E proprio lo studio del pozzo di Santa Cristina mi da ora la possibilità di intravedere nelle caratteristiche dell’area archeologica di Sant’Anastasia la probabile prova dell’esistenza, nelle vicinanze del pozzo di Santa Cristina, di un secondo pozzo. Quel pozzo freatico che teorizzai possa fungere, ancor oggi, da recettore del troppopieno della vasca lustrale del pozzo sacro di Paulilatino.
Quando visitai l’area archeologica di Sant’Anastasia, mi diede modo di riflettere sull'intera apparecchiatura il pozzo posto all’interno della chiesa; pozzo dove furono trovati numerosi reperti di grande valore dedicati al culto.
Mi domandai perché quelle genti scavarono un pozzo nelle vicinanze del pozzo sacro per deporvi offerte e quant'altro in uso nei loro riti religiosi, quando avevano a disposizione il "pozzo sacro"?
La domanda innescò, parallelamente, un successivo ragionamento: se nel pozzo di Sant’Anastasia effettivamente si manifestava la ierofania luminosa il 21 di aprile, per forza di cose il livello dell’acqua doveva rimanere stabile all’interno della vasca che la conteneva. In ragione di ciò anche a Sant’Anastasia, come a Santa Cristina, vi deve essere un sistema di troppopieno. D’altronde è ampiamente appurato che in genere i pozzi sacri sono forniti di sistema idrico di troppopieno [1]. Quindi non trovo ragione alcuna per pensare che proprio quello di Sant’Anastasia ne sia sprovvisto.
In ragione di ciò, similmente al sistema idrico ipotizzato nel pozzo sacro di Santa Cristina, è possibile che il pozzo posto all’interno della chiesa di Sant’Anastasia fungesse da dispersore naturale delle acque provenienti dal vicino pozzo sacro, mediante un’apposita canaletta di collegamento.
Ho cercato indizi in tal senso, ma nulla ho trovato che potesse confortare la mia ipotesi; neanche nelle relazioni di Antonio Taramelli che indagò il sito archeologico e ne pubblicò gli esiti in "Scavi e scoperte 1918-1921 capitolo II pagg. 100-135. Non vi ho trovato alcun riferimento alla scoperta di una eventuale canalizzazione di troppo pieno; può far riflettere però il continuo riferimento che il Taramelli effettua, nel descrivere un pozzo rispetto all'altro, scrive infatti: “Se scarsa fu la messe di oggetti dati dalla parte esterna del tempio, non furono neppure abbondanti quelle dell'interno. Con molta fatica ed approfittando della più calda stagione questo pozzo fu vuotato completamente e mantenuto asciutto per qualche ora, tanto da giungere al fondo roccioso e da penetrare entro allo stretto canaletto conducente l'acqua della vena salutare. Il compenso della pena fu piuttosto scarso: se si eccettua la conoscenza dell'antichissima opera idraulica, non si ebbe altro materiale che la grossa ciotola [omissis]. Per le sue dimensioni, per il luogo del suo rinvenimento al fondo del pozzo, ai piedi della porta della scala, ritengo fosse un vaso rituale, servito forse al sacerdote per raccogliere il liquido dalla polla sacra per le abluzioni salutari a chi scendeva al pozzo, invocando rimedii ai mali fisici e morali”;
e segue scrivendo: “Seguendo le tracce di questo selciato, sempre ad est del tempio, si rinvenne la bocca del pozzo [omissis], che doveva presentare la scoperta più fruttifera di tutto lo scavo”.
Nel cap. III - conclusioni generali - ancora scrive: "Questo pozzo di Sardara, contenente una vena d'acqua medicale, con l'attiguo pozzo delle offerte, con gli elementi di semplice, rude ma accurata e poderosa decorazione che ne mettono in evidenza l'importanza e la venerazione per parte delle popolazioni primitive, può essere ritenuto un santuario fra i più importanti, se non il principale... “
e segue: “Il carattere idrologico di questo tempio, come degli altri sinora studiati, consiste nel culto dato ad una raccolta e ad una vena d'acqua salutare, difese perciò dalle impurità del soprassuolo e da ogni contatto con altre acque per mezzo della cupola; nel pozzo attiguo, accuratamente costruito, erano deposte le offerte in prevenzione o in ricambio del beneficio ottenuto”.
Quanto descritto dal Taramelli ci da modo di capire che i due pozzi con ogni probabilità erano ritualmente legati l'uno all'altro: il primo destinato alla raccolta dell'acqua corrente, usata quale medicamento nelle abluzioni rituali (almeno così ipotizza il Taramelli), il secondo destinato alle offerte. Ma se ciò fosse coerente alla realtà, il secondo pozzo doveva necessariamente essere collegato al primo per condividere la stessa acqua salutifera che, dice espressamente il Taramelli: "culto dato ad una raccolta e ad una vena d'acqua salutare, difese perciò dalle impurità del soprassuolo e da ogni contatto con altre acque per mezzo della cupola; nel pozzo attiguo, accuratamente costruito, erano deposte le offerte in prevenzione o in ricambio del beneficio ottenuto" (mio il sottolineato ndr).
Questo sta a significare che l'acqua salutifera non doveva venire mai a contato con la superficie ma, sgorgando dalle viscere della terra e raccolta nel pozzo sacro, per mantenere le sue caratteristiche sacre e salutifere, doveva essere immediatamente ricondotta alla madre terra senza soluzione di continuità attraverso le viscere della terra stessa. [2]
Conclusioni
Sarebbe auspicabile, per capire se ciò che sostengo sia verosimile, lasciare libero deflusso alle acque del pozzo sacro di Sant'Anastasia fin quando queste, raggiunto il livello del presunto sistema di troppopieno (con la speranza che questo non sia ostruito) possano confluire nel pozzo posto all’interno della chiesetta.
Se ciò dovesse avvenire, sarebbe il caso di cercare, magari col georadar, un probabile pozzo nascosto nelle vicinanze del pozzo sacro di Santa Cristina.
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Che il dio del popolo nuragico ci perdoni per quel che stiamo cercando di scoprire.
Non se ne abbia a male, lo facciamo per far si che la Luce torni a splendere lì dove le tenebre del tempo hanno ammantato d'oblio la Storia di questo mirabile popolo.
Spero, anzi, si compiaccia all'idea di vedere ripristinata l'integrità di quell'acqua curativa e la funzione del pozzo sopra il quale fu costruito il tempio cristiano.
Note:
1 Da: https://www.quaderniarcheocaor.beniculturali.it/index.php/qua/article/download/121/120/328 Leggiamo nell'articolo di Pietro Alfonso e Alessandra La Fragola - Il santuario nuragico - romano della Purissima di Alghero (SS), che anche nel pozzo sacro di "La purissima" vi è un sistema di canalizzazione di troppopieno benché la scalinata rechi solo quattro gradini (sic!), scrivono infatti gli estensori della relazione di scavo: "Nel lato destro del terzo scalino si evidenzia una fessura la cui funzione è quella di canaletta di sfogo per il cosiddetto "troppo pieno", soluzione necessaria a mantenere a livello prestabilito l'acqua raccolta, facendo fuoriuscire quella in esubero".
2 Forse questa è la discriminante tra alcuni pozzi sacri ed altri equiparabili alle fonti sacre che andiamo vedendo e studiando. Per tanto avanziamo la seguente, benché vaga, ipotesi:
Nel momento in qui l'acqua è considerata salutifera, essa non deve mai lasciare l'oscurità della madre terra protettrice; per tanto il sistema di canalizzazione di troppopieno, presente ma nascosto in certi pozzi sacri, sarebbe deputato anche a questo oltre che al mantenimento del livello idrico.
Nel caso invece dell'acqua delle fonti sacre, come quella di Su tempiesu di Orune, o del pozzo sacro di Irru di Nulvi, dove l'acqua scorre all'aperto, questa probabilmente era considerata sacra ma non salutifera perché contaminata dal suo convogliamento a cielo aperto.
Penso che ci hai azzeccato in pieno....
RispondiEliminaE' una ipotesi che necessita di indagini mirate, come scrivo a conclusione dell’articolo. Vedremo se in un futuro non troppo lontano si potrà far chiarezza. Per quanto riguarda l’esperimento di Sant’Anastasia, con buona fortuna non servirebbe investire alcuna somma, basterebbe “togliere corrente” alla pompa di evacuazione dell’acqua ed attendere. Per Santa Cristina il discorso è ben più complesso e oneroso, ma ci fosse la volontà…
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