La rubrica di Maymoni

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martedì 18 settembre 2018

Cerchi, ovali e ovoidi…


o forse glandoidi! 
di Sandro Angei

- vedi prima parte

 
Questa è l'immagine planimetrica didascalica che normalmente è offerta al pubblico


Avvertenza
   Se il nostro lettore ritiene che l'immagine qui sopra riportata sia mostrata nel verso corretto, è meglio non continui a leggere, né osservi le immagini che seguiranno.

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   Con evidente provocazione esprimo la mia intolleranza avverso l'improbo rifiuto della realtà dei fatti e delle immagini.
   Non capisco per quale motivo fuorviato e fuorviante non si possa dire che quello di “Gremanu” è un fallo lungo 77 metri e lo si voglia, invece, nascondere con un artificioso ribaltamento dell'immagine. Artificio che risulta irriverente nei confronti di quelle antiche genti, offensivo nei confronti dell'intelligenza di tutti noi e fuorviante rispetto alla verità che evidentemente quella immagine manifesta.

   Si capisce che scrivere e parlare della conformazione del santuario di Gremanu possa essere imbarazzante per taluni, che  glissano sull'argomento per vari motivi, non ultimo per evitare facili e scurrili commenti; ma, a parte il fatto che tal genere di commenti qualificano il commentatore e non chi propone il tema, non trovo oscenità né cattivo gusto nel descrivere un complesso santuariale, costruito più d 3000 anni fa, nella verità che manifesta; verità di una immagine che di certo non da adito ad interpretazioni di fantasia. Non vedo alcun motivo pregiudizievole nel parlarne; eppure nessuno studio a livello academico, per quanto abbia cercato, descrive la conformazione di Gremanu in modo esplicito. Vedo in questo glissare, poco coraggio intellettuale. E' necessario, invece, dare il giusto significato alle cose, perché se di “Gremanu” non si dice che raffigura un fallo lungo 77 m si nasconde un dato antropologico importantissimo per la comprensione dei sentimenti e dei modi di concepire il sacro di quelle antiche genti.
***
  Puntualizzato questo, che vuol mettere preventivamente a tacere chi è incline a facili commenti, proseguiamo senza indugio nello studio.

1. Antefatto
   Abbiamo individuato in quel si Santa Marra una figura geometrica ben definita: l’ovoide[1]. In quel contesto avanzammo l’ipotesi che dal punto di vista antropologico la figura volesse alludere a ben altro soggetto piuttosto che l'uovo; lasciando però in sospeso la questione. E' giunto il momento di dare giusta spiegazione a quella affermazione e in ragione di ciò spostiamo la nostra attenzione nel sito di Gremanu vicino Fonni, dove il santuario, di manifesta forma virile, rimarca la figura “ovoide” del sito di Santa Marra, nella parte estrema di quel pene lungo 77 metri.
***
   E' necessario aprire una parentesi, con la quale descriveremo puntualmente la figura geometrica dell'ovoide; e questo per poter agevolmente capire le spiegazioni che seguiranno.
   L'ovoide è una figura piana policentrica a quattro centri, simmetrica rispetto ad un solo asse (a differenza dell'ovale che è simmetrico nei due assi)  costituita essenzialmente dal raccordo di quattro archi di altrettanti cerchi di misure differenti, legati però da un ben preciso e mutuo rapporto.


 
Fig. 1 – AC = r

1.     Per costruire la figura si parte col tracciamento di un cerchio di raggio “r” del quale si individua anche il diametro “B1-B2” (vedi Fig.1). Il semicerchio  B1⁀B2 lo chiamamo “arco primo”.
2.     Dal vertice B1 si traccia un arco di cerchio di raggio B1-B2 (che chiamiamo “arco secondo”), così pure dal vertice B2, che intersecherà quello appena costruito nei punti α e β.
3.     Il segmento  α-β incontra la circonferenza di raggio “r” in “C” (che chiameremo origine dell'arco terzo.
4.     Si tracciano i segmenti: B1-C e B2-C e si prolungano le estremità coincidenti in “C” fino ad incontrare i due archi secondi di mutua specularità “ α⁀β” nei punti “D” ed “E”.
5.     Con origine nel vertice “C” si traccia l'arco terzo D⁀E di raggio “C-D”.

   La costruzione di questo ovoide parte dal rispetto della regola che vuole i centri origine degli archi, giacenti lungo le rette B1-B2 e A-C, tra loro ortogonali.
   Questo è uno dei metodi di costruzione dell'ovoide, che può variare di forma: più tozza o più oblunga, a seconda dei centri usati per la costruzione degli archi secondi  α⁀β e dell'arco terzo D⁀E. Tant'è che si possono costruire infiniti ovoidi, all'interno comunque di un range ben determinato[2]. Naturalmente tra questi infiniti ovoidi possiamo evidenziarne alcuni con qualità peculiari.
   Nel caso di Santa Marra, ad esempio, si utilizza quale vertice di costruzione degli archi secondi α⁀β un punto posizionato ad una distanza di 2/3 dal centro della circonferenza  di raggio B1-A dell'arco primo (Fig,2). Il resto della figura è costruito secondo il metodo sopra descritto.
Fig. 2 – l'ovoide di Santa Marra: A-B1 = 2/3 r


Fig. 3 – Santa Marra
***
   Chiusa la necessaria parentesi, analizziamo ora l'ovoide di Gremanu.

Alla scoperta del metodo
  Abbiamo scoperto che, diversamente dagli esempi descritti: quello teorico di Fig.1 e quello reale di Santa Marra, questo di Gremanu è stato costruito ponendo il vertice “C” dell'arco terzo lungo l'asse di simmetria, nel punto medio del raggio di costruzione dell'arco primo (Fig. 4). Il resto della figura è costruito secondo il metodo su esposto.


Fig. 4 – l'ovoide di Gremanu: AC = ½ r

Fig. 5 – L'ovoide di Fig. 4 si sovrappone perfettamente al rilievo del complesso santuariale.[3]





   Con questi due esempi reali abbiamo inquadrato il “metodo”; questo è identico per i due casi ad eccezione della posizione scelta per la costruzione degli archi secondi o dell'arco terzo; posizione che varia con rapporto ben preciso: ⅓ di raggio per Santa Marra e ½ di raggio per Gremanu nella definizione della parte acuminata dell'ovoide. Naturalmente dal punto di vista antropologico, ma anche quello matematico, non si può andare oltre questi rapporti, che con tutta evidenza sono legati a numeri con valenza simbolica: il 2 e il 3, rimarcando la natura divina una e bina in un caso, una e trina nell'altro caso. Se nella ricerca suddividessimo oltremodo quel raggio, scemeremmo nell'ovvio e troveremmo sicuramente, da 0 che tende a ∞, un sottomultiplo che si avvicini al dato cercato; ma ciò non avrebbe di certo alcun valore simbolico ed in ogni caso sarebbe mera speculazione alla ricerca di un qualsivoglia numero intero.

Reiterazione del metodo
   Naturalmente due soli casi non bastano per definire “metodo” quel modo di costruire la figura geometrica. E' necessario trovare altri esempi che possano, nella sicura variatio, provare che si tratta di vero e proprio “metodo”. In ragione di ciò portiamo altri due esempi con variazione al “tema”: l'ovoide del recinto esterno del pozzo sacro di Santa Cristina (che qui anticipiamo ma che studieremo in modo più approfondito in un articolo ad esso dedicato) e l'ovoide del pozzo sacro di Santa Vittoria di Serri (Figg. 6, 7, 8). Questi due recinti furono costruiti variando rispetto agli esempi portati, il raggio dei due archi secondi, non con un sottomultiplo del raggio "r" ma portando i vertici B1 e B2 all'esterno del cerchio di base ad una distanza pari al raggio del cerchio stesso, individuando di fatto un arco secondo di raggio "3r".
   Gli esempi portati ci sembrano sufficienti per definire metodo la costruzione dell'ovoide in ambito religioso, alla stregua della sicura non casualità di quattro macigni posti su una circonferenza (vedi il circolo megalitico di Is Circuìttus). Se i numeri non fossero sufficienti per convincere la comunità scientifica; comunque sia, pensiamo di aver aperto una strada da indagare con buone prospettive di soddisfazione.

Fig. 6 – l'ovoide di Santa Cristina e di Santa Vittoria di Serri
A-B1 = 2r



Fig. 7 – Il recinto sacro di Santa Cristina


 

Fig. 8 – Il recinto sacro di Santa Vittoria di Serri

Conclusioni
   Per quanto fin qui esposto risulta chiaro che la costruzione degli ovoidi, ma anche l'ovale del sito di Giorrè[4], rispondono a criteri geometrici e matematici ben precisi, che mettono in risalto un particolare dell'essenza divina (il glande) attraverso la forma geometrica pura (l'ovoide), assoggettato a variazione secondo rapporti numerici enfatizzanti,  benché  nascosti: la numerologia sacra del 2 e del 3. Numeri legati strettamente all'essenza divina. Il 2 è legato evidentemente alla natura M/F della divinità; il 3 alla perfezione  divina. Questo ci da modo di poter affermare con ragionevole sicurezza che a Gremanu abbiamo la prova che l'ovoide non vuole alludere al simbolismo dell'uovo ancestrale, che comunque dal punto di vista antropologico potrebbe ben descrivere i sentimenti religiosi di quelle antiche genti; ma vuole alludere con tutta evidenza al “glande” (dal latino glans -andis, ossia “ghianda”); tanto da poter definire quella forma, nello specifico: un “glandoide”;[5] perché è quella la forma che si volle enfatizzare coerentemente ai sentimenti religiosi di quelle genti.
 Se il “glandoide” è del tutto palese a Gremanu, possiamo ben dire (per relazione transitiva) che anche a Santa Marra, a Santa Cristina e Santa Vittoria di Serri e chissà quanti altri siti santuariali ancora nascosti, il significato sia identico; per via della coerenza religiosa che vede nel fallo la divinità unica dalla potenza taurina e nella sua testa lo strumento del potere (il potere della vita evidentemente).
   In sostanza Gremanu[6] potrebbe essere la chiave di lettura di tutta una serie di recinti sacri (e non solo) da interpretare quale testa virile della divinità in un contesto salutifero legato al culto dell'acqua.

   Ma al di là dell'attribuzione della figura ovoide/glandoide all'essenza divina in ambito nuragico, ci preme rimarcare il dato del tutto eccezionale  che ci sembra di aver scoperto, che porta la civiltà nuragica all'apice delle conoscenze nel campo della geometria ancor prima di Talete.[7]





[1]    Vedi S. Angei - 2018 Il cerchio, l'ovoide, le geometrie nuragiche e... il rito di fondazione  http://maimoniblog.blogspot.com/2018/07/il-cerchio-lovoide-le-geometrie.html

[2]    In sostanza nella costruzione dell'ovoide si possono variare anche contemporaneamente i due parametri: il centro della curva  α⁀β e il vertice “C” che genera l'arco D⁀E; ma il raggio di quest'ultimo deve stare necessariamente all'interno della vesica piscis o coincidere, nel caso più estremo, con  α, generando l'ovoide di Fig.A.
      Fig.A
 dove con tutta evidenza i punti α, C, D ed E coincidono in un punto e l'arco D⁀E tende a zero. Naturalmente ci sono altri metodi di realizzazione dell'ovoide, ma questi si avvalgono di punti di costruzione degli archi che giacciono fuori dalle rette ortogonali B1-B2 e A-C. Per tanto si potrebbero costruire altri infiniti ovoidi.

[3]    Naturalmente abbiamo eseguito delle verifiche in loco per valutare l'affidabilità dell'immagine tratta da internet, non certo per sfiducia nei confronti del professionista che rilevò il complesso, quanto per la possibilità di distorsioni dell'immagine fotografica. La verifica (puntini rossi) ha dimostrato la perfetta trasposizione delle misure rilevate in loco.

[4]             S. Angei 2017 Giorrè tra geometria e astronomia

[5]    Il neologismo è strettamente legato al tema. Col termine “glandoide” si vuole descrivere una figura appartenente alla "sfera" del sacro che diversamente dall'ovoide, esprime in modo inequivocabile la natura della divinità nuragica.

[6]    In nuorese il termine “gremanu” significa “germano”.
      L'etimologia di “germano” viene dal latino “GER-MANUS” da GERMEN germe, germoglio. Dal punto di vista linguistico “germano” e “gremanu” sono aggettivi con suffisso in “ano” con significato di appartenenzaA; per tanto nel caso dei fratelli, sono germani quelli che appartengono allo stesso germe (stesso padre e stessa madre); evidentemente nel caso del sardo “gremanu”, questo ha il significato toponomastico di luogo del (che appartiene al) germe ossia luogo dove si enfatizza la vita; per tanto il toponimo è strettamente attinente a quel complesso santuariale dove si svolgevano riti propiziatori legati all'acqua in uno scenario contraddistinto dal connubio M-F divini. Maschio e Femmina rappresentati dal fallo di 77 m di lunghezza e dalla vulva-pozzo sacro  a monte di questo.

           Il toponimo, inoltre, potrebbe essere d'aiuto al rafforzamento della tesi del Prof. Mario Alinei che vuole la lingua “Sarda” non figlia del latino ma ad essa sorella; derivate entrambe dal medesimo ceppo più antico. Solo in questo modo si spiega il termine “gremanu”, che evidentemente non deriva da incursioni “latine” nella lingua sarda, data la lontananza temporale del luogo dall'influenza di Roma. Il sito di Gremanu è datato al XV-IX secolo a.C. e non risulta frequentato dopo quel periodoB. D'altronde il sito fu oggetto dei primi interventi archeologici a partire dal 1989. Una verifica effettuata sulle ortofoto della Regione Sardegna mette in risalto che nel 1977-1978 e tornando indietro al 1968, 1954-1955, il luogo non è in alcun modo individuabile dall'alto. Questo particolare ci induce a pensare che la conformazione che oggi noi vediamo distintamente è frutto degli scavi archeologici che hanno riportato in luce il sito e per tanto nessuno prima di allora poteva conoscere quella forma. Ci si domanda allora come mai quel nome dal significato così attinente?! I casi sono due: frutto del caso (una cinquina al lotto) oppure e frutto della memoria orale tramandata di generazione in generazione.
                Alcune guide archeologiche spiegano che il toponimo è dato dal vicino Rio Gremanu; ma data la singolarità del luogo è più verosimile che il rio abbia preso il nome già in antico dal complesso santuariale; e comunque, derivare il nome del santuario dal nome del rio è ozioso escamotage  per evitare qualsiasi altra spiegazione semantica; col risultato, del tutto viziato, di perdere il significato del termine, che attribuito al santuario e alla sua conformazione topografica ha motivo valido e coerente, non certamente legato ad un rivo per il quale è necessario lavorar di fantasia per cercare un aggancio linguistico pertinente.

         I toponimi nascono in tempi lontanissimi e rimangono stabili sfidando il tempo. Questa affermazione non deve meravigliare; in ogni parte del mondo ciò accade e nessuna popolazione è immune da questo principio toponomastico, facendo parte questo della natura e del funzionamento del nostro cervello, che immagazzina il “conosciuto”  (specialmente nei primi anni della giovinezza) e lo rende quasi una reliquia da usare lì dove altro dato non aiuta o non esiste. In “Storia dell'antica Grecia” di Andrew Robert Burn leggiamo: ” Pochissimi antichi toponimi della Grecia appartengono alla lingua greca: fra i numerosi nomi non greci, alcuni gruppi, specialmente quelli terminanti in -nthos e -sos (anche scritti -ssos, con la variante -ttos in Attica), richiamano quelli terminanti in -sa e -nda della Caria. Tra di essi rientrano Knosòs, Amnisòs, Parnasòs, (Parnaso), Hymettòs, Làrisa,  («luogo del re»?, nome di numerose fortezze), Halikarnassòs e molti altri; Korintòs, Tiryns (accusativo di Tiryntha), Olynthos, monte Kynthos (adelo), Lìndos, a Rodi, Alàbanda, Làbranda, patria di un re guerriero, famoso per uso làbrys o ascia sacra (omisis); -nda  è la più comune desinenza caria per i nomi di localitàC.
                  Dovrebbe far eccezione proprio la Sardegna e in special modo in quei luoghi dove tutto è rimasto immutato da tempi immemori?
      In questo quadro toponomastico si inquadra il nome Gremanu.
            Lo studio di questo toponimo potrà sembrare superficiale agli addetti ai lavori, e potrebbe pure esserlo se adducessi sterili motivazioni legate al semplice significato del lemma; come del resto leggo in tante spiegazioni di nomi di luogo. La mia interpretazione lega il significato del toponimo al sito, che in modo sintetico vuole descrivere nelle sue caratteristiche essenziali; che siano esse palesi o perse nel tempo come a Gremanu; e proprio perché a Gremanu si perse il sito di riferimento di questo strano toponimo, che esso (il toponimo) può acquistare valenza probatoria.
            Nel Glossario toponomastico e terminologico realizzato nell'ambito di SardegnaAmbiente
         http://www.sardegnaambiente.it/documenti/3_43_20060526114722.pdf  leggiamo alla voce GREMANU: “Centr. È un aggettivale = lat. germanus,‘puro’, in relazione alle acque pure discendenti dall’area sacra del Correboi. Dal lat. germen ‘sperma, principio’, deverbale di gigno = genero”. Di certo il significato toponomastico qui spiegato non allude al santuario nuragico di Gremanu, ma più in generale all'area sacra di Correboi da dove sgorgano le acque del Gennargentu; senza alcun riferimento al santuario. Il toponimo "Gremanu" viene lì associato senza alcun indugio al termine italiano “germano” derivato dal latino; dando per scontato che il termine sardo abbia sicuramente quel significato. Per contro non si può argomentare a favore di un significato del termine Gremanu, inteso a comprendere tutte le acque del Gennargentu, perché in tal caso tutte sarebbero “gremanu”, mentre invece il toponimo è afferente solo ed esclusivamente quel particolare sito, che guarda caso è luogo di un rito religioso che si svolgeva in un santuario di forma fallica.
           Per quanto riguarda il binomio: rito-toponimo; esso non è nuovo, visto che ritroviamo in vari contesti l'attribuzione di un preciso appellativo che in modo conciso descrive la natura del rito o lo stesso monumento.
            Portiamo alcuni esempi:
      - Il pozzo sacro di Santa Anastasia di Sardara è attinente al rito ierofanico lì celebratoD
   - Il pozzo sacro di Santo Stefano di Irgoli è attinente alla caratteristica architettonica del monumentoE
      - Lo studio di recente pubblicazione: “Santu doxi, Santu Jaku, Sant'Ephisi, Santu Baingiu, Santu Bachisiu, Santu Antine. PRIMA PARTE - Eh Santu Giorre?! “F mette in evidenza questo binomio in tantissimi luoghi sacri dedicati al culto dell'acqua e della luce.

        Un ultimo esempio sarei indotto a portare, ma diamo tempo al tempo.

[A] Così sono costruiti tanti aggettivi sostantivati: l'abitante di Roma è romano perché a quella città appartiene per nascita. Nel caso dei fratelli germani essi appartengono allo stesso germe (stesso padre e stessa madre). Nel caso di Gremanu invece, è il luogo ad “appartenere”, nella sfera del sacro, al germe della vita che lì è stato evocato mediante la costruzione di due monumenti enfatizzanti la duplice valenza sessuale della divinità: santuario fallico e tempio a pozzo.
       

[B]Vedi F. Lo Schiavo – L'ambiente nuragico – pagg.7 e 8  in: http://www.bibar.unisi.it/sites/www.bibar.unisi.it/files/testi/testiqds/q47/09.pdf

[CDa: Andrew Robert Burn, Storia dell'antica Grecia, Mondadori editore 1991.




[7]    Erodoto fa risalire l'origine della geometria al 1300 a.C. in Egitto; intendendo per geometria la misurazione dei terreni,  non certo per asserire che gli egiziani sapessero costruire forme geometriche complesse come l'ovoide. Questa figura in ambito egizio possiamo individuarla nella forma del geroglifico “ankh”, che però più che ad un ovoide assomiglia ad un seme (il seme della vita?); ossia una figura simile a quella rappresentata in Fig.A della nota (2) chiamato ovoide a foglia; ma in ogni caso gli esempi egiziani si limitano ai geroglifici, dove per altro si nota approssimazione sia di forma che di specularità, dettate più dall'esecuzione all'impronta che da obbedienza al metodo.

4 commenti:

  1. Neanch’io, Sandro, sono un addetto ai lavori per giudicare il tuo approfondimento sul toponimo Gremanu (c’è un articolo nell’articolo, limitato alla nota 7 solo per nobile modestia); ma posso almeno dire di aver letto interpretazioni di toponimi che non mi sono sembrate più ricche e motivate.
    Da studioso quale sempre più diventi della geometria (e, a questo punto, della storia della geometria) ci dici cose interessantissime e che danno profondità ulteriore alla civiltà sarda.
    Gradirai, ne sono sicuro, un appunto: scrivi (il pronunciamento è finito nella didascalia di figura 5): “l'ovoide di Fig. 4 si sovrappone perfettamente al rilievo del complesso santuariale” (di Gremanu). Mi sorprende tu non abbia voluto (o ti sia sfuggito) dedicare un rigo a quanto nella figura 5 rendi invece evidente: l’oggettivamente non esatta corrispondenza, per quel che riguarda “l’arco primo”, tra il “glandoide” di Gremanu e l’ovoide di Fig. 4.
    Non dico che la corrispondenza per il resto evidente non sia comunque significativa (anche se non escludo che qualcuno potrebbe impegnarsi a sostenerlo); né escludo, tantomeno, che quegli scostamenti fossero consapevoli e giustificati, anche se oggi per noi resterebbe in qualche misura aleatorio spiegarne i motivi.
    A questo proposito, mi sembra si possa cogliere una qualche vicinanza tra gli scostamenti dal glandoide di Gremanu e quelli dall’ovoide (o glandoide anch’esso) di Santa Marra.
    Sempre più spinoso, però, cercare di interpretarli, finché si tratti di associazioni libere intorno a glandoidi.

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  2. Francesco, la forma geometrica individuata a Gremanu, come negli altri siti non può essere perfetta, perché deve comunque essere nascosta. Nel corso dei miei studi ho capito che le manifestazioni della divinità devono essere sempre sfuggenti (in termini temporali) o nascoste se persistenti. Gremanu non fa eccezione. Il santuario benché sia di evidente forma fallica, è nascosto agli occhi di chi ad esso si avvicina; è necessario vederlo da un punto di vista privilegiato, quello di un uccello o, evidentemente, quello divino. Le immagini ierofaniche create ad arte da quelle genti, sono frutto di una particolare, se non complessa, architettura luminosa nascosta. Ne abbiamo l'esempio nel nuraghe Santa Barbara, dove l'immagine del toro la si vede solo ed esclusivamente dall'interno del nuraghe, il fedele che stava fuori dall'edificio non immaginava di certo che quella finestrella potesse restituire una immagine taurina tanto perfetta; e di certo non poteva immaginare che quella figura alla fine del suo percorso, scendendo dall'altare potesse trasformarsi in un fallo; e questo per via di una risega creata ad hoc nello spigolo del corridoio d'accesso alla camera (lo abbiamo studiato in un articolo se ben ricordi). Lo stesso discorso vale per la porta del sole di Murru mannu che definisce, in un preciso e sfuggente momento evolutivo, un triangolo equilatero pressoché perfetto realizzato con due particolari architettonici distanti parecchi metri l'uno dall'altro.
    In questo contesto vedo la forma ovoide nascosta che diventa palese allorché la si cerca. E la si deve cercare! Non è manifesta, perché essa è forma perfetta e la perfezione per quelle genti era prerogativa divina. Non di meno però ci hanno lasciato le tracce della loro sapienza. Avrebbero potuto realizzare ovoidi perfetti e tutti uguali o senza alcun criterio particolare (infiniti ovoidi), invece hanno realizzato degli ovoidi significativi; lasciando a noi l'onere di riscoprire la loro “Sapienza” che va ben oltre quello di cui qui stiamo trattando.

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  3. Quel che riconoscerete di imperfetto magnificherà la nostra perfezione.
    Bello, profondo, ma anche (per chi non si ponga in piena sintonia) un po’ apodittico; un po’ un anelito di veneranda insindacabilità.
    Ma vai avanti, perché qualcosa (se non anche molto) resterà.

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  4. Certo che resterà! Non sono, quelle scoperte, figure casuali e non è un raccoglier di fiori unici.

    Resterà perché è evidente che quelle genti sapessero costruire forme geometriche complesse.
    In linea teorica si potrebbe pure pensare che sapessero costruire l'ellisse, che dal punto di vista pratico è sicuramente più facile da realizzare rispetto all'ovale, ma non possiamo avallare questa ipotesi, perché dalla costruzione dell'ellisse non si può passare naturalmente alla costruzione dell'ovoide, mentre invece ciò è possibile attraverso l'ovale. Questo è il motivo che mi indusse fin dall'inizio a escludere la forma ellittica a favore dell'ovale, benché la differenza tra le due figure in termini pratici possa essere irrilevante.

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