Considerazioni sul foro cieco dello specimen di Tzricotu
di Sandro Angei
Il
recente articolo del Prof. Gigi Sanna sul sigillo “specimen”
di Tzricottu, mi ha fatto molto riflettere.
Un articolo nel quale si mette in evidenza un particolare di altissima valenza probatoria che colloca in maniera risolutiva quel reperto dal punto di vista religioso e cronologico sulla scorta dei dati che scaturiscono dal mio studio sulle modalità di confezionamento dello “specimen” e dei successivi sigilli cerimoniali1. Quei sigilli che il Prof. Sanna già in Sardōa Grammata (Salvure Ed. 2004) associa alle statue dei Giganti di Monte Prama e che in “I geroglifici dei Giganti” (PTM ed. 2016 cap. 10.2) riprende e ribadisce mettendo l'accento sulla “serie” di sigilli che va di pari passo alla “serie” di statue... e lì si ferma. Non riesce a collocare in maniera precisa quei sigilli.
In questo suo ultimo articolo tenta di colmare il vuoto e per certi versi riesce nell'intento.
Ma andiamo per gradi, vediamo i risultati del suo studio che ha dato modo a me di rivisitare e completare (spero di non esagerare col termine usato) le modalità di realizzazione dei sigilli.
Un articolo nel quale si mette in evidenza un particolare di altissima valenza probatoria che colloca in maniera risolutiva quel reperto dal punto di vista religioso e cronologico sulla scorta dei dati che scaturiscono dal mio studio sulle modalità di confezionamento dello “specimen” e dei successivi sigilli cerimoniali1. Quei sigilli che il Prof. Sanna già in Sardōa Grammata (Salvure Ed. 2004) associa alle statue dei Giganti di Monte Prama e che in “I geroglifici dei Giganti” (PTM ed. 2016 cap. 10.2) riprende e ribadisce mettendo l'accento sulla “serie” di sigilli che va di pari passo alla “serie” di statue... e lì si ferma. Non riesce a collocare in maniera precisa quei sigilli.
In questo suo ultimo articolo tenta di colmare il vuoto e per certi versi riesce nell'intento.
Ma andiamo per gradi, vediamo i risultati del suo studio che ha dato modo a me di rivisitare e completare (spero di non esagerare col termine usato) le modalità di realizzazione dei sigilli.
***
Il
Professore individua in corrispondenza della base dello specimen
A1 un “foro cieco” leggermente disassato rispetto all'asse
longitudinale.
Un
“foro cieco” in quello che dovrebbe essere uno specimen
per la realizzazione di sigilli cerimoniali pone delle domande alle
quali è necessario dare puntuali risposte.
Si
può ben capire che se tale foro lo riscontriamo in un sigillo
cerimoniale (ossia quello che reca il "tria nomina" del sovrano, leggibili nei sigilli A3, A4, A5 - vedi Sardōa Grammata), esso è
funzionale alla mansione e posizione che tal sigillo doveva assumere
ossia ben “infisso” in una “tavola delle infissioni” come ci dice lo stesso Professore.
Però se il “foro cieco” lo riscontriamo anche nello specimen, che ha o dovrebbe avere solo mansione matriciale, dobbiamo pensare che esso avesse una funzione altra rispetto a quella di mero “mòdano tipo”. E questo perché un “foro cieco” di tale forma e posizione non sarebbe servito a ricavarne uno simile nel sigillo definitivo.
Però se il “foro cieco” lo riscontriamo anche nello specimen, che ha o dovrebbe avere solo mansione matriciale, dobbiamo pensare che esso avesse una funzione altra rispetto a quella di mero “mòdano tipo”. E questo perché un “foro cieco” di tale forma e posizione non sarebbe servito a ricavarne uno simile nel sigillo definitivo.
Apro una parentesi per ricordare ai nostri lettori, che
nello studio dedicato al metodo di confezionamento dei sigilli di
Tzricotu (vedi studio), le fasi di realizzazione del sigillo
definitivo passavano per una prima impressione su osso di seppia dello specimen, con successiva colata di piombo per la
realizzazione di una coppia uguale in tutto e per tutto
all'originale, sul quale incidere il nome del sovrano. La copia in
piombo così arricchita veniva sottoposta a impressione in un nuovo
osso di seppia che avrebbe restituito, accogliendo la colata di
bronzo, un sigillo cerimoniale ad
personam.
Chiusa la parentesi; a
giudicare dall'immagine pubblicata nello studio del Professore (che qui riproponiamo – Fig.1)
vi è da rimarcare che i bordi del foro dello specimen
non sono netti, tanto da poter pensare, eventualmente, ad una
depressione venutasi a formare in seguito ad un trauma subito dal
sigillo stesso.
Posso pensare ad una rimozione violenta dalla base di fissaggio; e questo perché la depressione sembra un cratere più che un foro cieco. Ma dall'immagine non riesco a stabilire con certezza se possa trattarsi dell'uno o dell'altro. In ragione di ciò è possibile che in origine lo specimen recasse un “foro cieco”, ma non possiamo escludere un codolo di bronzo di opportuna sezione e lunghezza, formante corpo unico col modello.
Fig.1
Posso pensare ad una rimozione violenta dalla base di fissaggio; e questo perché la depressione sembra un cratere più che un foro cieco. Ma dall'immagine non riesco a stabilire con certezza se possa trattarsi dell'uno o dell'altro. In ragione di ciò è possibile che in origine lo specimen recasse un “foro cieco”, ma non possiamo escludere un codolo di bronzo di opportuna sezione e lunghezza, formante corpo unico col modello.
Quest'ultima soluzione, benché riscontrabile sui
bronzetti (codolo di fissaggio Fig.2), ci pare, però, piuttosto improbabile nel
caso dei sigilli, in quanto i primi (i bronzetti) erano confezionati
col sistema della cera persa, i secondi invece erano realizzati
partendo da una matrice pluriuso (lo specimen). Per tanto,
dovendo lo specimen essere impresso sullo stampo di osso di
seppia, mal si prestava alla esecuzione dell'impronta del codolo su
di essa (benché di forma semplice come nell'esemplare 74 di Fig.2); non fosse altro se non per il maggior pericolo di frattura
dell'osso di seppia.
Inoltre e con tutta evidenza, se si voleva realizzare il codolo direttamente sul sigillo cerimoniale era più comodo ricavarlo direttamente sull'osso di seppia una volta impressa la coppia in piombo del sigillo stesso (vedi supra i passaggi di confezionamento).
Inoltre e con tutta evidenza, se si voleva realizzare il codolo direttamente sul sigillo cerimoniale era più comodo ricavarlo direttamente sull'osso di seppia una volta impressa la coppia in piombo del sigillo stesso (vedi supra i passaggi di confezionamento).
A
parte quest'ultima considerazione, in entrambi i casi, ma con
modalità diverse, lo specimen
veniva fissato con una colata di piombo alla cosiddetta “tavola
delle infissioni”.
Comunque siano andate
le cose, sta il fatto che alla base dello specimen
vi è una inusuale quanto problematica depressione o “foro cieco”.
Ci
si domanderà perché ipotizzare un codolo alla base dello specimen, integrale o amovibile che fosse.
La risposta sta nello stesso specimen che è più di una matrice, perché esso reca il nome e la natura del dio androgino taurino.2 Per questa ragione esso era sacro e in quanto tale, sottoposto alle stesse premure di carattere religioso dei sigilli cerimoniali, se non addirittura a una particolare attenzione e custodia in un qualche “altare” solo ad esso dedicato.
La risposta sta nello stesso specimen che è più di una matrice, perché esso reca il nome e la natura del dio androgino taurino.2 Per questa ragione esso era sacro e in quanto tale, sottoposto alle stesse premure di carattere religioso dei sigilli cerimoniali, se non addirittura a una particolare attenzione e custodia in un qualche “altare” solo ad esso dedicato.
In
sostanza possiamo ipotizzare che lo specimen
fosse custodito, infisso, su un particolare supporto con funzione di altare.
Il
metodo di utilizzo dello specimen e preparazione dello stampo per la realizzazione dei sigilli cerimoniali
Quando veniva il momento di realizzare un nuovo
sigillo cerimoniale, si estraeva lo specimen dal suo supporto,
ed è possibile che, nel caso in cui il codolo fosse
aggiunto, che questo venisse estratto dal corpo dello specimen prima
della impressione nell'osso di seppia. Finito questo processo,
probabilmente lo specimen veniva immediatamente riposizionato
sulla base originale. Il tutto sicuramente avveniva secondo un rigido
protocollo.
Evidentemente per estrarre il codolo dalla matrice si poteva
riscaldare quella parte dello specimen fino alla temperatura
di fusione del piombo (327,5°) tenuto conto che il bronzo a seconda della percentuale di stagno fonde ad una temperatura che va da un minimo di 880° per alte percentuali di stagno a 1020° per basse percentuali di esso.
Subito dopo l'impressione si procedeva alla colata di
piombo fuso nella matrice di osso di seppia appena impressa. La copia
di piombo appena raffreddata sarebbe stata sottoposta alla scrittura
del nome del sovrano. Terminata questa operazione veniva eseguita una
nuova impressione sull'osso di seppia e in questa fase, terminata
l'impressione, le operazioni possibili erano due.
1° metodo: veniva forata la matrice per
inserire nella giusta posizione una barretta di materiale refrattario
(steatite?) col quale si poteva risparmiare il foro cieco che si
sarebbe formato con la successiva colata in lega di bronzo.
2° metodo: veniva ricavata la sede del
codolo di fissaggio direttamente nell'osso di seppia per asportazione
del materiale. L'operazione, benché potesse essere poco raffinata
era del tutto semplice e funzionale allo scopo.
Al termine di questo passaggio (l'uno o l'altro), si
procedeva alla colata di bronzo.
Alla fine dell'operazione il sigillo cerimoniale,
liberato dai residui della matrice di osso di seppia ed estratta (eventualmente) la barretta di materiale refrattario, sarebbe stato
rifinito nei bordi con lime ad alto tenore di stagno3 e/o speciali
pietre di rifinitura (cote), alla fine della quale il sigillo
cerimoniale, splendente come il sole, sarebbe stato equipaggiato
(eventualmente) di piedino di fissaggio e infisso in modo definitivo
sulla “tavola” delle infissioni.
***
Il
metodo di infissione del sigillo cerimoniale
Con
tutta evidenza i sigilli definitivi e probabilmente lo stesso
specimen per poter
essere infissi mediante piombatura nei fori praticati nell'altare,
dovevano essere equipaggiati di un piedino (nel caso di manifattura con foro cieco)
che, a mo' di chiodo, sporgeva da sotto la base del sigillo stesso.
In sostanza bastava prendere una barretta di bronzo di adeguata
sezione e lunghezza che veniva fissata per metà con una colata di
piombo nel foro cieco. La parte sporgente veniva anch'essa piombata
con colata di piombo nel foro della cosiddetta “tavola delle
infissioni”. In tal modo i sigilli ma anche lo specimen
che rappresentava il sigillo della divinità, mostravano le loro
proprietà di sicurezza e stabilità.4
A costo di sembrar blasfemo,
intravvedo in quello nuragico il rito eucaristico che prevede la
reincarnazione nell'ostia consacrata del figlio di Dio. Corpo di
Cristo custodito in un luogo sacro (il tabernacolo), che ogni
qualvolta vi sia una celebrazione (messa), viene estratto dal
tabernacolo e reincarnato in quell'ostia consacrata.
Nel sigillo di Tzricotu intravvediamo un rito simile, ossia l'incarnazione della divinità nel suo figlio taurino terreno; e la garanzia che quello fosse proprio figlio di quel dio la dava il suo nome scritto a rebus sul sigillo di estrazione divina.
Con questo parallelo non si vuol accampare alcuna pretesa di primato o sincretismo religioso (che pur potrebbe esserci) ma semplicemente individuare quello che potrebbe essere più semplicemente un fenomeno di convergenza culturale.
Nel sigillo di Tzricotu intravvediamo un rito simile, ossia l'incarnazione della divinità nel suo figlio taurino terreno; e la garanzia che quello fosse proprio figlio di quel dio la dava il suo nome scritto a rebus sul sigillo di estrazione divina.
Con questo parallelo non si vuol accampare alcuna pretesa di primato o sincretismo religioso (che pur potrebbe esserci) ma semplicemente individuare quello che potrebbe essere più semplicemente un fenomeno di convergenza culturale.
***
Una
ipotesi sui fori delle statue di Monte Prama 5
Il Prof. Sanna nel suo saggio ipotizza che i sigilli
cerimoniali fossero infissi in una "tavola delle infissioni", ma
ripensando a certi fori individuati nelle statue di Monte Prama (vedi
l'articolo su Monte Prama blog: Fori in mostra: antichi e.... anni '70-'80
del 08/03/2015)6,
si potrebbe arguire che i sigilli cerimoniali in origine fossero
fissati sulle statue stesse. Alcuni fori recano tracce di metallo
(piombo); la profondità del foro è misurata in 4.5 cm e 2.5 cm (evidentemente per quelli misurabili: vuoti) e un diametro di 2÷2.4 cm; che induce a pensare che il codolo mediamente non doveva superare la lunghezza di 2 cm e la sezione (circolare) di 1 cm.
Perché i sigilli furono rivenuti (a quanto pare) accatastati tutti assieme?
Perché i sigilli furono rivenuti (a quanto pare) accatastati tutti assieme?
Il Professore ci dice (riporto testualmente dall'articolo menzionato):
“la tavoletta A1 e tutte le altre della serie dobbiamo
immaginarcele, non deposte accatastate e alla rinfusa in olle o
dentro contenitori in altro materiale, ma riportate erette su di uno
o più ‘supporti (tavole, lastre) d’offerta”.
Questa considerazione pone una domanda che scaturisce evidentemente dalle modalità di rinvenimento: Come mai i sigilli cerimoniali e lo specimen erano radunati tutti in un solo luogo, forse un contenitore, benché la loro naturale posizione fosse quella di essere infissi in un luogo ben preciso?
Il motivo potrebbe essere legato allo stato in cui furono trovate le statue di Monte Prama.
Questa considerazione pone una domanda che scaturisce evidentemente dalle modalità di rinvenimento: Come mai i sigilli cerimoniali e lo specimen erano radunati tutti in un solo luogo, forse un contenitore, benché la loro naturale posizione fosse quella di essere infissi in un luogo ben preciso?
Il motivo potrebbe essere legato allo stato in cui furono trovate le statue di Monte Prama.
Ecco che si delinea ciò che potrebbe essere successo
in un qualche momento della storia dei Giganti di Monte Prama.
I sacerdoti accortisi che gruppi di persone (Cartaginesi? Romani?
Cristiani? Altri ignoti?), si avvicinavano alla città (di Monte Prama) con fare bellicoso, pensarono bene di mettere in salvo i
sigilli dei loro sovrani deificati, benché nulla potessero fare per
salvare le statue. Staccarono velocemente tutti i sacri sigilli
cerimoniali dalle statue e lo specimen e li nascosero in un ripostiglio segreto.
Questo
spiegherebbe perché i sigilli cerimoniali e lo specimen
furono ritrovati raggruppati in uno stesso luogo (vicino al nuraghe Tzricotu che dista da Monte Prama solo 900 m in linea d'aria) e spiegherebbe la natura dei fori piombati trovati sulle statue.
Nell'articolo pubblicato su Monte Prama blog7 che riprende i dati del volume “Le sculture di Mont’e Prama - Conservazione e restauro” 2014 Cangemi Editore, troviamo elencate le statue che recano uno o più fori antichi:
Nell'articolo pubblicato su Monte Prama blog7 che riprende i dati del volume “Le sculture di Mont’e Prama - Conservazione e restauro” 2014 Cangemi Editore, troviamo elencate le statue che recano uno o più fori antichi:
1
pag. 184 arciere 1 Longu: foro sulla spalla destra
2
pag. 190 arciere 2 Isbentiau: foro sulla spalla destra e quella
sinistra con presenza di piombo
3
pag. 194 arciere 3 Componidori: foro sul fianco sinistro
4
pag. 204 arciere 5 Prexau : parrebbe un foro affianco a quello
recente di restauro posto sulla spalla destra
5
pag. 234 pugilatore 3 Langiu: foro sulla spalla destra
6
pag. 242 pugilatore 5 Pantzosu: foro sulla spalla destra con tracce
di piombo
7
pag. 256 pugilatore 8 Sisinnio: foro nella zona inguinale
8
pag. 262 pugilatore 9 Brotu foro: sulla spalla destra con tracce di
piombo
9
pag. 272 pugilatore 11 Larentu: foro sulla spalla destra con tracce
di piombo
10
pag. 276 pugilatore 12 Bobore: foro sulla spalla destra con
tracce di
piombo
11
pag. 286 pugilatore 14 Balente: foro lato esterno gamba destra
12
pag. 304 pugilatore 16 Efis: foro sulla spalla destra con tracce di
piombo
Dall'elenco si arguisce che molte statue (tutte?)8 recavano infisso un qualche oggetto che noi pensiamo fosse
proprio il sigillo cerimoniale. Nel suddetto volume "Le sculture di Mont’e Prama - Conservazione e restauro” Andrea Dini nell'articolo "Composizione isotopica degli inserti in piombo delle sculture di Mont'e Prama" pag. 109-112, scrive: "Lo studio delle statue e dei modelli di nuraghe ha permesso di individuare, in quattro dei circa cinquemila frammenti, alcuni inserti metallici ospitati da piccole cavità della roccia calcarea utilizzata per le sculture[omissis]. Si tratta di piccole colate di piombo entro alcune cavità sulla spalla e sul fianco di tre statue, forse usate per ancorare degli oggetti/attributi (frammento n. 05 pugilatore; n. 26 pugilatore; n. 52 arciere) e di un piccolo perno in piombo inserito/colato in una canaletta, che univa due moduli sovrapposti di un modello di torre nuragica (frammento n. 1032 torre)".
Nella figura 3, che ritrae un arciere, per mera esemplificazione abbiamo posizionato sulla spalla destra della statua la figurina di un sigillo così come pensiamo doveva essere infisso in origine.
Il nostro lettore avrà notato che le posizioni dei fori nell'arciere 3 Componidori, del pugilatore 8
Sisinnio e del pugilatore 14 Balente sono atipiche e in quanto tali,
dovendo dare delle risposte non solo dal punto di vista antropologico
ma anche tecnico, l'argomento sarà trattato a parte.
***Dove era fissato lo specimen?
Ma veniamo all'arciere 2 "Isbentiau"10 che reca due fori, uno sulla
spalla destra, l'altro su quella sinistra... perché?!
L'ipotesi che penso si possa avvicinare alla realtà
dei fatti vuole il secondo foro quale sede dello specimen.
Il
Prof. Sanna ipotizza per lo specimen una generica "tavola delle
infissioni", ma a noi non ci soddisfa questa ipotesi.
Non ci soddisfa perché se i sigilli cerimoniali erano, come pensiamo fossero, infissi sulle statue, che di fatto sono rappresentazione del sovrano divino, lo specimen non poteva essere posto in un supporto anonimo ma in uno degno del suo valore teologico. E quale supporto più degno di quello rappresentato da uno dei giganti, forse il primo e più antico di essi, l'eponimo in sostanza. In tal modo lo specimen collocato in tale simulacro, rimaneva “nascosto” (uno fra tanti) e questo soddisfava la natura nascosta di quel dio, che era geloso e oscuro quanto crudele.9
Non ci soddisfa perché se i sigilli cerimoniali erano, come pensiamo fossero, infissi sulle statue, che di fatto sono rappresentazione del sovrano divino, lo specimen non poteva essere posto in un supporto anonimo ma in uno degno del suo valore teologico. E quale supporto più degno di quello rappresentato da uno dei giganti, forse il primo e più antico di essi, l'eponimo in sostanza. In tal modo lo specimen collocato in tale simulacro, rimaneva “nascosto” (uno fra tanti) e questo soddisfava la natura nascosta di quel dio, che era geloso e oscuro quanto crudele.9
Posizione dei due sigilli
Abbiamo visto che alcuni dei sigilli cerimoniali è probabile fossero fissati (9 su 12 individuati) sulla spalla
destra delle statue, forse per motivi meramente antropologici che
difficilmente possiamo dire con sicurezza ma possiamo ipotizzare per
grandi linee, trovando connessioni con gesti del nostro immaginario
che hanno un significato ben preciso. Basti pensare al significato
del porre la mano sulla spalla di una persona. Con quel gesto
incutiamo in essa un senso di protezione e fiducia.
Il gesto ha proprio questa accezione nel sacramento della cresima, dove il “padrino” durante tutto il tempo della cerimonia, posizionato dietro il “figlioccio” pone la mano destra sulla spalla destra del cresimando.11
Il gesto ha proprio questa accezione nel sacramento della cresima, dove il “padrino” durante tutto il tempo della cerimonia, posizionato dietro il “figlioccio” pone la mano destra sulla spalla destra del cresimando.11
Ecco che possiamo pensare al sigillo ad personam
quale oggetto che in un solenne rito fideiussorio e
protettivo rimarcava chi era il figlio e di chi era figlio.
Per contro la posizione dello specimen sulla
spalla sinistra della statua che abbiamo individuato quale "eponimo", rimarcava la posizione e la natura del "Padre". Anche qui forse, con tutte le cautele, oserei un secondo paragone sempre
relativo alla religione cattolica, che vuole il “Figlio” alla
destra del “Padre”.
Ma come si sa, vi possono essere molteplici letture in tal senso ma anche molteplici simboli che trovano una sconcertante similitudine e convergenza in riti apparentemente lontani nel tempo, nella forma e nella concezione teologica.
Ma come si sa, vi possono essere molteplici letture in tal senso ma anche molteplici simboli che trovano una sconcertante similitudine e convergenza in riti apparentemente lontani nel tempo, nella forma e nella concezione teologica.
Considerazioni finali
Questo saggio aggiuntivo a quello titolato: Il sigillo A1 di Tzricotu: “matrice per modani medievali? No, modello per matrici nuragiche! Una indagine” invalida ancor più la
tesi medievalista di Paolo Benito Serra circa la natura dei sigilli di
Tzricotu.
Alla luce di questa caratteristica del sigillo A1,
egli dovrebbe spiegare alla comunità scientifica, cosa poteva
servire il foro cieco (o in alternativa un codolo) in posizione tanto inusuale in una
matrice per mòdani ad una sola valva per
linguelle da parata da appendere alla cintura in epoca altomedievale.
Note e riferimenti bibliografici
1 Vedi http://maimoniblog.blogspot.com/2018/04/il-sigillo-a1-di-tzricotu-matrice-per.html
2 Vedi ancora G. Sanna I Geroglifici dei Giganti PTM Ed. cap. 12.2
3 Il bronzo con un alto tenore di stagno è estremamente duro tanto che è possibile che utensili di tal genere siano stati usati anche per sgrossare almeno le sbavature di fusione. Una "raspa"proveniente dal santuario nuragico di S' Arcu 'e is Forros di Villagrande Strisaili testimonia la manifattura e l'uso di questo utensile.
2 Vedi ancora G. Sanna I Geroglifici dei Giganti PTM Ed. cap. 12.2
3 Il bronzo con un alto tenore di stagno è estremamente duro tanto che è possibile che utensili di tal genere siano stati usati anche per sgrossare almeno le sbavature di fusione. Una "raspa"proveniente dal santuario nuragico di S' Arcu 'e is Forros di Villagrande Strisaili testimonia la manifattura e l'uso di questo utensile.
4 Il concetto di sicurezza e stabilità è ben spiegato dal Prof. G. Sanna nello studio dei bronzetti nuragici attraverso lo studio della scrittura metagrafica Etrusca in ambito funerario. Si vedano in tal senso tutti i saggi proposti dal Ricercatore nel blog Maymoni e ancor prima in Monte Prama blog..
5 Ci fà piacere constatare che l'arch. Angelo Ledda abbia collegato i sigilli alle statue di Monte Prama, intendendo queste ultime quali possibili tavole/altari dove fissare i sigilli. Vedi primo commento su http://maimoniblog.blogspot.com/2020/02/il-sigillo-a1-dei-giganti-rinvenuto-in.html
6 Si
fa riferimento all'articolo del blog e non al testo originale per
sola comodità espositiva, in quanto non tutti i lettori possono
facilmente accedere alla lettura di quel volume.
7 Vedi https://monteprama.blogspot.com/2015/03/fori-in-mostra-antichi-e-anni-80.html
8 Molte statue sono degradate, per tanto non è possibile individuare i fori presenti in quella particolare posizione.
8 Molte statue sono degradate, per tanto non è possibile individuare i fori presenti in quella particolare posizione.
11 Nel
rito cattolico che regola il sacramento della cresima, il padrino o
la madrina o entrambi (non è escluso) hanno il compito di assistere
e sostenere il cresimando. Altresì non sono ammessi due padrini o
due madrine dello stesso sesso. Il padrino e la madrina devono
essere scelti dal cresimando e d avere i requisiti necessari a
svolgere il compito richiesto. Chi meglio della divinità poteva
svolgere questo incarico nei confronti di un sovrano da deificare?!
Caspita! Tanto poterono dei fori ciechi: illuminare la 'storia' dei cosiddetti 'Giganti'. E chi avrebbe mai potuto pensare ad un doppio 'certificato' di identità! Statua e sigillo associati. Ed io che speravo che i sigilli avrebbero trovato posto nei musei 'accanto' ai Giganti! Non 'accanto' ma assieme! Bellissimo. Cosa posso dire? Che sono contento per tutti coloro che nella stampa, in televisione, nelle riviste, nei blog, nei Facebook hanno contribuito a 'tener duro' per tanto tempo circa l'identità dei documenti di Tzricotu, al fatto cioè che fossero documenti scritti, i sigilli dei giganti. Ora, quei sigilli certificanti l'identità regale divina degli antichissimi re di Sardegna, se c'è onestà intellettuale, li si studierà come essi meritano. Perché, come si era intuito già dalla fine del secolo scorso, sono veramente speciali, eccellenze nuragiche sulle stesse eccellenze, manufatti unici al mondo. Bravo Sandro Angei e bravo Angelo Ledda. E ora? Portare a periziare il sigillo 'specimen'? La perizia metallografica quasi non serve più. Serve solo a mettere una pietra tombale sull'incredulità della presenza della scrittura in Sardegna già dall'età del bronzo finale. E serve anche ad interrompere una volta per tutte le stupidaggini ermeneutiche e le conferenze giullaresche itineranti degli specialisti delle 'decorazioni' medioevali.
RispondiEliminaSandro, credo che Francesco (Masia) abbia offerto un altro grosso contributo circa quella che ormai non è una sola ipotesi. C'è la testimonianza del V.T. con dei passi davvero illuminanti. Quei fori dei Giganti nella spalla c'entrano con i sigilli. Caspita se c'entrano!
RispondiEliminaCaro Professore, quello di Francesco è un contributo apprezzabile, che rientra tra quelli di “facile” individuazione, tant'è che non a caso scrivo poco prima delle conclusioni dell'articolo che: “vi possono essere molteplici letture in tal senso ma anche molteplici simboli che trovano una sconcertante similitudine e convergenza in riti apparentemente lontani nel tempo, nella forma e nella concezione teologica”.
RispondiEliminaCaratteri simbolici che possiamo assimilare a quelli di altre culture, o derivanti da queste, ma che non possiamo dare per certe. Però possiamo dare una lettura che potrebbe essere universale che deriva da fenomeni di convergenza culturale.
Se osserviamo le statue di Monte Prama notiamo che tutte presentano quale braccio armato quello destro. Anche gli arcieri di fatto recano quello destro, perché l'arco di fatto è tenuto con la mano sinistra, ma il dardo (arma) è tenuto e lanciato dall'arto destro.
Non sfuggono alla regola i bronzetti, dove a parte un caso sporadico dell'arciere n°18 pag. 137 de “Le sculture della Sardegna Nuragica” di G. Lilliu Ed. Ilisso, tutte le figure di guerrieri recano il l'arto destro armato e se questo non è armato è sollevato nel segno di pace e saluto.
Secondo questa connotazione possiamo prudentemente pensare che la parte destra sia quella preferita per ostentare la virilità e la potenza dell'individuo, che sia semplice uomo o deificato; per il semplice motivo che normalmente l'uomo fisiologicamente usa di preferenza la parte destra del corpo. Fanno eccezione di mancini e in virtù di questo possiamo pensare che quel tal arciere su menzionato fosse appunto mancino.
Di questa connotazione troviamo esempi anche nella Bibbia dove in Levitico 8 vi è scritto: “22 Poi fece accostare il secondo ariete, l'ariete della investitura, e Aronne e i suoi figli stesero le mani sulla testa dell'ariete. 23 Mosè lo immolò, ne prese del sangue e bagnò il lobo dell'orecchio destro di Aronne e il pollice della mano destra e l'alluce del piede destro. 24 Poi Mosè fece avvicinare i figli di Aronne e bagnò con quel sangue il lobo del loro orecchio destro, il pollice della mano destra e l'alluce del piede destro; sparse il resto del sangue attorno all'altare. 25 Poi prese il grasso, la coda, tutto il grasso aderente alle viscere, il lobo del fegato, i reni con il loro grasso e la coscia destra; 26 dal canestro dei pani azzimi, che era davanti al Signore, prese una focaccia senza lievito, una focaccia di pasta intrisa nell'olio e una schiacciata e le pose sulle parti grasse e sulla coscia destra.”
Eh, su dimoniu! Custa no est cosa...
RispondiEliminaM'est torrau a sa memoria su chi hia scrittu in Paraulas a propositu de is primus toccus de campana chi Gianni Atzori e Gigi Sanna hiant sonau po sa scoberta de is sigillus de Tzicotu: bint'annus fait, hia augurau ch'in Sardinia puru s'essit agatau un'archiviu aici cumenti fut accuntessiu in su Palaziu Reali G a Ebla, po opera de s'archeologo Paolo Matthiae.
Hoi pensu chi un'archiviu importanti est stetiu agatau a Tzricotu, ma no hat tentu bona sorti, ca nisciunus de is Archeologus nostus dd'hat cretiu e forzis incidd'heu perdiu po sempri, poita is aterus Sigillus bai e circa aundi funt acabbaus.
A su Museu de Casteddu fut arribbau luegu su sigillu A1, ma est stetiu postu a una parti, ca tanti est falsu e pagu dd'hanti studiau. Si pensit chi su sigillu est de brunzu, ma calincunu de is autoriddis scientificas naràt chi fut de pedra o de terra, fendi incazzai a Gianni Atzori in unu modu chi no nau.
Immui, amigus carus, heis serbiu a sa Scienzia Accademica sarda unu prangiu cumpletu asuba de una sippa de ottigu, cumenti si fait in su satu, apparicciau e prontu a pappai.
Seus abettendi totus cun affroddiu de intendi s'arrutidu, po cumprendi si dd'hant aggradessiu.
No creu chi ddis serbat unu licori marigosu, l'amaro', poita cussu ddu portant e ddis abarrat in bucca po sempri.
Ho appena rimosso il commento di un certo "Carta Luigino" (naturalmente è uno pseudonimo che cela un altro individuo di nostra conoscenza), perché si è rivolto in modo offensivo al Prof. G. Sanna, per portare, a discredito della natura nuragica del sigillo di Tzricotu, il famigerato referto dell'archeologo medievalista P.B. Serra circa la natura medievale del sigillo di Tzricotu. Il signor “carta nicolino”, non si è documentato abbastanza, tant'è che non ha letto neanche di striscio il mio saggio sulla natura e modalità di realizzazione del sigillo, tanto meno le considerazioni sui cosiddetti decori fitomorfi.
RispondiEliminaIl signor carta luigino se vuole commentare in questo blog deve farlo portando farina del suo sacco, non quella degli altri!