di Francesco Masia
Una storia, con la esse minuscola (molto minuscola), per sa die
de sa Sardigna (che scorre mentre scrivo questa cornice).
Una storia il cui racconto posso semplicemente affidare a due
lettere che ho indirizzato a La Nuova Sardegna, la prima pubblicata il 15
Marzo, la seconda in attesa (forse) di pubblicazione. Tra le due lettere, il
vuoto.
La prima lettera.
Ci vorrebbe Nanni Loy, il regista sardo padre della candid
camera in Italia: riconosce questo sito archeologico? No, non lo riconosce
nessuno, tanto meno quelli che in quel pannello, nella rassegna di paesaggi
della Sardegna, lo hanno messo, nel lungo passaggio che a Città Mercato (Predda
Niedda, Sassari, ... Sassari città universitaria) conduce ai posteggi sotto il
centro commerciale.
Un "nuraghe" sullo sfondo, un cerchio di rovine megalitiche e al
centro, su una colonna squadrata, un masso parallelepidale posto a T; nessuno
può dire di aver visto questo posto in Sardegna, ma quasi tutti provano a
identificarlo nei siti che hanno visto o di cui conoscono il nome (è Santu
Antine ... è Barumini ... è Monte Prama ...), alcuni dubbiosi, altri più
sicuri.
Sarà lì da non so quante settimane, misura esatta della vergogna che tutti
(tutti lo stesso coinvolti, anche chi si sentisse assolto perché non c'è
passato) dovremmo provare per questo segno paradigmatico dell'ignoranza
profonda di noi stessi. E in una lettera al giornale non si può prendere lo
spazio che sarebbe necessario a declinare quanto di nefasto ciò stia a
rappresentare del nostro presente, di come ci siamo arrivati e di come
difficilmente potremo tirarcene fuori. Ora io so di quale sito si tratta (amici
coi quali mi sono confrontato sono stati capaci di sciogliere l'enigma), ma
preferisco non scriverlo qui a chiudere questa pagina imbarazzante. Spero, così,
rimanga almeno un attimo aperta, convinto che potrà farci solo del bene.