La rubrica di Maymoni

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sabato 21 marzo 2020

Museo Nazionale di Firenze. Il cane ‘calustla’ e il system funerario metagrafico etrusco alla luce delle nuove acquisizioni. Scrittura lineare e scrittura metagrafica. Protasi e apodosi. Il solito Sei ‘continuo’.


di Gigi Sanna
dedicato a Franco Pilloni scrittore e (ex) cacciatore 




















(In camminu s’accontzat su carrigu)

   Si dice che la lingua etrusca è ancora, per svariati motivi, un enigma e un 'rebus'. Ciò si sostiene, naturalmente, sulla base delle grosse difficoltà che insorgono nel cercare di capire di essa molti degli aspetti lessicali, morfologici e sintattici. In realtà, a mio parere, il 'rebus' sussiste e resiste nel tempo non 'solo' per motivi di carattere grammaticale e linguistico, ma anche e soprattutto perché si stenta a considerare un aspetto essenziale dell'etrusco: che la scrittura è criptica, cioè organizzata e strutturata di proposito con il rebus. E' realizzata per non essere capita se non da pochissimi.  Per tanto nella misura in cui si comprenderanno i meccanismi, spesso sofisticati, del rebus, posti di norma in essere dalle scuole scribali dei santuari, si comprenderà la lingua etrusca. Essi sono simili e spesso gli stessi usati dagli scribi dei templi greci e nuragici.  In particolare quelli inventati dagli scribi di questi ultimi.
   Sono trascorsi ormai tre anni (1) da quando per la prima volta, durante la ricerca sul metagrafico etrusco, impiegato per scopi funerari, si è cercato di dare una (provvisoria) interpretazione (2) della statuina in bronzo raffigurante un cagnetto rinvenuta (pare) in agro di Cortona, oggi custodita presso il Museo Nazionale di
Firenze.  Allora, sulla base del dato ideografico e dell’ipotesi che per via acrofonica greco -latina potesse essere celato nel codice un ‘apac atic’ (sia il padre che la madre, ovvero Tin e Uni) avevamo ‘tradotto’ la singolare scrittura, presente nel manufatto, con ‘ aiuto e del padre e della madre’.  Inoltre si era pensato che la scritta in caratteri etruschi S: CALUSTLA riportato sul fianco sinistro della bestiola indicasse il nome del proprietario dell’oggetto. Oggi sulla scorta della lettura e della interpretazione di un numero assai maggiore di documenti si è capito che in realtà il ‘documento’ cortonense possiede molto più di senso e che l’apac atic’, per quanto suggestivo e in nulla pregiudicante la corretta interpretazione generale (3), è da scartarsi in quanto l’acrofonia è data invece dalla voce ‘canis’ (oppure la voce greca kίων) che rende così la consonante C (il numero tre) che si sposa, verosimilmente, con l’acrofonia organica (4) di ‘cirratus’ (5). Invece il tre, sempre C etrusco, che è ideogramma numerale della luce, del ritmo ternario del sollevarsi, del distendersi e del curvare della luce sia solare che lunare, si unisce al segno del tre inciso (v. i tre puntini alla fig. seg.), non certo a caso, tra il collo e la zampa sinistra del cagnetto. 
 
Si ha dunque:
canis (kίων)  -  cirrata (C C)
tre -tre (C C
   Il doppio CC (il doppio tre) però ripetuto due volte, per motivi legati al magico (alla presenza continua del numero magico ‘sei’ (doppia luce /TIN/UNI) non è possibile. L’etrusco nel suo system funerario, come dimostrano i documenti, lo scarta e ripete il sei più volte a partire dal tre (6).
Dal momento che la statuina di per sé non sembra offrire né ideograficamente, né numerologicamente né acrofonicamente altri doppi ‘tre’ (doppio CC) sorge il sospetto che esso sia presente nella scritta, per nulla chiara linguisticamente, apposta sul bronzo. Proviamo ad analizzarla.
Essa si compone, considerando anche la puntuazione, di 10 segni. Numero che ovviamente non interessa il numero SEI, il ‘doppio tre’. Ma anche se dovessimo non calcolare il segno di puntuazione avremmo nove segni che per nulla potranno interessare il detto ‘doppio tre’. Proviamo allora di capire la scritta dal punto di vista del significato linguistico inserendola nel chiaro contesto del cane in ferma, cercando di vedere se e cosa ha a che fare con esso. Partiamo dal segmento consonantico vocalico ‘CALV’ e ipotizziamo che esso sia il greco καλῶ(7) che significa ‘chiamo, avverto, richiamo, attiro l’attenzione’. La voce sembra riferirsi all’atteggiamento del cane in ferma che ‘chiama, avverte’ il padrone. Procediamo quindi, cercando di capire l’unica consonante che precede il καλῶ, il segno ‘S’ della sibilante dell’alfabeto etrusco, e le quattro lettere (STLA) che lo seguono. Scartando l’ipotesi che ci troviamo di fronte al nome del proprietario (8), pensiamo invece alla possibilità che l’incisore della scritta l’abbia volutamente rendere enigmatica adoperando non una sola lingua ma tre in mix (9). Pensiamo alla possibilità che abbia quindi, per dare la magia al manufatto, usato altre due lingue oltre a quella che abbiamo individuato e cioè quella greca. Restano ovviamente l’etrusco e il latino. Se intendiamo la ‘S’ seguita dalla vocale ‘I’ avremo ‘SI CALV (se avverto). Se, sempre su base vocalica, intendiamo la sequenza STLA come ‘SETLA’ derivata a sua volta da S(E)T(E)LA, la intendiamo voce etrusca rispetto a quelle latina e greca’ possiamo pensare che essa significhi, su base radicale SIT/SET + LA, il ‘fissa’ dell’atteggiamento di ‘ferma’ (10).  Il senso della scritta in caratteri lineari sarebbe allora ‘Se avverto in ferma)…, significato ovviamente monco perché la frase condizionale, con la sola protasi, si completa ovviamente con una apodosi. Resta allora solo da pensare che la scritta in caratteri lineari si completi con la scritta metagrafica di cui già sappiamo circa i due tre (C C). Questa potrebbe avere il verbo suggerito dal cane, che fungerebbe da ideogramma per dire’ aiuto’ perché il cane aiuta il padrone, il cacciatore, a individuare ciò che sta nascosto, che c’è ma non si vede (11). Aggiungiamo allora questa voce e la coppia dei due tre (C C) alla protasi. Si ha:  SI CALU SETLA aiuto (12) CC (la doppia luce) CC (la doppia luce) e cioè ‘se avverto in ferma sono d’aiuto alla doppia luce, doppia luce. Espressione che si muta in ‘ Se avverto in ferma aiuto la doppia luce continua’. Ultima parola che si ottiene dal e per il fatto che l’espressione in caratteri lineari si compone di tre parole espresse in tre lingue diverse. E’ questo il doppio tre (CC) nascosto che cercavamo per unirlo agli altri due. Esso, una volta individuato, consente di alludere ad una ripetitività (13):
 canis  -  cirrata (C C)
 tre (ideogramma astrale: sollevarsi - distendere - curvare) - tre (numerale, i tre puntini) (C C)
 tre (lingue) - tre (parole) CC
     Il bellissimo bronzetto quindi, al di là del 'decus' (ornamento) assume, in modo del tutto originale,  lo scopo fondamentale di offrire una scrittura formulare nascosta, così come tantissimi oggetti del culto funerario etrusco; ha lo scopo di ripetere, più volte, il numero magico della luce, numero che se si nota è 'scritto' in modo totalizzante. Infatti la stessa ripetizione del SEI non è riportata a caso ma tre volte. Senza contare che la stessa scrittura metagrafica è improntata alla realizzazione del ‘tre’ sia con il ricorso alla acrofonia, all’ideografia e alla numerologia sia con l’uso delle tre lingue (greca -latina -etrusca). Insomma, tutto è pianificato per essere rigorosamente tre, numero onnipresente, ossessivo che investe magicamente e rende sacro tutto il manufatto che così diventa un certificato di luce, una garanzia assoluta che l’aiuto divino consentirà la rinascita del defunto (14).
   Resta da dire di un particolare, quello del ‘mostruoso’ sesso, tanto grande che sembra quasi essere messo a contrasto con la piccolezza e la statura della bestiola, così da suscitare un senso di avversione per la manifesta ridicola ‘esagerazione’. Questo aspetto indubbio dei bronzetti ora ridicoli ora grotteschi ora osceni è caratteristico anche della piccola statuaria nuragica e pitica (15). Ad esso va data, in qualche modo, una spiegazione, perché è evidente che gli artisti scribi nuragici (16), quelli pitici e quelli etruschi non raffiguravano piccole opere d’arte improntate a ‘crudo’ realismo o ad altro che si possa pensare con mentalità moderna o contemporanea. La spiegazione va ricercata, a nostro parere, in ciò che si è detto circa la kylix  del museo di Berlino contenente la raffigurazione dell’etera urinante (17), cioè con il ricorso al ‘repellente’ al fine di  distogliere lo sguardo da una osservazione troppo puntuale circa il contenuto. Un accorgimento contro il ‘malocchio’ nel caso del tentativo di ‘leggere’ e rendere vano il contenuto positivo del talismano.
   Se poi si volesse dare comunque un significato linguistico ideografico anche alla raffigurazione ‘mostruosa’ del sesso del cane, essa si può tradurre in ‘eccitazione’. E il senso della scritta varierebbe leggermente nella protasi: ‘Se in eccitazione chiamo in ferma/ aiuto la doppia luce continua (Tin/Uni)’.                        

Conclusioni

  Il cane di Cortona è un oggetto funerario, uno dei tanti, di cui l'etrusco si serve per realizzare la formula salvifica dell'aiuto delle divinità della luce, Tin e Uni, perché il defunto possa scansare i pericoli nel suo viaggio verso l'aldilà. La novità assoluta del bronzetto consiste nell'uso particolare della scrittura che non è solo metagrafica a rebus ma anche lineare a rebus. Le due scritture si aiutano a vicenda per rendere una frase condizionale di senso compiuto criptata dove la scrittura lineare rende la protasi e quella metagrafica l'apodosi. E' inutile dire che ci rendiamo ben conto della portata di questa constatazione ai fini della comprensione delle scritte etrusche con il mix delle 'tre' lingue per evitare una facile comprensione del testo. Risulta evidente che difficilmente il mix della scrittura nel lineare può costituire un'eccezione, cioè si trovi in questo unico documento. Possono essere altri i testi in mix linguistico. Del resto, sulla presenza di questo mix trilingue ci siamo già pronunciati a proposito dei documenti 'etruschi' di Allai in Sardegna rinvenuti quasi trent'anni fa e ritenuti, a torto, dei falsi (18). Alcuni di essi mostrano in modo inconfutabile un testo organizzato con l'uso del latino, del greco e dell'etrusco (19). Espediente questo noto nel nuragico dove non poche iscrizioni, si presentano chiaramente trilingui (20)

Note ed indicazioni bibliografiche

1.https://maimoniblog.blogspot.com/2017/04/uno-spettacolare-system-etrusco-di_11.html
2. Va da sé che il metagrafico, in quanto scrittura crittata, non di rado resa ostica e quasi inafferrabile, non si presta a vere e proprie ‘traduzioni’. Il mix di ideografia, numerologia e acrofonia non consente sempre di ‘comprehēndere’ sino in fondo.  All’inizio è stato difficile far breccia sul system funerario e sull’articolazione ‘normativa’ di esso che fa sì che nella variazione notevolissima e continua delle raffigurazioni si celi comunque sempre lo stesso linguaggio formulare. 
3. Ciò diciamo perché lo ‘Apac Atic’ nel tentativo iniziale di ‘interpretazione’ del codice funerario ci sembrava pertinente dal punto di vista numerologico (C C ) perché rendeva il SEI, numero questo che risultava da subito esistente, anche se nascosto,  per indicare la divinità Solare/  Lunare e cioè Tin/ Uni. La stessa comparazione con il nuragico (e con il neolitico ideografico delle domus ipogeiche, di cui si dirà), con i documenti ‘etruschi’ di Allai, ritenuti assurdamente dei falsi, spronava a cercare (e ancora sprona) e individuare in quali modi il numero magico veniva espresso.   
4. Sarà bene far presente e ripetere che l’acrofonia C C (difficile da capire talvolta nella sua realizzazione su base linguistica) deve sempre essere organica e riguardare una coppia  di ‘cose’ in relazione manifesta tra loro. Per esempio, è nota la presenza ossessiva nei sarcofaghi della ‘patna’. La frequenza realizzativa dell’oggetto funerario per la libagione  trova spiegazione  nel fatto che esso si compone di una circonferenza e di un centro (sempre presente) che rende comodamente in acrofonia (sia greca che latina) la sequenza C C riguardante il sei della divinità astrale.  Per ‘organicità’ delle sequenze si veda, tra gli altri oggetti con il system funerario da noi studiato, il recente nostro contributo https://maimoniblog.blogspot.com/2020/02/altes-museum-di-berlino-una-kylix-di_12.html

5. Il ‘cirrus’ (boccolo, ricciolo) è particolarmente espresso nella raffigurazione metagrafica etrusca per rendere la ‘C’ acrofonica. Si veda ad esempio il famoso sarcofago di Larthia Seianti  di Chiusi. 
6. Talvolta la ripetizione non c’è e quindi non c’è l’ideogramma della ‘continuità’. Nel corpo della nota Hydria (manufatto che io considero tutto scritto nell’apparente sola decorazione) contenente la scena dell’accecamento di Polifemo (fig. seg.)  il sei (C C) appare riportato una volta sola (κΰκλωψ + il solito ‘sollevare, distendere e curvare). Molte volte la ripetizione è data in numero di sei volte onde rendere magicamente tutto continuo con il numero delle due divinità astrali Tin e Uni. 

 
7.  Come si sa sono tutt’altro che infrequenti le voci del lessico etrusco che gli etruscologi fanno risalire al greco (o al latino). Esse naturalmente vengono etruschizzate dal punto di vista fonetico e quindi, il nostro CALV con la ‘V’ finale può essere stato tranquillamente  non riportato con l’omega, suono vocalico che l’etrusco non ha e che trasforma regolarmente in ‘V’.  καλῶ > calu. 
8. Si è pensato che l'antroponimo Calustla potesse condurre alla divinità Calu, un demone raffigurato nell’iconografia etrusca in guisa di lupo (associato quindi al momento del passaggio del defunto verso l’aldilà). Sempre la voce Calu si riscontra in alcune iscrizioni etrusche  orvietane (TINIA CALUSNA). E si è pensato ancora che il suffisso sarebbe composto da ‘S’ (genitivo) + ‘TLA’ (forma aggettivale). E infine si è ipotizzato che l’enigmatica ‘S’ isolata e distinta dalla puntuazione potesse celare l’abbreviazione del nome SETHRE. Le suddette ipotesi sono state fatte nostre nel precedente iniziale breve intervento ermeneutico sul cagnetto cortonese.
9. Sul mix sia nuragico che etrusco si vedano, tra gli altri nostri non pochi contributi,
10.  La voce S(E)TLA ovviamente non può non richiamare il nome che si dà al tipo di cane qui raffigurato ovvero quello di ‘setter’. Infatti, il setter attua di norma la ferma nel modo in cui è raffigurato il nostro cagnetto: muso leggermente sollevato, zampa protesa in avanti e più o meno piegata all’interno, posizione del corpo o leggermente abbassato verso le zampe posteriori  (come in questo caso) o seduto o sdraiato (si tenga presente che SETLA non è aggettivo ma sostantivo e indica l'aspetto del cane che sta in 'ferma', manifestandolo con tutte le parti del corpo).  Lo stesso pelo lungo ‘cirratus’ e non corto porta a rafforzare l’ipotesi che qui si sia di fronte ad un cane setter e contemporaneamente a ritenere plausibile che la sequenza ‘STLA’ abbia a che fare con la radice indoeuropea ‘SET/SIT  (lat. sedeo /sido, ingl. to sit, ted. setzen). Ci sono alcuni che fanno derivare la razza ‘setter’ dalla ‘spaniel’. Dalla Spagna poi il setter sarebbe passato in Francia e da qui in Inghilterra. La testimonianza etrusca (sempre che la nostra ipotesi su STLA sia giusta) potrebbe però giocare a favore di un luogo d’origine italica e non spagnola della razza.
11.  Il nascosto sotto ferma del cane allude al ‘negativo’ nascosto, al pericolo che corre il possessore del talismano se il cane non avvertirà e darà l’aiuto a Tin e Uni (la doppia luce) per poterlo scansare ed annullare.
12. Il termine etrusco per indicare ‘aiuto’ ovviamente non l’abbiamo. Ma poco importa perché si sa che la scrittura per ideogrammi prescinde da una lingua specifica. E' universale. Si può ‘tradurre’ in tutte le lingue senza detrimento alcuno per il senso.
13. V. anche nota 6. In altri numerosi documenti, dove il 'Sei' è ripetuto in tutto sei volte, l'espressione sarebbe: 'se chiamo in ferma aiuto il Sei continuo Sei'. Ci sembra di capire che viene precisato che quel 'Sei', la 'doppia luce' rimane continuamente 'Sei', sempre all'infinito Sei, mai mutevole nel suo  perfetto ritmo astrale eterno. Una sfumatura di non poco conto.    
14. https://maimoniblog.blogspot.com/2019/05/perugia-ipogeo-dei-volumni-scrittura.html
15. V. Lilliu G., 2008, Sculture della Sardegna nuragica (ried. dell’opera del 1966,Introd. di A. Moravetti), p.324, n.139; p. 328, n.142; p. 344, n.154; p. 345, n.155; p.346, n.156; p. 349, n.159; p.379,n.183; p.382, n.185, ecc. Sull’osceno ed il grottesco nella raffigurazione riguardante gli ἀναθήματα del santuario dell’Apollo pitico, si veda Sanna G., 2007, I segni del Lossia Cacciatore. Le lettere ambigue di Apollo e l’alfabeto protogreco di Pito, S’Alvure ed. Oristano, ΑΝΑΘΗΜΑΤΑ 4, pp. 423 - 431.
16.  Si ricordi che per noi i bronzetti nuragici non costituiscono degli ‘ex voto’ come li reputa Giovanni Lilliu (Sculture della Sardegna nuragica,cit.passim) ma ‘certificati’ magici apotropaici infissi nella ‘tabulae defixionis'. 
18. Su detti documenti, rinvenuti dal cartografo della Regione Autonoma Sarda Armando Saba, si è scatenata da subito una durissima  opposizione preconcetta da parte delle Sovrintendenze sarde, senza valide basi di scientificità, se non il solo 'parere' dell'etruscologo M. Rendeli dell'Università di Sassari. Opposizione sfociata addirittura in una assurda denuncia per falso nei confronti del Saba, poi assolto dal tribunale di Oristano per non aver commesso il fatto (sulla poco esaltante vicenda v. Masia F., 2016, Scrittura nuragica? Storia, problemi e considerazioni, Condaghes ed. Cagliari, pp. 62 - 66).  A nulla è valso il nostro fermo parere (anche in fase dibattimentale in qualità di periti)  sulla loro genuinità; parere basato principalmente sul fatto che diversi dei documenti, già a primo acchito, mostravano di spiegare, con la loro forma ed i contenuti, alcuni aspetti presenti nei documenti etruschi d'Etruria. Oggi che abbiamo capito non poco della scrittura metagrafica etrusca con le due impensabili CC acrofoniche, ossessivamente presenti dappertutto, negli oggetti, nei coperchi e nelle casse dei sarcofaghi, nelle raffigurazioni delle pareti tombali ecc., i 'ciottoli' di Allai (talora chiamati così sprezzantemente) aspettano d'essere onestamente rivisitati con una perizia in laboratori scientifici (valida questa soprattutto per i documenti in ceramica) e considerati attentamente nel loro grande valore documentario.
19. V. fig. seg: CC 3 M(A) VLTEC CC TINETIC  (trad. lett.: le due CC con tre 'ma' salutate e le due CC  onorate anche'
















20. https://monteprama.blogspot.com/2014/12/scrittura-nuragica-gli-etruschi-allievi_10.html
























2 commenti:

  1. Per quanto mi è dato di capire, la formula salvifica si completa con la parte acrofonica (spiegata nella prima parte dello studio pubblicato l'11 aprile 2017), dalla quale si ricava la natura divina “padre e madre”; che per tanto dovrebbe recitare:
    Se in eccitazione, chiamo in ferma/ aiuto la doppia luce continua del padre e della madre.

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  2. Sì, ma(come dico nel saggio) pur non cambiando il senso oggi preferisco dire il 'doppio luminoso continuo'. E' 'linguisticamente' più corretto perché aderente al testo. Oggi dubito un po' che vi possa essere espresso 'e padre e madre': troppo 'macchinoso' per come l'ho ricavato.

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