giovedì 16 gennaio 2020

Quando Talete non era ancora nato i Sardi già dividevano in modo equo



Talete di Mileto
di Sandro Angei
1° parte

Facciamo una premessa sotto forma di domanda.
A cosa serviva in termini pratici nel V sec. a.C. il teorema di Pitagora?
In quel periodo penso servisse a ben poco, visto che anche oggi in termini pratici serve a nulla se non a dimostrare una elegante peculiarità del triangolo rettangolo che soddisfa il solo sapere accademico.

   In somma, dava e dà ancora emozione la sua elegante enunciazione, ma tornati a casa di certo non aiuta a risolvere i problemi di tutti i giorni.
   Talete invece enunciò un teorema ben più pratico, tant'è che ancor oggi lo si può usare lì dove è necessario dividere in parti uguali ad esempio una “baguette” per non dispiacere nessun membro della famiglia.
   I due teoremi appena richiamati potremmo assimilarli a due sentimenti dell'animo umano, il primo da collocare nella sfera del mistico e del sacro (Pitagora), l'altro (Talete), nella sfera del profano, del laico, del materiale. Certo il primo affascina lo spirito, ma il secondo soddisfa il corpo. In ragione di ciò possiamo affermare che le costruzioni geometriche che andremo qui a proporre sono parenti stretti del teorema di Talete, dato che a qualcosa potevano, e ancor oggi possono servire.

   Lo studio relativo alla edificazione del pozzo sacro di Santa Cristina ha imposto di verificare il metodo presumibilmente adottato da quelle genti per la sua costruzione. Per fare ciò è stato necessario un lavoro di studio di tecniche anche geometriche che fossero alla portata delle capacità di quelle genti, che di sicuro erano dotate di grande abilità cognitiva. Lo studio mi ha indotto a cercare dei metodi geometrici che potessero, con l'uso del solo compasso e una riga, risolvere i problemi che di volta in volta si presentavano a quelle genti. E, a dire il vero, i grattacapi li ho avuti io ogni qual volta dovevo risolvere quei problemi pratici con l'ausilio, appunto, di limitate e primordiali risorse.

Tutto ha inizio con la constatazione che il pozzo di Santa Cristina fu costruito secondo un progetto preliminare, secondo tecniche geometriche e l'uso di una precisa unità di misura, dei suoi multipli e sottomultipli.
La procedura di costruzione del pozzo imponeva, ad un certo punto, la divisione di una lunghezza precostituita in 11 parti uguali. La qual cosa si potrebbe risolvere in modo empirico ma con notevole errore nel risultato1. Per tanto ho indagato un metodo geometrico affidabile e relativamente facile da usare.
Inoltre è stato scoperto un metodo misto, astronomico e geometrico, atto a individuare in modo pressoché automatico ed estremamente preciso la direzione di alba e tramonto dei solstizi nel 1000 a.C.

Ma andiamo con ordine.

Oggi esaminiamo la divisione di un segmento in parti uguali.

   L'esigenza di trovare un metodo di divisione di un dato segmento in parti uguali è ben spiegata nello studio dedicato alla costruzione del pozzo di Santa Cristina, per tanto si rimanda a quello per un puntuale riscontro.

Il problema sarebbe di facile soluzione se facessimo uso del citato teorema di Talete. Però tale metodo comporta l'uso di una tecnica, quella della costruzione di rette parallele2, che potrebbe essere troppo sofisticata quanto a metodologia (stiamo parlando del 1000 a.C.), ma in ogni caso il metodo poco si presta alla divisione di un segmento che potrebbe essere lungo alcuni metri3. Per tanto, bandito il teorema di Talete, dobbiamo trovare un metodo che faccia uso del solo compasso e di una riga, nient'altro; e che possa essere utilizzato per dividere un segmento lungo svariati metri.

Lo studio approfondito del tema mi ha dato modo di constatare alcune peculiarità del triangolo equilatero che la geometria insegnata a scuola non contempla. Con questo non voglio dire di aver scoperto qualcosa di nuovo (questo potranno dirlo gli specialisti del settore, quelli che della matematica ne hanno fatto la loro professione), ma sicuramente mostrerò un metodo inusuale, quanto semplice, dettato dall'uso di un compasso che, prova oggi, prova domani da modo di rilevare delle peculiarità geometriche legate al triangolo equilatero e che altri triangoli non hanno (sarà per questo che il triangolo equilatero fu in ogni epoca oggetto di particolare attenzione?!).

Perché, ci si domanderà, questo metodo che andremo a spiegare non ha avuto seguito (se mai fu scoperto da qualcuno nel passato)? La risposta fondamentalmente ammette due motivi. Il primo motivo è dovuto all'assunzione di teoremi che nel momento in cui furono scoperti probabilmente limitarono o addirittura inibirono la ricerca di teoremi alternativi. Il secondo motivo è dovuto alla mancata utilità e/o esigenza nell'utilizzo di un determinato teorema in una data società. In un caso e nell'altro la “formula” e/o il “metodo” esistono, nascosti, nell'universo matematico, e sono lì pronti a sbucar fuori alla prima occasione pratica.

In tremila anni, evidentemente, non si è sentita la necessità di usare le particolari proprietà insite nel triangolo equilatero perché nel passare di quei 3000 anni, non servì ad alcuna esigenza umana se non, eventualmente, stuzzicare l'intelletto di Pitagora. Dopo 3000 anni però nasce l'esigenza di utilizzare e capire quei metodi geometrici, e sfruttarne le potenzialità, se non per fini pratici, almeno per dimostrare, almeno teoricamente, il metodo di costruzione di certi antichi monumenti.
In ogni caso volendo snobbare per qualche motivo questo aspetto, rimarrebbe comunque una elegante dimostrazione di carattere accademico.

Il lettore si domanderà, ancora, perché si debba dimostrare questo metodo di divisione.
Perché siamo di fronte ad un ostacolo che neanche il teorema di Talete è capace di superare nella pratica se dovessimo usare i mezzi disponibili 3000 anni fa e senza, ovviamente, far ricorso a tutto il bagaglio culturale e scientifico in nostro possesso. Per tanto nessun foglio di carta, nessun tavolo per disegnare, nessuna riga o squadra graduata, nessuna penna o matita, né gomma da cancellare, e tanto meno l'uso della divisione quale metodo matematico, né l'uso del rapporto di scala tra disegno e realtà. Per tanto nessuna elucubrazione che possa farci pensare che una certa unità di misura del disegno sia da moltiplicare per 100, come avviene oggi quando si redige un progetto architettonico. Con tutte queste limitazioni, ben si capisce che è difficile usare il teorema di Talete in scala 1:1, non foss'altro perché servirebbe una riga e una squadra di notevoli dimensioni (?) per dividere in parti uguali, ad esempio, un tratto lungo 5 metri.
In ragione di ciò è necessario trovare un metodo alternativo che faccia uso del “compasso”. Strumento che quelle genti usarono nelle loro costruzioni; e di ciò abbiamo le prove4. Un congegno, il compasso, composto essenzialmente da un'asta rigida e due pioli di legno o metallo alle estremità, nulla di più.
Il secondo congegno, di utilizzo intuitivo, è il tiralinee (ossia un tratto di corda teso tra due punti che si vogliono unire con una linea retta)5. Con questi due “congegni”, si può disegnare in sequenza:

  • un cerchio e il suo raggio

  • il “fiore della vita” ottenuto disegnando sei cerchi periferici di uguale diametro a quello centrale

  • il “fiore della vita” da origine ad una stella a sei punte; quella che a noi serve per dimostrare il nostro metodo di divisione.

  • l'unione delle sei punte della stella da origine a sei triangoli equilateri chiusi a cerchio, il perimetro esterno dei quali, è di fatto un esagono regolare. La costruzione dei triangoli equilateri non è ridondante né di effimera estetica, ma da modo di capire che la divisione operata mediante la “stella a sei punte” deriva dalle proprietà del triangolo equilatero e solo da quello. Tant'è che in seguito svilupperemo un secondo metodo, alternativo, usando appunto il triangolo equilatero.

Primo metodo
Prendendo in considerazione “la stella a sei punte” possiamo notare che:
  • Tracciando il segmento BF, questo interseca il raggio OA in G. Il segmento OG è 1/2 del raggio (OA).

  • Tracciando il segmento GC, questo interseca il raggio OB in H. Il segmento OH è 1/3 del raggio (OB)

  • Tracciando il segmento HD, questo interseca il raggio OC in I. Il segmento OI è 1/4 del raggio (OC)

  • Tracciando il segmento IE, questo interseca il raggio OD in L. Il segmento OL è 1/5 del raggio (OD)

  • Tracciando il segmento LF, questo interseca il raggio OE in M. Il segmento OM è 1/6 del raggio (OE)

  • Tracciando il segmento MA, questo interseca il raggio OF in N. Il segmento ON è 1/7 del raggio (OF)


Si può continuare all'infinito dividendo il raggio in parti uguali sempre più piccole e in numero sempre più grande.

Secondo metodo
Il secondo metodo, più facile da attuare, parte dalla costruzione di due triangoli equilateri ABC e CDE, il secondo dei quali è costruito sul prolungamento della base del primo e con quello ha in comune il vertice “C”.
La costruzione è minimale, ha necessità di un iniziale tratto di lunghezza arbitraria e a partire da questo si disegnano quattro cerchi, la mutua intersezione dei quali individua i due triangoli equilateri.

Ora, liberando dai cerchi i due triangoli, possiamo iniziare la divisione, che verrà operata sui lati obliqui adiacenti: BC e CD dei due triangoli.

  • Tracciando il segmento AD, questo interseca il lato BC in F. Il segmento FC è 1/2 del lato BC.
  • Tracciando il segmento FE, questo interseca il lato CD in G. Il segmento CG è 1/3 del lato CD.

  • Tracciando il segmento GA, questo interseca il lato BC in H. Il segmento HC è 1/4 del lato BC.

  • Tracciando il segmento HE, questo interseca il lato CD in I. Il segmento IC è 1/5 del lato CD

Così continuando si può dividere il lato BC in illimitate parti uguali pari e il lato CD in illimitate parti uguali dispari.

Alla fine di questa dimostrazione non possiamo asserire con certezza che quelle genti usarono questo metodo; ma la domanda conseguente – quale altro metodo sarebbe possibile usare? – richiede una precisa risposta.




Note e riferimenti bibliograafici

1 La divisione in modo empirico prevede l'avvolgimento a bobina attorno a due pioli di un tratto di corda da fissare con un capo ad un piolo, avvolgendo il filo in andata e ritorno tante volte quante sono le parti in cui dividere detto tratto di corda. Fissando in fine il secondo capo all'uno o l'altro piolo a seconda che le parti siano pari o dispari. Il metodo di semplice uso di fatto è estremamente impreciso dato che qualsiasi corda in tensione è soggetta ad allungamento. Attualmente i tecnici che fanno uso del doppio decametro avvolgibile (chiamato in gergo rotella metrica) sanno bene di questo inconveniente per tanto per misure di una certa precisione si utilizzano rotelle metriche in acciaio praticamente inestensibile (invar), ma anche questo non servirebbe per risolvere il problema col metodo empirico sopra esposto, data l'impossibilità di piegare il nastro di invar con raggio di pochi millimetri. In ogni caso sarebbe anacronistico.

2 Sembra un metodo primitivo, però possiamo osservare che l'utilizzo delle rette parallele comporta l'uso di una riga, di una squadra e di una superficie sufficientemente piana dove far scorrere la squadra rispetto alla riga.

3 Un conto è dividere un segmento tracciato su un foglio di carta, ben altro è dividere un tratto lungo svariati metri. Perché in tutto questo vi è da dire che per operare la trasposizione di un disegno nella realtà è necessario avere la cognizione di scala di rappresentazione dell'oggetto disegnato; la qual cosa è difficile da dimostrare che fosse nelle facoltà di quelle genti.

4 Nel sito nuragico di Giorrè di Florinas vi è la prova documentata dell'uso di tale congegno. Si veda S. Angei 2017 Maymoni blog http://maimoniblog.blogspot.com/2017/11/giorre-tra-geometria-e-astronomia.html

5 Col tiralinee, ancora oggi in uso in genere per marcare dei piani su parete, si tracciano delle linee perfettamente rettilinee con semplici gesti.   

21 commenti:

  1. E bravo il nostro Sandro!
    Ci sai fare col compasso, altroché.
    Senza sapere se sono nel giusto, io sono convinto che i costruttori di pozzi e di torri avessero ben presente l'idea della proporzionalità, non fosse per altro che a guardare i loro disegni, le sculture e la bronzistica.
    Ma, detto questo, se è vero che Pitagora "adorava" i numeri, tuttavia il suo teorema risulta stupidamente utile per centrare un angolo esatto di 90°.
    Quando al mio paese dovevamo ricavare un campo sportivo da un terreno coltivato a fave, per segnarlo iniziavamo da un angolo, piantando una canna. ci immaginavamo la linea laterale tale che fosse sgombra di rocce o fossi e lungo quella misuravamo 6 metri, piantando un'altra canna. da questa tiravamo la distanza di 10 metri, segnando un arco per terra. tornavamo all'angolo e da lì partivamo con 4 metri di roletta. All'incrocio con l'arco piantavamo una canna.
    Ci bastava allineare l'angolo con l'una o l'altra canna piantata per trovare la linea di fondo campo e quella laterale.
    Il lavoro era identico per l'altro angolo, una volta fissato il punto.
    La prima volta che lo feci, avevo solamente 15 anni; il teorema di pitagora si studiava in terza media. Non l'avevo perso di vista.
    Negli anni seguenti, i compagni, che erano contadini e pastori, lo facevano da soli, chiedendomi conferma solo dei numeri. E di Pitagora non seppero mai nulla. Magari qualcuno avrà pensato che era roba del mio sacco, cosi che poteva dire che ero più bravo a segnare il campo che a segnare i gol.

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  2. Avrai notato che ho scritto 4 metri al posto di 8 metri.
    L'ho fatto per stuzzicarti; magari non ricordavi bene i numeri pitagorici con tutto il Talete che hai in testa!

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  3. I muratori lo hanno sempre usato il 3,4,5 o se vuoi il 6,8,10. Facile da usare e da ricordare, nonché abbastanza preciso, se usato con scrupolo.
    Di certo questo rapporto è conseguenza del teorema di Pitagora, però di fatto è un'anomalia. Perché vale solo per quella sequenza e poche altre (il 5-12-13, il 7-24-25, l'8-15-17). Ben diverso è il teorema di Talete che vale in senso assoluto. Per tal motivo ho fatto il "distinguo" tra Pitagora e Talete.
    Per quanto riguarda il metodo da me esposto, alcuni penseranno che mettere un sapere di tal genere nelle "mani" dei Sardi nuragici sia eccessivo. Io penso che le costruzioni geometriche qui esposte erano nulla in confronto alla costruzione di un ovoide geometrico, che come ben sappiamo era nelle loro possibilità, e le prove ci son tutte. Ed è nulla (si fa per dire) in confronto a quanto esporrò nella seconda parte dello studio.

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  4. Interessantissimo, Sandro, complimenti davvero. Se poi volessimo ricordare anche che il triangolo equilatero è l'espressione dei 3 angoli, 3 lati, sempre il numero 3... Pensiamo alla nascita del grafema del numero arabo (?) 3..se lo si nota vi sono insiti 3 angoli interni, 3 angoli esterni (così come in altri numeri) tre segmenti/lati.
    Non mi addentro di più di fronte a tali studi, perché sono sempre stata una schiappa in matematica dalla 1 Liceo (al classico di un tempo era la 3a classe) e supplenti su supplenti non ci avevano certo chiarito le idee. :D

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  5. Beh, vi è da dire che il triangolo equilatero è figlio diretto di una "coppia" circolare. Il raggio, il cerchio da esso originato e un secondo cerchio all'altro estremo del raggio definiscono proprio il triangolo equilatero.

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  6. Son passate oramai parecchie ore dalla pubblicazione del saggio e nessuno a parte Francu, ha fatto alcuna obiezione. Francu da grande conoscitore, nonché ex maestro elementare avvezzo a suo tempo alle intemperie di scolari bricconi, mi ha messo in difficoltà, benché in modo soft. Modo soft, perché altri, alludo a certuni che additano gli archeologi quali perfetti ignoranti in geometria, avrebbero scagliato tuoni e fulmini su di me se ne fossero stati all'altezza; ma ciò non è stato, per tanto passiamo all'errata corrige e lo facciamo in ambiente scolaresco, di possibili riminiscenze Francescane.
    Siamo nel 1970 e maestro Francu (è un nome di fantasia naturalmente), sta spiegando ai ragazzi, benché non fosse materia di studio, il teorema di Pitagora, perché uno di essi, che non aveva null'altro a cui pensare, sbottò dicendo che il suo papà conosceva il teorema di Pitagora e lui Maestro Francu no. A quel punto il maestro con punta d'orgoglio e uno strappo alla regola si cimentò nella tenzone. Spiegò e dimostrò il teorema al ché il ragazzino levò la manina: “maestro a cosa serve il teorema di Pitagora?” Il maestro senza alcun impiccio disse: “potrebbe servire per mettere ad angolo retto una parete di casa rispetto ad un'altra; però vi è un metodo più semplice per fare questo; ossia l'uso del compasso”. Al che il ragazzino disse: “maestro ce lo spieghi?” Il maestro pensando di aver sviato il problema iniziò col dire: “si traccia a terra la linea della futura parete, la si prolunga di un tratto uguale alla parete stessa e...” lo interrompe il ragazzino: “Maestro non si può, perché da quella parte c'è un burrone.” Al che il maestro replico: “va bene la prolunghiamo dall'altra parte...” ancora il ragazzino: “no da quella parte c'è un canale”. “Eh che c...” pensò il maestro, ma senza batter ciglio continuò: “Bene visto che siamo in una situazione particolare dobbiamo usare per forza di cose un altro metodo. Prendiamo una rolletta e sulla fettuccia segniamo un primo punto a 3 metri esatti, un secondo punto a 7 metri esatti e un terzo punto a 12 metri esatti, dopo di che...” L'ennesima interruzione del ragazzino pestifero: “Maestro, il mio papà ha una rolletta di 10 metri”. Il maestro stava per sbottare offrendosi lui a fornire una rolletta di lunghezza adeguata, poi però, riflettendo, pensò che avrebbe perso di prestigio agli occhi dei ragazzini se avesse allegramente aggirato il problema. Per tanto, con calma, continuò: “Visto che non abbiamo a disposizione una rolletta abbastanza lunga diciamo che prima si imposta la posizione della prima parete, dopo di che su questa si segna a partire da uno degli estremi che sarà angolo della stanza, la misura di 3 metri... “ Al che esordì per l'ennesima volta il ragazzino: “No maestro la parete della camera è di 2,50 m.” Il maestro non si scompose per nulla e continuò: “Bene, tracciamo la parete di 2,50 m dopo di che, prendiamo la nostra rolletta e individuiamo un tratto lungo ad esempio 4,50 metri...” Ancora il ragazzino intervenne: “Maestro , perché proprio 4,50 m, non possiamo fare 4 metri esatti?” “No, 4,50!” Rispose, fermo, il maestro e continuò: “ A questo punto dobbiamo calcolare il quadrato di 2,50 e di 4,50 che è pari a 6,25 e 20,25, la cui somma è 26,50. Di questo numero ora è necessario estrarre la radice quadrata, da quest'ultima operazione otterremmo la diagonale di 5,148 m che dobbiamo arrotondare a 5,15 m ed usarla quale misura della diagonale.”. Il maestro fisso severo il ragazzino, poi con fare bonario e mezzo sorriso sulle labbra gli disse: “Di a tuo padre che le misure da usare nel suo caso sono 2,50 m, 4,00 m e 4,72 m. Bastava chiedere.”
    Da questa storiella si capisce a cosa serve il teorema di Pitagora oggi, se sai come estrarre la radice quadrata di un numero però, altrimenti ti affidi alla memoria e ti stampi bene a mente i numeri 3, 4 e 5. Ho qualche dubbio che ai tempi di Pitagora si sapesse estrarre la radice quadrata di un numero qualsiasi. In quanti ci riescono oggi senza far uso della calcolatrice?!

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  7. Un gran maestro, questo Francu.
    Un gran maestro, tutto minuscolo, naturalmente, perché i veri grandi maestri non indossano il grembiulino, ma i panni di Giobbe, vale a dire tanta pazienza e altrettanta immaginazione.
    Ma che stimolo da certi scolari!

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  8. E se fosse che i Talete, i Pitagora, gli Euclide etc. non abbiano fatto altro che codificare e far conoscere delle tecniche empiriche in uso fra i costruttori loro contemporanei conosciute da secoli?

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    1. Niente di strano, potrebbe essere. Basterà verificare se antecedentemente ai Pitagora & C le''tecniche' 'erano in uso tra la gente

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    2. A questo punto, la via più diretta mi pare una seduta spiritica.

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    3. Ottima idea, così si va direttamente alla fonte.

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  9. Concordo Francu, chissà che non diventi un mezzo per accedere alle verità.......

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  10. L'unico modo per arrivare alla verità è quello scientifico. Caro Thor, quel "basterà verificare" è una scalata talmente difficile da attuare che non basteranno gli sforzi di pochi e neppure di molti per arrivare alla meta. Nel mio piccolo sto cercando di raggiungere quelle verità, ma ti assicuro che quel "basterà verificare" bisogna tramutarlo in "è necessario verificare", la qual cosa non è di poco conto né di poca durata.

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    2. Perfettamente d'accordo. Capisco anche la difficoltà di dimostrare senza elementi inconfutabili. In questo caso però, conosciamo gli strumenti usati nelle loro costruzioni dalle più antiche civiltà come egizi e popoli mesopotamici, oltre alle conoscenze a cui hanno potuto attingere i greci del VI secolo a.c.

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  11. Capisco perfettamente quello che dici maimoni,compreso lo sforzo e l'impegno nel portare avanti la ricerca della verità,ma l'immobilismo nel quale viviamo é voluto.È difficilissimo che una voce fuori dal coro venga sentita,destabilizza.Per questo sei scomodo........

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  12. JulAC, elementi inconfutabili né abbiamo prodotti, almeno mi sembra, visto che la data del 21 aprile l'abbiamo rilevata nella cosiddetta “postierla” di Murru mannu in Tharros, nel pozzo di Sant'Anastasia di Sardara (non per merito mio), nel pozzo di Santa Cristina ed in quello di Funtana coberta di Ballao. Quattro elementi probatori che di fatto sono “prova”, visto che sono architettati, complice il sole e la meccanica celeste. Vi sono, inoltre, prove che sfuggono all'evidenza dei più, perché necessitano di studio e competenza in uno specifico campo di indagine; e qui la geometria la fa da padrona, visto che esiste la prova concreta che quelle genti usava in modo precipuo e costante il compasso e, benché possiamo desumerlo in modo indiretto, anche il filo a piombo (impossibile costruire il pozzo di Santa Cristina senza il filo a piombo). Sapevano disegnare figure complesse come l'ovale e l'ovoide (che poi non è un ovoide ma ben altro) e dividere un segmento in parti uguali, qualunque siano le parti da dividere, come spiego in questo studio (studio che legittima una fase costruttiva del pozzo di Santa Cristina). Ma la loro maestria, quella delle genti nuragiche s'intende (a prescindere cioè da quella di Egizi, Mesopotamici e dei molto giovani Greci), traspare nell'architettura delle strutture portanti dei loro monumenti, allorché usarono in modo sistematico l'arco in orizzontale per costruire le cupole ogivali dei loro templi, nel momento in cui era oggettivamente impensabile realizzare cupole canoniche con chiave di volta, che necessitano di impalcatura di sostegno (sarebbe stato più arduo costruire le centine di legno per migliaia di torri che non le torri stesse). Elemento, quello della chiave di volta, che fu rinvenuto nel pozzo sacro di Santu Antine di Genoni, a dimostrazione che quelle genti, ancor prima degli Etruschi (IV sec. a.C.) conoscevano la tecnica dell'arco in muratura almeno 500 anni prima di quelli. Ma non la usarono, se non in modo sporadico, perché evidentemente non soddisfava le loro esigenze edificatorie. Avevano conoscenze di idraulica anche sofisticate (il sistema di troppopieno sifonato). E in fine, ma non è la fine del repertorio, conoscevano perfettamente un metodo di orientamento misto: astronomico-geometrico, da far invidia a noi stessi, 3000 anni dopo. Il metodo, mentre scrivo, è già fruibile nella seconda parte di questo articolo. Un metodo che, non indugiando nel definirlo “geniale”, risponde in maniera puntuale al metodo costruttivo del pozzo sacro di Santa Cristina.
    Quante prove vogliamo ancora per collocare la civiltà nuragica al vertice delle conoscenze scientifiche di quel periodo?

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    1. Quante prove.....? Sicuramente ancora un bel po,specialmente se pensiamo a quanto c'é voluto per far navigare i nuragici.

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  13. Maimoniblog. Non penso sia una questione di prove. Chi ha costruito una carriera raccontandoci i nuragici come dei relitti del paleolitico civilizzati dai fenici, fa già fatica ad accettare il fatto che navigassero, figurarsi accettare che conoscessero la matematica e addirittura sapessero scrivere. Credo ci sia bisogno di un ricambio generazionale, temo anche più di una generazione.

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  14. Beh, se alcuni fanno fatica ad accettare l'evidenza dei fatti è un problema tutto loro, la figura da stupido non la faccio mica io; e la storia non li ricorderà certo per la loro genialità!

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