo di Storia

ideale ricostruzione del ripostiglio dove furono rinvenuti i sigilli di Tzricotu 

di Sandro Angei

Il 24 dicembre 2020 il Prof. Gigi Sanna spiazzò la comunità scientifica con una notizia a dir poco clamorosa: l'indicazione in un prossimo futuro del sito di rinvenimento dei sigilli di Tzricotu.

 La svolta

Ieri pomeriggio nei pressi del nuraghe Tzricotu, distante 900 metri in linea d'aria dal sito archeologico di Mont'e Prama si è data una svolta storica alla questione Tzricotu. Alla presenza di Andrea Abis Sindaco del Comune di Cabras, di Efisio Trincas in rappresentanza di Antony Muroni, Presidente della Fondazione Mont'e Prama, di Giorgio Cannas, Francesco Masia, Giusy Fadda, Giorgio Galleano, Caterina Bittichesu mentalmente presente per ragioni di salute ed il sottoscritto; il Prof. Gigi Sanna ha dichiarato:

DICHIARAZIONE IN SITO (NURAGHE TZRICOTU DI CABRAS). RIUSCIREMO ORA A COSTRINGERE LA SOVRINTENDENZA  A