mercoledì 12 febbraio 2020

Altes Museum di Berlino. Una kylix di ispirazione pittorica formale greca ma con system funerario metagrafico etrusco. Ancora sulla ‘protezione’, sul ‘sostegno’, sulla ‘stabilità’ del doppio sei (la doppia luce) continuo salvifico. L’osceno e il repellente contro il malocchio?


di gigi sanna   




    L’immagine si trova dipinta in una kylix (κύλιξ) di tipologia ‘foundry painter’ (1) a figure rosse ed è datata 480 a.C.  Custodita in un museo di Berlino come soggetto riporta una ‘ethaera urinating into  a skyphos’ (2)

   A darne un’interpretazione immediata e superficiale si tratterebbe di una raffigurazione oscena se non  grottesca, giustificabile forse con l’uso scherzoso della κύλιξ, contenitore atto all’uso del vino, particolarmente durante la fase di allegria (3) nei simposi. Secondo noi però il soggetto espresso nella κύλιξ va inteso in senso esoterico apotropaico perché esso denuncia, da certi particolari (4), l’intento di comunicare ideograficamente tre ‘concetti’: quello della ‘protezione’ (5), quello del ‘sostegno’ e infine quello della ‘stabilità’. Infatti, la prostituta, completamente nuda (6), ha i capelli ‘protetti’ da una retina (κεκρύφαλος). I suoi calzari (calcei, gr. κάλκιοι ) sono appesi, ‘sostenuti ‘ da un chiodo (clavus), mentre alla sua destra sempre un clavus (7) ‘sostiene’ un panno per asciugarsi e pulirsi (καταμάγειον). La donna è raffigurata nell’atto dell’orinare in un vaso (κάδος) facendo forza per la ‘stabilità’ sia arcuando le gambe sia ponendo entrambe le mani sulle cosce.



    Le idee trasmesse sono dunque quelle, identiche o simili, che ormai abbiamo visto tante volte nei nostri commenti sui ‘documenti’ metagrafici e che fanno parte della formula con la quale, nel system funerario, si ‘certifica’ (8), in modo crittato e magico, l’aiuto della divinità per poter raggiungere, evitando i pericoli del viaggio sotterraneo, il mondo della luce. Per la rinascita, senza l’aiuto della magia e dell’intervento divino, il percorso è molto difficile se non proibitivo. Abbiamo visto inoltre che la divinità soccorritrice è quella doppia luminosa Tin/Uni, divinità di cui, di norma, non si fa il nome e che pertanto è rappresentata nascostamente dalle lettere C C, ovvero dal segno del ‘tre’ (terza lettera dell’alfabeto), ideogramma del ritmo ternario della luce (9) sia di Tin (Sole) che di Uni (Luna).

La lettura quindi dà, inizialmente: Doppia protezione, doppio sostegno, doppia stabilità. Infatti, se si osserva bene la protezione la si suggerisce doppia in quanto il κεκρύφαλος protegge sia davanti che dietro la chioma della donna; come doppio è il sostegno che riguarda sia il panno per asciugare alla sua destra sia il calceus (10) alla sua sinistra, doppia infine è la stabilità (sicurezza) ottenuta con l’azione combinata delle gambe e delle mani su di esse. Naturalmente se ci chiediamo a chi mai debbano essere riferiti quei ‘tre’ requisiti, la risposta, ancora una volta, dobbiamo cercarla nel codice metagrafico che contempla ‘anche’ l’uso dell’acrofonia per ottenere le (solite) due lettere che rendono il doppio motivo a ‘CC’ di cui si è detto. Essa acrofonia però - sarà bene il ricordarlo e il rimarcarlo – non è arbitraria (11) perché le voci che la realizzano devono essere ‘accostate’ in palese relazione organica:  

    Κεκρύφαλος – κώμη (retina - capelli)

    clavus – καταμάγειον (chiodo - panno)

    clavus – calceus (chiodo - scarpa)

    cunnus – caesa (vulva - taglio cesareo della prost.)

    κάδος – καταμιγέουσα (vaso - prost. orinante)

    crura - χεῖρες (gambe - mani) (12)

     Quindi avremo: Doppia protezione, doppio sostegno, doppia forza del SEI (CC = 3 3) continuo. Interpretando anche la ‘greca’(13), ovvero la 'decorazione' che circonda e abbraccia la raffigurazione  presente nel centro della κύλιξ, otterremo:

     Continuum (continuità) della doppia protezione, del doppio sostegno, della doppia stabilità del SEI (doppia luce) continuo (v. fig. con la grafica della reiterazione del SEI ovvero CC).

 

    Applicando la formula, la κύλιξ dunque, come tanti (tutti?) oggetti funerari, sembra riportare ben altro di senso rispetto a quello che agli occhi offre la mera apparenza. Riporta non l’accessorio ma ciò che deve ritenersi fondamentale (la scrittura criptata) in un corredo tombale in quanto attinente a ciò che più preme all’uomo etrusco che fa ‘il tuffo nel profondo’ e cioè alla salvezza nella luce attraverso il vigore della luce stessa.

   Ci rimane da dire del perché il pittore vasaio abbia scelto, per la realizzazione della formula salvifica, un soggetto così particolare, perché decisamente osceno e disgustoso, sul piano raffigurativo. Io ritengo che una risposta di una certa attendibilità possa essere data; anche sulla scorta della produzione di simili o uguali categorie di oggetti nuragici, con uguali fini apotropaici (v. figg. segg.), che manifestamente risultano repellenti, in quanto ostentano (14) espressività affatto gradevole alla vista comune.  

         

   La risposta forse sta tutta nella elaborazione e produzione del magico, nella σοφία che presiede a questa - non si dimentichi- assai approfondita e specifica disciplina scientifica (15) dell’antichità, dove l’osservazione empirica dettava spesso le norme per la più corretta efficacia di esso. Infatti, nell’osservazione si constatava la diversità di comportamento per coloro che guardavano un oggetto bello e armonioso  e uno brutto e deforme. La reazione solita per il bello è quella di indugiare con l’attenzione e di fissare l’occhio su di esso. Viceversa la reazione per il brutto (il ridicolo, il grottesco, l’osceno, il deforme) è quella opposta, di allontanare l’occhio e di far sì che non si protragga  più di tanto l’attenzione. Può essere dunque che ai fini magici un soggetto realizzato scientemente brutto fosse considerato più efficace di uno bello onde evitare il malocchio. Se poi il soggetto ‘brutto’ riportava ‘scrittura’ crittata, cioè un codice segreto di forte magia, era possibile evitare del tutto, già in partenza, la sua decifrazione, sull’impossibilità della quale consisteva la forza del respingere l’invidēre del malus. Nel nostro caso l’oscenità oggettiva, data da una etera mostrata crudamente orinante, costituiva già di per sé un ostacolo per non immaginare niente di altro e niente di ‘oltre’ la scostante, disgustosa, raffigurazione.       

Note, illustrazioni ed indicazioni bibliografiche

1 ‘Il pittore della fonderia’. Il vaso è custodito nell’Altes Museum di Berlino.
2 Così nella didascalia del museo tedesco. In realtà si tratta più propriamente, come dimostra l’acrofonia, di un ‘κάδος’ (ebr. כד, lat. cadus) ovvero, per tipologia di un κρατήρ, di un ‘secchio’ per orinare. V. più avanti.  
3 V. in particolare la scena del simposio della tomba di Paestum (la famosissima ‘tomba del tuffatore’) dove alcuni degli allegri simposiasti sdraiati sulle κλίναι si dilettano con il gioco del ‘κότταβος’.
 
4 L’abitudine alla lettura metagrafica a rebus porta l’occhio ad individuare i particolari ‘topici’, ovvero quelli non originali e ricercati ma ‘comodamente’ ripetuti dal pittore (o dallo scultore) per ricavare un determinato senso. Per esempio, un certo tipo di retina (κεκρύφαλος) o di cuffia che avvolge e copre i capelli doppiamente (al di sopra sulla fronte e al di sotto verso il collo), offre costantemente il valore ideografico di ‘doppia protezione’.E’ questo un topos iconografico costante dei piattelli funerari di tipo cosiddetto ‘genucilia’ ( fig. 1) ma ricorre anche nella danza (fig. 2).
    
5 Stando all’iconografia generale da noi esaminata non v’è un ‘ordine’ prestabilito riguardo alle ‘garanzie’ e le ‘modalità’ di intervento della divinità luminosa. Per esempio, nella scena di 'ascensione' riportata nella cassa del sarcofago dell’ipogeo dei Volumnii, la lettura (che procede dal centro e dal basso verso l’alto) prima ideograficamente registra il doppio sostegno, poi la doppia protezione ed infine la doppia forza: 

6 Per l’artista che progetta il metagrafico, il ‘nudo’ è assai comodo al fine di mettere in evidenza, con certi particolari (spesso assai curiosi),  ciò che va incluso e ciò che va escluso quanto a senso. In questo specifico caso è il particolare della vulva, a cui si ‘aggiunge’ e si accompagna il ‘taglio’ (cesareo), che consente di individuare e di affiancare le due acrofonie organiche (cunnus + caesa). Senza quel vistoso dettaglio, osservabile per e solo nella nudità, non si avrebbe una delle sei acrofonie accostate organiche presenti nel dipinto. Si tenga presente che il ‘continuum’ delle acrofonie realizzato ripetutamente in numero di sei volte ha solo scopo magico (rendere nascostamente e con coerenza ‘tutto’ sei) e va trascurato nella lettura.
7 Il ‘clavus’ + oggetto appeso sembra essere un altro topos comodo dell’iconografia etrusca per usare l’acrofonia e ‘cospargere’ così del sei acrofonico e del suo significato (doppia luce: sole/luna, Tin/Uni) una tomba, un sarcofago, un dipinto. Nella tomba cosiddetta dei ‘rilievi dipinti’ di Cerveteri (v. fig. seg.) non solo la raffigurazione delle doppie colonne (columnae, κίωνες) e dei doppi cuscini (cervicalia) ma anche la reiterazione del clavus, abbinato ad un certo oggetto, è espediente che serve per arricchire e ‘riempire’ nascostamente il buio ambiente funerario della espressione apotropaica ‘doppia luce’. Siamo tanto convinti di ciò che riteniamo che con una ricerca filologica puntuale sul lessico degli oggetti singoli appesi che si accompagnano al clavus, si avrebbe la certezza che nei pilastri della suddetta tomba quella particolare ‘decorazione’ obbedisce soprattutto all’intento di creare scrittura crittata (la doppia acrofonia: CC). In uno dei pilastri  (quello riportante vistosamente, non certo a caso, in basso il ‘canis’ con la curiosa  ‘cauda’ a ‘C’ perfetta), sembra confermarsi con immediatezza che il clavus si accompagna costantemente a voci inizianti per ‘C’: alla κρεμάστρα (corda, fune che pende da un gancio), alla κρεοδείρα (coltello da macellaio), al κύπελλον (boccale, vaso), al κάμαξ (bastone), e così via.
     
8 Abbiamo detto altrove che il system funerario si basa su ‘oggetti’ che fungono, magicamente articolati, da petizioni o da invocazioni per l’aiuto delle divinità luminose TIN/UNI. In un certo qual modo però essi possono apparire anche come dei ‘certificati’ di garanzia perché le cose (il viaggio dei defunti) possano andare come ‘devono’ andare, in virtù della forza loro segreta. La formula magica, per nulla decifrabile, ovvero la scrittura crittata, pone al riparo il defunto perché tutto avvenga in sicurezza e nulla possa accadere di ‘negativo’. In particolare il ricorso al lusus acrofonico, reiterato con accortezza, diventa, per chi non sa della 'singolare' scrittura, un baluardo difficilissimo da superare. Infatti, se difficilissimo forse non è cogliere l’aspetto della scrittura ideografica, come difficilissimo non è cogliere l’aspetto numerico (dati i numeri magici talora ‘scoperti’), difficilissimo invece è, senza la conoscenza precisa del codice, capire che il nome della divinità  (che sostiene e che vigorosamente protegge) si trova così astrattamente specificato.           
9 Questo ritmo naturalistico lo abbiamo mostrato graficamente (v. fig. seg.), per comodità, più volte nei nostri saggi. 
Il ritmico fenomeno celeste umanizzato diventa spesso, nei dipinti vascolari, in quelli parietali tombali e nelle urne funerarie (sarcofaghi), metaforicamente ‘danza’ (v. nell’ordine figg. segg).

   

10 Il calceus potrebbe essere, per eguale acrofonia, il gr. Kάλκιος.
11https://maimoniblog.blogspot.com/search?q=gigi+sanna+sarcofago
12 Sulle ‘norme’ non semplici e cogenti che guidano l’uso dell’acrofonia a scopo funerario abbiamo detto più volte. Sembra di capire qui, dal ricorso alle voci greche per le mani e di quelle latine per le gambe, che l’acrofonia non esclude il mix. Fondamentale  sembra essere  il salvaguardare magicamente il ‘tre’ con l’impiego acrofonico delle tre lingue in uso in Etruria (etrusco, greco e latino). Si ricordi che in etrusco χ = κ. Quindi può essere che la velare sorda etrusca, nella fonetica etrusca, sia  considerata 'trina' perché include e rappresenta anche quella sonora (G) e quella aspirata (CHI).  
13 Anche sul ‘quanto’ e sul limite del ‘dove’ si possa (o si debba) trovare senso per la particolare scrittura metagrafica è difficile  dire, per ora, con assoluta certezza. Il fatto è però che in etrusco (così come nel nuragico e prima ancora nel neolitico sardo degli ideogrammi parietali tombali) il segno ripetuto ha, con ogni probabilità, sicuro valore ideografico della continuità. Non è solo la frequente ’onda corrente (ripetuta)' che esprime il concetto del ‘continuum’, ma anche un motivo ‘floreale’ (o altro di variamente ‘decorativo’) ripetuto.
14. Cfr. Lilliu, 2008, Sculture della Sardegna nuragica (ried. del saggio del 1966), p. 328, n. 142; p. 349, n.159; p. 381, n. 185; p.377. n.183.
15. La documentazione su fonti dirette ovvero la testimonianza di ‘trattati’ circa la magia manca sia per l’età nuragica che per quella etrusca. Ma non è azzardato ipotizzare un’intensa attività scribale, soprattutto etrusca (famosa - come si sa - per la ‘scienza’ della divinazione), impegnata nella trascrizione di formule, di numeri, di situazioni stabiliti in lingue di tempi antichi. Noi siamo però del parere che gli Etruschi abbiano appreso tanto della loro estispicina non direttamente dall’oriente, come si è portati a pensare, ma dalla ‘superstizione’ dei sardi nuragici i quali a loro volta la appresero da coloro che dalle terre di Canaan, alla fine della prima metà del secondo millennio a.C., portarono la scrittura in Sardegna, anch’essa considerata, forse per l’aspetto misterioso e per la sua vasta e sempre ‘misteriosa’ applicabilità, ‘prodotto’ magico. Le pratiche divinatorie e magiche erano molto applicate, secondo 'scienza', soprattutto in Mesopotamia (si veda in part. Oppenheim O. L.,1980, L’antica Mesopotamia. Ritratto di una civiltà, Newton Compton ed., IV, La religione, pp.155 - 208). 

      

  

      

   

4 commenti:

  1. Come ho scritto in Fb, anch’io sono rimasto stupito che il tuo post abbia, sino a questa mattina, raccolto meno di 200 visualizzazioni, in considerazione dell’importanza e della singolarità dell’argomento.
    Ho letto tra i primi questo post e avevo intenzione di fare un commento che però avrebbe spostato l’interesse, ed è per questo che non ho voluto essere il primo a commentare.
    Adesso, già che ci sono, riporto un ricordo di bambino: vidi più d’una volta che le donne anziane, quelle che avevano le gonne sino ai piedi, quando si trovavano in campagna e sentivano l’urgenza di orinare, non si defilavano dietro un cespuglio, ma allargavano le gambe e lasciavano scorrere la pipì.
    In pratica, la posizione delle gambe erano simili a quella della signora del disegno, ma erano coperte.
    Suppongo che quello sia stato un costume antico, praticato non solo presso le donne sarde.
    Siccome la figura del disegno non aveva nulla da insegnare, né sul piano culturale, né sul buon costume (oggi si dice bon ton), non può infastidire e ancor meno scandalizzare, essendo tremendamente efficace nella sua cruda coerenza.
    Quanto poi alla ritrosia di molti a esprimersi, cosa vuoi che ti dica?
    Se uno sta attento alla composizione dell’articolo, non disdegnando di leggiucchiare le note, capisce quanto tempo e quanta fatica siano costati. E considerare che ce le hai offerte gratis.
    Nulla a che vedere col post che segue a questo tuo, perché a scriverlo io mi sono divertito, ma ho imposto una certa fatica ai pochi che hanno avuto il coraggio di leggerlo.
    Ho visto che ora c’è un “mi piace”, sia sul tuo che sul mio: rassicuro tutti che io non l’ho espresso per te, né suppongo che non sia stato tu a esprimerlo sul mio.
    Non sanno che fra di noi non può essere mai pari e patta!

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  2. 'Gratis' no. Può sembrarti. In realtà mi aspetto (da alcuni almeno!) una bella sommetta con tanto di interessi. E più passa il tempo più questi cresceranno. Seu brullendi, ma non est totu brulla e ispassiu.

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  3. Ne sono certo anch'io che alcuni pagheranno eccome!

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  4. Traggo dalla voce "Taglio cesareo" su Wikipedia.
    Una delle prime testimonianze scritte sul taglio cesareo è una legge romana del 715 a.C., che prevedeva l'estrazione del feto dalle donne morte in travaglio di parto (n.d.r.: saremmo a soli 38 anni dai natali di Roma, quindi pensando alla discussione calda in questo periodo sulle origini del Latino verrebbe molta curiosità su come fosse scritta questa legge; di fatto ci è nota, come altre così antiche, solo attraverso raccolte ben successive). Per molti secoli, quindi, il taglio cesareo fu fatto solo sulla donna morta con lo scopo di salvare il bambino (cosa che succedeva di rado) per poterlo battezzare oppure semplicemente perché era vietato seppellire una donna gravida prima dell'estrazione del feto (i bambini estratti post-mortem venivano chiamati cesones o césares). È una leggenda che Giulio Cesare fosse nato in questo modo, poiché sua madre, Aurelia, visse ancora molti anni, mentre nessuna donna sopravviveva all'operazione. Il primo taglio cesareo documentato su vivente venne effettuato solo intorno al 1500.
    Singolare, quindi, questa figura (nel vaso) decisamente viva (?) con apparente cicatrice da taglio cesareo (?) nel 480 a.C.!
    Tra l’altro devo confessare che quando ho visto l’immagine e ho capito sarebbe stata oggetto di interpretazione ho subito pensato che quella linea verticale unita alle oblique pieghe inguinali avrebbe offerto la possibilità di leggervi (oso) una kaf. Ma sembra avere ragione Shakespeare: ci sono più cose in cielo e in terra di quante ne sogni la nostra filosofia.

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