Di
Sandro Angei
Seconda
parte
A
San Salvatore di Sinnis
il
sincretismo va contro corrente
***
Fig.
0
La
scrittura esposta all'attenzione del lettore occasionale, quale che
sia il luogo e il motivo che presiede alla formulazione di un testo,
non può prescindere da una forma e da un segno grafico tali da
qualificarne l'immagine. Questa infatti serve ad attirare
l'attenzione sul messaggio proposto e ad accrescerne il suo
prestigio, per prolungare nel tempo l'efficacia dei contenuti.
Sono
parole di G. G. Pani, tratte dal suo saggio “LA TABVLA ANSATA E IL
SUO SIGNIFICATO SIMBOLICO (*)” 1.
Chiedo
al lettore di volermi dare tutta la sua pazienza nel leggere questa
lunga trattazione; in cambio spero di dare arricchimento ed entrambi ricevere gratificazione.
***
Nella
prima parte dell'articolo dedicato all'ipogeo di San Salvatore di
Sinnis abbiamo studiato e tentato la decifrazione del monogramma
RF... o meglio RFh. In questa seconda parte prenderemo in
considerazione una composizione scrittoria che a prima vista sembra
di carattere prettamente romana ma che nei dettagli, come vedremo,
riporta alla scrittura nuragica. Stiamo parlando di quella che in
campo epigrafico latino è definita “tabula ansata” e che abbiamo
individuato, negletta, nell'ipogeo. Negletta perché, non un cenno ad
essa da parte di chi studiò il sito. D'altronde, per quanto ci
risulta, solo G. G. Pani, ha studiato con dovizia di argomentazioni
il particolare supporto scrittorio. Ciò non giustificherebbe
comunque la mancata notazione dell'elemento; ma è probabile, al pari
di altri segni “notevoli”, anch'essi ignorati, sia
stato relegato al rango di semplice “decorazione”. Comunque sia il libretto a firma di A. Donati e R. Zucca, intitolato “L'ipogeo
di San Salvatore” C. Delfino Editore, non aveva quale obiettivo
quello di studiare l'intera schiera epigrafica del monumento; per
tanto consideriamo pure giustificata la mancata segnalazione.
Significato
della tabula ansata
In
bibliografia leggiamo che la tabula ansata fu usata in principio in
ambito militare2;
poi si estese al tema votivo e funerario, non mancando esempi in
campo edilizio nella marcatura di laterizi, e in campo commerciale
per mera pubblicità. Quest'ultimo utilizzo delle tabulae lo
riscontriamo nel c.d. Piazzale delle corporazioni a Ostia “dove
si è voluto sottolineare l'aspetto propagandistico che i corpora e
le associazioni dei navicularii et necotiantes avevano dato alle
immagini riprodotte nei mosaici.”3
.
Sembra
che la tabula ansata fosse in origine una sorta di cartiglio, in
metallo o legno, ad uso militare. In sostanza all'interno del
riquadro rettangolare vi era scritto il nome distintivo della legione
o della coorte; ma non solo, in certe occasioni, quale quella
celebrata nei rilievi dell'arco di Tito (Fig. 1: trionfo per la vittoria
nelle guerre giudaiche), essa veniva esposta “forse
nell'intento di aggiungere alla rappresentazione della vittoria sul
nemico il potere espressivo della scrittura.”4
Fig.
1
La
tabula ansata (come ci è stato spiegato dall'amico Matteo Corrias),
similmente alle cosiddette “tesserae
hospitales”, veniva ostentata per essere
riconosciuti.
Questa
similitudine, suggerita da Matteo, potrebbe legare in modo stretto e
vincolante tabulae ansatae
e tesserae hospitales?
In sostanza potrebbe l'una derivare dall'altra?
***
A
questo punto è necessario aprire una parentesi a riguardo delle
tesserae hospilates.
Vediamo
cosa scrive in proposito il filosofo Virgilio Melchiorre nella
introduzione al suo studio “L'immaginario simbolico”5:
“...σύμβολον indicava, com'è
noto, una tessera ospitale in cui si riconosceva il legame tra
famiglia e famiglia, tra città e città: un oggetto spezzato, due
metà che gli ospiti ricomponevano e nella cui riunione accertavano,
pur dopo lunga assenza, una comunione e un patto amicale (tesserae
hospitales)”, allo scopo di intendere,
a livello filosofico “l'insieme
ricostruito, come l'unità ritrovata delle due metà.”
Da questa introduzione si percepisce l'essenza filosofica delle
tesserae hospitales e
di conseguenza delle tabulae ansatae,
se effettivamente le une discendessero dalle altre.
Le
tesserae hospitales
servivano, per tanto, a suggellare un patto di ospitalità tra
individui, famiglie o comunità allo scopo di avere buona accoglienza
e ospitalità. Portiamo il caso rilevato in “Las tesserae
hospitales latinas de Hispania. tipologia, distribucion y
fatronazgo”6
dove la tessera hospitale
suggellava un patto di ospitalità tra il municipio romano di Cauca e
l'insediamento di Amallobriga (134 d.C.).
Se
osserviamo le tesserae
riprodotte in fig. 2 (tratta dalla pubblicazione in nota 6), spiegate nella loro funzione dal Prof. Virgilio Melchiorre (vedi
nota 5), ci si rende conto che le tesserae,
essendo composte da due parti spezzate o da due gemelle, per
adempiere alla loro funzione dovevano essere unite o avvicinate per
suggellare il patto di ospitalità.
Alcune
tipologie di queste tesserae
erano fornite di manici (anse) per poter essere esposte (sicuramente
i n° 17, 18, 19 di Fig. 2).
Fig. 2 – Immagine tratta
dall’articolo di nota (6) pag. 533
Chiusa
parentesi.
***
Il concetto su riportato potrebbe essere alla base della forma delle tabulae
ansatae, che però non manifestano il
significato pratico di “ricongiungimento”, come nelle tesserae,
ma esprimono chiaramente quello intenzionale di esposizione ed
enfatizzazione della scritta7.
Possiamo dire però che se riusciremo a dimostrare che le tesserae
hospitales originarono le tabulae
ansatae, sarebbe insito in queste ultime il
concetto filosofico di “ricongiungimento”. Significato filosofico, spiegato (e già detto) per le tesserae
hospitales dal Prof. V. Melchiorre, che
possiamo facilmente trasporre nella tabula
ansata, specialmente quella a carattere
funerario, dove di fatto l'esposizione celebrerebbe, sotto gli
auspici divini, il “ricongiungimento” del defunto con chi, nel
luogo ultra terreno, lo attende.
Da
quanto leggiamo nei vari testi consultati, si ha l'impressione che la
tabula ansata sia scaturita dal nulla a partire dal 1° secolo a.C.,
in quella forma già compiuta e definitiva. Ma alla base di quella
forma, per quanto scrive nel suo saggio, G.G. Pani vede “il
motivo della tabula ansata, non più come oggetto a sé stante, ma
quale segno e immagine di
scrittura. Il valore simbolico,
pregnante, prende il sopravvento sull'aspetto tecnico e pratico
dell'istrumentum”. Prosegue scrivendo
che nel corso dei secoli fino all'età moderna “si
è continuato ad applicare un titulus con le anse là dove era
necessario dare un valore particolare al messaggio scritto esposto
all'attenzione”. A tal proposito il
Pani continua: “Per esemplificare e
ridurre all'essenziale il tutto, consideriamo un esempio, il più
significativo: la targa di bronzo affissa sotto un donario di Antas,
in Sardegna [omissis].
La dedica è la seguente: Sardo Patri / Alexander / Aug(usti)
ser(vus) / regionarius / d(ono) d(at) [vel d(edit)]. L'oggetto è
databile ai primi decenni del III sec. d. Cr. L'istrumentum
epigrafico di cui ci si è serviti per accompagnare il dono alla
divinità è la tabula ansata. ...”. Il
Pani poco dopo continua scrivendo che “E'
evidente comunque, nel donario di Antas, la funzione didascalica
della tabula. Essa costituiva parte integrante dell'oggetto donato,
in quanto esplicava e rendeva manifesta la divinità alla quale era
dedicata l'offerta, il dedicante con la sua qualifica, e l'azione del
dono. Nello stesso tempo forniva un'immagine ufficiale della
scrittura, che veniva a costituire agli occhi del lettore un quid di
immateriale che prendeva forma e contenuto attraverso l'istrumentum
epigrafico.” In modo sorprendente il
Pani sembra descrivere la tabula ansata dell'ipogeo di San Salvatore
di Sinnis che, come vedremo più avanti, con tutta evidenza manifesta quel “quid
di immateriale” attraverso i logogrammi
all'interno delle anse.
L'epigrafe
di Antas è un dono alla divinità,
in ragione di ciò ci sentiamo autorizzati a credere che, almeno nei
contesti di carattere templare, la tabula ansata rimarcasse
l'importanza del dono
elargito dal fedele.
***
Il
dono è ciò che si da ad altri volontariamente, senza esigere prezzo
o ricompensa, né restituzione; eventualmente solo un contraccambio in
termini di predisposizione alla benevolenza della controparte; esso è
alla base della reciprocità; uno scambio gratuito che apre le porte
all'alleanza, all'amicizia, al tributo amorevole. In ragione
dell'alleanza, dell'amicizia, forse anche della sottomissione
volontaria ad una entità superiore, il dono non è mai anonimo.
All'interno dell'istrumentum
è scritto il nome del donante, del dono e
del recettore. In questa accezione possiamo
intravvedere quale “dono” l'iscrizione su tabula ansata in ambito
funerario. Il defunto viene consegnato (donato) alle anime
benevolenti (Dei Mani). Nulla viene chiesto in cambio se non in
termini di benevolenza nei confronti del defunto e di chi, rimanendo
su questa terra, auspica benevolenza nel momento del proprio
trapasso. Stesso discorso vale per la tabula di Antas. Per quanto
riguarda l'uso in campo bellico, similmente a quello funerario, è
verosimile che la tabula esponesse il nome della coorte
d'appartenenza del singolo militare, in modo tale che egli non
perdesse la vita in modo del tutto anonimo, ma fosse riconoscibile per
la sua appartenenza ad un "gruppo" e in tal senso, celebrato.
Da
ciò rileviamo un aspetto antropologico legato al soprannaturale, che
potrebbe essere scaturito da semplici sentimenti umani di mutua
amicizia e ospitalità, traslati nella sfera della sacralità. Qui
entra in gioco la tessera ospitale
e la sua carica filosofica, così come ci è stata spiegata per sommi
capi dal filosofo Virgilio Melchiorre.
In ragione di ciò è molto probabile che sin dall'origine la forma della tabula ansata fosse dettata non da mera praticità funzionale, come nel caso delle tesserae hospitales, ma da un significato simbolico legato alla esposizione di un dato: fosse questo il nome di una coorte in battaglia8, del defunto in una urna funeraria o del fedele in un donario. In sostanza, e detto terra terra, il messaggio era: “Questo sono io” sotto gli auspici divini di amicizia9, ricongiungimento e ospitalità.
Torniamo
a quella che era la funzione originaria di quella forma “con anse”
o, come le chiamavano nel mondo anglosassone, senza troppi giri di
parole: “handles”,
ossia tavole con “maniglie” (come suggerito da Matteo).
Evidentemente se trasliamo la funzione delle maniglie delle
tesserae in quella
delle tabulae, anche
in queste ultime, benché in senso figurato, sarebbero servite a
“sostenere”
simbolicamente la
tabula inscritta.
Vocabolo: “sostenere”,
del tutto legittimo se inteso quale approvazione e certificazione
divina.
***
Datazione
della tabula ansata
Come
detto, nella ricerca di dati ci è parso di capire che la tabula
ansata sia comparsa all'improvviso nello scenario storico (metà del
1° sec. a.C) e ciò ci pare inverosimile; ma per quanto ci siamo
sforzati di cercare, abbiamo trovato una sola attestazione, che
potrebbe asseverare la tabula ansata ad un periodo antecedente la
Roma imperiale10.
Il dato è stato trovato in una citazione all'interno di uno studio di Giovanni
Colonna11,
nel quale in nota 3 di pag. 651, che rimanda alla tavola di Fig. 7
(di quello studio) con relativa lista di riferimento bibliografico a
pag. 655, scrive che: “... il n° 25
(della lista da lui riportata),
inciso su di un kantharos di bucchero
certamente ceretano per lo stile delle raffigurazioni, di cui
l'iscrizione, inserita in una sorta
di tabula ansata, è parte
integrante;...” (mio
il sottolineato ndr). Da notare che il
kantharos menzionato è ascritto al 630 a.C.. L'iscrizione è
documentata in Pallottino – Testimonia Linguae Etruscae edizione
1968 (TLE2), dove
troviamo i necessari riferimenti12.
In sostanza in virtù di questo documento (Fig.3a) si affaccia l'idea che il
periodo di utilizzo della “sorta di tabula ansata” non risalga
all'inizio della Roma imperiale ma almeno, in ambito etrusco, a 600
anni prima.
Fig. 3a - kantharos etrusco da Metropolitan Museum New York
Fig. 3b
Nel
kantharos l'iscrizione recita: “MINI SPURIAZA [TEITH] URNAS
MULVANICE ALSAIANASI”. In pratica il kantharos è un dono.
Se dovessimo dar retta a quanto scritto da Valter Bianchi nel suo
saggio: “L'interpretazione comparativa della
lingua etrusca con saggi interpretativi di iscrizioni di dedica ed
appendice comprendente i saggi d'interpretazione dei maggiori testi”13
l'iscrizione si dovrebbe leggere: “MINI SPURIAZA TEITHURNAS
MULVANICE ALSAINASI” col significato di “Dovendosi
esternare l'intenzione di (buon) vicinato (un dono) è stato
apprestato dagli Alsiani”, si potrebbe
ravvisare una connotazione alquanto stringente tra significato del
testo etrusco ed il supporto nel quale esso è inserito. In sostanza,
con estrema cautela, dettata dalla nostra totale ignoranza nel
valutare l'attendibilità della traduzione proposta da Valter
Bianchi, possiamo avanzare l'ipotesi che nel kantharos custodito al
Metropolita Museum di New York non sia incisa una tabula ansata, ma
una tessera hospitales. Questa precisazione restituirebbe il giusto
significato a quella singola “maniglia” (ansa), che ha dettato
l'interpretazione riportata da Giovanni Colonna “sorta
di tabula ansata” (vedi nota 11); che sin
dall'inizio non pochi dubbi ha provocato in me per via della forma
d'incertezza (sorta) usata nella sua descrizione. Ma al di la della
interpretazione giusta o erronea di Walter Bianchi; il kantharos è
un dono che potrebbe
essere stato veicolo, a doppio senso, di ospitalità.
Un
secondo indizio vogliamo qui portare a sostegno della nostra ipotesi
temporale. Un reperto che potrebbe addirittura essere l'archetipo
sia delle tesserae hospitales che
delle tabulae ansatae.
Nel
Museo Archeologico Nazionale di Firenze è custodita la cosiddetta
“tavoletta di Marsiliana”, che secondo
l'interpretazione datane, sarebbe “una tavoletta destinata alla
scrittura: le lettere venivano incise con uno stilo sulla cera
spalmata nella parte incassata del supporto. Sul bordo reca un
alfabeto di 26 lettere, scritte da destra verso sinistra” (Fig.4).
La tavoletta Etrusca è datata al 675-650 a.C.14.
In
sostanza la tessera e
le tabula altro non
sarebbero se non l'evoluzione della tavoletta scrittoria; la
cosiddetta tabula rasa15.
Se ciò risultasse vero, ancor di più le maniglie sarebbero
funzionali all'uso. Nella tabula rasa etrusca
potremmo intravedere il germe filosofico che ha dato origine alle
tesserae hospitales e
alle tabulae ansatae,
dal momento che quella primitiva “macchina
per scrivere” dava modo di esternare il
pensiero umano, relegato nell'ignoto e insondabile mondo dello
spirito (cervello), legato in qualche maniera al volere divino.
La
tabula rasa diventa archetipo della "tessera ospitale" allorquando la
divido in due parti lungo l'asse mediano più corto, in modo da avere
due parti fornite di maniglie atte a sostenerle per accostarle in futuro; vi scrivo
sopra il mio messaggio (dono),
trattengo una delle parti, l'altra la consegno quale garanzia e
auspicio di mutua amicizia e ospitalità.
Fig. 416
Queste
considerazioni potrebbero sollevare Roma imperiale dalla paternità sulla tabula ansata, ma di certo sono necessarie
altre acquisizioni per poter asserire questo con certezza.
La
tabula ansata di San Salvatore
Fig. 5
Se
ora trasferiamo i dati sopra enunciati nella tabula ansata
dell'ipogeo di San Salvatore, nulla vieta, anzi incoraggia, una
lettura in quel senso di questo istrumentum.
Lo
scriba tardo-nuragico, che compose l'epigrafe, usò quel simbolismo
romano (?!) per comporre una formula salvifica legata al suo credo
religioso. In sostanza le due anse “triangolari” (taurine?!),
recanti al loro interno due simboli forti del credo nuragico, altro
non significherebbero se non: “doppio
sostegno”.
Doppio sostengo di
chi?
Doppio
sostegno di colui che è “luce”
e tutto “vede”
(occhio raggiato17
nel triangolo di sinistra di Fig. 5)
e di colui che è “sorgente di vita”
(albero della vita18
nel triangolo di destra),
capace di “guarire” (RFh)
chi a lui si rivolge per il tramite dell'acqua salutifera e salvifica
del pozzo sacro.
Quel
“doppio sostegno”
ricorda e rimanda alla scrittura metragrafica etrusca che ormai da
tempo il Prof. Sanna ha scoperto e pubblicato a più riprese in
questo blog. Scrittura metagrafica che, guarda il caso, ritroviamo
nei bronzetti nuragici, tale e quale a quella etrusca, con la sola
differenza religiosa. Il bronzetto nuragico di Cavaluppo (Vulci) diventa chiave di lettura della statuaria nuragica, secondo quella che
sembra essere la prassi etrusca. Ma questa prassi siamo sicuri sia
davvero nata in Etruria? Gli Etruschi almeno dal punto di vista
temporale (non volendo alludere alla discendenza biologica), sono
“figli” dei nuragici; come sostiene il Porf. Sanna e non solo
lui, visto che altri ricercatori, benché per altri motivi, lo
sostengono.
Torniamo
ancora per un momento alle due anse laterali per dire che, come
accennato in nota (17), il triangolo di sinistra di fatto ha il
significato di occhio divino oppure: occhio del toro solare (è lo
stesso), e se ciò è vero, similmente l'ansa di destra avrebbe il
significato di “toro sorgente di vita” dettato dall'albero della
vita. Per tanto colui che “sostiene”
è il toro solare sorgente vita. Possiamo aggiungere che il doppio
sostegno è sicuro
perché tiene ben ferma la formula di invocazione; perché non basta
il sostegno; è necessario garantire la stabilità. Il primo (il
sostegno) è garantibile con un solo elemento (maniglia) posto ad un
solo lato della tabula (o sotto di essa, come nel kantharos etrusco) “con una sola mano che
regge”; ma due mani che reggono sono garanzia di stabilità e
fermezza19.
In questa idea possiamo ritrovare il principio di congiunzione di due
tesserae hospitales che darebbero forma alla tabula
ansata. In sostanza, in modo del tutto
metaforico, le anse sono mezzo di sostentamento e garanzia di
congiunzione (rapporto) tra l'uomo e l'entità divina salvifica,
sotto la protezione del suo paredro, il toro solare androgino
vivificante. Chiaro esempio di ciò lo abbiamo in ambito latino con
la adprecatio agli Dei
Mani, ai quali era affidata l'anima del defunto; per la quale si
auspicava il ricongiungimento presso i propri cari defunti; similmente al ricongiungimento di due persone o famiglie legate da
vincolo di amicizia e quindi di ospitalità sotto la protezione
divina.
Per
tanto il doppio sostegno sicuro, perché
fermo20,
garantisce ciò che è scritto all'interno della “tabula”, dove
troviamo una composizione anch'essa peculiare: Rfh a sinistra + nome del malato + tre volte Rfh a formare un triangolo virtuale (il
terzo21), a destra. Leggiamo per tanto: “guarisce
+ nome del malato + guarisce Lui.
In
sostanza ritroviamo tutti i segni che riconducono alla scrittura
geroglifica nuragica:
- simboli logografici: il sole e l'albero della vita all'interno di triangoli “taurini”;
- polisemia data dal sole all'interno del triangolo, col chiaro significato di occhio divino;
- il riquadro/supporto tripartito, simboleggiante sicuro sostegno all’infermo;
- le scritte lineari agglutinate in legatura e in nesso;
- la numerologia: tre triangoli, tre lingue: latino, nuragico, ebraico
- Infine, però non ultimo, ma addirittura primo segnale che denota il rebus nuragico: l'obliquità della tabula ansata (Fig. 5) che suggerisce attenzione alla lettura nascosta.
Infine
leggiamo l'intera sequenza così organizzata:
- lettura del supporto: doppio sostegno sicuro del toro
- lettura dei logogrammi presenti nelle anse: occhio luminoso sorgente di vita
- lettura della formula salvifica: guarisce «nome dell'infermo» guarisce Lui.
doppio
sostegno sicuro del toro, occhio luminoso sorgente di vita, guarisce
«nome
dell'infermo»
guarisce Lui.
Nella
tabula ansata di San Salvatore ritroviamo i tre elementi distintivi
peculiari delle tabulae rasae
e della tesserae hospitales
ed infine delle tabulae ansatae.
Elementi distintivi enunciati sopra a proposito del donario di Antas:
nome del donante, dono
e recettore. Le due
figure: donante e recettore, non sono blindate; ognuna di esse
ammette la controparte, in un clima di reciproco rispetto e
donazione dettato dall'amicizia. Per tanto il donante è pure recettore e viceversa;
altrimenti il messaggio è inutile e il patto alla base della
tesserae hospitales sarebbe infranto. Il meccanismo è semplice: io
scrivo sulla tabula,
tu leggi il mio messaggio e da ciò che suscito in te, ho una
risposta in termini reali, con una azione contraccambiante, o
semplicemente con l'arricchimento intellettuale di chi riceve il
messaggio, che già di per se è azione contraccambiante, perché
motivo d'orgoglio del donante (è il caso tipico del
maestro che insegnando, dona al suo alunno la sua esperienza, per
ricevere in cambio un domani, un uomo istruito e capace). In sintesi
donante e ricevente si specchiano l'uno nell'altro.
Si
da per avere e si chiede per ottenere. Sono due concetti alla base
dell'azione religiosa votiva e donante. Sembrerebbero due concetti
molto distanti tra loro, ma in fin dei conti rispondono alla stesso
bisogno. Non scodiamoci dell'aspetto “umano” che traspare dalla
figura biblica del Dio israelitico, che ha bisogno di un popolo per
esternare la sua potenza divina. Ha bisogno di suggellare con esso un
patto di alleanza: tu mi dai assoluta fiducia e rispetto dei miei
comandamenti, io ti prometto... etc. etc.
Nella
tessera ospitale, il
donante e il ricevente
sono funzionalmente intercambiabili: ognuno dona
e riceve amicizia e ospitalità nel momento del bisogno.
Nella
tabula ansata, il donante
e il ricevente sono
pure intercambiabili. Nella iscrizione di Antas, Alexander dona al
Sardus Pater una dedica; evidentemente per avere qualcosa o dopo aver
avuto qualcosa in cambio: lui e solo lui, l'individuo Alexander.
In
campo militare e funerario il moto è identico; è l'individuo che da
e/o riceve.
La
tabula di San Salvatore non fa eccezione. La divinità taurina solare
nuragica dona la
guarigione al fedele che a lui in qualche modo si è invocato. Il
fedele, guarito, contraccambia scrivendo, mediante una dedica
pubblica e perpetua, quanto grande sia il suo dio, che ha accolto la
sua preghiera di guarigione. Lui, uno tra innumerevoli creature
umane, è stato oggetto di attenzione da parte della potenza divina salvifica.
Parliamo
ancora di cronologia
In
ogni modo, dati i caratteri latini, la scritta di San Salvatore non
possiamo spostarla nel tempo più indietro del periodo romano. Come
non possiamo ascrivere la maggior parte dei reperti sardi, recanti
la tabula ansata (ne abbiamo trovato una decina)22,
ad una cronologia anteriore a quella di San Salvatore; sempre per il
fatto che esse riportano iscrizioni latine. Solo un reperto, di
ignota origine, potrebbe varcare quel limite temporale. In: G. Sanna
– La stele di Nora, pag. 92, è riportato un cippo (forse in
arenaria) nel quale, sopra la raffigurazione di un tempietto in
antis a sei colonne, è incisa una tabula ansata appunto. Una tabula
ansata del tutto particolare, che non solo sembra anepigrafica ma
reca le due anse in modo estremamente preciso, ben distinte dal corpo
del riquadro: sono due triangoli, come quelli dell'ipogeo di San
Salvatore di Sinnis, nei quali non è difficile vedervi un logogramma
di carattere taurino.
Fig.623
Il
condizionale, al proposito dell'anepigrafia
di quella tabula, a
mio avviso ha una doppia valenza. La prima è relativa alla
considerazione che, guardando la figura, sembrerebbe che essa (la
tabula) non rechi alcun segno di scrittura al suo interno. La
seconda, rettorica, allude alla possibile scrittura metagrafica
insita nell'oggetto stesso. In sostanza la tabula
ansata di cui si parla, essendo
anepigrafica nel senso comune della parola,
di per se potrebbe essere segno di scrittura; alla stregua del
“pugnaletto gammato” e della “Tanit”. E se il pugnaletto
gammato ha il significato logografico di “Toro abi che da la vita”
e la Tanit ha il significato, pure logografico, di determinativo
“Lui/Lei” inerente la divinità androgina taurina soli/lunare; la
tabula ansata potrebbe avere, almeno, il significato di “doppio
toro che sostiene” se non quello più ampio
di “doppio toro che sostiene e dona”
la vita, evidentemente, visti i due alberelli posti ai lati del
tempio (Fig. 6).
***
Per
quanto riguarda la possibile ascendenza della tabula ansata ad un
periodo nettamente più antico di quello imperiale romano (che
inizia, come noto, nel 1° secolo a.C.), possiamo avanzare, per
quanto esposto, solo congetture indiziarie. Ciò non ostante emerge
dalle considerazioni di questo nostro studio che lo scriba, che a San
Salvatore realizzò la tabula, fosse cosciente dell'intimo
significato di quella figura geometrica e in ragione di ciò creò la
formula salvifica.
Chi
insegnò allo scriba di ascendenza nuragica: i Romani oppure gli
Etruschi? Oppure...
Come
possiamo auspicare dalla Fig.1, già nel 71 d.C., a Roma la tabula
ansata viene esposta secondo il suo utilizzo di carattere
pubblicitario, visto che le “maniglie” non servivano alla
ostentazione dell'insegna; questa (l'ostentazione) avveniva, in
quella particolare funzione, tramite una lunga asta sovrastante
l'altezza dei legionari. Parimenti le “maniglie” delle tabulae
a carattere funerario, non avevano anch'esse la funzione originaria
derivante dalla tabula rasa, essendo scolpite nel marmo, disegnate
con tessere musive o altro. Anche in questo contesto è probabile che
il supporto fosse legato solo alla esibizione enfatica del dato
scritto, tant'è che la dedica agli Dei Mani era eseguita in
posizione arbitraria, ora nelle anse, ora nel riquadro rettangolare,
altre volte sopra di esso. Solo in quale caso sporadico si registra
quello che in effetti era la funzione delle anse; uno di questi è il
sarcofago di Audasia Cales, che mostra nel fronte del sarcofago una
tabula ansata sorretta
da due amorini.24
Si registra inoltre un secondo reperto, che per altro abbiamo avuto
modo di incontrare in questo studio, che dimostrerebbe indirettamente
l'importante funzione delle anse. Ce lo fa notare ancora G. G. Pani
nel suo saggio dove scrive, quale esemplificazione, a riguardo della
tabula ansata del tempio di Antas: “... I
fori mediante i quali essa (la
tabula ndr) era
assicurata alla base del donario non sono stati praticati al centro
delle anse ma nello stesso corpo della targa, uno al di sopra e uno
al di sotto del testo. Si sono volute forse risparmiare le anse
perché non garantivano solidità, oppure si sono lasciate
volutamente intatte queste «superfici
espanse» del titulus? Il carattere simbolico che esse probabilmente
rivestivano, in quanto «esponenti»
della scrittura, «fattori
moltiplicanti» del suo valore, potrebbe trovare in questo esempio
una giustificazione.”
L'esempio ci pare illuminante ed avvalora la nostra tesi a riguardo
della “lettura” simbolica delle anse delle tabulae. Importanza
simbolica elevata alla massima magnificenza in quella
di San Salvatore, nella quale le due anse sono di primaria
importanza, perché non solo, sono attributo della divinità; ma
alludendo alla loro primitiva funzione, sono il mezzo tramite il
quale, e in modo metagrafico, la divinità esplica il suo potere di
guarigione.25
Non
abbiamo voluto forzare il lettore, costringendolo, a leggere tutto
quel che ci premeva esporre, demandando per tanto alle note in calce
parte di questo compito; ciò non di meno vogliamo invitarlo a
leggere la nota (25), che riassume per grandi linee il saggio di G.G.
Pani, per dire, infine, che le anse di tutte le tabulae pottrebbero
avere il significato elementare, quanto di primaria importanza, di
“fermo sostegno”.
Conclusioni
La
scritta dell’ipogeo di San Salvatore, a primo acchito sembrerebbe la manifestazione di un sincretismo religioso al contrario; ossia la
religione nuragica che usa simboli propri della Roma imperiale
(tabula ansata) per utilizzarli nel magnificare e chiedere aiuto al
proprio dio; ma dalle pieghe di questo studio emerge il dubbio che
gli scribi Sardi conoscessero il preciso significato di quel
particolare supporto scrittorio e lo usarono quale scrittura
metagrafica nascosta, ben prima dell'arrivo dei Romani in Sardegna.
Del
significato primordiale di quelle “anse” si è persa la memoria
in ambito romano, non in quello sardo evidentemente, dato il fatto
che a San Salvatore di Sinnis, Antas e S. Antioco (vedi nota 19)
quelle anse hanno ricevuto il loro giusto riconoscimento.
continua
1G.
G. Pani - “La tabula ansata e il suo significato simbolico”
Saggio pubblicato in “Decima miscellanea greca e romana –
fascicolo XXXVI – Roma 1986 – Studi pubblicati dall'Istituto
Italiano per la storia antica.
L'asterisco nel titolo fu apposto
da G.G. Pani e rimanda ad una citazione di un famoso scrittore
italiano. Citazione che qui ci piace riproporre: «Ecco come si
sfruttano, in tempo di errori e di ozii nazionali, le menti che
vedono giusto e lontano, e le forze che non consentono di poltrire!
… I loro affetti, la loro attività si sprecano a rianimare le
mummie; non potendo migliorare le istituzioni e studiare ed amar gli
uomini, scavano antiche lapidi, macigni frantumati, e studiano ed
amano quelli. E' il destino quasi comune dei nostri letterati!».
I. Nievo, Le confessioni di un italiano, Milano-Napoli 1952, pp.
816-8147.
2Vedi
supra nota 1 G. G. Pani seguendo pedissequamente le notizie
consolidate nel tempo ritiene, benché in modo dubitativo, che la
tabula ansata abbia avuto origine in ambito militare.
5Da:
Virgilio Melchiorre- 2005 - L'immaginario simbolico –
Pubblicazioni dell'I.S.U. Università Cattolica.
6Àngel
Rojo Rincón – Las tesserae hospitals latinas de hispania.
Tipologia, distrbucion y fatronazgo,
7Non
a caso abbiamo citato all'inizio dell'articolo, l'incipit del saggio
di G.G. Pani (vedi nota 1).
8G.G.
Pani è di altro avviso, infatti avanza l'ipotesi, con molta
prudenza, che “L'instrumentum può dunque aver trovato la sua
prima applicazione, se non la stessa invenzione, nell'ambiente
militare, ...” Vedi saggio nota 1 pag. 431.
9Amicizia
intesa nel senso più ampio e filosofico del significato, quale sentimento di comunione tra due o più persone, unite da affetti e da interessi,
ispirata da affinità di sentimenti e da reciproca stima.
Da: Treccani Dizionario di Filosofia:
Il termine amicizia, in greco φιλία, si incontra nella
filosofia greca dapprima come concetto fisico in Empedocle con il
significato di forza cosmica, e insieme anche di divinità, che
spinge in armonica unità gli elementi (aria, acqua, terra, fuoco).
10La
ricerca sul WEB di documentazione inerente la tabula ansata ha dato
risultati piuttosto deludenti. In sostanza traspare da alcune
considerazioni, didascalie e spiegazioni, allorquando si avanza una
datazione, che la forma della tavola sia presa dagli studiosi quale sicuro terminus non ante quem. Per tanto un reperto di tal
fatta non viene quasi mai riportato ad un periodo anteriore alla
Roma imperiale. Nei pochi casi in cui mi sono imbattuto non ho avuto la possibilità di verifica. Mi sono imbattuto in particolare nella descrizione
della tabula ansata in Wikipedia in lingua tedesca che recita: “La
più antica tabula ansata è stata trovata a Larisa in Grecia . È
un'iscrizione votiva al dio Enyalios del VII secolo a.C.. Del 6 °
secolo aC . è noto un bronzo inginocchiato da
Olympia”. Di queste due attestazioni non ho trovato alcun
materiale di studio, né immagini sul WEB.
11Giovanni
Colonna - Una nuova iscrizione etrusca del VII secolo e appunti
sull'epigrafia ceretana dell'epoca in “Mélanges d'archéologie et
d'histoire, tome 82, n°2, 1970.”
http://www.persee.fr/doc/mefr_0223-4874_1970_num_82_2_7609
12Il
kantharos è rubricato in Rivista di Studi Etruschi XXXIV pag. 403
ed è custodito presso il Metropolitan Museum di New York. La dedica
con tutta evidenza è scritta all'interno di quella che sembrerebbe
proprio una tabula ansata sorretta da una figura umana con un cervo
nelle vicinanze. Sarà un caso ma il cervo, che sembra brucare
vicino ad un alberello “della vita” sembrerebbe, piuttosto,
aiutare l'uomo nel reggere, con le sue possenti corna, la tabula in
corrispondenza del “manico”. A ben vedere qui troviamo il
concetto di “doppio” sostegno suggellato dalla presenza e aiuto
del cervide.
13Da:
http://www.latolfa.com/tolfa2000-7/pagine/scrittorilocali/walter/lingua_etrusca_6.html
Non sappiamo con esattezza chi sia Valter Bianchi.
14Datazione
e spiegazione anteposta da:
https://museoarcheologiconazionaledifirenze.wordpress.com/tag/tavoletta-di-marsiliana/
15Se
l'interpretazione data al reperto etrusco fosse veritiera, dobbiamo
togliere un altro primato ai Romani, ai quali in tutti i libri di
storia viene attribuita l'invenzione della tabula rasa o tavoletta
cerata.
17
Il sole all’interno del triangolo è simbolo universalmente noto
dell’occhio di Dio che tutto vede, interpretato in tal senso anche
dal Prof. Sanna a riguardo della lastrina in osso di Monte Sirai, su
http://monteprama.blogspot.it/2015/03/f-barreca-lastrina-ossea-con-divinita.html
.
Quale reperto di carattere
prettamente nuragico segnaliamo il concio di trachite del pozzo
sacro di Genoni, il quale reca all’interno del triangolo una
spirale , chiaro segno di “divina luce immortale”.
18
logogramma attestato nella scrittura nuragica ad esempio nella
pietra della capanna di Perdu Pes di Paulilatino. Nel nostro caso
l'alberello è inteso in senso logografico/ideografico: in segno una
parola o un concetto.
19Lo
stesso concetto sembra sia espresso nel kantaharos ceretano del
Metropolitan Museum di New York. Vedi nota 12.
20In:
A. Taramelli Scavi e scoperte Vol.4 pag. 53. C. Delfino Editore.
Troviamo una epigrafe davvero significativa con tabula ansata.
Questa è posta in un ipogeo con sepoltura giudaica della necropoli
di S. Antioco. La tabula ansata reca al suo interno una scritta in
caratteri latini; mentre all'esterno, affianco alle anse è
riportata una scritta in caratteri ebraici con progressione da
sinistra verso destra. La scritta di sinistra, su tre righe, recita:
“šalom ˁal yšrˀael” “pace su Israele”. La
scritta di sinistra, composta su due righe ripete la parola: ˀamen
ˀamen. Come al solito siamo andati a consultare un dizionario
di ebraico biblico e alla voce אמן
leggiamo quale primo significato: Essere fermo,
resistente, solido, consistente; essere stabile, costante, duraturo,
durevole, perenne; essere fedele, affidabile, degno di fiducia;
essere sincero, verace, veridico, attendibile, autorevole; cronico,
accanito, persistente; sostenersi, mantenersi, durare. Con
grande sorpresa l'iscrizione giudaica reca l'intimo significato
delle anse della tabula. Quella fermezza, stabilità, costanza,
immortalità e affidabilità; nonché pace, amicizia e ospitalità,
che ritroviamo quale peculiarità di tutte le tabulae ansatae e in
tutte le tesserae hospitales.
22Claudio
Farre – Geografia epigrafica delle aree interne della Provincia
Sardinia – Sandhi Edizioni 2016.
23Immagine
tratta dall'articolo del Prof. Sanna:
http://maimoniblog.blogspot.it/2018/02/il-bronzetto-di-antas-di.html#more
25G.G.
Pani nel suo eccellente saggio riesce a dare una chiara e vivida
immagine di quella che era nella Roma antica la funzione e il
simbolismo legato alla tabula ansata. Tabula che col passare del
tempo, però, diventa una sorta di insegna, simile a quelle del
nostro mondo consumistico. Riesce a cogliere il significato
simbolico dato da quel particolare cartello scritto, intuisce
l'importanza di quelle due maniglie, però non riesce ad individuare
il motivo che sostanzialmente ha dato origine alle due anse (forse
ciò esulava dal compito prefisso). Per tanto concentra tutti i suoi
sforzi su ciò che “appare”; ossia le tracce evidenti, lasciando
inesplorata la strada che conduce ai motivi originali di quel
particolare supporto scrittorio. In questa atmosfera scrive il Pani,
e ad una lettura superficiale, egli è convincente nelle sue
asserzioni, tant'è che la frase che ho riportato all'inizio di
questo studio è di primaria importanza nella comprensione del
significato simbolico della tabula ansata, ma non è esaustivo.
Angei, questa cosa è seria assai.
RispondiEliminaMi scuso per il ritardo ma causa di forza virale mi costrinse al giaciglio.
EliminaCaro Francu, vedo un tuo commento stringatissimo ma eloquente, che mi da quel “quid” di energia gratificante che non guasta mai. Di certo ripensando a quanto scrivesti nel mio primo componimento: ricordi su Monte Prama “Poi il buio”? Il commento più o meno fu: Sembra scritto in italiano col traduttore di Google!” 30 aprile 2014 ed è passata tanta acqua sotto i ponti. Allora non pensavo di studiare per scrivere. Ora l'esigenza di scrivere è dettata dallo studio... sempre più invadente nel mio scrivere. Forse questo scrivere non somiglia più al risultato di Google traduttore, ma sicuramente impegna chi vuole capire, a leggere per forza le note, perché il testo è quasi tutto risultato di quelle.
Grazie Francu
Non ricordavo quel mio commento. Ti assicuro però, allora come oggi, è quello che pensavo. Solamente un'opinione, comunque.
EliminaVedo che ti ha stimolato a curare l'esposizione delle tue argomentazioni.
In fondo, sono rimasto un povero maestro di scuola cun su focili, come l'asinello che gira intorno a sa mola.
Abbiamo già ricordato che sul frontone dell’Accademia (la scuola di Platone) si dice fosse scritto: “Nessuno entri che non sia geometra”.
RispondiEliminaQueste parole si sono prestate altre volte a elogiare articoli di Sandro, ma ancora (avviso) mi piacerà ricorrervi per nuovi studi che ci vorrà regalare, quando saranno altrettanto ricchi e profondi (qual'è 'l geomètra che tutto s'affige per misurar lo cerchio) e non mi lasceranno altro da aggiungere.
Caro Francesco, dopo questo tuo commento tutti i geometri del mondo saranno orgogliosi di essere tali. Vero è che, se alla scuola di Platone potessero entrare solo i geometri, ci sarebbe ben poco da filosofeggiare in quella Accademia! D'altro canto la nostra Accademia il geometra, non solo non lo fa entrare al suo interno e non ci parla; ma forse neppure lo vede! Però, forse lo legge; perché in fin dei conti anche questo articolo segue la rigida legge della tabula rasa, quella ospitale e quella ansata: “tra chi scrive e chi legge si instaura un mutuo rapporto che arricchisce tutti... a prescindere!”
EliminaFrancesco, tu menzioni Dante?! Io menziono Toto'!
Si racconta che la prima cosa che impressionava di Platone fosse la misura dei suoi piedi. D'altra parte, in tempi andati le cose si misuravano in palmi, in braccia, in piedi o in passi.
EliminaPlatone dunque era uso misurare gli spazi coi suoi piedi enormi: avrebbe dovuto scrivere sul frontone dell'Accademia che erano ben accetti quelli che avevano strumenti straordinari per la misurazione del terreno, ma ripiegò sul termine più concettuale di "Geometra" al posto del bitorzoluto "Piedone".
Dice un mio amico ingegnere che l'essere geometra non è una professione ma una filosofia di vita: quando parliamo, tutti usiamo le congiunzioni quando, sebbene, purché e altre; il geometra vero userà sempre e comunque dove.