di Sandro Angei
Questa è
l'immagine planimetrica didascalica che normalmente è offerta al pubblico
Avvertenza
Se il
nostro lettore ritiene che l'immagine qui sopra riportata sia mostrata
nel verso corretto, è meglio non continui a leggere, né osservi le immagini
che seguiranno.
Con evidente
provocazione esprimo la mia intolleranza avverso l'improbo rifiuto della realtà
dei fatti e delle immagini.
Non capisco per
quale motivo fuorviato e fuorviante non si possa dire che quello di “Gremanu” è
un fallo lungo 77 metri e lo si voglia, invece, nascondere con un artificioso
ribaltamento dell'immagine. Artificio che risulta irriverente nei confronti di
quelle antiche genti, offensivo nei confronti dell'intelligenza di tutti noi e
fuorviante rispetto alla verità che evidentemente quella immagine manifesta.
Si capisce che
scrivere e parlare della conformazione del santuario di Gremanu possa essere imbarazzante per taluni, che glissano sull'argomento per vari motivi, non
ultimo per evitare facili e scurrili commenti; ma, a parte il fatto che tal
genere di commenti qualificano il commentatore e non chi propone il tema, non
trovo oscenità né cattivo gusto nel descrivere un complesso santuariale,
costruito più d 3000 anni fa, nella verità che manifesta; verità di una
immagine che di certo non da adito ad interpretazioni di fantasia. Non vedo
alcun motivo pregiudizievole nel parlarne; eppure nessuno studio a livello
academico, per quanto abbia cercato, descrive la conformazione di Gremanu in modo
esplicito. Vedo in questo glissare, poco coraggio intellettuale. E' necessario,
invece, dare il giusto significato alle cose, perché se di “Gremanu” non si
dice che raffigura un fallo lungo 77 m si nasconde un dato antropologico
importantissimo per la comprensione dei sentimenti e dei modi di concepire il
sacro di quelle antiche genti.
***
Puntualizzato
questo, che vuol mettere preventivamente a tacere chi è incline a facili
commenti, proseguiamo senza indugio nello studio.
1. Antefatto
Abbiamo
individuato in quel si Santa Marra una figura geometrica ben definita: l’ovoide[1]. In quel contesto avanzammo l’ipotesi che
dal punto di vista antropologico la figura volesse alludere a ben altro
soggetto piuttosto che l'uovo; lasciando però in sospeso la questione. E'
giunto il momento di dare giusta spiegazione a quella affermazione e in ragione
di ciò spostiamo la nostra attenzione nel sito di Gremanu vicino Fonni, dove il
santuario, di manifesta forma virile, rimarca la figura “ovoide” del
sito di Santa Marra, nella parte estrema di quel pene lungo 77 metri.
***
E' necessario
aprire una parentesi, con la quale descriveremo puntualmente la figura
geometrica dell'ovoide; e questo per poter agevolmente capire le spiegazioni
che seguiranno.
L'ovoide è una
figura piana policentrica a quattro centri, simmetrica rispetto ad un solo asse
(a differenza dell'ovale che è simmetrico nei due assi) costituita essenzialmente dal raccordo di
quattro archi di altrettanti cerchi di misure differenti, legati però da un ben
preciso e mutuo rapporto.
Fig. 1 – AC = r
1.
Per costruire la figura si parte col tracciamento di un
cerchio di raggio “r” del quale si individua anche il diametro “B1-B2” (vedi
Fig.1). Il semicerchio B1⁀B2 lo chiamamo “arco primo”.
2.
Dal vertice B1 si traccia un arco di cerchio di raggio
B1-B2 (che chiamiamo “arco secondo”), così pure dal vertice B2, che
intersecherà quello appena costruito nei punti α
e β.
3.
Il
segmento α-β incontra la circonferenza
di raggio “r” in “C” (che chiameremo origine dell'arco terzo.
4.
Si
tracciano i segmenti: B1-C e B2-C e si prolungano le estremità coincidenti in
“C” fino ad incontrare i due archi secondi di mutua specularità “ α⁀β”
nei punti “D” ed “E”.
5.
Con origine
nel vertice “C” si traccia l'arco terzo D⁀E di raggio “C-D”.
La costruzione di questo ovoide parte dal rispetto della regola che vuole i centri origine degli archi, giacenti lungo le rette B1-B2 e A-C, tra loro ortogonali.
Questo è uno dei metodi di costruzione
dell'ovoide, che può variare di forma: più tozza o più oblunga, a seconda dei
centri usati per la costruzione degli archi secondi α⁀β e dell'arco terzo D⁀E. Tant'è che
si possono costruire infiniti ovoidi, all'interno comunque di un range ben
determinato[2].
Naturalmente tra questi infiniti ovoidi possiamo evidenziarne alcuni con
qualità peculiari.
Nel caso di Santa Marra, ad esempio, si
utilizza quale vertice di costruzione degli archi secondi α⁀β un punto
posizionato ad una distanza di 2/3 dal centro della circonferenza di raggio B1-A dell'arco primo
(Fig,2). Il resto della figura è costruito secondo il metodo sopra descritto.
Fig. 2 – l'ovoide di Santa Marra: A-B1 =
2/3 r
Fig. 3 – Santa Marra
***
Chiusa la necessaria parentesi, analizziamo
ora l'ovoide di Gremanu.
Alla
scoperta del metodo
Abbiamo scoperto che, diversamente dagli
esempi descritti: quello teorico di Fig.1 e quello reale di Santa Marra, questo
di Gremanu è stato costruito ponendo il vertice “C” dell'arco terzo lungo l'asse di simmetria, nel
punto medio del raggio di costruzione dell'arco primo (Fig. 4). Il
resto della figura è costruito secondo il metodo su esposto.
Fig. 4 – l'ovoide di Gremanu: AC = ½ r
Fig. 5 – L'ovoide di Fig. 4 si
sovrappone perfettamente al rilievo del complesso santuariale.[3]
Con questi due esempi reali abbiamo
inquadrato il “metodo”; questo è identico per i due casi ad eccezione
della posizione scelta per la costruzione degli archi secondi o dell'arco
terzo; posizione che varia con rapporto ben preciso: ⅓ di raggio per Santa
Marra e ½ di raggio per Gremanu nella definizione della parte acuminata
dell'ovoide. Naturalmente dal punto di vista antropologico, ma anche quello matematico, non si può andare oltre questi rapporti, che con tutta evidenza
sono legati a numeri con valenza simbolica: il 2 e il 3, rimarcando la natura divina una e bina in un caso, una e trina nell'altro caso. Se nella ricerca suddividessimo
oltremodo quel raggio, scemeremmo nell'ovvio e
troveremmo sicuramente, da 0 che tende a ∞, un sottomultiplo che si avvicini al dato cercato; ma ciò non avrebbe di certo alcun valore simbolico ed in ogni caso sarebbe mera speculazione alla ricerca di un qualsivoglia numero intero.
Reiterazione del metodo
Naturalmente due soli casi non bastano per
definire “metodo” quel modo di costruire la figura geometrica. E' necessario trovare altri
esempi che possano, nella sicura variatio, provare che si tratta di vero
e proprio “metodo”. In ragione di ciò portiamo altri due esempi con
variazione al “tema”: l'ovoide del recinto esterno del pozzo sacro di Santa
Cristina (che qui anticipiamo ma che studieremo in modo più approfondito in un
articolo ad esso dedicato) e l'ovoide del pozzo sacro di Santa Vittoria di
Serri (Figg. 6, 7, 8). Questi due recinti furono costruiti variando rispetto
agli esempi portati, il raggio dei due archi secondi, non con un sottomultiplo del raggio "r" ma portando i vertici B1 e B2 all'esterno del cerchio di base ad una distanza pari al raggio del cerchio stesso, individuando di fatto un arco secondo di raggio "3r".
Gli esempi portati ci sembrano
sufficienti per definire metodo la costruzione dell'ovoide in
ambito religioso, alla stregua della sicura non casualità di quattro
macigni posti su una circonferenza (vedi il circolo megalitico di Is Circuìttus). Se i numeri non
fossero sufficienti per convincere la comunità scientifica; comunque sia, pensiamo di aver
aperto una strada da indagare con buone prospettive di soddisfazione.
Fig. 6 – l'ovoide di Santa Cristina e di
Santa Vittoria di Serri
A-B1 = 2r
Fig. 8 – Il recinto sacro di Santa
Vittoria di Serri
Conclusioni
Per quanto fin qui esposto risulta chiaro
che la costruzione degli ovoidi, ma anche l'ovale del sito di Giorrè[4],
rispondono a criteri geometrici e matematici ben precisi, che mettono in
risalto un particolare dell'essenza divina (il glande) attraverso la forma
geometrica pura (l'ovoide), assoggettato a variazione secondo rapporti numerici
enfatizzanti, benché nascosti: la numerologia sacra del 2 e del
3. Numeri legati strettamente all'essenza divina. Il 2 è legato evidentemente
alla natura M/F della divinità; il 3 alla perfezione divina. Questo ci da modo di poter affermare con ragionevole
sicurezza che a Gremanu abbiamo la prova che l'ovoide non vuole alludere
al simbolismo dell'uovo ancestrale, che comunque dal punto di vista antropologico
potrebbe ben descrivere i sentimenti religiosi di quelle antiche genti; ma
vuole alludere con tutta evidenza al “glande” (dal latino glans
-andis, ossia “ghianda”); tanto da poter definire quella forma, nello
specifico: un “glandoide”;[5]
perché è quella la forma che si volle enfatizzare coerentemente ai sentimenti
religiosi di quelle genti.
Se il “glandoide”
è del tutto palese a Gremanu, possiamo ben dire (per relazione transitiva) che
anche a Santa Marra, a Santa Cristina e Santa Vittoria di Serri e chissà quanti
altri siti santuariali ancora nascosti, il significato sia identico; per via
della coerenza religiosa che vede nel fallo la divinità unica dalla potenza
taurina e nella sua testa lo strumento del potere (il potere della vita
evidentemente).
In sostanza
Gremanu[6]
potrebbe essere la chiave di lettura di tutta una serie di recinti sacri (e non solo) da
interpretare quale testa virile della divinità in un contesto salutifero legato
al culto dell'acqua.
Ma al di là dell'attribuzione della figura
ovoide/glandoide all'essenza divina in ambito nuragico, ci preme rimarcare il
dato del tutto eccezionale che ci
sembra di aver scoperto, che porta la civiltà nuragica all'apice delle
conoscenze nel campo della geometria ancor prima di Talete.[7]
[1] Vedi S. Angei - 2018 Il cerchio, l'ovoide,
le geometrie nuragiche e... il rito di fondazione http://maimoniblog.blogspot.com/2018/07/il-cerchio-lovoide-le-geometrie.html
[2] In sostanza nella costruzione dell'ovoide si
possono variare anche contemporaneamente i due parametri: il centro della
curva α⁀β
e il vertice “C” che genera l'arco D⁀E; ma il raggio di quest'ultimo deve stare necessariamente all'interno
della vesica piscis o coincidere, nel caso più estremo, con α, generando l'ovoide di Fig.A.
Fig.A
dove con tutta
evidenza i punti α, C, D ed E coincidono in un punto e l'arco D⁀E tende a zero. Naturalmente ci sono altri metodi di realizzazione dell'ovoide, ma questi si avvalgono di punti di costruzione degli archi che giacciono fuori dalle rette ortogonali B1-B2 e A-C. Per tanto si potrebbero costruire altri infiniti ovoidi.
[3] Naturalmente abbiamo eseguito delle
verifiche in loco per valutare l'affidabilità dell'immagine tratta da internet,
non certo per sfiducia nei confronti del professionista che rilevò il
complesso, quanto per la possibilità di distorsioni dell'immagine fotografica.
La verifica (puntini rossi) ha dimostrato la perfetta trasposizione delle misure
rilevate in loco.
[4]
S. Angei 2017 Giorrè tra geometria e astronomia
[5] Il neologismo è strettamente legato al tema.
Col termine “glandoide” si vuole descrivere una figura appartenente alla "sfera" del sacro che diversamente dall'ovoide, esprime in modo inequivocabile la
natura della divinità nuragica.
[6] In nuorese il termine “gremanu” significa
“germano”.
L'etimologia di “germano” viene dal latino “GER-MANUS” da
GERMEN germe, germoglio. Dal punto di vista linguistico “germano” e “gremanu”
sono aggettivi con suffisso in “ano” con significato di appartenenzaA; per tanto nel caso dei fratelli, sono
germani quelli che appartengono allo stesso germe (stesso padre e stessa
madre); evidentemente nel caso del sardo “gremanu”, questo ha il significato
toponomastico di luogo del (che appartiene al) germe ossia luogo dove si
enfatizza la vita; per tanto il toponimo è strettamente attinente a quel
complesso santuariale dove si svolgevano riti propiziatori legati all'acqua in
uno scenario contraddistinto dal connubio M-F divini. Maschio e Femmina
rappresentati dal fallo di 77 m di lunghezza e dalla vulva-pozzo sacro a monte di questo.
Il toponimo,
inoltre, potrebbe essere d'aiuto al rafforzamento della tesi del Prof. Mario
Alinei che vuole la lingua “Sarda” non figlia del latino ma ad essa sorella;
derivate entrambe dal medesimo ceppo più antico. Solo in questo modo si spiega
il termine “gremanu”, che evidentemente non deriva da incursioni “latine” nella
lingua sarda, data la lontananza temporale del luogo dall'influenza di Roma. Il
sito di Gremanu è datato al XV-IX secolo a.C. e non risulta frequentato dopo
quel periodoB. D'altronde il sito
fu oggetto dei primi interventi archeologici a partire dal 1989. Una verifica
effettuata sulle ortofoto della Regione Sardegna mette in risalto che nel
1977-1978 e tornando indietro al 1968, 1954-1955, il luogo non è in alcun modo
individuabile dall'alto. Questo particolare ci induce a pensare che la
conformazione che oggi noi vediamo distintamente è frutto degli scavi
archeologici che hanno riportato in luce il sito e per tanto nessuno prima di
allora poteva conoscere quella forma. Ci si domanda allora come mai quel nome
dal significato così attinente?! I casi sono due: frutto del caso (una cinquina
al lotto) oppure e frutto della memoria orale tramandata di generazione in
generazione.
Alcune guide archeologiche spiegano che il toponimo è dato dal
vicino Rio Gremanu; ma data la singolarità del luogo è più verosimile che il
rio abbia preso il nome già in antico dal complesso santuariale; e comunque,
derivare il nome del santuario dal nome del rio è ozioso escamotage per evitare qualsiasi altra spiegazione
semantica; col risultato, del tutto viziato, di perdere il significato del
termine, che attribuito al santuario e alla sua conformazione topografica ha
motivo valido e coerente, non certamente legato ad un rivo per il quale è
necessario lavorar di fantasia per cercare un aggancio linguistico pertinente.
I toponimi nascono in
tempi lontanissimi e rimangono stabili sfidando il tempo. Questa affermazione
non deve meravigliare; in ogni parte del mondo ciò accade e nessuna popolazione
è immune da questo principio toponomastico, facendo parte questo della natura e
del funzionamento del nostro cervello, che immagazzina il “conosciuto” (specialmente nei primi anni della
giovinezza) e lo rende quasi una reliquia da usare lì dove altro dato non aiuta
o non esiste. In “Storia dell'antica Grecia” di Andrew Robert Burn leggiamo: ”
Pochissimi antichi toponimi della Grecia appartengono alla lingua greca: fra i
numerosi nomi non greci, alcuni gruppi, specialmente quelli terminanti in
-nthos e -sos (anche scritti -ssos, con la variante -ttos in Attica),
richiamano quelli terminanti in -sa e -nda della Caria. Tra di essi rientrano
Knosòs, Amnisòs, Parnasòs, (Parnaso), Hymettòs, Làrisa, («luogo del re»?, nome di numerose fortezze),
Halikarnassòs e molti altri; Korintòs, Tiryns (accusativo di Tiryntha),
Olynthos, monte Kynthos (adelo), Lìndos, a Rodi, Alàbanda, Làbranda, patria di
un re guerriero, famoso per uso làbrys o ascia sacra (omisis); -nda è la più comune desinenza caria per i nomi
di località”C.
Dovrebbe far eccezione
proprio la Sardegna e in special modo in quei luoghi dove tutto è rimasto
immutato da tempi immemori?
In questo quadro toponomastico si inquadra il nome Gremanu.
Lo studio di
questo toponimo potrà sembrare superficiale agli addetti ai lavori, e potrebbe
pure esserlo se adducessi sterili motivazioni legate al semplice significato
del lemma; come del resto leggo in tante spiegazioni di nomi di luogo. La mia
interpretazione lega il significato del toponimo al sito, che in modo sintetico
vuole descrivere nelle sue caratteristiche essenziali; che siano esse palesi o
perse nel tempo come a Gremanu; e proprio perché a Gremanu si perse il sito di
riferimento di questo strano toponimo, che esso (il toponimo) può acquistare
valenza probatoria.
Nel Glossario
toponomastico e terminologico realizzato nell'ambito di SardegnaAmbiente
http://www.sardegnaambiente.it/documenti/3_43_20060526114722.pdf leggiamo alla voce GREMANU: “Centr. È un
aggettivale = lat. germanus,‘puro’, in relazione alle acque pure discendenti
dall’area sacra del Correboi. Dal lat. germen ‘sperma, principio’, deverbale di
gigno = genero”. Di certo il significato toponomastico qui spiegato non
allude al santuario nuragico di Gremanu, ma più in generale all'area sacra di
Correboi da dove sgorgano le acque del Gennargentu; senza alcun riferimento al
santuario. Il toponimo "Gremanu" viene lì associato senza alcun indugio al termine italiano
“germano” derivato dal latino; dando per scontato che il termine sardo abbia
sicuramente quel significato. Per contro non si può argomentare a favore di un
significato del termine Gremanu, inteso a comprendere tutte le acque del Gennargentu,
perché in tal caso tutte sarebbero “gremanu”, mentre invece il toponimo è
afferente solo ed esclusivamente quel particolare sito, che guarda caso è luogo
di un rito religioso che si svolgeva in un santuario di forma fallica.
Per quanto riguarda
il binomio: rito-toponimo; esso non è nuovo, visto che ritroviamo in vari
contesti l'attribuzione di un preciso appellativo che in modo conciso descrive
la natura del rito o lo stesso monumento.
Portiamo alcuni
esempi:
- Il pozzo sacro di Santa Anastasia di Sardara è attinente al
rito ierofanico lì celebratoD
- Il pozzo sacro di Santo Stefano di Irgoli è attinente alla
caratteristica architettonica del monumentoE
- Lo studio di recente pubblicazione: “Santu doxi, Santu Jaku,
Sant'Ephisi, Santu Baingiu, Santu Bachisiu, Santu Antine. PRIMA PARTE - Eh
Santu Giorre?! “F mette in
evidenza questo binomio in tantissimi luoghi sacri dedicati al culto dell'acqua
e della luce.
Un ultimo esempio
sarei indotto a portare, ma diamo tempo al tempo.
[A] Così sono costruiti tanti aggettivi sostantivati:
l'abitante di Roma è romano perché a quella città appartiene per
nascita. Nel caso dei fratelli germani essi appartengono allo stesso
germe (stesso padre e stessa madre). Nel caso di Gremanu invece, è il luogo ad
“appartenere”, nella sfera del sacro, al germe della vita che lì è stato
evocato mediante la costruzione di due monumenti enfatizzanti la duplice
valenza sessuale della divinità: santuario fallico e tempio a pozzo.
[B]Vedi F. Lo Schiavo – L'ambiente nuragico –
pagg.7 e 8 in: http://www.bibar.unisi.it/sites/www.bibar.unisi.it/files/testi/testiqds/q47/09.pdf
[C] Da: Andrew
Robert Burn, Storia dell'antica Grecia, Mondadori editore 1991.
[E] S. Angei 2016 http://maimoniblog.blogspot.com/search?q=santo+stefano
[F] S. Angei 2018 http://maimoniblog.blogspot.com/2018/09/santu-doxi-santu-jaku-santephisi-santu.html
[7] Erodoto fa risalire l'origine della
geometria al 1300 a.C. in Egitto; intendendo per geometria la misurazione dei
terreni, non certo per asserire che gli
egiziani sapessero costruire forme geometriche complesse come l'ovoide. Questa figura in ambito egizio possiamo individuarla nella forma del geroglifico “ankh”, che però più che ad
un ovoide assomiglia ad un seme (il seme della vita?); ossia una figura simile a quella rappresentata in Fig.A della nota (2) chiamato ovoide a foglia; ma in ogni caso
gli esempi egiziani si limitano ai geroglifici, dove per altro si nota
approssimazione sia di forma che di specularità, dettate più dall'esecuzione all'impronta
che da obbedienza al metodo.
Neanch’io, Sandro, sono un addetto ai lavori per giudicare il tuo approfondimento sul toponimo Gremanu (c’è un articolo nell’articolo, limitato alla nota 7 solo per nobile modestia); ma posso almeno dire di aver letto interpretazioni di toponimi che non mi sono sembrate più ricche e motivate.
RispondiEliminaDa studioso quale sempre più diventi della geometria (e, a questo punto, della storia della geometria) ci dici cose interessantissime e che danno profondità ulteriore alla civiltà sarda.
Gradirai, ne sono sicuro, un appunto: scrivi (il pronunciamento è finito nella didascalia di figura 5): “l'ovoide di Fig. 4 si sovrappone perfettamente al rilievo del complesso santuariale” (di Gremanu). Mi sorprende tu non abbia voluto (o ti sia sfuggito) dedicare un rigo a quanto nella figura 5 rendi invece evidente: l’oggettivamente non esatta corrispondenza, per quel che riguarda “l’arco primo”, tra il “glandoide” di Gremanu e l’ovoide di Fig. 4.
Non dico che la corrispondenza per il resto evidente non sia comunque significativa (anche se non escludo che qualcuno potrebbe impegnarsi a sostenerlo); né escludo, tantomeno, che quegli scostamenti fossero consapevoli e giustificati, anche se oggi per noi resterebbe in qualche misura aleatorio spiegarne i motivi.
A questo proposito, mi sembra si possa cogliere una qualche vicinanza tra gli scostamenti dal glandoide di Gremanu e quelli dall’ovoide (o glandoide anch’esso) di Santa Marra.
Sempre più spinoso, però, cercare di interpretarli, finché si tratti di associazioni libere intorno a glandoidi.
Francesco, la forma geometrica individuata a Gremanu, come negli altri siti non può essere perfetta, perché deve comunque essere nascosta. Nel corso dei miei studi ho capito che le manifestazioni della divinità devono essere sempre sfuggenti (in termini temporali) o nascoste se persistenti. Gremanu non fa eccezione. Il santuario benché sia di evidente forma fallica, è nascosto agli occhi di chi ad esso si avvicina; è necessario vederlo da un punto di vista privilegiato, quello di un uccello o, evidentemente, quello divino. Le immagini ierofaniche create ad arte da quelle genti, sono frutto di una particolare, se non complessa, architettura luminosa nascosta. Ne abbiamo l'esempio nel nuraghe Santa Barbara, dove l'immagine del toro la si vede solo ed esclusivamente dall'interno del nuraghe, il fedele che stava fuori dall'edificio non immaginava di certo che quella finestrella potesse restituire una immagine taurina tanto perfetta; e di certo non poteva immaginare che quella figura alla fine del suo percorso, scendendo dall'altare potesse trasformarsi in un fallo; e questo per via di una risega creata ad hoc nello spigolo del corridoio d'accesso alla camera (lo abbiamo studiato in un articolo se ben ricordi). Lo stesso discorso vale per la porta del sole di Murru mannu che definisce, in un preciso e sfuggente momento evolutivo, un triangolo equilatero pressoché perfetto realizzato con due particolari architettonici distanti parecchi metri l'uno dall'altro.
RispondiEliminaIn questo contesto vedo la forma ovoide nascosta che diventa palese allorché la si cerca. E la si deve cercare! Non è manifesta, perché essa è forma perfetta e la perfezione per quelle genti era prerogativa divina. Non di meno però ci hanno lasciato le tracce della loro sapienza. Avrebbero potuto realizzare ovoidi perfetti e tutti uguali o senza alcun criterio particolare (infiniti ovoidi), invece hanno realizzato degli ovoidi significativi; lasciando a noi l'onere di riscoprire la loro “Sapienza” che va ben oltre quello di cui qui stiamo trattando.
Quel che riconoscerete di imperfetto magnificherà la nostra perfezione.
RispondiEliminaBello, profondo, ma anche (per chi non si ponga in piena sintonia) un po’ apodittico; un po’ un anelito di veneranda insindacabilità.
Ma vai avanti, perché qualcosa (se non anche molto) resterà.
Certo che resterà! Non sono, quelle scoperte, figure casuali e non è un raccoglier di fiori unici.
RispondiEliminaResterà perché è evidente che quelle genti sapessero costruire forme geometriche complesse.
In linea teorica si potrebbe pure pensare che sapessero costruire l'ellisse, che dal punto di vista pratico è sicuramente più facile da realizzare rispetto all'ovale, ma non possiamo avallare questa ipotesi, perché dalla costruzione dell'ellisse non si può passare naturalmente alla costruzione dell'ovoide, mentre invece ciò è possibile attraverso l'ovale. Questo è il motivo che mi indusse fin dall'inizio a escludere la forma ellittica a favore dell'ovale, benché la differenza tra le due figure in termini pratici possa essere irrilevante.