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sabato 6 febbraio 2021

Un contributo alla costruzione della piramide di Cheope - 2° parte

Il tracciamento della base 

di Sandro Angei

vedi: prima parte

  Nella prima parte dello studio abbiamo affrontato il problema dell'orientamento geografico della Grande Piramide. In questa seconda parte vedremo come fu tracciata l'intera base del monumento.

2. Secondo problema

Abbiamo orientato a dovere i due lati della Grande Piramide e creato due linee ortogonali sulle quali misurare per allineamento due lati del monumento. Ora sorge la difficoltà di tracciare in modo preciso gli altri due lati. Vediamo come procedere.

2.1 Il perché di una scelta quando si è ad un bivio

Il metodo più sbrigativo è quello degli archi di cerchio che si intersecano.

   Ci si chiederà: perché non abbia usato lo stesso metodo per definire la linea ortogonale alla Est-Ovest, senza dover aspettare il solstizio d'inverno per definire l'ortogonalità.

   La differenza tra il primo e il secondo sta nella diversa precisione insita nei due metodi e nella possibilità di verifica della loro affidabilità. Col metodo delle ombre si ha un elevato grado di precisione dovuto alla lunghezza dei tracciamenti (circa 154 m in un senso e circa 50 m in quello ortogonale) e al metodo "solare", ma nel nostro caso particolare, non si ha possibilità di riscontro sulla ortogonalità se non con squadri di limitata grandezza(4).

   Nel secondo metodo, non possiamo fare affidamento su lunghi tracciamenti, a meno di usare bracci di compasso "a fune" di notevole lunghezza a discapito della precisione; abbiamo però la possibilità di controllo della ortogonalità misurando i due lati, avendo quali punti fermi i primi due lati già precisamente tracciati.

2.2 Un secondo bivio

   Detto ciò, vi sono due metodi per definire le nuove ortogonalità: il metodo dei cerchi e quello della squadra numerica 3-4-5.

   Qui metteremo in pratica il primo metodo perché è il più semplice e, intuitivamente, quello più antico, quello cioè che da modo di trovare per deduzione la soluzione del "metodo 3-4-5" (il contrario sarebbe poco credibile).

2.3 E' una questione di precisione e semplicità

  Sarebbe facile "invocare" la squadra numerica 3-4-5 o dei loro multipli, ma è una questione di precisione quella che si pone, ma anche e soprattutto una questione di semplicità di metodo. (5)

   Nulla osterebbe l'uso della squadra 3-4-5, perché non è improbabile che quegli architetti conoscessero in modo del tutto empirico la proprietà pratica di questi numeri; tant'è che non mi sembra astruso pensare che avessero indagato in tal senso tracciando col metodo dei cerchi una "croce" con rette ortogonali, alla ricerca di una qualche combinazione di numeri (3-4-5 appunto).

   Fatto sta che gli Egizi conoscevano la squadra e il filo a piombo; e secondo quanto possiamo apprendere dall'enciclopedia Treccani, sembrerebbe che conoscessero pure l'archipendolo, visto che nella Treccani, al tema: "Scienza egizia. Tecnologia" vi è scritto espressamente che "per verificare l'orizzontalità ci si serviva di fili a piombo".

   Se così è, l'affermazione da modo di capire che essi conoscevano benissimo il significato di orizzontalità e di verticalità e che queste in qualche modo erano strettamente legate tra loro; tant'è che cercarono una "scorciatoia" per evitare di usare l'acqua nella verifica della orizzontalità di una linea o di un piano, mediante l'uso di una sorta di archipendolo.

2.4 Quanto antica è la geometria egizia? Ce lo dice lo scriba Ahmes

   Il grado di consapevolezza geometrica degli Egizi appare con tutta evidenza dal cosiddetto "papiro di Amhes". Un papiro di straordinaria importanza se consideriamo, anche, che Amhes (1650 a.C circa) trascrisse un papiro più vecchio di parecchi secoli.

   Un documento quello di Ahmes, che riporta 84 problemi tra geometrici, aritmetici e algebrici, tra i quali anche il calcolo approssimativo del π.

2.5 A rigor di logica e condivisione di pareri

   Ciò puntualizzato i due metodi sarebbero entrambi giustificabili. Non è solo una mia convinzione di topografo, ma anche quella di un matematico quale è E. Giusti, che nell'articolo linkato fornisce delle spiegazioni circa l'uso abituale in antico della geometria sul campo e non sul foglio di carta come noi usiamo e ipotizza l'uso egiziano del 3-4-5 per generare un triangolo rettangolo; nel contempo, però, ha il dubbio che gli antichi Egizi fossero consapevoli che quella terna servisse ad impostare un angolo retto.

   Io penso che fossero ben consci di questo, presumibilmente non per via teorica (teorema di Pitagora), ma per via empirica, nel momento in cui si resero conto attraverso l'osservazione della natura che il filo a piombo e la superficie dell'acqua formano sempre un angolo particolare e solo quello; e che quell'angolo poteva essere generato con riga e compasso. Da qui ad "armeggiare" con la misura del cubito su quella croce ricavata col compasso,  il passo è breve. (6)

   A prescindere dal metodo usato, vi è da dire che sotto i nostri occhi abbiamo gli elementi che provano l'uso di "riga e compasso" o del triangolo 3-4-5 in molteplici esempi che potremmo definire di "disegno tecnico di precisione".

2.6 Quando le prove son lì, sotto i nostri occhi

 Bastino pochi esempi per capire quanto fosse precisa l'arte del disegnare e quali strumenti adottarono per fare ciò.

Fig.10


Fig.11

Fig.12
immagine tratta dal sarcofago di Amenofi II, 1401/1398 a.C.

  Dalla griglia di rette parallele e ortogonali da me inserita nelle immagini delle Figg.10, 11 e 12 si nota la perfezione geometrica raggiunta. Si noti che i cerchi concentrici di Fig. 10 sono equidistanti e servono per dimostrare la simmetria delle linee parallele verticali, che per tanto risultano pure equidistanti. Come parallele ed equidistanti sono le linee orizzontali della parte inferiore. La maggior parte dei geroglifici segue una linea perfettamente orizzontale.

   Invece nella immagine di Fig. 11 si noti oltre alla ortogonalità e parallelismo delle linee rispetto al riquadro della cornice perfettamente a squadra, la orizzontalità di specifici geroglifici quali il segno dell'acqua C15 (della lista del Gardiner) o i geroglifici F4 ed F5, rispettivamente cesto con manico e cesto; mentre altri non sono perfettamente allineati, ma nel complesso seguono una linea orizzontale. Si noti, particolare di altissima rilevanza, che la stele in questione è datata al 2500-2350 a.C., un periodo vicinissimo a quello di edificazione della piramide di Cheope (IV dinastia - 2600-2500 a.C).

  Nella immagine di Fig. 12 non vi è accuratezza di parallelismo di alcune linee sia orizzontali che verticali, ma nel complesso si percepisce la ricerca di una composizione secondo un certo canone geometrico. Anche qui alcuni geroglifici (C15, F4 ed F5) rispettano l'orizzontalità.

   Ancora nella Fig.12 la linea gialla focalizza l'attenzione sulla postura equilibrata della divinità rappresentata; caratteristica che comunque accomuna tutte le figure umane rappresentate nei geroglifici.

   L'immagine (Fig.12), tratta dal sarcofago di Amenofi II è più recente di un migliaio di anni rispetto alla stele di  Setju, e ciò dimostra il perdurare di certe regole geometriche apprese chissà quanti anni prima della realizzazione della Stele di Setju; e questo anche alla luce del papiro di Ahmes (ne parleremo più diffusamente nel prosieguo dello studio), che riporta, come già detto, delle nozioni di geometria e matematica di un papiro di un periodo che si stima redatto attorno al 2000-1800 a.C.; e se i fatti stanno così, significa che quel primo papiro, non nascendo dal nulla, era un compendio di conoscenze che furono acquisite non certo nel giro di qualche anno, ma di certo attraverso lo studio di generazioni di maestri di geometria e matematica.

2.7 Cheope costruì perché i suoi architetti sapevano di geometria

   Questo dimostra che gli antichi Egizi conoscevano e disegnavano correttamente e con sicurezza l'angolo retto e le linee parallele già al tempo di Cheope, tanto da poter affermare su questo presupposto, che disegnando due rette ortogonali, era facile in modo empirico osservare che individuando un segmento di 4 unità su una delle due linee e un secondo segmento di 3 unità sull'altra linea, questi avrebbero generato un triangolo col terzo lato lungo esattamente 5 unità (Fig.13).

Fig.13

2.8 La scelta al bivio

   Alla luce di quanto esposto nulla vieterebbe di ipotizzare l'uso del metodo "3-4-5" che dà modo di impostare l'angolo retto con una discreta precisione su brevi distanze; ma è preferibile usare il metodo dei cerchi per quanto scritto in nota (4).

2.9 Iniziamo a tracciare

   Si prolungano i lati LM e LN orientati geograficamente per dar modo di tracciare gli archi di cerchio per la costruzione delle perpendicolari: i tratti MO e NP.

 In ragione di ciò risulta verosimile il tracciamento degli altri due lati MQ ee NQ mediante allineamenti di paline che dovendosi incrociare nel punto Q, di fatto ognuno verifica l'altro con la misurazione di entrambi, che necessariamente dovevano essere di uguale lunghezza (Fig.14). (7)


Fig.14

3. Terzo problema

Quegli architetti avevano bisogno di conoscere con precisione la direzione delle diagonali, perché queste sarebbero servite in seguito per individuare in modo esatto la direzione degli spigoli inclinati delle facce triangolari.

Il problema si pose perché al centro del quadrato vi era un rilievo roccioso alto circa 15 m, che di fatto celava la vista libera tra i due estremi delle due diagonali.

E' possibile che il problema sia stato risolto mediante due coppie di allineamenti di paline, una coppia per ogni diagonale (allineamenti Ll e Qq per la diagonale LQ e allineamenti Mm e Nn per la diagonale MN) che partivano ognuna da ogni vertice del quadrato (Fig.15).

Fig.15

Il procedimento piuttosto semplice prevede di individuare col compasso (la solita fune tesa per tracciare due archi di cerchio), la bisettrice di ogni angolo in modo da avere una direzione da prolungare per un massimo di 162.90 m (1/2 della diagonale) verso il centro del quadrato. Si arrivava così in prossimità del centro, posto sul cucuzzolo elevato di 15 m, mediante una serie di paline allineate, una per ogni angolo del quadrato di base. Uno dei due allineamenti della coppia (ad esempio Qq) doveva essere prolungato fino ad arrivare ad aver vista libera sull'allineamento opposto Ll. Bastava così all'operatore volgere lo sguardo di 180°, per verificare se l'ultima palina di un allineamento fosse sulla prosecuzione del secondo allineamento. In ragione di ciò si poteva individuare con precisione il centro X del quadrato con piccoli aggiustamenti (assicuro il lettore che è più facile farlo che non spiegarlo a parole).

Una volta stabilito il centro X del quadrato di base, lì si doveva posizionare un segnacolo provvisorio visibile dagli angoli di base della piramide, perché quel caposaldo sarebbe stato subito utilizzato per prolungare le diagonali fuori dal perimetro della base di una lunghezza predefinita; una misura (ipotetica) di 39 cubiti in funzione di un particolare strumento di verifica, che descriveremo nella terza e quarta parte del saggio, che sarebbe servito per tenere sotto controllo la linea degli spigoli inclinati della grande piramide.

Per tanto furono prolungate le diagonali e posti dei capisaldi inamovibili e definitivi (segmenti QR, NS, LT e MU di Fig.16)  per un eventuale ripristino della direzione, e questo, con tutta evidenza, perché una volta che si fosse dato inizio alla costruzione della piramide il caposaldo X posto al centro del quadrato sarebbe stato rimosso o perlomeno occultato.

Fig.16
👉segue


note
4 Il motivo risiede nel particolare sito scelto quale sedime della costruzione, che presenta all'interno del quadrato di base una elevazione rocciosa che si eleva per circa 15 m dal piano di imposta. Ciò impediva la visuale diretta tra i due estremi della diagonale dei lati impostati e per tanto risultava impossibile misurare con accuratezza direttamente la distanza.

5 E' preferibile l'uso del metodo dei cerchi, o meglio degli archi di cerchio, perché è meno soggetto a errori se applicato con la necessaria diligenza. Basti pensare che con questo metodo, una volta tracciato il segmento al quale si vuole aggiungere una linea ortogonale, gli errori sono riconducibili a:
1°: posizionamento del fulcro del compasso non esattamente sulla linea tracciata;
2°: tensione più o meno energica della fune usata quale braccio del compasso;
3°: accuratezza di individuazione dei due incroci d'arco.

   Nel caso del triangolo 3-4-5 oppure 6-8-10 o altri ancora materializzati da funi, gli errori sono molteplici
1°: misura su una fune dei tratti pari a 3 cubiti, 4 cubiti e 5 cubiti più o meno precisi, da chiudere magari ad anello;
2°: valutazione del parallelismo tra base del triangolo di 4 cubiti con la linea di riferimento dell'ortogonalità;
3°: tensione più o meno energica della fune chiusa ad anello;
4°: precisione nel pinzare la fune esattamente a 3, 4 e 5 cubiti; poco più o poco meno non restituisce un angolo retto.
5°: errore nell'accuratezza di individuazione dei due vertici sul lato ortogonale alla base del triangolo.
 L'accumulo di tutti questi errori, se su breve distanza può essere marginale, su lunga distanza potrebbe essere intollerabile. Ma a prescindere dall'entità degli errori, che in fin dei conti sono correggibili mediante verifica finale della misura dei due lati tracciati,  vi è una più facile esecuzione del tracciamento con archi di cerchio rispetto al macchinoso sistema 3-4-5.

6 Non possiamo però escludere a priori che l'osservazione della natura possa suggerire una soluzione che non passa attraverso il metodo dei cerchi, ma compara direttamente un triangolo confezionato nelle misure 3-4-5 (palmi) con l'angolo formato dal filo a piombo con la superficie dell'acqua. Abbiamo avanzato una ipotesi in tal senso nel saggio del pozzo sacro di Santa Cristina di Paulilatino, ma in quel caso siamo in un periodo molto lontano da quel 2500 a.C. della Grande Piramide.


7 Dal libro di Maragioglio V., Rinaldi C., L’architettura delle piramidi menfite  – Volume IV, si evincono le misure da loro rilevate dei lati della Grande Piramide. Notiamo una differenza dei lati, rispetto alla misura ipotetica di 440 Cr pari a 230.384 m, che va da un minimo di +1 cm per il lato Est ad un massimo di -13.1 cm per il lato Nord; per il lato Sud +7 cm e per il lato Ovest -2.7 cm.
L'analisi dei dati ci conduce ad un bivio: il Cr aveva una misura inferiore a quella ipotizzata pari a 0.5236 m, oppure fu utilizzato un metodo misuratorio che ammette errori positivi o negativi?
   Nel primo caso, ammettendo che i lati della piramide siano stati misurati con asta rigida (che ammette solo errori positivi, mai negativi), dovremmo mettere in discussione la lunghezza del Cr largamente accettata e ammettere che nel periodo in cui fu costruita la Grande Piramide (2500 a.C.) il cubito non fosse quello medio qui ipotizzato pari a 0.5236 m ma fosse inferiore, anche di un solo decimo di millimetro, a quello che scaturisce dalla divisione in 440 parti della misura minima rilevata: 230.253, ossia un cubito pari a 0.5232 m. La qual cosa è pure verosimile dato che la differenza da quello ipotizzato è di soli 4 decimi di millimetro. Se ciò fosse dovremmo ammettere che la misura più lunga (lato Sud) sia affetta da un errore di 20.1 cm, ossia un errore per ogni cubito (se quegli architetti avessero avuto la pazienza di accostare un regolo all'altro per 440 volte) pari a 4.57 decimi di millimetro.
   Questa nostra ipotesi si scontra con l'idea che il cubito reale sia in qualche modo legato al π (Fiorini §8.4) e da qui addirittura alla unità di misura internazionale - il metro - adottata in Europa solo dal 1791. Riprenderemo l'argomento nella 3° parte di questo studio.

   Nel secondo caso invece, dovremmo pensare che quegli architetti misurarono i lati di base della piramide con una corda appositamente confezionata pari ad un numero intero di Cr (Fig. H); e proprio l'uso di un si fatto strumento può essere la causa del divario registrato in più o in meno tra la misura di progetto paria 440 Cr di 0.5236 m e le misure riscontrate, per via che la lunghezza di una fune è influenzata da molteplici fattori di natura fisica, sia meccanici che climatici.
Fig.H
agrimensori intenti a misurare con una corda

   Ancora oggi (figuriamoci 4500 anni fa) la misura col doppio decametro costituito da una fettuccia metrica, che sia di acciaio o in fibra di vetro di alta qualità, è soggetta ad un certo grado di incertezza nella misura, insita nella sua manifattura. Prendiamo una rotella metrica da 20 m, se questa è di classe I la precisione rientra in un intervallo d'errore di ±2.1 mm, ma se è di classe III può scadere a 8.6 mm. Ciò significa che ancor oggi se misurassimo il lato della grande piramide con una rotella metrica in acciaio di 20 m potremmo avere un errore totale pari ad almeno ±2.4 cm se è di classe I; se però usassimo una rotella metrica di classe III avremmo un errore pari a ±9.9 cm.
   In ragione di queste considerazioni, che non sciolgono il dubbio, lasciamo il valore del Cr pari a 0.5236 m, consci però che eventuali prove future possano abbassare questo valore.


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