Il tracciamento della base
di Sandro Angei
vedi: prima parte
Nella prima parte dello studio abbiamo affrontato il problema dell'orientamento geografico della Grande Piramide. In questa seconda parte vedremo come fu tracciata l'intera base del monumento.
2. Secondo problema
Abbiamo orientato a dovere i due lati della Grande Piramide e creato due linee ortogonali sulle quali misurare per allineamento due lati del monumento. Ora sorge la difficoltà di tracciare in modo preciso gli altri due lati. Vediamo come procedere.
2.1 Il perché di una scelta quando si è ad un bivio
Il metodo più sbrigativo è quello degli archi di cerchio che si intersecano.
Ci si chiederà: perché non abbia usato lo stesso metodo per definire la linea ortogonale alla Est-Ovest, senza dover aspettare il solstizio d'inverno per definire l'ortogonalità.
La differenza tra il primo e il secondo sta nella diversa precisione insita nei due metodi e nella possibilità di verifica della loro affidabilità. Col metodo delle ombre si ha un elevato grado di precisione dovuto alla lunghezza dei tracciamenti (circa 154 m in un senso e circa 50 m in quello ortogonale) e al metodo "solare", ma nel nostro caso particolare, non si ha possibilità di riscontro sulla ortogonalità se non con squadri di limitata grandezza(4).
Nel secondo metodo, non possiamo fare affidamento su lunghi tracciamenti, a meno di usare bracci di compasso "a fune" di notevole lunghezza a discapito della precisione; abbiamo però la possibilità di controllo della ortogonalità misurando i due lati, avendo quali punti fermi i primi due lati già precisamente tracciati.
2.2 Un secondo bivio
Detto ciò, vi sono due metodi per definire le nuove ortogonalità: il metodo dei cerchi e quello della squadra numerica 3-4-5.
Qui metteremo in pratica il primo metodo perché è il più semplice e, intuitivamente, quello più antico, quello cioè che da modo di trovare per deduzione la soluzione del "metodo 3-4-5" (il contrario sarebbe poco credibile).
2.3 E' una questione di precisione e semplicità
Sarebbe facile "invocare" la squadra numerica 3-4-5 o dei loro multipli, ma è una questione di precisione quella che si pone, ma anche e soprattutto una questione di semplicità di metodo. (5)
Nulla osterebbe l'uso della squadra 3-4-5, perché non è improbabile che quegli architetti conoscessero in modo del tutto empirico la proprietà pratica di questi numeri; tant'è che non mi sembra astruso pensare che avessero indagato in tal senso tracciando col metodo dei cerchi una "croce" con rette ortogonali, alla ricerca di una qualche combinazione di numeri (3-4-5 appunto).
Fatto sta che gli Egizi conoscevano la squadra e il filo a piombo; e secondo quanto possiamo apprendere dall'enciclopedia Treccani, sembrerebbe che conoscessero pure l'archipendolo, visto che nella Treccani, al tema: "Scienza egizia. Tecnologia" vi è scritto espressamente che "per verificare l'orizzontalità ci si serviva di fili a piombo".
Se così è, l'affermazione da modo di capire che essi conoscevano benissimo il significato di orizzontalità e di verticalità e che queste in qualche modo erano strettamente legate tra loro; tant'è che cercarono una "scorciatoia" per evitare di usare l'acqua nella verifica della orizzontalità di una linea o di un piano, mediante l'uso di una sorta di archipendolo.
2.4 Quanto antica è la geometria egizia? Ce lo dice lo scriba Ahmes
Il grado di consapevolezza geometrica degli Egizi appare con tutta evidenza dal cosiddetto "papiro di Amhes". Un papiro di straordinaria importanza se consideriamo, anche, che Amhes (1650 a.C circa) trascrisse un papiro più vecchio di parecchi secoli.
Un documento quello di Ahmes, che riporta 84 problemi tra geometrici, aritmetici e algebrici, tra i quali anche il calcolo approssimativo del π.
2.5 A rigor di logica e condivisione di pareri
Ciò puntualizzato i due metodi sarebbero entrambi giustificabili. Non è solo una mia convinzione di topografo, ma anche quella di un matematico quale è E. Giusti, che nell'articolo linkato fornisce delle spiegazioni circa l'uso abituale in antico della geometria sul campo e non sul foglio di carta come noi usiamo e ipotizza l'uso egiziano del 3-4-5 per generare un triangolo rettangolo; nel contempo, però, ha il dubbio che gli antichi Egizi fossero consapevoli che quella terna servisse ad impostare un angolo retto.
Io penso che fossero ben consci di questo, presumibilmente non per via teorica (teorema di Pitagora), ma per via empirica, nel momento in cui si resero conto attraverso l'osservazione della natura che il filo a piombo e la superficie dell'acqua formano sempre un angolo particolare e solo quello; e che quell'angolo poteva essere generato con riga e compasso. Da qui ad "armeggiare" con la misura del cubito su quella croce ricavata col compasso, il passo è breve. (6)
A prescindere dal metodo usato, vi è da dire che sotto i nostri occhi abbiamo gli elementi che provano l'uso di "riga e compasso" o del triangolo 3-4-5 in molteplici esempi che potremmo definire di "disegno tecnico di precisione".
2.6 Quando le prove son lì, sotto i nostri occhi
Bastino pochi esempi per capire quanto fosse precisa l'arte del disegnare e quali strumenti adottarono per fare ciò.
Fig.10
Invece nella immagine di Fig. 11 si noti oltre alla ortogonalità e parallelismo delle linee rispetto al riquadro della cornice perfettamente a squadra, la orizzontalità di specifici geroglifici quali il segno dell'acqua C15 (della lista del Gardiner) o i geroglifici F4 ed F5, rispettivamente cesto con manico e cesto; mentre altri non sono perfettamente allineati, ma nel complesso seguono una linea orizzontale. Si noti, particolare di altissima rilevanza, che la stele in questione è datata al 2500-2350 a.C., un periodo vicinissimo a quello di edificazione della piramide di Cheope (IV dinastia - 2600-2500 a.C).
Nella immagine di Fig. 12 non vi è accuratezza di parallelismo di alcune linee sia orizzontali che verticali, ma nel complesso si percepisce la ricerca di una composizione secondo un certo canone geometrico. Anche qui alcuni geroglifici (C15, F4 ed F5) rispettano l'orizzontalità.
Ancora nella Fig.12 la linea gialla focalizza l'attenzione sulla postura equilibrata della divinità rappresentata; caratteristica che comunque accomuna tutte le figure umane rappresentate nei geroglifici.
L'immagine (Fig.12), tratta dal sarcofago di Amenofi II è più recente di un migliaio di anni rispetto alla stele di Setju, e ciò dimostra il perdurare di certe regole geometriche apprese chissà quanti anni prima della realizzazione della Stele di Setju; e questo anche alla luce del papiro di Ahmes (ne parleremo più diffusamente nel prosieguo dello studio), che riporta, come già detto, delle nozioni di geometria e matematica di un papiro di un periodo che si stima redatto attorno al 2000-1800 a.C.; e se i fatti stanno così, significa che quel primo papiro, non nascendo dal nulla, era un compendio di conoscenze che furono acquisite non certo nel giro di qualche anno, ma di certo attraverso lo studio di generazioni di maestri di geometria e matematica.
2.7 Cheope costruì perché i suoi architetti sapevano di geometria
Questo dimostra che gli antichi Egizi conoscevano e disegnavano correttamente e con sicurezza l'angolo retto e le linee parallele già al tempo di Cheope, tanto da poter affermare su questo presupposto, che disegnando due rette ortogonali, era facile in modo empirico osservare che individuando un segmento di 4 unità su una delle due linee e un secondo segmento di 3 unità sull'altra linea, questi avrebbero generato un triangolo col terzo lato lungo esattamente 5 unità (Fig.13).
2.8 La scelta al bivio
Alla luce di quanto esposto nulla vieterebbe di ipotizzare l'uso del metodo "3-4-5" che dà modo di impostare l'angolo retto con una discreta precisione su brevi distanze; ma è preferibile usare il metodo dei cerchi per quanto scritto in nota (4).
2.9 Iniziamo a tracciare
Si prolungano i lati LM e LN orientati geograficamente per dar modo di tracciare gli archi di cerchio per la costruzione delle perpendicolari: i tratti MO e NP.
In ragione di ciò risulta verosimile il tracciamento degli altri due lati MQ ee NQ mediante allineamenti di paline che dovendosi incrociare nel punto Q, di fatto ognuno verifica l'altro con la misurazione di entrambi, che necessariamente dovevano essere di uguale lunghezza (Fig.14). (7)
3. Terzo problema
Quegli architetti avevano bisogno di conoscere con precisione la direzione delle diagonali, perché queste sarebbero servite in seguito per individuare in modo esatto la direzione degli spigoli inclinati delle facce triangolari.
Il problema si pose perché al centro del quadrato vi era un rilievo roccioso alto circa 15 m, che di fatto celava la vista libera tra i due estremi delle due diagonali.
E' possibile che il problema sia stato risolto mediante due coppie di allineamenti di paline, una coppia per ogni diagonale (allineamenti Ll e Qq per la diagonale LQ e allineamenti Mm e Nn per la diagonale MN) che partivano ognuna da ogni vertice del quadrato (Fig.15).
Il procedimento piuttosto semplice prevede di individuare col compasso (la solita fune tesa per tracciare due archi di cerchio), la bisettrice di ogni angolo in modo da avere una direzione da prolungare per un massimo di 162.90 m (1/2 della diagonale) verso il centro del quadrato. Si arrivava così in prossimità del centro, posto sul cucuzzolo elevato di 15 m, mediante una serie di paline allineate, una per ogni angolo del quadrato di base. Uno dei due allineamenti della coppia (ad esempio Qq) doveva essere prolungato fino ad arrivare ad aver vista libera sull'allineamento opposto Ll. Bastava così all'operatore volgere lo sguardo di 180°, per verificare se l'ultima palina di un allineamento fosse sulla prosecuzione del secondo allineamento. In ragione di ciò si poteva individuare con precisione il centro X del quadrato con piccoli aggiustamenti (assicuro il lettore che è più facile farlo che non spiegarlo a parole).
Una volta stabilito il centro X del quadrato di base, lì si doveva posizionare un segnacolo provvisorio visibile dagli angoli di base della piramide, perché quel caposaldo sarebbe stato subito utilizzato per prolungare le diagonali fuori dal perimetro della base di una lunghezza predefinita; una misura (ipotetica) di 39 cubiti in funzione di un particolare strumento di verifica, che descriveremo nella terza e quarta parte del saggio, che sarebbe servito per tenere sotto controllo la linea degli spigoli inclinati della grande piramide.
Per tanto furono prolungate le diagonali e posti dei capisaldi inamovibili e definitivi (segmenti QR, NS, LT e MU di Fig.16) per un eventuale ripristino della direzione, e questo, con tutta evidenza, perché una volta che si fosse dato inizio alla costruzione della piramide il caposaldo X posto al centro del quadrato sarebbe stato rimosso o perlomeno occultato.
6 Non possiamo però escludere a priori che l'osservazione della natura possa suggerire una soluzione che non passa attraverso il metodo dei cerchi, ma compara direttamente un triangolo confezionato nelle misure 3-4-5 (palmi) con l'angolo formato dal filo a piombo con la superficie dell'acqua. Abbiamo avanzato una ipotesi in tal senso nel saggio del pozzo sacro di Santa Cristina di Paulilatino, ma in quel caso siamo in un periodo molto lontano da quel 2500 a.C. della Grande Piramide.
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