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mercoledì 9 marzo 2022

L'AUGURIUM DELLA 'COLOMBA' DI VOLTERRA. IL DOPPIO VOLATILE, UN MONSTRUM REALIZZATO PER CONTENERE DUE SCRITTURE. ENTRAMBE A REBUS?


di Gigi Sanna

Si dice che la lingua etrusca è, per svariati motivi, un enigma e un ‘rebus’. Ciò si sostiene, naturalmente, sulla base delle grosse difficoltà che insorgono nel cercare di capire di essa molti degli aspetti lessicali, morfologici e sintattici. In realtà, a mio parere, il ‘rebus’ sussiste e resiste nel tempo non ‘solo’ per motivi di carattere grammaticale e linguistico, ma anche e soprattutto perché si stenta a considerare un aspetto essenziale dell’etrusco: che la scrittura è criptica, cioè organizzata e strutturata di proposito con il rebus. E’ realizzata per non essere capita se non da pochissimi. Per tanto nella misura in cui si comprenderanno i meccanismi, spesso sofisticati, del rebus posti di norma in essere dalle scuole scribali dei santuari, si comprenderà la lingua etrusca. Essi sono simili e spesso gli stessi usati dagli scribi dei templi greci e nuragici. In particolare quelli inventati dagli scribi di questi ultimi.

  

Fig.1

 Io ritengo che non ci possa essere nella documentazione scritta dell’etrusco un oggetto che meglio possa far comprendere il solito nostro cappello introduttivo circa la lingua etrusca, allorché cerchiamo di interpretare, attraverso la chiave del ‘metagrafico’ (1) l’altro aspetto di essa (della cui esistenza ormai mi sembra che non possano esserci dubbi (2)), ovvero quello dell’etrusco criptato o a rebus. Infatti, la cosiddetta ‘colomba di Volterra’ (3) risulta apparentemente scritta solo sulla superficie del volatile e più precisamente nella parte destra del dorso. In realtà essa è tutta scritta e quella che a noi sembra essere la sola che possa essere definita dai più scrittura è accompagnata dalla (solita) scrittura a rebus che riguarda, come abbiamo visto più volte, non solo una serie notevolissima di oggetti del culto funerario ma anche le pitture parietali e le sculture delle tombe. In non pochi casi interessa persino la struttura

delle tombe stesse. Per offrire un solo esempio, che però credo molto possa calzare con il nostro caso, si pensi al cosiddetto bronzetto del ‘cane calustla’ di Cortona (4) anch’esso un animale forgiato col bronzo che porta sulla spalla sinistra una certa iscrizione (v. fig. 2) enigmatica, come quella che ha messo a dura prova molti studiosi ed interpreti di lingua etrusca.

 Fig.2

In breve, sulla iscrizione cortonense si è detto da parte nostra che la scrittura è a rebus e che essa sembra essere la protasi espressa in un certo mix linguistico (latino, greco ed etrusco) che si conclude con un’apodosi di un’altra scrittura ancora più nascosta (5).

   Ora, anche la scritta della ‘colomba di Volterra’, a detta del Giglioli ‘nonostante si tratti di  poche parole’ risulta una delle più difficili da interpretare (6) tra quelle del Corpus delle iscrizioni etrusche. Praticamente nulla o quasi nulla si riesce a dire se non ricorrendo a delle supposizioni circa certe singole voci del lessico noto di altre iscrizioni ancora. Tra l’altro, si è supposto (7) che la sequenza ‘supri’ della prima riga possa costituire il nome dell’animale ‘colomba’. Non siamo a conoscenza se nel frattempo, in questi ultimi decenni, qualche altro studioso abbia ripreso le tre righe in lingua etrusca e abbia fornito qualche altra interpretazione. Ma crediamo, per ciò che diremo più avanti, che esse siano rimaste indecifrate. Siamo dunque di fronte ad un rebus e non riusciamo a comprendere il motivo di quella scritta che è stata interpretata, ma senza prova scientifica alcuna, come facente parte di un ex voto e quindi con un senso legato alla pratica della caccia (8).

    Se ostico e del tutto inafferrabile, come pare, è il senso della scritta in caratteri alfabetici etruschi del dorso del volatile bisogna dire che anche la cosiddetta ‘colomba’ (l’oggetto di bronzo di per sé) risulta alquanto problematica. Infatti, sia i primi ermeneuti e successivamente il Giglioli si sono chiesti quale mai sia l’identità della bestiola. E’ una colomba o è un altro animale? Per il Buonamici (9) la tipologia dell’animale è dubbia per il Giglioli l’uccello ‘tutto può essere tranne una colomba’(10). E dice ciò (almeno apparentemente) a ragion veduta obbiettando che una colomba non può avere quella coda, quella testa e, soprattutto, quelle gambe così lunghe. Vedremo come gli assertori dell’identità dell’uccello ‘colomba’ e il Giglioli, che nega decisamente, abbiano entrambi ragione perché chi ha realizzato quella bestiola, per ottenere un certo senso da essa, la ha scolpita di proposito in quel modo. La ‘colomba’ doveva risultare all’ occhio di chi la osservava, doveva offrire, come in effetti offre, il senso del ‘monstrum’, ovvero della straordinarietà e della stranezza. Altra problematicità, altra singolarità, altra stranezza, prontamente segnalata ma non abbastanza evidenziata (11) dal Giglioli è il peso del manufatto, realizzato con fusione piena del metallo. Infatti, perché tanto materiale (prezioso) di bronzo per un oggetto ‘il cui lavoro’ più avanti si dice essere ‘veramente popolare e assai rozzo’?  Evidentemente i due aspetti dell’oggetto ritenuti ‘strani’ e ‘mostruosi’ pongono delle domande a cui bisogna dare una risposta. Questa non può essere data in alcun modo se non si capisce che l’oggetto, ovvero il supporto della scritta in alfabeto etrusco, è anch’esso scritto. Non c’è risposta alcuna se non si afferra il dato che le stranezze non sono accidentali: ci sono volutamente perché esse contribuiscono a dare un certo senso alla presunta ‘colomba’; un senso nascosto, di natura ‘religiosa’, che solo l’interpretazione ad hoc e quindi lo scioglimento del rebus, possono dare.

    Insomma, non si può ricavare significato alcuno, senza la ‘clè epigraphique’, usata ormai con successo (12) per tanti documenti, cioè senza il ricorso alla acrofonia, all’ideografia e alla numerologia. ‘Leggiamo’ dunque il volatile e partiamo con la considerazione che il pesantissimo oggetto (che proprio perché assai pesante potrebbe tranquillamente stare stabile) è fissato comunque fortemente con due perni. Abbiamo visto molte volte che sia in etrusco che in nuragico il fissaggio (13) è ideogramma nascosto comune, usatissimo, per notare le voci ‘stabilità, certezza, sicurezza’.  All’ideogramma bisogna aggiungere quello del ‘doppio sostegno’ dato dai due perni. Ad esso possiamo aggiungere un altro ideogramma ancora che è quello fornito dall’uccello ‘colomba’ che è ‘volante viaggiatrice’, che si caratterizza per il fatto dell’andare e del ritornare (14). Quindi otteniamo un iniziale ‘ Sicurezza del doppio sostegno ‘ +  un ideogramma che ancora non comprendiamo bene. Proseguendo con detta chiave il ricorso all’acrofonia e alla numerologia ci consente di fare un altro passo avanti perché l’acrofonia di ‘Colomba (lat. COLUMBA) è ‘C’, cioè il ‘tre’, numero cardine dell’etrusco (e dal nuragico) per dire ‘luce’ (15). Passiamo ora a interpretare due aspetti. Il primo è quello che più colpisce dello ‘strambo’ animale, cioè che esso è ‘colomba’ ma nello stesso tempo non lo è. E’ un uccello che non esiste in natura, è ‘misterioso’ e non si lascia definire facilmente: ‘sembra’ e ‘non sembra’. Il secondo è quello dato dal materiale della colomba, che è di bronzo pieno. Partiamo dall’ultimo. A nostro parere questo aspetto della fusione, sottolineato con il peso, del tutto inusuale, dell’oggetto, tende a notare la specificità del metallo ‘bronzo’ che, come tutti sanno, è ‘perenne’, ‘continuo’, non soggetto all’ingiuria del tempo (16). Se così è, possiamo ora completare l’espressione, tutta nascosta attraverso l’uso del rebus: Sicurezza del doppio sostegno della luce perenne misteriosa viaggiatrice volante. Formula questa usatissima nell’etrusco per alludere al sostegno del sole e della luna (TIN/UNI) e quindi alla continuità della luce e della vita. Il volatile quindi è un pretesto per dire nascostamente qualcosa che nessuno potrebbe immaginare essere presente; soltanto 'pretesto' per 'scrivere' in modo che nessuno possa ‘leggere’ e conseguentemente annullare quanto di magico ‘dice’ l’oggetto. Oggetto che, come tantissimi altri, si configura come un ‘augurium’ (17), scritto in un talismano, raffinato come concezione, di buon livello artistico e per niente ‘rozzo’ come parve invece all’ esame ‘superficiale’ (18) del Giglioli. Attenzione però al ‘doppio’ sostegno della luce presente nella espressione. Perché doppio? Pensiamo d’essere qui di fronte  alla invenzione più spettacolare della scrittura a rebus, quella che più di tutto si nota ma che più di tutto tende a nascondersi, non tanto alla vista quanto alla comprensione e al senso. Senso che, una volta compreso, si deve aggiungere, naturalmente, a quello da noi sinora proposto. Si è visto come l’acrofonia da noi sia stata data sulla base di una nostra scelta interpretativa, ovvero quella di propendere per ‘colomba’ circa l’identità dell’uccello. E se non fosse precisamente così? E se l’animale fosse, come personalmente intendiamo, oltre che colomba ‘anche’ un altro uccello rapace (19), magari un κόραξ (un ‘corvus’)? Come si può subito capire l’acrofonia non cambierebbe e otterremmo anche per il corvo sia da quella greca che da quella latina sempre la ‘C’ acrofonica, consonante necessaria per ottenere il senso di ‘luce’. Avremmo però così C C (3 + 3) e non una sola C (3).  Ora, per  numerosi esempi che si potrebbero fornire circa il metagrafico etrusco, sappiamo che spessissimo la ‘luce’ è sostituita con la ‘doppia’ luce e cioè acrofonicamente da due ‘C’ (due ‘tre’) e non da una sola: ‘C’ = ‘C C’ . La Luce, in quanto tale, altro non è che la somma (v. fig. seg.) di TIN/UNI (SOLE e LUNA).

Quindi, se il volatile è un doppio volatile e cioè è Columba/Corvus bisognerà, per logica (20), assumere due acrofonie e non una sola. Per tanto, il senso completo della scritta a rebus è:

Certezza del doppio sostegno della perenne doppia luce volante misteriosa.

   Torniamo ora al primo di ‘rebus’, quello ammesso dai linguisti che nulla, come si è detto, sono riusciti e riescono a capire delle tre righe in alfabeto etrusco; riprendiamo cioè quella parte dell’oggetto da cui si dovrebbe invece capire qualcosa, data la presenza della scrittura lineare che, in teoria almeno, più dovrebbe essere deputata a dare senso. Naturalmente ci guardiamo bene dal tentare noi una interpretazione approfondita ma non tanto per la difficoltà obiettiva del comprendere una lingua così ostica come l’etrusco quanto perché questo, con ogni probabilità, deve essere stato usato dallo scriba non per fornire chiarezza quanto, semmai, per fornire oscurità. Il testo in metagrafico, cioè quello della colomba supporto è a rebus, come si è visto, e, secondo noi, per logica anche il testo in alfabeto etrusco dovrebbe essere a rebus. Infatti, un oggetto apotropaico, con scrittura magica, un ‘augurium’, ovvero un auspicio scritto per non essere letto e capito, perderebbe il suo scopo se in qualche modo un’altra scrittura dicesse poco o molto di lui o se, addirittura costituisse una sua explicatio. Ma come facciamo a sapere con sicurezza del persistere della crittografia, dell’esistenza di un secondo rebus?  Su quali prove possiamo contare?  Forse, in primis la scritta del cagnetto cortonense, simile, per concezione, a quella della colomba di Volterra potrebbe darci una mano. Infatti, nella nostra interpretazione di quella linea di scrittura (21) si è detto che l’espressione in caratteri etruschi è a rebus perché organizzata in tre lingue: quella latina (si), quella greca (καλϖ), quella etrusca (s(e)t(e)la), cioè ‘se chiamo (il soggetto è il cagnetto) in ferma’). Quindi le due scritte del manufatto di Cortona sia quella del cagnetto in sé sia quella in alfabeto etrusco sono, con ogni probabilità, a rebus ed entrambe hanno il fine di rendere del tutto ermetico, si direbbe blindato, il contenuto del senso dell’oggetto. Tanto che ci sono volute quindi due specifiche chiavi epigrafiche e non una sola per poter capire il contenuto complessivo, assai  criptato, nel manufatto. Così allora potrebbe essere anche per la colomba volterriana: forse ci vogliono due chiavi, forgiate per delle specifiche convenzioni di scrittura, per aprire la ‘cassaforte’ del senso. Abbiamo però, oltre a quello dell’oggetto di Cortona, qualche altro esempio in etrusco che possa confermare il dato (che ovviamente sarebbe di non poco momento per ‘tutto’ l’etrusco ignoto) di un tipo di scrittura che usa il mix ternario linguistico  al fine di nascondere e rendere ostica la lettura?

  Ne abbiamo diversi e tutti riscontrabili in Sardegna (22). Essi fanno parte della serie dei reperti trovati dal rag. Armando Saba, oggetti per i quali sorse - come si sa - una accesissima polemica circa la loro genuinità, polemica che addirittura sfociò in un processo con accuse di falsi e falsari. Ci siamo sempre opposti (23) all’esito della sentenza che ‘salomonicamente’ mandava assolto il Saba e giudicava nel contempo i reperti dei falsi su base periziale (24) e pertanto abbiamo continuato a scrivere e a fornire le prove, su basi epigrafiche e paleografiche, circa la bontà degli oggetti. Oggi, per brevità ne riproponiamo due (25) di quelli che maggiormente ci interessano per l’assunto circa l’uso della scrittura in mix da parte degli Etruschi . Si tratta di due pietruzze di forma allungata e ovoidale (v. figg. 3 - 4) che riportano in caratteri etruschi con scrittura bustrofedica (26) lo stesso, pressoché identico, contenuto:


figg. 3 -4

 Primo ciottolo: III ci m vlte .c III / tineti c ( il tre con tre ma! salutate e il tre/ ricompensate anche).

Secondo ciottolo: C C ci m vlte c C C/ tineti c (il doppio tre con tre ma! salutate e il doppio tre/ ricompensate anche).

Ora, è facile notare (27),che le lingue adoperate sono ‘tre’ (in un testo dove si invoca il ‘tre’ e il ‘sei!). La difficoltà di leggere il documento è data quindi, soprattutto, dalla presenza delle tre lingue che risultano però ‘etruschizzate’, cioè lessicalmente riportate con le regole della fonetica etrusca e l’uso di non scrivere determinate vocali all’interno o alla fine della parola (28). C’è quindi ed evidente, nelle iscrizioni di Allai la presenza del rebus. Quindi bisogna tener conto dell’uso delle ‘tre’ scritture per poter leggere e capire  il senso riposto nei due documenti. Si ritorna quindi al caso del cagnetto di Cortona la cui scritta è possibile interpretare solo considerandola congegnata in tre lingue, cioè il latino, l’etrusco e il greco.

Ma se le due testimonianze di Allai non dovessero bastare vediamone altre due: una è un’iscrizione rinvenuta nei pressi del nuraghe Sanilo di Aidomaggiore (29) e l’altra una pietra tombale rinvenuta presso le sponde del fiume Massari di Allai (30). Della prima forniamo la scheda compilata dall’archeologo prof. Raimondo Zucca.

 

 

Sull’iscrizione ci siamo espressi altrove (31) sostenendo, contro l’opinione dei più, che quella, in caratteri latini, è una scritta tarda (32) con mix linguistico evidente (latino, greco ed etrusco). Cioè una delle tante scritte che gli scribi etruschi (?) idearono appositamente per non far comprendere il testo di natura specificamente religiosa. Essa si compone di quattro parole: URSE . TIN. ERCA. UNI.

URSE non è altro che una voce greca etruschizzata, ovvero l’impr. aoristo 2 del verbo όρνυμι (ORSEO > ORSE ed infine URSE in fonetica etrusca) e ERCA è la seconda persona del cong. pres. del verbo έρχομαι (ΕΡΧΗΑΙ: ERCA in fonetica etrusca). TIN e UNI, le voci che seguono ai due verbi di movimento, sono le due divinità luminose TIN e UNI. Il significato della scritta è dunque: Sorgi Tin, vai Uni. Dunque, ancora una volta, come per la scritta del cagnetto di Cortona, come le due scritte dei ciottoli di Allai, afferriamo il senso della scritta solo individuando il mix latino, greco ed etrusco. Ancora una volta comprendiamo che la scritta del Nuraghe Sanilo di Aidomaggiore è volutamente criptata.  

Prendiamo ora l’altro documento, contestatissimo per genuinità, sempre rinvenuto in Allai, ovvero la pietra di Giorre Utu Urridu (v. figg. 5 - 6), ritenuta un falso dal prof. Lidio Gasperini e invece autentica dal prof. Massimo Pittau (33). Lasciamo da parte, per brevità,  gli altri significanti  (i tre serpentelli, il prenome, il nome e il cognomen del defunto, la forma particolare della lastra, ecc.) e soffermiamoci sulla scritta verticale in caratteri etruschi ritenuta posteriore a quella in caratteri romani del nome del defunto (34).

 

Trad. ‘ Mi annientò (PERI - (E)ΘRAE) la sorte (TUXA) di IUNI (= UNI: dea etrusca) riducendomi in cenere (VELUT CINER’).

 Anche in questo quarto esempio si nota la scritta volutamente oscura e cioè a rebus, composta com’è (36) in latino, in greco e in etrusco. Nessuno poteva leggerla se non era a conoscenza dei tre codici linguistici. Non solo: se non era, ripetiamolo, anche a conoscenza delle trasformazioni che subivano il lessico latino e quello greco adoperati con le regole della specifica fonetica etrusca (dittongazione, apocope, sincope, ecc.).

Per comprendere però ed accettare l’uso del mix linguistico e la scrittura a rebus, soprattutto quella così tarda del Nuraghe Sanilo di Aidomaggiore (datata per i particolari caratteri latini al I secolo a.C.) sarà bene fornire l’esempio della scritta tarda contenuta nella lastra funeraria (37) dell’Antiquarium Arborense di Oristano, lapide rinvenuta in Tharros e datata III secolo d.C.

 

Figg. 5-6
Essa, completamente travisata dagli studiosi (ritenuta composta in lettere ebraiche!) reca incisa con andamento ‘obliquo’, con tre tipi di alfabeti e con tre lettere per ciascuno di essi, la seguente scritta: nly (semitico sardo), slt (latino), cln (etrusco). Ma c’è di più: l’intera espressione riporta le consonanti ma non le vocali per tutte e tre le lingue, ‘more semitico’. Il significato è: NL-Y (la luce di Y[HWH]) S(a)L(u)T (i) (per la salvezza) Cl(a)n (del figlio).  

   Crediamo che gli esempi riportati possano essere sufficienti per rendere solido l’assunto che sia in Sardegna che in Etruria fu inventata una certa scrittura in mix (38) avente lo scopo di non risultare immediatamente comprensibile ai più dal momento che occorreva la conoscenza di più codici di scrittura contemporaneamente. Comunque, oltre agli esempi di cui sopra, diciamo che altri se ne potrebbero addurre, come ad esempio quello della scritta del Nuraghe Aidu Entos di Bortigali e quello dell’iscrizione del Nuraghe Rampinu di Orosei (39).

 Ora, dopo questo excursus documentario, cosa si ricava di utile per comprendere ‘anche’ la scritta in caratteri etruschi della ‘colomba/corvo ’ di Volterra?

   Prima di pronunciarci però rivediamo di riassumere  le prove da noi addotte al fine di far notare la presenza certa del mix linguistico finalizzato a rendere oscure le scritte:

1.      Latino - greco - etrusco                  Cortona

2.      Latino - greco - etrusco                  Allai (Crocores 3)

3.      Latino - greco - etrusco                  Allai (Crocores 4)

4.      Latino - greco - etrusco                  Allai (Crocores 6)

5.      Latino - greco - etrusco                  Aidomaggiore

6.      Latino - greco - etrusco                  Allai (Flumineddu)

7.      Semitico - latino - etrusco              Tharros

8.      Latino - semitico - nuragico           Bortigali

9.      Latino - Greco - etrusco                  Orosei

  Ora, se i detti esempi costituiscono realmente, come riteniamo, delle prove (non poche prove) è evidente che potremmo, legittimamente, sottoporre alla prova del mix linguistico anche le ‘tre’ (40) righe inscritte nel corpo della colomba. Cioè le seguenti tre righe (traslitterate)

 fl. supri. manin.ce  /

 vipinaltr.a ulχnisal/

clt.t.atanus.

     Esse però, come sottolineato dal Giglioli e affermato da eminenti etruscologi, sono indubbiamente assai ostiche da interpretare e mettono a durissima prova chiunque. Noi, è chiaro, per primi. Quindi il mix linguistico potrebbe esserci oppure no. Per altro siamo ben consapevoli del fatto che il cercare qui e là, alla cieca o quasi, radicali delle voci latine o greche del testo aprirebbe degli interrogativi di non poco conto e (quel che conta) non ci porterebbe ad interpretare con sicurezza il senso della scritta. Tutto resterebbe aleatorio (41) . Ci resta comunque il pensiero, soprattutto sulla scorta della presenza del numero ‘tre’ e dello stesso 'mistero' del contenuto delle  tre righe della scritta, che l’ipotesi del rebus realizzato (tra l'altro) con il mix linguistico non sia così peregrina e da scartare a priori. Del resto la lingua etrusca è piena di grecismi e di latinismi che riguardano non solo il lessico ma anche la grammatica come ben sanno tutti gli studiosi, tanto che non ci sembra il caso di fare degli esempi.

 

Note ed indicazioni bibliografiche.

 1. La definizione di ‘metagrafico’ è nata con lo studio della scrittura nuragica non lineare. V. Sanna G., I geroglifici dei Giganti. Introduzione allo studio della scrittura nuragica, PTM ed. Mogoro, cap. I, p. 20. Oggi possiamo adoperare anche la sigla A.I.N (acrofonia, ideografia e numerologia) per notare la ‘chiave’ per mezzo della quale è possibile comprendere il senso dei documenti nuragici ed etruschi a rebus.

2. La ricerca e lo studio, per quanto non definitivi e ancora in corso, hanno permesso e permettono ora di interpretare numerosi documenti il cui senso, come si è detto tante volte, va ‘oltre’ la superficie, oltre l’apparenza. Questo stesso documento della misteriosa colomba di Volterra va al di là della lettura, ritenuta la sola presente, delle lettere alfabetiche di tipologia etrusca.  

3. In realtà, come si vedrà più avanti, dire ‘colomba di Volterra’ è sbagliato perché i volatili sono due, 'mostruosamente' riuniti in uno. L’uccello si trova esposto al Museo di Villa Giulia porta il numero d’inv. 24472 (quello del Museo Kircheriano era 5277). Il volatile è lungo m. 0,25, alta m. 0,195 e larga m. 0,155; è realizzato a fusione piena e perciò assai pesante. È stato trovato il 1° gennaio 1844 presso Volterra e acquistato poco dopo dai pp. Gesuiti.

4. V. Sanna G., 2020, Museo Nazionale di Firenze. Il cane ‘Calustla’ e il system funerario metagrafico etrusco alla luce delle nuove acquisizioni. Scrittura lineare e scrittura metagrafica. Protasi e apodosi. Il ’solito’ Sei continuo, in Maimoni blog (21 marzo).

5. La protasi è questa: S. CALW. STLA :  s(i) καλῶ s(e)t(e)la

6. v. Giglioli G.Q, Su alcuni bronzetti etruschi. Quattro bronzetti del Kircheraino ora al Museo Nazionale di Villa Giulia, in Studi Etruschi, XXII, 1952 -53, p. 54.  

7. Torp, Etr. Beitr., I, 94. Per altri parrebbe un gentilizio.

8. Giglioli, Su alcuni bronzetti ecc. cit. p.50

9. Epigr. Etrusca, 1932, p. 71

10. Su alcuni bronzetti, ecc., cit. p. 50

11. Su alcuni bronzetti, ecc. cit. p. 50. Niente di più il Giglioli dice e niente aggiunge circa la pesantezza dell’oggetto e la ‘curiosa’ sua realizzazione. A stranezza si aggiunge stranezza senza suscitare un minimo di sospetto che tutta quella somma di stranezze non fosse esito di accidenti ma di volontà mirate a dare senso recondito al manufatto.

12. Si vedano i più recenti articoli sul tema: Sanna G., 2021, La lastra di Pelau e di jerzu. Un antichissimo (e bellissimo) documento nuragico  ‘scritto disegnando’. Le stagioni, l’anno, il viaggio segreto  del sole e della luna. Il toro creatore continuo della luce ; in Maimoni blog ( 4 novembre); idem, 2021,  Scrittura etrusca a rebus. La κύλιξ del grande pittore ΕΞEΧΙΑΣ. Dioniso e i pirati Tirreni; in maimoni blog (6 Dicembre); idem, 2021, Scrittura nuragica. Il puntinato. Quanto è (era) istruttiva la barchetta dell’Antiquarium Arborense di Oristano, in Maimoni blog (18 dicembre); idem, Scrittura metagrafica etrusca a rebus. Il sarcofago dei leoni di Cerveteri e i κνώδαλα di Chiusi; in maimoni blog (16 gennaio); Angei Sandro, 2022, Lo specchio dell’anima; in Maimoni blog (23 gennaio); Sanna G., l’ombra della sera di Volterra e quella di S.Gimignano. Mistero? No, oggetti apotropaici. Basta ‘tradurre’ il metagrafico con la chiave A.I.N; in maimoni blog (2 febbraio).

13. Il collocare saldamente, il fissare su lastre, su basi pesanti o su altro gli oggetti di ‘augurium’, gli ‘auspicia’ dei fedeli, era - si può dire - d’obbligo sia per il nuragico che per l’etrusco. I templi e i luoghi di culto sia in Sardegna che verosimilmente anche in Etruria avevano  apposite ‘tabellae defixionis’ in cui, con colate di piombo, si saldavano gli oggetti ‘scritti’. Evidentemente lo scopo era quello di dare altro senso ideogrammatico ai bronzetti; con ogni probabilità, era anche quello di ‘saldare’, di rendere simbolicamente sicuro e continuo l’auspicio riportato nascostamente ’scritto’ nel manufatto (v. figg. segg.). Forse non sarà inutile far presente che non poche volte le statuine (soprattutto quelle nuragiche) mostrano la mancanza di una parte più o meno consistente degli arti inferiori. Segno certo questo della probabile rottura avvenuta nel tentativo da parte dei ‘tombaroli’ di asportare l’oggetto dalla solida base in pietra e in piombo in cui si trovava.

 

14. Le colombe (ma anche le anitre) in nuragico sono le ‘viaggiatrici’, gli uccelli che ‘vanno e vengono’, ‘partono e ritornano’. Si pensi che questa loro caratteristica del volo ha indotto gli ‘scribi sardi’ di lingua e cultura semitica a prendere l’acrofonia della divinità (he: lui) dalla voce ‘hlk’ (la viaggiatrice). Tutte le barchette nuragiche ‘scritte’ in metagrafico portano sull’anello dell’albero la colomba viaggiatrice (v. figg. segg.).   

 


15. Per la numerologia, l’uso del numero ‘tre’ per notare la ‘luce’ e del numero ‘sei’ per notare la ‘doppia luce’ dei due astri v. gli articoli citati alla nota 12.

16. Exegi monumentum aere perennius. Orazio, Odi III,30,1.

17. L’auspicio del defunto è quello di poter rivedere la luce. E come in tutti i documenti funerari etruschi questa possibilità può sussistere se l’aiuto e il sostegno della divinità androgina soli - lunare non vengono meno con l’eliminazione del magico, se nessuno malvagio con la lettura della scritta può ‘invidere, cioè portare il malocchio (v. Catullo, carme 5).

18. Giglioli, Su alcuni bronzetti ecc. cit. p. 55.

19. Il corvo si distingue per essere un uccello molto vario nella forma, ma i tratti caratteristici restano costanti e ci sembrano proprio quelli che si riscontrano nel volatile di Volterra. Ad es. il becco è un po’ quello della colomba e un po’ quello del corvo; la testa ugualmente un po’ dell’una e un po’ dell’altro; le zampe un po’ più di corvo che di colomba; così, da quanto sembra, la coda. Esito questo di un chiaro lavoro comparativo, si direbbe  ‘certosino’ da parte dello scriba artigiano. L’incertezza sul pronunciamento degli studiosi di ieri e di oggi è dovuta proprio all’abilità di chi, dovendo realizzare, per motivi di ‘scrittura’ nascosta, due uccelli e non uno solo, è stato attentissimo nel realizzare - per così dire – un ‘mix equilibrato’ circa la tipologia dei volatili.

20. Non si spiega altrimenti il perché dell’impegno notevole dell’artista nel cercare di ottenere non le forme di un solo animale ma di due. Naturalmente di due animali suscettibili di offrire una acrofonia organica con la doppia velare sorda  C C.  

21.  V. Sanna G. 2020, Museo Nazionale di Firenze. Il cane ‘calustla e il system funerario metagrafico etrusco alla luce delle nuove acquisizioni. Scrittura lineare e scrittura metagrafica. Protasi e apodosi. Il solito SEI continuo, in Maimoni blog (21 marzo).

22. Questo fatto della notevole presenza  di una certa documentazione nell’isola non ci deve far pensare che il mix (come si vedrà) sia particolare e della sola Sardegna. Può essere che il sottoscritto al fine di esemplificare faccia presente questa sola documentazione in quanto non al corrente di scritte dello stesso tipo presenti in Etruria o in luoghi che furono sotto il controllo politico e l’influenza culturale di essa.

23. v. Sanna G., 2018, Allai. Ancora sui documenti ‘etruschi’ ritenuti (a torto) opera di falsari. Le divinità Tin e Uni, la scrittura numerologica e il mix linguistico; in Maimoni blog (16 novembre).

24. V. Carta Enrico, Reperti contraffatti, ma per il possessore arriva l'assoluzione (la Nuova Sardegna, 24.1.2015); Sanna Gigi, 2018, Documenti etruschi di Allai. Falsi? Proprio per niente! Anzi illuminanti in quanto nuragico -etruschi. Vediamo perchè, in Maimoni blog (16 gennaio)

25. Per un terzo (Crocores 6) si veda l’articolo alla nota 23 e la fig. seguente. Su di esso sarà forse sufficiente riportare la nostra sintesi finale: Comunque sia, appare molto chiaro che il documento lapideo Crocores 6 è congegnato in mix come Crocores 3 e Crocores 4. Infatti in tutti e tre documenti si ricorre ‘magicamente’ alla numerologia anche con le tre lingue nascoste (latino, etrusco, greco). Magia accresciuta forse anche dai tre alfabeti perché se è vero che i significanti appartengono tutti al system etrusco (anche le E sinistrorse sono ascrivibili a forme peculiari etrusche) è vero anche che alcuni dei segni (si pensi alle ‘I’ che possono essere anche latine e greche, oppure alle stesse ‘E’ che possono essere del greco arcaico non solo esclusivamente del codice etrusco).



26. Scrittura bustrofedica che si riscontra anche nella lastra di Flumineddu di Allai (v. più avanti)

27. Tra l'altro la presenza del bustrofedico (aspetto inconsueto in iscrizioni tarde) con partenza della lettura da sinistra.

28. Si veda ad es, il ‘vlte’ (per il lat. valete) e il ‘m’ (per il gr. μᾶ) nei documenti precedentemente commentati.

29. V. Pittau M. 1994, Ulisse e Nausicaa in Sardegna. L’iscrizione nuragica in lettere latine del nuraghe Aidu Entos. XII, Insula, Nuoro,XII, pp. 206 -208.  

30. V. Pittau M., 1994,  Nuova iscrizione etrusca rinvenuta in Sardegna , in Ulisse e Nausicaa in Sardegna., cit., VIII, pp. 97 -13

31. Sanna G., 2019, Aidomaggiore. URSETINERCAUNI. Scritta latina? Nomi di persone? No scritta nuragica tarda in mix. Con serpente; in Maimoni blog (14 novembre).

32. III – II secolo a.C.?

33. V. Gasperini L. 1991, Atti del IX Convegno di studio '' L'Africa romana', Nuoro 13 -15 Dicembre  (Sassari 1992), pp. 637 e segg. V. anche Pittau 1994, Ulisse e Nausicaa in Sardegna. cit. XII, p. 190, n. 1.

34. V. Pittau M., 1994, Ulisse e Nausicaa in Sardegna. Nuova iscrizione etrusca ecc. cit, pp. 97 - 108.

35. V. Pittau M., 1994, Ulisse e Nausicaa in Sardegna. Nuova iscrizione etrusca, ecc. cit. p. 105.

36. Sanna G., 2018, Allai. Ancora sui documenti ‘etruschi’ ritenuti (a torto) opera di falsari. Le divinità Tin e Uni. La scrittura numerologica ed il mix linguistico; in Maimoni blog (16 novembre).

37. Sanna G., 2016, Antiquarium arborense di Oristano. La tarda scritta nuragica tharrense della luce salvifica di Yhwh. Il segno complesso della λοξότης (obliquità); in Maimoni blog (26 gennaio).

38. Il mix, con il tre magico, è, con ogni probabilità di origine orientale (protocananaica). Si diffuse poi, non sappiamo per ora come, nei santuari della Grecia (Pito: v. Sanna G., 2007, I Segni del Lossia cacciatore, S’Alvure ed. Oristano) e in Sardegna (v. Sanna G., 2004, Sardoa grammata. ’ag ’ab sa ‘an yhwh. Il dio unico del popolo nuragico, S’Alvure ed. Oristano). Testimonianza assai antica di questa diffusione (XII - XI secolo a.C.) in Sardegna sono i minuscoli artistici sigilli di bronzo (v. figg. segg.) dei ‘Giganti’ di Monte ‘e Prama di Cabras, rinvenuti in un ripostiglio nuragico nei pressi del Nuraghe Tzricotu.


39. Si vedano Pittau M., 1994, L’iscrizione nuragica in lettere latine del Nuraghe Aidu ‘Entos; in Ulisse e Nausicaa, cit. XII, pp. 189 -204 e Sanna G., 2009, Gli etruschi nella costa di Orosei, in Gianfrancopintore blog (7 ottobre).

40. Considerata la interpretazione da noi data della prima scrittura metagrafica a rebus dubitiamo che il fine apotropaico dell’oggetto columba/corvus si esaurisca in essa.. Infatti, la seconda scrittura parte 'scritta' formalmente per linee in numero di tre, cioè con un numero  fondamentale per tutto il system funerario etrusco. Il ‘tre’ è il simbolo numerico della ‘luce, cioè il simbolo magico massimo della ‘religio’, quello che gli etruschi adoperano costantemente, quasi come significante d’obbligo in quanto in grado di annullare la vittoria della morte sulla vita, del buio sulla luce.     

41. Potrebbe aver valore, ad esempio, l’ipotesi che ‘SUPRI’ sia il voc. sing. della voce latina ‘subulo’ (flautista) etruschizzata in ‘SUBLU > SUPRU/I’? Oppure che la sequenza cons. iniziale ‘FL’ si completi con una ‘E’ (FLE) e costituisca un imperativo dal verbo ‘flere’ con significato di ‘intonare il lamento’? E ancora che ‘MANIN’ abbia a che fare, in qualche modo, con il greco ‘μνήμα (monumento sepolcrale, tomba), così come suggerisce il Pittau (v. La lingua etrusca. Grammativa e lessico, Lessico, p. 204, Insula ed. 1997) e che quindi possa riferirsi, come aggettivo, al ‘lamento’? E potrebbe aver valore  l'ipotesi che la sequenza CLT  non sia altro che l'ossatura consonantica  del cong. presente esort. greco καλῆτε con significato di ‘evocare dagli inferi’ e che l’ATANUS finale possa essere aggettivo di ‘ati’(madre), ovvero costituire il cognomen latino ‘Maternus’?. In questo caso l’uccello magico, il ‘monstrum’, il prodigio colomba/corvo, potrebbe appartenere al defunto  Titus Atanus ovvero ad un  Tito Materno? Insomma, nella scritta  potrebbe essere presente una espressione attinente, in qualche modo, alla 'lamentatio funebris'? Una espressione esortante alla musica e al canto? 


1 commento:

  1. Certo è che quelle tre righe di scrittura etrusca sono una sfida.

    Gli esempi della lastra di Giorre e di quella custodita presso l'Anticuarium Arborense dimostrano in modo inequivocabile che la presenza di più alfabeti e/o lingue nella stessa stringa scrittoria era cosa normale in un certo ambiente culturale e religioso: perché non in quello Etrusco?!

    Questo deve indurre a tacere certuni di piccola statura culturale che, con facile quanto puerile superficialità snobbano questi studi, e riflettere altri di grande statura; e questo perché solo chi ha un adeguato bagaglio culturale può avvicinarsi alla comprensione e quindi alla soluzione del dilemma etrusco.
    Questo aspetto deve sollecitare la curiosità degli studiosi, benché metta alla prova la loro statura culturale. Solo così si potrà approdare, però, ad una comprensione condivisa.

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