Sommario
Il presente saggio vuol far luce sulla parte meno studiata della lastra funeraria di Allai; ossia quelle tre righe di scrittura in caratteri latini: GIORRE VTV VRRIDV.Indagheremo nel lontano passato alla ricerca di indizi, se non prove, che legano la Sardegna ad Ugarit attraverso il Vecchio Testamento, assemblando i pezzi di un puzzle sparsi per ogni dove nello sterminato oceano di studi e pubblicazioni. Cercheremo di dare un significato a tutti e tre i lemmi attraverso la comparazione lessicale, attingendo a studi di carattere accademico, consci del fatto che la civiltà nuragica, attraverso il culto della luce e dell'acqua, venerava un dio potente, fallico, taurino e solare al contempo, al quale si chiedeva l'acqua. Cercheremo indizi nei toponimi, benché ciò possa essere pericolosamente fuorviante; ma l''opportunità di ricucire un pezzo di storia sarda è troppo grande per lasciar fluire nel silenzio della dimenticata memoria tutti i dati che verranno esposti.
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A
volte il fato, quello che alcuni negano e io tra quelli, sistema gli
avvenimenti in modo strano. All'inizio programmi di disporre le cose
e gli eventi in un certo modo, convinto di poterli controllare e
inanellare nel modo corretto, ma quando un agente di disturbo si
inserisce nel meccanismo, lasci perdere il programma stabilito e bruci
le tappe; e ciò che pensavi di mettere dopo, lo metti avanti e
viceversa; ma il bello, che poi è ciò che stupisce, è che ti rendi
conto che sia giusto che i primi “preventivati” eventi siano lasciati "in ultimo", benché nella tua mente pensassi di disporre
tutto per benino, incominciando da lontano (forse troppo lontano) per
cercare di capire se Giorre di Allai e Giorrè di Florinas siano due
calzini spaiati o gemelli.
Parte dell'articolo che segue era propedeutico allo
studio dell'attinenza l'un l'altro di questi due nomi simili che divergono per semplice accentazione. Poi quegli stessi studi hanno
imposto la verifica in loco del sito di Florinas e lì la scena è
cambiata; ha preso il sopravvento ciò che all'inizio sembrava
marginale all'avanzamento degli studi ed è diventato materia di
studio a se stante. Così il 23 novembre 2017 pubblicai Quando si scriveva in nuragico in quel di Giorrè..., subito dopo, il 30 novembre, pubblicai Giorrè tra geometria e astronomia.
E'
stato un bene che ciò andasse in tal modo, perché nel frattempo
questo articolo, che sonnecchiava, a poco a poco si è arricchito di
nuovi dati e nuove considerazioni. Considerazioni che correvano il rischio di rimanere nell'oblio se gli eventi iniziali si fossero svolti come da
me programmati.
***
Premessa
Il primo
dicembre 2014 su Monte Prama blog fu ripubblicato Scrittura nuragica: gli Etruschi allievi dei Sardi (I) un articolo comparso sul blog
di Gianfranco Pintore il 14 giugno 2012 a firma del Prof. Gigi Sanna, inerente lo studio di una stele funeraria
ritrovata in agro di Allai nel 1984 dal Signor Armando Saba.
Fig.1[1]
La lapide
reca più righe di scrittura variamente orientate, in un mix tra latino, etrusco
e certi segni pittografici; questi ultimi fecero subito presagire la natura
nuragica della formula. A primo acchito dall'epigramma si evince la scritta in
caratteri latini “GIORRE UTU URRIDU”. Il resto è materia per etruscologi e …
nuragologi.
La scritta
fu subito oggetto di studio da parte del Prof. Massimo Pittau (vedi documento
in nota 1) e altri che, evidentemente, la ritenevano e la ritengono genuina.
Certuni, invece, gridarono al falso.
Il Prof.
Sanna diede una sua interpretazione secondo le regole della scrittura nuragica,
arrivando ad un risultato sorprendente, individuando una scrittura etrusca
brustofedica ((a serpente) che recita:
“La sorte in mano a Iunu
mi annientò facendomi morire
per consunzione”.
Individuò, tramite le inclinazioni delle scritte, il
nome divino yhh.
Individuò e interpretò i tre serpenti pittografici,
l'ultimo dei quali polisemico.
Scoprì un dato estremamente difficile da individuare:
gli anni di vita dell'importante personaggio nominato nella epigrafe: GIORRE,
che visse fino a 110 anni. Il dato fu individuato in quella inusuale quanto lampante
obliquità della linea che unisce la prima lettera delle parole scritte in caratteri latini: GIORRE VTV
VRRIDV, ossia CVV.
L'interpretazione, difficilmente contestabile, fu
oggetto di alcune timide obiezioni nel commentario dei due blog
(peccato non siano più visibili i commenti su Monte Prama blog). Obiezioni
dalle quali emerse che esiste in Sardegna una località che ricorda la scritta,
per la quale ci si limitò a dire che Giorrè è il nome di un altipiano vicino
Florinas; ma solo per tentare di inficiare la tesi del Prof. Sanna.
Per intenderci, Giorrè è il
nome di un vasto altipiano tra Florinas e Cargeghe nel sassarese. Nel punto di
massima elevazione (570 m slm), si trovano i resti di un santuario nuragico e
questo dato già di per sé, in quell'occasione
(la pubblicazione dell'articolo), sarebbe stato interessante per rafforzare la
tesi del Professore.
L'archeologa
Angela Antona studiò il sito di Giorrè e lo pubblicò in Bollettino di
Archeologia 46-48, 1997, intitolandolo “Il santuario di Giorrè,
Florinas-Sassari”. In seguito, come già accennato, studiai anch'io il sito e vi trovai degli interessanti riscontri di carattere astronomico che si legano in modo incredibile ai bronzi nuragici e alla scrittura.
***
Considerazione iniziale
Per quanto
premesso, possiamo, inquadrandola in un contesto religioso, fare una semplice
considerazione a riguardo della lapide di Allai. Considerazione che prelude una
domanda.
La lastra
funeraria reca la parola GIORRE, in qualche modo legata al defunto, morto alla bella età di 110 anni
per consunzione del corpo; vocabolo che in modo unanime il Prof Sanna e il Prof.
Pittau individuano (in contesti differenti), quale nome proprio del defunto[2].
In ragione
di ciò, come possiamo associare il nome proprio del defunto al santuario
nuragico di Giorrè?
Potremmo
pensare, viste le datazioni in gioco: V-IV secolo a.C. per la
lastra funeraria di Allai, bronzo medio (1600-1300 a.C.) per il santuario
nuragico di Giorrè; che il defunto fosse così chiamato per devozione al santo
nuragico Giorrè; ma il resto della formula (UTU URRIDU) pensiamo non fosse
il nomen e il cognomen del defunto,
come sostiene il Prof. Sanna, ma fosse epiteto con altro riferimento; forse il suo status. Il motivo del nostro dubbio sta nel
fatto che l'acronimo del presunto prenomen, nomen e cognomen indichi gli anni
di vita del defunto, morto a 110 anni.
E' mai
possibile una coincidenza così straordinaria?
E' difficile
per me, abituato a fare i conti con le probabilità che un evento in campo
archeoastronomico si verifichi in modo casuale, quando i dati in possesso
dimostrano inequivocabilmente l'intenzionalità, affidare alla casualità un dato
come quello rilevato nella lastra
funeraria. In sostanza nel nome del defunto sarebbero stati, sin dall'inizio della sua esistenza e per tanto per volere dei suoi genitori, celati i suoi anni di vita.
E' possibile
invece che siamo davanti alla costruzione di un rebus creato ad hoc in morte, forse di un sacerdote, ad opera
di un suo allievo scriba, ormai sacerdote pure lui; che giocando con numeri, parole e
argomenti abbia non solo scritto il nome del defunto GIORRE (almeno per ora lo
consideriamo solo tale), ma anche la sua professione di sacerdote di un dio antichissimo venuto da lontano.
VTV URRIDU
VTV URRIDU
In sostanza,
tra le parole usate nella epigrafe, il lemma “VTV” (UTU),
potrebbe essere il nome del dio solare sumero, venerato ad Ur capitale
di quel regno, che si identifica in modo preciso con quello Assiro Babilonese
Šamaš (shamash)[3]. Divinità
che subirà nell'andare del tempo la trasposizione:
UTU(sole/toro)→Šamaš(sole/toro)→yhw(sole/toro).
UTU(sole/toro)→Šamaš(sole/toro)→yhw(sole/toro).
Per tanto
nella iscrizione potremmo leggervi: VTV di Ur (città del dio sole/toro)[4];
ossia divinità urrita (da non confondersi con la civiltà Hurrita), per
via che in sardo l'aggettivo di provenienza: “urrita” si traduce
con: “urridu”.
E' il momento di aprire una parentesi, che potrebbe dar ragione a questa mia tesi:
L'ebraico dialetto di Canaan.
L'ugaritico lingua paleo-canaanita
Dall'articolo apprendiamo che l'ebraico biblico è un dialetto canaanita (pag. 329). Di seguito leggiamo: «Nel 1930 furono pubblicate sulla rivista Syria fotografie e riproduzioni fatte a mano, ed entro otto mesi la nuova lingua (di Ugarit ndr) veniva decifrata, grazie agli sforzi combinati di tre studiosi che lavoravano separatamente in tre Paesi diversi (pag.329). La nuova lingua fu battezzata “ugaritico”; la sua importanza per lo studio dell'ebraico biblico ne ha fatto una delle principali discipline della ricerca biblica nei recenti decenni, e avremo modo di discuterne in seguito il suo ruolo per la valutazione del rapporto fra l'eblaita e l'Antico Testamento (pag. 330).» E ancora: «Fu Albright ad identificare per primo Ras Shamra con l'antica Ugarit e a rilevare tempestivamente e ad insistere assiduamente sulla importanza della lingua e della letteratura ugaritica per un'esatta comprensione della lingua e della letteratura biblica.» Nel prosieguo dell'articolo leggiamo: «Studioso assai erudito, il padre Vaccari (Padre Alberto Vaccari del Pontificio Istituto Biblico ndr) veniva spesso a confidarci il suo rincrescimento per non aver apprezzato a sufficienza l'importanza dell'ugaritico per la ricerca biblica e per non aver utilizzato le tavolette di Ugarit nella sua traduzione della Bibbia in italiano. Continua scrivendo: … non possiamo permetterci di trascurare i testi scoperti a Ebla e la loro possibile importanza per la Bibbia» (pag. 331).
Ancora a pag. 331 leggiamo una dichiarazione di Giovanni Pettinato, illustre sumerologo in riferimento alle tavolette ugaritiche: «Riesco a leggere le tavolette, ma non capisco una parola!» La ragione di ciò sta nel prosieguo dell'articolo: «Usando i segni cuneiformi della lingua sumerica, una lingua non semitica, gli scribi di Ebla scrivevano in una lingua loro propria, che, come poi risultò, era semitica. Non c'è quindi da stupirsi se Pettinato, un sumerologo, era in grado di leggere i segni, ma non di capire il linguaggio.» Di seguito è scritto: «Pettinato scoprì il segreto per leggere e capire le tavolette, ed in una lezione tenuta per l'inaugurazione dell'Aula Paolina del Pontificio Istituto Biblico, il 24 aprile 1975. egli riferiva di essere riuscito ad identificare la lingua come paleo-canaanaica e strettamente apparentata con l'ebraico biblico ed il fenicio.» Più avanti leggiamo: «... la scoperta ad Ebla del nome di persona <dingir-yà-ra-mu>, nel quale l'elemento divino <yà compare> all'inizio del nome... è preceduto dal determinativo o indicatore semantico <dingir>, che indica che il nome yà immediatamente seguente è il nome di un dio.» (pag. 336).
Yhwh cambia il nome di Abramo secondo la lingua ugaritica
In questo contesto, penso, dobbiamo guardare e studiare in primis le tavolette di Tzricotu di Cabras e quindi tutta la documentazione in scrittura nuragica, anche quella tarda come nel caso della lapide di Allai, dove la scrittura etrusca si mescola con quella di tipo latino e logogrammi adottati dai nuragici. Lo stesso mélange che ritroviamo nelle tavolette di Tzicottu, e nella sala da ballo di San Giovanni del Sinnis, dove, in quest'ultimo, caratteri di tipo latino si mescolano con caratteri antichissimi risalenti al protosinaitico (iscrizione di Serabit El-Khadim).
Già il Prof. G. Sanna assieme a G. Atzori in "Omines" Ed. Castello del 1996, vi intravvidero solidi legami con quella civiltà. In un passo di quel libro (pag.107) leggiamo a proposito delle percentuali di segni grafici: «...Alfabeto ugaritico cuneiforme 39,3%, fenicio-palestinese 60,7%. Un mix questo che non autorizza a ritenere che si è in presenza di due o tre tipi di alfabeto, ma che induce a pensare ad un unico alfabeto ugaritico arcaico con un totale di 25 segni chiaramente leggibili.» Considerazione in piena sintonia con quanto scritto nella già citata rivista "Civiltà Cattonica" del 1978.
La possibile prova che l'ugaritico fosse ancora compreso dagli ebrei bibblici la troviamo ancora nel citato articolo di "Civiltà Cattolica" nel quale al proposito della bassissima attendibilità storica di un versetto del Genesi si scrive nel capitolo intitolato "I tempi di Abramo": «Le origini abramitiche del popolo ebreo rappresentano una questione piena d'enigmi. Alcuni studiosi datano Abramo intorno al 2000 a.C., altri intorno al 1700 a.C., altri ancora intorno al 1400 a.C. e ve ne sono molti che negano semplicemente che Abramo sia una figura storica. Così, uno studioso americano rinomato, George Mendenhall, ha scritto recentemente a questo proposito: «La maggioranza degli studiosi biblici non potrebbe concepire l'idea che alle narrazioni del libro del Genesi sottostiano tradizioni molto arcaiche; anzi, forse la maggioranza degli specialisti moderni della Bibbia, specialmente in Europa, non può considerare il Genesi se non come un "mito" prodotto in Israele in un tempo posteriore (e preferibilmente molto posteriore) al decimo secolo avanti Cristo». Il cuore del problema è costituito dal capitolo 14 del Genesi. [omissis] Ora Gen 14,2 e 8 sono gli unici due testi che riportano la lista delle cinque città della pianura che furono distrutte da Dio per la loro peccaminosità: Sodoma, Gomorra, Adma, Zeboim e Bela. Queste stesse cinque città, e nello stesso ordine, appaiono ora in una tavoletta di Ebla! Come si può spiegare una simile coincidenza? Ma si tratta veramente di una coincidenza? E' Difficile, poiché non ci si potrebbe attendere lo stesso ordine se ci fossero fonti indipendenti. Ed una tradizione puramente orale non avrebbe verosimilmente conservato lo stesso ordine. Nel suo Anchor Commentary al Genesi, pubblicato nel 1964, E.A. Speiser suggeriva che l'autore di Gen 14 forse aveva avuto a disposizione un documento cuneiforme con la lista di queste cinque città; alla luce delle recenti scoperte questa teoria appare ora assai verosimile. In altre parole, la tradizione di Gen 14 deve risalire fino al periodo di Ebla, intorno al 2500 a.C., quando queste città erano ancora vive e vegete, poiché la tavoletta in questione ne parla come di città fiorenti. E quel che più colpisce è che la stessa tavoletta menziona anche Damasco, la quale è anch'essa nominata in Gen 14. I capitoli 18 e 19 del Genesi descrivono poi la loro improvvisa e violenta distruzione. Poiché Abramo e Lot compaiono in ambedue le narrazioni, si può pensare ragionevolmente che Gen 14 e 18-19 appartengano allo stesso quadro cronologico».
Cosa possiamo aggiungere di più a quanto finora citato, se non che l'alfabeto cuneiforme era scritto, letto e capito in un periodo posteriore al decimo secolo avanti Cristo. Stiamo parlando di almeno 1500 anni di viaggio nel tempo della scrittura ugaritica. In confronto un viaggio terrestre di quella stessa scrittura, in un tragitto dal Sinai alla Sardegna, mi sembra del tutto, e banalmente, semplice.
Una riflessione
Riflettendo sulle modalità di realizzazione dei sigilli nuragici di Tzricottu ci si rende conto che essi furono scritti sulla falsa riga delle tavolette in cuneiforme ugaritico; ossia come se tutti i segni dei sigilli sardi fossero stati incisi sulla superficie di bronzo con un "ipotetico" durissimo stilo, ispirandosi alla modalità di scrittura su tavolette di argilla.
Sapiamo con esattezza come furono confezionati i sigilli di Tzricottu. Il metodo tanto semplice quanto geniale dimostra la capacità ed inventiva di quei metallurghi, che vollero rendere "eterne" quelle tavolette[6].
In sostanza il modo di scrivere e l'uso di lettere dell'alfabeto cuneiforme ugaritico nei sigilli di Tzricottu non sarebbe dettato solo dall'esigenza del rebus scrittorio teso al mero nascondimento del significato, ma potrebbe essere dettato, con cognizione di causa, dai principi ispiratori e quindi alla sacralità di quei segni. A questa considerazione siamo pervenuti leggendo un testo ugaritico tradotto da Giovanni Pettinato nel suo già citato libro "I sumeri": "Il messaggero aveva la «lingua pesante», non era capace di ripeterlo; poiché il messaggero aveva la «lingua pesante», e non era capace di ripeterlo, il signore di Kullab [Uruk] impastò l'argilla e vi incise le parole come in una tavoletta; - prima nessuno aveva mai inciso parole nell'argilla - ora, quando il dio sole risplendette, ciò fu manifesto: il signore di Kullab incise le parole come in una tavoletta, ed esse furono visibili."
Giovanni Pettinato spiega l'oscuro significato del passo: "ora, quando il dio sole risplendette, ciò fu manifesto"; infatti subito dopo scrive: "L'informazione infine che la scrittura fu visibile allo splendere del sole è comprensibile soltanto agli addetti ai lavori: io ne feci l'esperienza la prima volta che presi in mano una tavoletta cuneiforme. Avevo studiato il cuneiforme all'Università di Heidelberg per quattro anni, e leggevo correntemente i testi in autografia. Recatomi al British Museum di Londra per controllare gli originali, ebbi la sgradita sorpresa di non riuscire ad identificare la scritta delle tavolette, appunto perché l'occhio non era abituato a leggere le incisioni. Allora i colleghi inglesi mi spiegarono che dovevo fare arrivare la luce radente sulla tavoletta, poiché solo così i segni diventavano visibili. La stessa esperienza la feci in seguito sul campo di scavo a Tell Mardikh-Ebla al momento del ritrovamento della Biblioteca Reale con circa 20.000 tavolette: dovendo approntare il catalogo ragionato dei documenti riportati alla luce, fui costretto a lavorare intensamente e a lungo. Ebbene, nonostante io volessi leggere le tavolette già prima del sorgere del sole, dovetti rinunciare a questo proposito, poiché la scrittura non era visibile al chiarore dell'alba, così come all'imbrunire, ma soltanto con la luce solare: allora le incisioni comparivano quasi dal nulla in tutto il loro splendore."
La spiegazione e l'esperienza di Giovanni Pettinato mette in luce l'essenza "nascosta" della scrittura ugaritica, al pari di quella nuragica: semplice combinazione o ricordo, nella mente degli scribi nuragici, di un modo di intendere la scrittura quale messaggio da nascondere alla vista dei profani?
Chiusa parentesi.
E' il momento di aprire una parentesi, che potrebbe dar ragione a questa mia tesi:
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Nella rivista quindicinale di cultura fondata nel 1850 : “La civiltà cattolica” anno 129° 1978 Volume secondo – Quaderni 3067-3072 troviamo un interessante articolo intitolato “Ebla, Ugarit e l'Antico Testamento” di Mitchell Dahood S.I.- pagg. 328-340.[5]L'ebraico dialetto di Canaan.
L'ugaritico lingua paleo-canaanita
Dall'articolo apprendiamo che l'ebraico biblico è un dialetto canaanita (pag. 329). Di seguito leggiamo: «Nel 1930 furono pubblicate sulla rivista Syria fotografie e riproduzioni fatte a mano, ed entro otto mesi la nuova lingua (di Ugarit ndr) veniva decifrata, grazie agli sforzi combinati di tre studiosi che lavoravano separatamente in tre Paesi diversi (pag.329). La nuova lingua fu battezzata “ugaritico”; la sua importanza per lo studio dell'ebraico biblico ne ha fatto una delle principali discipline della ricerca biblica nei recenti decenni, e avremo modo di discuterne in seguito il suo ruolo per la valutazione del rapporto fra l'eblaita e l'Antico Testamento (pag. 330).» E ancora: «Fu Albright ad identificare per primo Ras Shamra con l'antica Ugarit e a rilevare tempestivamente e ad insistere assiduamente sulla importanza della lingua e della letteratura ugaritica per un'esatta comprensione della lingua e della letteratura biblica.» Nel prosieguo dell'articolo leggiamo: «Studioso assai erudito, il padre Vaccari (Padre Alberto Vaccari del Pontificio Istituto Biblico ndr) veniva spesso a confidarci il suo rincrescimento per non aver apprezzato a sufficienza l'importanza dell'ugaritico per la ricerca biblica e per non aver utilizzato le tavolette di Ugarit nella sua traduzione della Bibbia in italiano. Continua scrivendo: … non possiamo permetterci di trascurare i testi scoperti a Ebla e la loro possibile importanza per la Bibbia» (pag. 331).
Ancora a pag. 331 leggiamo una dichiarazione di Giovanni Pettinato, illustre sumerologo in riferimento alle tavolette ugaritiche: «Riesco a leggere le tavolette, ma non capisco una parola!» La ragione di ciò sta nel prosieguo dell'articolo: «Usando i segni cuneiformi della lingua sumerica, una lingua non semitica, gli scribi di Ebla scrivevano in una lingua loro propria, che, come poi risultò, era semitica. Non c'è quindi da stupirsi se Pettinato, un sumerologo, era in grado di leggere i segni, ma non di capire il linguaggio.» Di seguito è scritto: «Pettinato scoprì il segreto per leggere e capire le tavolette, ed in una lezione tenuta per l'inaugurazione dell'Aula Paolina del Pontificio Istituto Biblico, il 24 aprile 1975. egli riferiva di essere riuscito ad identificare la lingua come paleo-canaanaica e strettamente apparentata con l'ebraico biblico ed il fenicio.» Più avanti leggiamo: «... la scoperta ad Ebla del nome di persona <dingir-yà-ra-mu>, nel quale l'elemento divino <yà compare> all'inizio del nome... è preceduto dal determinativo o indicatore semantico <dingir>, che indica che il nome yà immediatamente seguente è il nome di un dio.» (pag. 336).
Yhwh cambia il nome di Abramo secondo la lingua ugaritica
Nell'articolo di Mitchell Dahood,
viene motivato il cambiamento del nome del patriarca Abram in Abraham
ad opera di yah e leggiamo: «Il motivo dato dallo scrittore biblico per il
cambiamento del nome di Abram in Abraham è: «Perché ti renderò
padre di una moltitudine di nazioni» (Gen 17,4-5). I filologi sono
stati incapaci di offrire finora una spiegazione soddisfacente di
questo mutamento, se non quella suggerita da un uso aramaico molto
più tardivo; ora, uno sguardo agli usi ugaritici mostra che questo
tipo di espansione della radice da ram
a raham
viene attestato nella formazione di nomi plurali. Così il plurale di
bet,
«casa», in ugaritico è bahat,
con l'inserzione di -h-;
il plurale di amt,
«ancella», e amahat,
e quello di um,
«madre» è umahat.
Perciò espandendo il nome da abram
ad abraham,
l'autore segue un uso canaanita nella formazione dei nomi plurali;
poiché Abramo doveva diventare padre di molti popoli, era opportuno
che il suon nome assumesse una forma plurare pur restando singolare
nel significato».
Questo
dato illumina non poco lo scenario in cui si muoveva Abramo. Il suo
nome fu modificato da yhw, attingendo non alla grammatica ebraica ma
a quella ugaritica per la formazione di un particolare plurale. E qui si apre uno
spiraglio che da ragione al Prof. Sanna quando egli dichiara che la
divinità nuragica yhw non è quella ebraica ma quella canaanaica, più
antica. Tanto antica da arrivare al periodo di Ebla (2500 a.C.);
tant'è che lì era invalso l'uso di definire la maggiore delle
divinità “Dagon il Canahanita” (sempre dal medesimo articolo
ndr).
Abramo potrebbe provenire proprio da Ur
Secondo G. Pettinato, quando il Genesi mette in relazione Ur con Harran, che da quella dista in linea retta poco più di 900 km, forse non intende quella città, perché «le tavolette di Ebla, del terzo millennio, parlano di una città di Ur (Uru per G. Pettinato in "I sumeri" Bompiani Editore ndr) nel territorio di Harran, cosicché sembra che il Genesi riferisca tradizioni a questo periodo piuttosto che al secondo millennio come sfondo storico delle vicende di Abramo»; e ciò darebbe maggiore impulso alla nostra tesi, che vedrebbe Abramo quale portatore di una cultura non ebraica ma ugaritica, a prescindere dalla precisa individuazione della città: Ur o Uru .
Ma la considerazione di Giovanni Pettinato che indicherebbe “Uru” vicino ad Harran, quale città menzionata nel V.T., potrebbe non essere veritiera, e d'altronde egli stesso non insiste scrivendo nel suo “I Sumeri: «Nei testi rinvenuti nella città siriana si parla di una città Uru, sita proprio non molto distante da Kharran, che mi sembra la ovvia candidata ad essere la patria di origine della famiglia di Terakh e di suo figlio Abramo. Ma non sempre la realtà storica è affascinante quanto la leggenda: perciò continueremo a immaginare anche noi, sulla base di quanto ha scritto l'autore della Genesi, che Abramo provenisse da Sumer, più propriamente da Ur, e che dopo un pellegrinare di oltre duemila chilometri sia arrivato nella terra promessa». Da quanto scrive lo studioso si potrebbe arguire che quei “duemila chilometri” siano, per lui, una distanza troppo grande da percorrere a piedi. Se però facciamo alcune semplici considerazioni, possiamo renderci conto della fattibilità dell'impresa.
Il percorso di Abramo da Ur all'Egitto
Abramo potrebbe provenire proprio da Ur
Secondo G. Pettinato, quando il Genesi mette in relazione Ur con Harran, che da quella dista in linea retta poco più di 900 km, forse non intende quella città, perché «le tavolette di Ebla, del terzo millennio, parlano di una città di Ur (Uru per G. Pettinato in "I sumeri" Bompiani Editore ndr) nel territorio di Harran, cosicché sembra che il Genesi riferisca tradizioni a questo periodo piuttosto che al secondo millennio come sfondo storico delle vicende di Abramo»; e ciò darebbe maggiore impulso alla nostra tesi, che vedrebbe Abramo quale portatore di una cultura non ebraica ma ugaritica, a prescindere dalla precisa individuazione della città: Ur o Uru .
Ma la considerazione di Giovanni Pettinato che indicherebbe “Uru” vicino ad Harran, quale città menzionata nel V.T., potrebbe non essere veritiera, e d'altronde egli stesso non insiste scrivendo nel suo “I Sumeri: «Nei testi rinvenuti nella città siriana si parla di una città Uru, sita proprio non molto distante da Kharran, che mi sembra la ovvia candidata ad essere la patria di origine della famiglia di Terakh e di suo figlio Abramo. Ma non sempre la realtà storica è affascinante quanto la leggenda: perciò continueremo a immaginare anche noi, sulla base di quanto ha scritto l'autore della Genesi, che Abramo provenisse da Sumer, più propriamente da Ur, e che dopo un pellegrinare di oltre duemila chilometri sia arrivato nella terra promessa». Da quanto scrive lo studioso si potrebbe arguire che quei “duemila chilometri” siano, per lui, una distanza troppo grande da percorrere a piedi. Se però facciamo alcune semplici considerazioni, possiamo renderci conto della fattibilità dell'impresa.
Il percorso di Abramo da Ur all'Egitto
1°
- Ur dista da Harran in linea retta poco più di 900 km. Seguendo il
tragitto del fiume Eufrate, Abramo e la sua comitiva avrebbero percorso
poco più di 1100 km prima di arrivare ad Harran; distanza che,
percorrendo mediamente e con tutta calma 10 km al giorno, si poteva coprire in meno di
quattro mesi continui di cammino. Daltronde una carovana di dromedari (certamente in un diverso contesto e spinta alla celerità da necessità commerciali), avrebbe potuto percorrere la pista in un solo mese, coprendo giornalmente una distanza di 40 km. Oltre tutto, lungo il fiume il terreno era fertile e sicuramente
antropizzato, per tanto era una via sicura e ben conosciuta. Di certo Abramo e i suoi avevano al seguito tutto il necessario per sopravvivere e barattare il prodotto dei loro greggi.
2°
- In Genesi 12,10 vi è scritto che Abramo da Harran scese in Egitto, che dista da quella non meno di 1200 km. Ciò dimostrerebbe che
distanze simili erano del tutto normali nel “pellegrinare” di
quelle genti e per tanto anche la distanza da Ur ad Harran era agevolmente percorribile.
In
ragione di ciò è verosimile che Abramo potesse provenire veramente
da Ur.
Inoltre il tragitto da Ur fino all'Egitto non fu compiuto in un tempo eccessivamente lungo; infatti in Genesi 11,31-32 vi è scritto «Dopo ciò Terah prese Abramo suo figlio e Lot, figlio di Haran, suo nipote, e Sarai sua nuora, moglie di Abramo suo figlio, e uscirono con lui da Ur dei caldei per andare nel paese di Canaan. A suo tempo arrivarono ad Haran e presero a dimorarvi. E i giorni di Tera giunsero a duecentocinque anni. Quindi Tera morì ad Haran». In Genesi 12, vi è scritto che Abramo va via da Harran e pellegrinando arriva a Betel; da lì si sposta a sud verso il Negheb, ma una carestia lo costringe ad andare in Egitto e poco prima di entravi Abramo dice a Sarai «Ora, ti prego! So bene che sei una donna di bell’aspetto. Così di sicuro accadrà che gli egiziani ti vedranno e diranno: ‘Questa è sua moglie’. E certamente uccideranno me, ma conserveranno te in vita. Ti prego, di’ che sei mia sorella, perché io sia trattato bene a motivo tuo, e certamente la mia anima vivrà grazie a te.» (Gen. 12,11-13). Da questi versetti si capisce che Sarai quando andò via da Ur doveva essere giovanissima e ancora giovane era quando arrivò in Egitto. Per tanto il pellegrinaggio da Ur alla terra del Nilo, attraverso Harran, forse richiese non più di qualche anno, se Sarai era ancora così avvenente quando entrò in Egitto.
Conclusioni
Inoltre il tragitto da Ur fino all'Egitto non fu compiuto in un tempo eccessivamente lungo; infatti in Genesi 11,31-32 vi è scritto «Dopo ciò Terah prese Abramo suo figlio e Lot, figlio di Haran, suo nipote, e Sarai sua nuora, moglie di Abramo suo figlio, e uscirono con lui da Ur dei caldei per andare nel paese di Canaan. A suo tempo arrivarono ad Haran e presero a dimorarvi. E i giorni di Tera giunsero a duecentocinque anni. Quindi Tera morì ad Haran». In Genesi 12, vi è scritto che Abramo va via da Harran e pellegrinando arriva a Betel; da lì si sposta a sud verso il Negheb, ma una carestia lo costringe ad andare in Egitto e poco prima di entravi Abramo dice a Sarai «Ora, ti prego! So bene che sei una donna di bell’aspetto. Così di sicuro accadrà che gli egiziani ti vedranno e diranno: ‘Questa è sua moglie’. E certamente uccideranno me, ma conserveranno te in vita. Ti prego, di’ che sei mia sorella, perché io sia trattato bene a motivo tuo, e certamente la mia anima vivrà grazie a te.» (Gen. 12,11-13). Da questi versetti si capisce che Sarai quando andò via da Ur doveva essere giovanissima e ancora giovane era quando arrivò in Egitto. Per tanto il pellegrinaggio da Ur alla terra del Nilo, attraverso Harran, forse richiese non più di qualche anno, se Sarai era ancora così avvenente quando entrò in Egitto.
Conclusioni
Da
tutto ciò si arguisce che: se tradizioni che risalirebbero al 2500
a.C. arrivarono inalterate al XIII sec. a.C. del Genesi; ben si può
sperare che quelle notizie potessero percorrere altri 800 o 900
anni per arrivare e conservarsi nella memoria dello scriba che incise la lapide di Allai. Come vedremo più avanti, trattando del nesso tra ugaritico e sigilli di Tzricottu, l'ipotesi potrebbe non essere tanto peregrina.
In sintesi, in questi passi dell'articolo di Mitchell Dahood e nel libro di Giovanni Pettinato troviamo indizi altamente verosimili che nella lapide di Allai sia riportato il nome del dio Ugaritico UTU di UR per via della sensazionale scoperta di migliaia di tavolette in cuneiforme che descrivono in modo convincente il nesso tra Ebla, Ugarit e l'Antico Testamento. Dimostrano inoltre che lo yh ebraico era un dio già adorato ad Ebla praticamente con lo stesso nome: yà.
Dalla lettura e interpretazione delle tavolette ugaritiche risulta vera la notizia biblica che il patriarca Abramo fosse effettivamente originario di Ur (Genesi 11,26-32). Per tanto, come abbiamo oramai constatato in tante epigrafi, dove la scrittura nuragica annovera lemmi che derivano dai testi sacri in ebraico e aramaico; il fatto che si sia ricorso nella lapide di Allai a terminologie ancora più antiche (ugaritico), non deve di certo sorprenderci; potrebbero queste, essere reminiscenze di antica memoria, vista l'ascendenza del patriarca Abramo da Ur.
Dall'articolo di Dahood si arguisce che la decifrazione delle tavolette di Ebla ha di fatto tracciato un fil rouge tra alfabeto ugaritico e quello di tipo fenicio; un filo rosso tra testi Eblaiti e, attraverso Canaan, il Vecchio Testamento; ma possiamo aggiungere che si sta delineando unu fiu arrubiu tra tavolette cuneiformi ugaritiche e sigilli di Tzricottu, in un continuum senza soluzione che vede l'ugaritico, il fenicio e l'ebraico, e di conseguenza il sardo nuragico, quali scritture discendenti da una stessa originaria cultura.Dalla lettura e interpretazione delle tavolette ugaritiche risulta vera la notizia biblica che il patriarca Abramo fosse effettivamente originario di Ur (Genesi 11,26-32). Per tanto, come abbiamo oramai constatato in tante epigrafi, dove la scrittura nuragica annovera lemmi che derivano dai testi sacri in ebraico e aramaico; il fatto che si sia ricorso nella lapide di Allai a terminologie ancora più antiche (ugaritico), non deve di certo sorprenderci; potrebbero queste, essere reminiscenze di antica memoria, vista l'ascendenza del patriarca Abramo da Ur.
In questo contesto, penso, dobbiamo guardare e studiare in primis le tavolette di Tzricotu di Cabras e quindi tutta la documentazione in scrittura nuragica, anche quella tarda come nel caso della lapide di Allai, dove la scrittura etrusca si mescola con quella di tipo latino e logogrammi adottati dai nuragici. Lo stesso mélange che ritroviamo nelle tavolette di Tzicottu, e nella sala da ballo di San Giovanni del Sinnis, dove, in quest'ultimo, caratteri di tipo latino si mescolano con caratteri antichissimi risalenti al protosinaitico (iscrizione di Serabit El-Khadim).
***
Al di la di queste considerazioni, tese alla legittimazione di due parole (UTU URRIDU), in un contesto più lontano nello spazio e nel tempo rispetto a quello Biblico; vogliamo mettere in evidenza il peso della scrittura ugaritica nei sigilli di tzricottu.Già il Prof. G. Sanna assieme a G. Atzori in "Omines" Ed. Castello del 1996, vi intravvidero solidi legami con quella civiltà. In un passo di quel libro (pag.107) leggiamo a proposito delle percentuali di segni grafici: «...Alfabeto ugaritico cuneiforme 39,3%, fenicio-palestinese 60,7%. Un mix questo che non autorizza a ritenere che si è in presenza di due o tre tipi di alfabeto, ma che induce a pensare ad un unico alfabeto ugaritico arcaico con un totale di 25 segni chiaramente leggibili.» Considerazione in piena sintonia con quanto scritto nella già citata rivista "Civiltà Cattonica" del 1978.
La possibile prova che l'ugaritico fosse ancora compreso dagli ebrei bibblici la troviamo ancora nel citato articolo di "Civiltà Cattolica" nel quale al proposito della bassissima attendibilità storica di un versetto del Genesi si scrive nel capitolo intitolato "I tempi di Abramo": «Le origini abramitiche del popolo ebreo rappresentano una questione piena d'enigmi. Alcuni studiosi datano Abramo intorno al 2000 a.C., altri intorno al 1700 a.C., altri ancora intorno al 1400 a.C. e ve ne sono molti che negano semplicemente che Abramo sia una figura storica. Così, uno studioso americano rinomato, George Mendenhall, ha scritto recentemente a questo proposito: «La maggioranza degli studiosi biblici non potrebbe concepire l'idea che alle narrazioni del libro del Genesi sottostiano tradizioni molto arcaiche; anzi, forse la maggioranza degli specialisti moderni della Bibbia, specialmente in Europa, non può considerare il Genesi se non come un "mito" prodotto in Israele in un tempo posteriore (e preferibilmente molto posteriore) al decimo secolo avanti Cristo». Il cuore del problema è costituito dal capitolo 14 del Genesi. [omissis] Ora Gen 14,2 e 8 sono gli unici due testi che riportano la lista delle cinque città della pianura che furono distrutte da Dio per la loro peccaminosità: Sodoma, Gomorra, Adma, Zeboim e Bela. Queste stesse cinque città, e nello stesso ordine, appaiono ora in una tavoletta di Ebla! Come si può spiegare una simile coincidenza? Ma si tratta veramente di una coincidenza? E' Difficile, poiché non ci si potrebbe attendere lo stesso ordine se ci fossero fonti indipendenti. Ed una tradizione puramente orale non avrebbe verosimilmente conservato lo stesso ordine. Nel suo Anchor Commentary al Genesi, pubblicato nel 1964, E.A. Speiser suggeriva che l'autore di Gen 14 forse aveva avuto a disposizione un documento cuneiforme con la lista di queste cinque città; alla luce delle recenti scoperte questa teoria appare ora assai verosimile. In altre parole, la tradizione di Gen 14 deve risalire fino al periodo di Ebla, intorno al 2500 a.C., quando queste città erano ancora vive e vegete, poiché la tavoletta in questione ne parla come di città fiorenti. E quel che più colpisce è che la stessa tavoletta menziona anche Damasco, la quale è anch'essa nominata in Gen 14. I capitoli 18 e 19 del Genesi descrivono poi la loro improvvisa e violenta distruzione. Poiché Abramo e Lot compaiono in ambedue le narrazioni, si può pensare ragionevolmente che Gen 14 e 18-19 appartengano allo stesso quadro cronologico».
Cosa possiamo aggiungere di più a quanto finora citato, se non che l'alfabeto cuneiforme era scritto, letto e capito in un periodo posteriore al decimo secolo avanti Cristo. Stiamo parlando di almeno 1500 anni di viaggio nel tempo della scrittura ugaritica. In confronto un viaggio terrestre di quella stessa scrittura, in un tragitto dal Sinai alla Sardegna, mi sembra del tutto, e banalmente, semplice.
Una riflessione
Riflettendo sulle modalità di realizzazione dei sigilli nuragici di Tzricottu ci si rende conto che essi furono scritti sulla falsa riga delle tavolette in cuneiforme ugaritico; ossia come se tutti i segni dei sigilli sardi fossero stati incisi sulla superficie di bronzo con un "ipotetico" durissimo stilo, ispirandosi alla modalità di scrittura su tavolette di argilla.
Sapiamo con esattezza come furono confezionati i sigilli di Tzricottu. Il metodo tanto semplice quanto geniale dimostra la capacità ed inventiva di quei metallurghi, che vollero rendere "eterne" quelle tavolette[6].
In sostanza il modo di scrivere e l'uso di lettere dell'alfabeto cuneiforme ugaritico nei sigilli di Tzricottu non sarebbe dettato solo dall'esigenza del rebus scrittorio teso al mero nascondimento del significato, ma potrebbe essere dettato, con cognizione di causa, dai principi ispiratori e quindi alla sacralità di quei segni. A questa considerazione siamo pervenuti leggendo un testo ugaritico tradotto da Giovanni Pettinato nel suo già citato libro "I sumeri": "Il messaggero aveva la «lingua pesante», non era capace di ripeterlo; poiché il messaggero aveva la «lingua pesante», e non era capace di ripeterlo, il signore di Kullab [Uruk] impastò l'argilla e vi incise le parole come in una tavoletta; - prima nessuno aveva mai inciso parole nell'argilla - ora, quando il dio sole risplendette, ciò fu manifesto: il signore di Kullab incise le parole come in una tavoletta, ed esse furono visibili."
Giovanni Pettinato spiega l'oscuro significato del passo: "ora, quando il dio sole risplendette, ciò fu manifesto"; infatti subito dopo scrive: "L'informazione infine che la scrittura fu visibile allo splendere del sole è comprensibile soltanto agli addetti ai lavori: io ne feci l'esperienza la prima volta che presi in mano una tavoletta cuneiforme. Avevo studiato il cuneiforme all'Università di Heidelberg per quattro anni, e leggevo correntemente i testi in autografia. Recatomi al British Museum di Londra per controllare gli originali, ebbi la sgradita sorpresa di non riuscire ad identificare la scritta delle tavolette, appunto perché l'occhio non era abituato a leggere le incisioni. Allora i colleghi inglesi mi spiegarono che dovevo fare arrivare la luce radente sulla tavoletta, poiché solo così i segni diventavano visibili. La stessa esperienza la feci in seguito sul campo di scavo a Tell Mardikh-Ebla al momento del ritrovamento della Biblioteca Reale con circa 20.000 tavolette: dovendo approntare il catalogo ragionato dei documenti riportati alla luce, fui costretto a lavorare intensamente e a lungo. Ebbene, nonostante io volessi leggere le tavolette già prima del sorgere del sole, dovetti rinunciare a questo proposito, poiché la scrittura non era visibile al chiarore dell'alba, così come all'imbrunire, ma soltanto con la luce solare: allora le incisioni comparivano quasi dal nulla in tutto il loro splendore."
La spiegazione e l'esperienza di Giovanni Pettinato mette in luce l'essenza "nascosta" della scrittura ugaritica, al pari di quella nuragica: semplice combinazione o ricordo, nella mente degli scribi nuragici, di un modo di intendere la scrittura quale messaggio da nascondere alla vista dei profani?
Chiusa parentesi.
***
La costruzione del rebus
La costruzione del rebus ha inizio col dato certo: 110 anni di vita; continua con la ricerca di un nome che abbia attinenza col numero romano V. La grande conoscenza dei testi sacri porta lo scriba a considerare il nome d'origine di yhw, ossia UTU, il dio primordiale Sumero. La seconda V lo scriba la ottiene ancora dalla sede d'origine e/o venerazione della divinità, ossia Ur.
La costruzione del rebus ha inizio col dato certo: 110 anni di vita; continua con la ricerca di un nome che abbia attinenza col numero romano V. La grande conoscenza dei testi sacri porta lo scriba a considerare il nome d'origine di yhw, ossia UTU, il dio primordiale Sumero. La seconda V lo scriba la ottiene ancora dalla sede d'origine e/o venerazione della divinità, ossia Ur.
L'uso di
questi due termini sumerici non è casuale, ma è dettato dal fatto che la lingua
semitica scritta non essendo vocalizzata, non prevede parole che inizio per “U”
se non nel caso specifico e unico della congiunzione “e”, in ebraico וּ (waw), che si pronuncia “u”.
Il
cerchio si chiude: la lapide reca del defunto il “come
(è morto: di consunzione), quando (è morto: all'età di 110 anni) e chi (è morto: Giorre)”, che
discende spiritualmente da “chi (è la divinità: UTU), come
(è identificata: sole), dove (ha origine la divinità: città di Ur). La
lapide è talmente densa di significati da essere precisissima.
Chi è Giorre, o cosa è giorre?!
Chi è Giorre, o cosa è giorre?!
Abbiamo dato, verosimilmente, un significato ai termini VTV e VRRIDV, ma ancora non siamo riusciti a spiegare il significato di GIORRE: Chi è GIORRE?
Dobbiamo annoverare Giorrè (quello del santuario di Florinas del 1600-1300 a.C. ) tra i santi nuragici,
sacerdote di yhw che discende da Utu di Ur al quale il defunto Giorre della lapide era devoto; oppure ci sono altre possibilità?
Vediamo se
l'ipotesi può rivelarsi vera o c'è qualcosa da modificare.
Nel
vocabolario sardo geografico, patronimico ed etimologico del Canonico Giovanni Spano, troviamo questi toponimi:
- Gioro, nome di una fonte in Scanu Montiferru; voce
fenicia JEOR[7] col
significato di rivo, ruscello.
- Giorra, Regione di Sorso con la stessa radice di Gioro
- Giorrè, nome di due alte rocce presso Cargeghe, tagliate a
picco, dalla stessa radice.
Andiamo
oltre e cerchiamo nelle sacre scritture l'equivalente ebraico del termine:
rivo, ruscello, fiume. In “Hebrew and Chaldee Lexicon” troviamo i lemmi יאר[8] e יאוׄר
col significato di “fiume”; come pure in “Dictionary of Targumim,
Talmud and Midrashic Literature” troviamo il lemma יאוׄר col significato di “canale,
fiume”. Il risultato sembrerebbe soddisfacente, visti i riferimenti
onomastici indicati dallo Spano e dallo Hervas (nota 8).
A questo
punto però non ci basta ciò che i due dizionari riportano, vogliamo vedere cosa
la Bibbia riporta effettivamente e ci rendiamo conto che, in modo a noi strano, nella bibbia il Nilo è chiamato יאר e non נחל → nahel ossia nilo, come ci si aspetterebbe; qual'è il motivo di ciò?
Abbiamo
verificato che col termine נחל
(nahel) si intende un generico torrente o canale, e in Num.16:4 significa
“scorrere”... latte e miele...; con יאר invece si intende il fiume Nilo o
come in Esodo 7:19 “canali del Nilo” oppure in Esodo 8:5 fiumi e canali
del Nilo, e ancora in Daniele 12:5, 6 7 è pertinente al fiume Tigri o
Eufrate.
Per tanto il
termine נחל è usato per
indicare un qualsiasi corso d'acqua, mentre יאר è usato per
indicare un fiume come il Nilo che in Egitto era ritenuto sacro. Pure gli Ebrei
ritenevano sacro il Nilo, per via che Mosè fu salvato dalle acque di quel
fiume, altrimenti perché distinguerlo dagli altri. Parimenti erano ritenuti
sacri il Tigri e l'Eufrate per le note ragioni.
Per tanto
col termine יאר si intende un fiume sacro.
A questo punto, cercando conferme al dato appena trovato, è affiorato alla mente il nome Melchiorre, uno dei tre re-magi, e ci siamo impegnati a ricercare quale fosse il significato ebraico di questo nome, che termina in “iorre”.
A questo punto, cercando conferme al dato appena trovato, è affiorato alla mente il nome Melchiorre, uno dei tre re-magi, e ci siamo impegnati a ricercare quale fosse il significato ebraico di questo nome, che termina in “iorre”.
Il nome
Melchiorre è composto da due radici: מלך→MELEK→RE e אר→OR→LUCE, col significato letterale di “re della luce”.
Ancora una volta abbiamo cercato il termine
אר in “Hebrew and Chaldee Lexicon”, il quale rimanda al
lemma אוׄר e
inaspettatamente alla voce יאר[9]. E'
interessante notare che in Esodo 14:20 יאר significa illuminava (in fatti leggiamo ויאר ossia: e illuminava), mentre in Esodo 17:5
significa fiume Nilo, o meglio: sacro fiume[10].
A questo
punto è evidente che la parola scritta[11] יאר abbia due significati legati all'acqua e alla luce, che possiamo sintetizzare in: sacro fiume lucente. Dato importantissimo se contestualizzato all'interno della scrittura epigrafica
nuragica, dalla quale emerge la duplice natura divina androgina M/F, che ora
acquista, secondo questa lettura, anche logograficamente natura ambivalente: acqua e luce, entrambi elementi essenziali della vita. In ragione di ciò
pensiamo che in questo contesto e con chiara doppia valenza simbolica, sia da
interpretare il termine qui studiato, che deriva dalla radice semitica appena
individuata.
In ambito sardo ci sembra pertinente riportare un ulteriore dato a proposito del connubio acqua/sole. Vi è in Sardegna un modo di dire descrittivo che sorprende e al quale non si riesce a dare la giusta collocazione. Ebbi modo di apprendere da un colloquio col Prof. Sanna, del modo di descrivere un evento luminoso solare. Quando il sole mostra in tutta evidenza i suoi raggi in fasci ben descritti, si parla di “cannas de soli”. Ancora nel gergo che descrive un flusso d'acqua o un pozzo, si parla rispettivamente di “canna de aqua” e canna de putzu” (es. pozzo di Cannevadosu vicino Monte Prama). Sembrerà una suggestione, ma è alquanto probabile che il termine “canna” che accomuna in sardo sole ed acqua sia lo stesso per via di una ideologia legata alla sfera del sacro.
In ambito sardo ci sembra pertinente riportare un ulteriore dato a proposito del connubio acqua/sole. Vi è in Sardegna un modo di dire descrittivo che sorprende e al quale non si riesce a dare la giusta collocazione. Ebbi modo di apprendere da un colloquio col Prof. Sanna, del modo di descrivere un evento luminoso solare. Quando il sole mostra in tutta evidenza i suoi raggi in fasci ben descritti, si parla di “cannas de soli”. Ancora nel gergo che descrive un flusso d'acqua o un pozzo, si parla rispettivamente di “canna de aqua” e canna de putzu” (es. pozzo di Cannevadosu vicino Monte Prama). Sembrerà una suggestione, ma è alquanto probabile che il termine “canna” che accomuna in sardo sole ed acqua sia lo stesso per via di una ideologia legata alla sfera del sacro.
***
L'elemento
acqua che viene dal cielo (regno del
toro/solare), penetra e permea, quale “seme del toro”, il grembo della madre
terra. Acqua che la madre terra poi rilascia in forma di sorgente, rivo, fiume:
insomma “acqua corrente” dispensatrice di vita. A questa lettura possiamo addurre molteplici esempi. Basti
pensare al pozzo sacro di Sant'Anastasia di Sardara[12],
dove il 21 di aprile si verificava (oggi non più) una incredibile ierofania
luminosa che univa acqua e sole in un connubio inscindibile legato alla
crescita e maturazione del grano[13]; per rendersi conto che quanto qui affermato è del tutto legittimo se inquadrato
nel giusto contesto rituale.
Un'altro esempio, da ascrivere probabilmente ad rito un po' diverso dal precedente, è quello della fonte sacra di "Su lumarzu" vicino Bolotana. In questo caso abbiamo due toponimi molto significativi: Il primo è "Su lumarzu" appunto, che ha attinenza con la luce. In sardo "lumai o allumai" significa accendere; per tanto anche qui riscontriamo la doppia valenza "acqua/luce". Il secondo toponimo lo troviamo in modo quanto mai inaspettato nel piccolo villaggio di origine medioevale (?) di "Su Rebeccu" che, posto ad una quota di poco più di 400 m slm, domina la piana di Santa Lucia e dista circa 300 m dalla fonte di Su lumarzu. C'è da notare il significato di Rebeccu, che con tutta evidenza rimanda al nome biblico di Rebecca, col significato di "legare" e in modo figurato "unire" (nel caso di Rebecca, unisce i due fratelli Esaù e Giacobbe). Il termine ebraico significa anche mettere assieme due buoi allo stesso giogo per la trebbiatura. Vedi su: Dictionary of Targumim, Talmud and Midrashic Literature alla voce רבקה, I e II di Fig.3).
Un'altro esempio, da ascrivere probabilmente ad rito un po' diverso dal precedente, è quello della fonte sacra di "Su lumarzu" vicino Bolotana. In questo caso abbiamo due toponimi molto significativi: Il primo è "Su lumarzu" appunto, che ha attinenza con la luce. In sardo "lumai o allumai" significa accendere; per tanto anche qui riscontriamo la doppia valenza "acqua/luce". Il secondo toponimo lo troviamo in modo quanto mai inaspettato nel piccolo villaggio di origine medioevale (?) di "Su Rebeccu" che, posto ad una quota di poco più di 400 m slm, domina la piana di Santa Lucia e dista circa 300 m dalla fonte di Su lumarzu. C'è da notare il significato di Rebeccu, che con tutta evidenza rimanda al nome biblico di Rebecca, col significato di "legare" e in modo figurato "unire" (nel caso di Rebecca, unisce i due fratelli Esaù e Giacobbe). Il termine ebraico significa anche mettere assieme due buoi allo stesso giogo per la trebbiatura. Vedi su: Dictionary of Targumim, Talmud and Midrashic Literature alla voce רבקה, I e II di Fig.3).
Fig. 3
In questo contesto pensiamo sia da interpretare il nome del toponimo Su rebeccu, inteso come luogo dove si uniscono acqua e luce nella fonte/acqua di Su lumarzu/colui che illumina.
In questo
contesto si affaccia l'ipotesi che Giorrè e Giorre abbiano attinenza sia con la
luce che con l'acqua, come pure un altro toponimo simile che da il nome
all'omonima fonte: Santu Giolzi in territorio di Romana, poco
lontano da Florinas.
Gioro, Giorra,
Giorre, Giorrè, Giolzi, Giorzi, rimandano tutti alla stessa radice semitica יאר.
Per tanto il GIORRE della nostra lapide, nome
attinente, nella sfera del sacro, al culto dell'acqua corrente quale principio
vitale, si lega a VTV divinità solare/taurina in un connubio non certo raro in
Sardegna, come detto poc'anzi.
***
Vediamo ora
quanto possa essere valido l'accostamento di Giolzi all'acqua corrente, visto
che, almeno per il momento, possiamo accostare a questa il termine Giorrè per una sicura prova in loco, ma non certo (almeno per ora) GIORRE di Allai, perché topograficamente
decontestualizzata.
Antonio
Rubattu stila un elenco[14],
sicuramente non esaustivo, delle fonti
presenti in tutta la Sardegna:
Sorso: rio Funtana Giorra
Scanu Montiferro: sorgente denominata Funtana Gioro
Pattada: fonte denominata “Funtana 'e Giorzi”
Ploaghe: fonte denominata “Funtana ‘Ena ‘e Giorzi “
Guasila: fonte denomianta”Funtana Giorgi”
Urzulei: fonte denomianta “Funtana Santu Giorzi “
Ancora Antonio Rubattu stila un elenco di Fiumi e
ruscelli della Sardegna[15]
Desulo: Riu de Giórgiu Porcu[16]
Dolianova: Riu de Giórgiu Porcu
Ittireddu: Riu Giorra
Ierzu: Riu de Santu Giorgi
Muravera: Riu de Santu Giorgi
Ortueri: Roja Santu Giorgi
Perdasdefogu: Riu Santu Giorzi
Ploaghe: Bena ‘e Giorzi (da non confondere con la
fontana già individuata)
Ruinas: Riu Santi Giordi
Suelli: Canali (Gora) Santu Giorgi
Suelli: Mitza Santu Giorgi
Suelli: Riu Mitza Santu Giorgi
Ulassai: Riu Bau ‘e Giorgi
Villa Sant'Antonio: Riu Giorgi Coilongu
Villamassargia: Riu Santu Giordi
Villaputzu: Riu de Santu Giordi
Come detto l'elenco non è
esaustivo, visto che nel territorio di Romana, come abbiamo avuto già modo di
scrivere, esiste una fonte dedicata al
culto dell'acqua denominata “Santu Giolzi”[17]
dove furono trovate statuine votive di
epoca punica.
Il sito in questione è ricco di tante testimonianze “toponomastiche”; infatti a 500 m dai ruderi della chiesa intitolata a Santu Giorzi, troviamo la chiesa tutt’ora in uso intitolata a San Lussorio, mentre ad una distanza di 1.5 Km vi sono i resti di una chiesetta intitolata a Santu Giagu, nome condiviso con due nuraghi li vicini: 150 m uno, 230 l’altro, con annesse due tombe di giganti . E’ per lo meno inaspettato che in un’area così ristretta ci siano tre chiese di culto cattolico, in un sito sicuramente nuragico; e ancora più inaspettata è la “riunione” di tanti santi così ben legati gli uni agli altri. Si noti che, per quanto qui stiamo ipotizzando, il nome Lussorio, dal latino Luxorius attinente al significato di lussureggiante, rigoglioso, è conseguente, quale significato, a quello di Giorre, se interpretiamo tale accezione quale risultato del connubio acqua/luce.
Santu Giagu, poi lo ritroviamo in tanti luoghi della Sardegna; in particolare a Riola Sardo esiste un tempietto dove compare il suo nome (IACCI) in un contesto salutifero (vedi articolo su Maymoni blog del 19 aprile 2017).
Che facciano capo tutti e tre alla venerazione della stessa divinità salutifera e vivificante YHW?!
Il sito in questione è ricco di tante testimonianze “toponomastiche”; infatti a 500 m dai ruderi della chiesa intitolata a Santu Giorzi, troviamo la chiesa tutt’ora in uso intitolata a San Lussorio, mentre ad una distanza di 1.5 Km vi sono i resti di una chiesetta intitolata a Santu Giagu, nome condiviso con due nuraghi li vicini: 150 m uno, 230 l’altro, con annesse due tombe di giganti . E’ per lo meno inaspettato che in un’area così ristretta ci siano tre chiese di culto cattolico, in un sito sicuramente nuragico; e ancora più inaspettata è la “riunione” di tanti santi così ben legati gli uni agli altri. Si noti che, per quanto qui stiamo ipotizzando, il nome Lussorio, dal latino Luxorius attinente al significato di lussureggiante, rigoglioso, è conseguente, quale significato, a quello di Giorre, se interpretiamo tale accezione quale risultato del connubio acqua/luce.
Santu Giagu, poi lo ritroviamo in tanti luoghi della Sardegna; in particolare a Riola Sardo esiste un tempietto dove compare il suo nome (IACCI) in un contesto salutifero (vedi articolo su Maymoni blog del 19 aprile 2017).
Che facciano capo tutti e tre alla venerazione della stessa divinità salutifera e vivificante YHW?!
Registriamo
ancora una notizia proveniente dal sito istituzionale del Comune di Cossoine,
dove leggiamo: “Il paese di Cossoine in origine sorgeva presso la località
di Santu Giolzi, dove si trovava l'antica e omonima chiesa parrocchiale
attigua al rione oggi denominato Funtana”.
Registriamo
ancora, in territorio di Torralba il nuraghe Santu Giolzi. Nell'opuscolo: “Alla
scoperta dei monumenti prenuragici di Bonnanaro e Torralba”[18]
leggiamo:“Del nuraghe di Santu Giolzi si conserva solo un muro curvo. Alla
base della terrazza naturale ove c’è il nuraghe sono disseminati - sul terreno,
all’interno di muri a secco e di una grande vasca che capta (raccoglie)
l’acqua di una ricca risorgiva – numerose pietre ben lavorate di
basalto. Potrebbe trattarsi dei resti di un’antica fonte nuragica”.
Come abbiamo
visto il nome, associato anche al lemma santo (a nostro avviso solo dopo
diventa cristiano), è legato al culto dell'acqua in tutta la Sardegna, non
escluso il santuario di Giorrè, visto il ritrovamento in quel sito di quella
che viene definita statuina di Hermes-Mercurio, divinità salutifera; e non ci
stupiremmo se in questo santuario si trovasse prima o poi traccia di un pozzo
sacro. Per il momento basti sapere che in quel sito si trova, decontestualizzata, parte di una canaletta ricavata in un concio isodomo attinente, senza alcun dubbio, al culto dell'acqua.
Tratto di canala ricavato in concio isodomo - dal santuario di giorrè - Florinas
Tornando
ancora una volta alla scritta GIORRE UTU URRIDU; se consideriamo la 2a
e la 3a parola come un tutt'uno, per il fatto che il termine
“URRIDU” potrebbe essere aggettivo di UTU; i due lemmi importanti sono GIORRE e
UTU, ossia acqua/luce e divino sole: elementi essenziali della vita; tant'è che “su
diciu narada: Abba et sole, su trigu a muntone, subta sa cappa de nostru
segnore”[20]. Il
proverbio chiaramente sottopone il frumento alla protezione di Nostro Signore,
benché i contadini sapessero benissimo chi e cosa facesse crescere copioso il
grano a prescindere da interventi divini; il medesimo proverbio era di certo
sentito più concretamente in tempi antichissimi, a partire già dal neolitico,
allorché la pratica agricola (e non solo) veramente doveva essere sottoposta al
volere divino. Epoca quella neolitica, durante la quale l'uomo intraprese la
rivoluzione agricola che cambiò per sempre il suo stato di dipendenza dalla
natura stessa, ma evidentemente questo non lo scioglieva psicologicamente dal
giogo del volere divino e di ciò sono testimonianza in parte le emergenze
archeologiche quali: coppelle, canalette, pozzi e sorgenti sacre etc.
In questo
contesto si spiega il nome proprio del personaggio della lapide di Allai, che
non deriva dal nome del cattolico San Giorgio che, come per Santu Jaku, si ha
il sospetto sia frutto di semplice sincretismo religioso. Il nome di quel
defunto, è probabilmente legato al
culto dell'acqua e del sole; e avanziamo l'ipotesi che il nome sia sorto in origine, non come
nome proprio di persona, ma quale appellativo in funzione della duplice
manifestazione divina: acqua e luce: יאר;[21] di quel sole venerato già nella lontana patria del patriarca Abramo col nome di
Utu di Ur.[22]
Ma tornando alla lapide funeraria di Allai, alla luce del significato di “GIORRE” e dell'elenco di siti dedicati a Santu Gior**, dobbiamo collegare quel GIORRE, non tanto al santuario nuragico di Giorrè di Florinas, quanto a qualche sito molto più vicino ad Allai, visto che a Ruinas[19] è presente il “Riu Santi Giordi”, e il “Riu Giorgi coilongu” al confine, quest'ultimo, col territorio di Villa Sant'Antonio.
Ma tornando alla lapide funeraria di Allai, alla luce del significato di “GIORRE” e dell'elenco di siti dedicati a Santu Gior**, dobbiamo collegare quel GIORRE, non tanto al santuario nuragico di Giorrè di Florinas, quanto a qualche sito molto più vicino ad Allai, visto che a Ruinas[19] è presente il “Riu Santi Giordi”, e il “Riu Giorgi coilongu” al confine, quest'ultimo, col territorio di Villa Sant'Antonio.
segue
[1] Immagine tratta da: http://eprints.uniss.it/3373/1/Pittau_M_ContrCongresso_1992_Nuova.pdf
[2] Secondo l'interpretazione del Prof. Sanna.
[3] Da: Enciclopedia Treccani
[4] Nella città di Ur era venerato il toro. Vedi
anche: Federica Episcopo - LE FIGURE DELL’UOMO-TORO E DEL TORO ANDROCEFALO
NELLE IMPRONTE DI SIGILLI PROTODINASTICI
in https://www.academia.edu/12537378/Luomo_toro_e_il_toro_androcefalo_nei_sigilli_mesopotamici_protodinastici
[5] https://books.google.it/books?id=Ags5AQAAMAAJ&pg=PA547&lpg=PA547&dq=dio+utu+nella+bibbia&source=bl&ots=8fIa7BjRwe&sig=BBOey7uZ8ERWHGVXQuRzAopH-9c&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwiM1sCJ1tLZAhXO_qQKHbVjCBI4FBDoAQguMAE#v=snippet&q=ya&f=false
[5] https://books.google.it/books?id=Ags5AQAAMAAJ&pg=PA547&lpg=PA547&dq=dio+utu+nella+bibbia&source=bl&ots=8fIa7BjRwe&sig=BBOey7uZ8ERWHGVXQuRzAopH-9c&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwiM1sCJ1tLZAhXO_qQKHbVjCBI4FBDoAQguMAE#v=snippet&q=ya&f=false
[6] S. Angei 2018 - Il sigillo A1 di Tzricotu: matrice per modani medievali? No, modello per matrici nuragiche! Una indagine su http://maimoniblog.blogspot.com/2018/04/il-sigillo-a1-di-tzricotu-matrice-per.html.
[7] Anche nel vocabolario poligloto con
prolegomeni dell'Abate Don Lorenzo Hervas,
IAOR, IEOR significa in lingua fenicia (semitica) fiume; per tanto
attinente all'acqua.
[8] Genesi 41:1 Esodo 1:22, 2:3, 7:15 Daniele 12:5, 6, 7. In Daniele si intende il
fiume Tigri o Eufrate. Naturalmente la
verifica avviene attraverso la comparazione del testo tradotto in italiano e il
testo della Tanach in lingua ebraica.
[9] In 2Samuele 2:32 la voce יאר significa “luce”, mentre in Genesi 1:3, Giobbe 33:30 lo stesso termine è scritto אור. Il dupplice significato fiume/luce, lo evidenzia in modo più marcato il termine נהרא (nahara) che significa sia fiume che luminosità, come si evince dalla figura sottostante, tratta da “Dictionary of Targumim, Talmud and Midrashic”. Ciò dimostra che il connubio fiume/luce non è occasionale, tanto meno fortuito, ma è radicato nella iniziale concezione religiosa di quelle genti, che credeva in ciò che il Genesi descriveva: furono creati per primi il cielo, la terra e le acque; subito dopo fu creata la luce.
[9] In 2Samuele 2:32 la voce יאר significa “luce”, mentre in Genesi 1:3, Giobbe 33:30 lo stesso termine è scritto אור. Il dupplice significato fiume/luce, lo evidenzia in modo più marcato il termine נהרא (nahara) che significa sia fiume che luminosità, come si evince dalla figura sottostante, tratta da “Dictionary of Targumim, Talmud and Midrashic”. Ciò dimostra che il connubio fiume/luce non è occasionale, tanto meno fortuito, ma è radicato nella iniziale concezione religiosa di quelle genti, che credeva in ciò che il Genesi descriveva: furono creati per primi il cielo, la terra e le acque; subito dopo fu creata la luce.
[10] Si noti che normalmente nella bibbia
italiana la voce יאר è tradotta “fiume Nilo”. La traduzione assomiglia alla
erronea titolazione della nazione Cinese che viene definita Repubblica
Popolare, termini che indicano la medesima cosa. Così ci sembra la traduzione
“fiume Nilo” che suona “fiume fiume”. Non vogliamo entrare in considerazioni
che sicuramente sono fuori dalla portata della nostra competenza, ma ci sembra
più logico da un punto di vista strettamente sintattico, tradurre quello che
sembra essere un nome quasi esclusivo di quel fiume: יאר,
col termine: sacro fiume, e così lo chiameremo d'ora in poi.
[11] Siamo consci del fatto che le due parole benché formate con i medesimi lemmi siano vocalizzate in modo differente. Basti analizzare i versetti della Tanach in lingua ebraica per rendersi conto di questo. Ciononostante siamo anche consci del fatto che in origine i testi biblici erano scritti senza vocalizzazione e segni di interpunzione; opera, questa, dei Masoreti tra il VII e il IX sec. d.C.. L’ Ebraico biblico era una lingua semitica parlata dagli israeliti in Israele. Essa è attestata a partire dal X sec. a.C. e durò fin oltre il 70 d.C., anno in cui il Tempio di Gerusalemme fu distrutto. Per tanto ben si capisce che l'intervallo di buio che dura dal I al VII secolo d.C., nonché la soggettività degli eruditi che fecero l'immane lavoro, di certo non fa chiara luce sulla originaria vocalizzazione dei termini. Comunque sia ciò che contava, e ancora conta nella scrittura ebraica, era l'ossatura di quei termini; ossia le consonanti, quelle 22 consonanti ritenute sacre, tutte. Consonanti che lo stesso yhwh utlizzò per il tramite di Mosè per "scrivere" le tavole della legge. Ecco che a questo punto quello che è scritto, scolpito sulla pietra immortale, è parola anch'essa immortale; è parola di yhwh. In ragione di ciò ritengo sia supportabile e sopportabile questa mia tesi che vuole la parola scritta יאר portatrice della doppia valenza riferibile ad acqua e luce.
[11] Siamo consci del fatto che le due parole benché formate con i medesimi lemmi siano vocalizzate in modo differente. Basti analizzare i versetti della Tanach in lingua ebraica per rendersi conto di questo. Ciononostante siamo anche consci del fatto che in origine i testi biblici erano scritti senza vocalizzazione e segni di interpunzione; opera, questa, dei Masoreti tra il VII e il IX sec. d.C.. L’ Ebraico biblico era una lingua semitica parlata dagli israeliti in Israele. Essa è attestata a partire dal X sec. a.C. e durò fin oltre il 70 d.C., anno in cui il Tempio di Gerusalemme fu distrutto. Per tanto ben si capisce che l'intervallo di buio che dura dal I al VII secolo d.C., nonché la soggettività degli eruditi che fecero l'immane lavoro, di certo non fa chiara luce sulla originaria vocalizzazione dei termini. Comunque sia ciò che contava, e ancora conta nella scrittura ebraica, era l'ossatura di quei termini; ossia le consonanti, quelle 22 consonanti ritenute sacre, tutte. Consonanti che lo stesso yhwh utlizzò per il tramite di Mosè per "scrivere" le tavole della legge. Ecco che a questo punto quello che è scritto, scolpito sulla pietra immortale, è parola anch'essa immortale; è parola di yhwh. In ragione di ciò ritengo sia supportabile e sopportabile questa mia tesi che vuole la parola scritta יאר portatrice della doppia valenza riferibile ad acqua e luce.
[12] Borut Juvanec - Sacred well Sant’Anastasia, Sardinia (Pozzo Sacro Sant’Anastasia,
Sardegna). Da: http://www.fupress.net/index.php/ra/article/view/17954 - Vedi anche: Angei - Il pozzo sacro di
Sant'Anastasia di Sardara - Ovvero, finiamo il lavoro lasciato a metà... su
Maymoni blog del 04 settembre 2017.
[13] Angei – Sincretismo religioso tra
Nuragico e Romano su Maymoni blog del 21 febbraio 2016 e seguenti.
[16] Si noti che benché il nome possa essere
classificato come nome e cognome di una persona in contesto laico, risulta
alquanto strano che si riscontri lo stesso nome in due località: Desulo e
Dolianova, distanti 70 Km l'una dall'altra.
[17] Da: Fonti e pozzi sacri: Guida ai monumenti
per il culto delle acque in Sardegna Di Paola Cannella,Massimo Rassu editore:
Sardinia Culture. Si fa cenno della fonte anche nella relazione archeologica
allegata al Piano Urbanistico del Comune di Romana, che rimanda alla
pubblicazione di A.Antona, A.Sanciu, La sorgente di Santu Giolzi, Romana
Sassari, un deposito votivo, in: Bollettino di archeologia, A. 1997 , N. 46-48,
p. 42-49
[21] Per spiegarci meglio facciamo l'esempio col
nome “Benvenuto” che chiaramente è inteso originariamente come formula di
saluto e solo in seguito è diventato nome proprio di persona quale risposta da
un auspicio da parte dei genitori. Potremmo andare avanti con tantissimi altri
esempi.
[22] Ur significa città. Da: Albert Abou Abdallah
e,Roberto Sorgo - Religioni ieri e oggi: storia, idee, società – Franco Angeli
editore.
Grande Sandro, muovendo da un accostamento che si impone a tutti (tra Giorre e Giorrè) e dall’osservazione sensatissima sull’improbabilità che siano proprio le iniziali di un nome (proprio) a fornire l’età raggiunta in vita, hai scavato un mondo (e non hai ancora finito).
RispondiEliminaAspettiamo il seguito e, insieme, il ritorno alla sua scrivania di Gigi (del Prof. Sanna), che ci farà sapere cosa ne pensa.
Mi permetto, in coda, una segnalazione a latere: questo Venerdi (14 Settembre) alle 18, presso la stazione marittima di Via Roma a Cagliari (nei locali, quindi, che stanno ospitando fino al 30 Dicembre la bella mostra curata dall’associazione Nurnet e da altri appassionati/studiosi sulla Civiltà Sarda), si terrà la presentazione del nuovo libro di Giuseppe Mura “Tartesso in Sardegna”, uno studio (a mio parere assai meritorio) incentrato sull’Ora Maritima di Avieno, in base alla cui lettura la città di Tartesso sarebbe da riconoscersi in Sardegna (come tutti gli altri siti ivi descritti, disposti lungo il periplo dell’isola di Tartesso).
https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=1917068365038545&id=506410149437714&ref=page_internal
Ciao Francesco, rispondo un po' in ritardo al commento, ma ero indaffarato in altri affari... di lavoro. Mi rendo conto che chi commenta ci rimanga male allorquando imperversa il silenzio; magari pensa che tutti snobbino quanto esternato; magari anche il “titolare” dell'articolo commentato.
RispondiEliminaE' difficile rispondere ad un commento come il tuo senza esibirsi in un banale “ringraziamento”. Non che questo non sia giusto e dovuto, però ritengo che il ringraziamento sia implicito nella risposta al commento stesso. Bene inteso che in tal modo intenderei ringraziare anche chi obietta, e pure in modo feroce. Almeno ci fossero... le obiezioni!
Non riesco a capire se la mancanza di obiezioni sia dovuta a:
Paura di non essere all'altezza del tema trattato.
Paura di esporsi al giudizio di altri, che da alti scranni seguono e osservano.
Paura da parte di qualcuno che siede quegli scranni, di ridurre il proprio potere nel momento in cui si confronta con un “emerito nessuno” (il sottoscritto).
Paura di manifestare le proprie idee in un blog che “alcuni” ritengono sia infestato dal virus “scrittura nuragica” dovuta, secondo questi “alcuni”, a contaminazioni da sardismo liberatorio, mitopoietico e frustrato. (Per quanto mi riguarda, non sono per niente frustrato; la mitopoiesi la lascio ai Greci che ne furono magnifico esempio; per quanto riguarda la liberazione del popolo sardo dal “giogo” nazionale, lascio la lotta ai politici, io non me ne occupo e in questo blog ancor meno.
A meno che non si voglia pensare che sia il risultato di una frustrazione mitopoieticante, evidenziare che il popolo nuragico eccelleva nella geometria perché era capace di disegnare ovali ed ovoidi. A meno che non si voglia pensare sia dovuto a frustrazione mitopoietizante assistere e studiare spettacoli definibili “architettura della luce”, messi in scena millenni fa da quelle genti, e che ancora oggi vano in scena (almeno in qualche caso, e ne vedremo delle belle tra non molto) a dispetto della corruzione del tempo... beh, ognuno è libero di pensarla come vuole. Oppure pensare che lo studio di gruppi di cumuli di pietre ben acconciate (sono forse migliaia in tutta la Sardegna), messe in linea almeno per tre, che giacciono almeno in numero di quattro elementi su cerchi ideali e che cristallizzano in un dato momento antico o antichissimo, la posizione di particolari astri, sia sintomo di frustrazione mitopoietizzante... beh, ognuno che ha a disposizione qualche decina di miliardi di neuroni dedicati alla matematica e alla fisica, potrebbe ben sperare che non sta leggendo le farneticazioni di un frustrato mitopoietizzante. Di certo non posso competere con chi la matematica e la fisica la usa come zerbino o con chi confonde solstizi con equinozi... tanto tutto fa brodo! E mi fermo qui.
Oppure non si tratta di “paura” ma di semplice menefreghismo. Tanto Sandro Angei non ha alcun titolo se non quello di geometra. Si fa in sintesi, in certi ambienti, una sorta di incontro/scontro di box per titoli: A vs B, che devono avere necessariamente lo stesso peso. Ma mi domando quanto pesa l'intelligenza?
Con questo mio sorridente sfogo (non mi da prurito) invito tutti coloro che hanno qualcosa da dire, anche pesantemente contro (naturalmente in maniera garbata e civile), di esternare il proprio pensiero... si crescerà più in fretta e meglio, tutti.
Detto questo, e qui casca l'asino, ringrazio Francesco per la sua certosina e meticolosa lettura anche delle note di questa prima parte dell'articolo; ne sono sicuro!
A si podet narrere, mi piaket!?
RispondiEliminaSandru, dae sos cumentos tuos, ki apo legidu apo imparadu meda e ti keria iscumprobare a ponnere una "He" subra Banari.
Poita custa fariada t'as a dimandare.
ka in cust'isola, Santa po Nadura e Santa fata a elegidura dae su Populu Sardu Antigoriu, est istimada in sinnos de amentu in s'Irlanda, in Britannia, manna e minore e i su firmamentu de s'Ursa Mayore.
B'amus in SardYnna meda de cuss'Istoria, ki sos romanos in Vana Gloria, la mutin a sa greka, ka su titulu de Priamu si l'ant postu in buzaka e Mitopoietizant su makighine issoro.
No b'at loku i su Mundu kis'Istoria est negada a Misura de SardYnna.
Misera Roma, fintzas i s'isplendore, ka custa Santa Isula ki pensant minore, teniat e tenet una Luke, ki faket Roma unu kerbedhu de Nuke.
Bae Sandru a Banari e pone in custu loku su sinnu de sas bratzas, ka s'Irlanda t'asetat a su Banarì,in Festha po sa Coja Santa.
Anda a inantis Sandru e totu sos ki inoke iscribent ka su Tempus est akurzu e, sa Libertade est una.
Una nd'amus e dest bera, e cussa k'amus, lepia e sinkera.
Istima sinkera Sandru, no b'at Tronu kena Silenziu. Gianni
Ciao Bentuesusu. Scusa se ti rispondo in italiano, ma, ahimè, non ho molta dimestichezza nello scrivere in sardo campidanese e men che meno nella tua parlata, ma apprezzo il tuo commento in rima: è molto bello.
EliminaNon conosco Banari. Mi spieghi? Anche in privato.