Immagine gentilmente concessa da Stefano Sanna
di Sandro Angei
Il pozzo di Santa Cristina: 2° parte - l'unità di misura
Il pozzo di Santa Cristina: 3° parte - Il sole detta le regole
Il pozzo di Santa Cristina: 4° parte - Il mòdano: numeri e solo numeri
Il pozzo di Santa Cristina: 3° parte - Il sole detta le regole
Il pozzo di Santa Cristina: 4° parte - Il mòdano: numeri e solo numeri
10. Gli errori di costruzione della scalinata
Nel
precedente capitolo abbiamo descritto alcuni particolari della
scalinata e avanzato la prudente ipotesi che i suoi gradini
siano stati impostati secondo un preciso rapporto riferito alla stiba
di 43 cm. Abbiamo anche usato il termine: “inclinazione originaria”
avendo riscontrato un cambio di pendenza dal 7°- 8° gradino a
salire. In questo capitolo ci soffermeremo sui motivi che indussero
questo cambio di pendenza e sul presunto errore di partenza della scalinata.
Osservando
la sezione della scala (Fig.11) ci rendiamo conto che essa fino
al 8° gradino a salire ha una certa inclinazione (38°40'),
dopodiché cambia pendenza (37°44'). Si può ipotizzare che fu
eseguito un primo tracciamento della scala seguendo l’inclinazione
del mòdano; tant'è che i gradini dal 2° al 8°, giacciono sulla
stessa retta inclinata esattamente di 38°40'.
Notiamo però quello che potrebbe essere un errore commesso in fase
di tracciamento; infatti le pedate dal 2° al 6° gradino hanno
tutte la misura media di circa 30 cm, così pure i gradini dal 9° al
24°; mentre il primo gradino ha una pedata di soli 26 cm1. E' possibile che questa fu realizzata di tale misura per compensare
la pedata insufficiente tra il primo gradino e il bordo del bacile.
Infatti se il 2° gradino avesse avuto una pedata di 30 cm, come gli
altri, il primo gradino sarebbe stata di soli 17 cm contro i 20 cm
reali. Un gradino di tal fatta (17 cm) se in fase di salita può
anche essere di comodo utilizzo, perché si sale poggiando la parte
di piede a partire dall’articolazione tra metatarso e falange
prossimale; in discesa si correrebbe il rischio di cadere, perché
l’articolazione tra metatarso e falange prossimale non avrebbero
alcun appoggio, potendo poggiare solo tallone e arco plantare fino
all’estremità del metatarso.,
il 7° una pedata di 27 cm, l'8° una pedata di 34 cm.
Perché dal 8°
gradino fino al 24° la pendenza si riduce a 37°44'? E'
questa una modifica eseguita in corso d'opera da quelle maestranze,
oppure è il risultato del restauro operato dal Dr. Enrico Atzeni?
Alla domanda possiamo rispondere solo per via indiziaria, perché non conosciamo esattamente lo stato in cui si trovava la scalinata nel momento in cui E. Atzeni intervenne e la reintegrò (lamenta il Moravetti nella citata guida: "Per quanto riguarda, poi, le indagini stratigrafiche che hanno interessato il santuario, va detto che purtroppo non si dispone ancora dei dati di scavo, così come non si conoscono i materali rinvenuti, fatta eccezione per quattro statuine di bronzo fenicie, recuperate sui gradini del tempio, una fibula ad arco semplice ed una a sanguisuga, alcune figure fittili antropomorfe". Evidentemente si riferiva al lavoro di E. Atzeni.
Per tanto non conoscendo l'operato dell'archeologo e sperando nel prossimo futuro in una sua pubblicazione (!), non possiamo far altro che ipotizzare per via indiziaria sulla base di alcuni dati rilasciati nelle varie pubblicazioni, valutando i quali siamo indotti a pensare che fu eseguita una modifica in corso d'opera da parte dei costruttori.
Nella guida del Moravetti leggiamo al capitolo: "Il tempio a pozzo" pag.21: "Il pozzo sacro – reintegrato nella parte medio-superiore della scala – ripete lo schema planimetrico comune a questi edifici templari di età nuragica: atrio o vestibolo, scala discendente nella camera, sotterranea, che custodisce la vena sorgiva" (mio il grassetto).
Cosa possiamo dedurre da questa affermazione, se non il fatto che la scala fu ricostruita a partire all'incirca dal 12° gradino a salire. Essa fu ricostruita, evidentemente, sulla base della parte di essa ancora in situ e secondo i parametri lì rilevati, di alzata e pedata dei gradini esistenti e secondo l'inclinazione dettata a partire dal 7°-8° gradino al 12°. In ragione di ciò, essendo il piano di campagna dettato dalla quota di calpestio in prossimità del sedile del recinto interno (vedi parte 2°, 4° capitolo), e sulla base della media delle alzate dei gradini esistenti, questi dovevano necessariamente essere in numero di 24.
Sulla base di questo indizio (non sentiamo di definirlo "prova"), pensiamo che il Dr. Atzeni, rispettò l'impostazione della scala; per tanto è verosimile che l'aggiustamento di pendenza fu eseguito in antico in fase di costruzione. Al riguardo abbiamo elaborato un embrione di ipotesi sui motivi di questa correzione, ma non riteniamo solidi gli argomenti di base; per tanto, almeno per il momento, pensiamo basti dire che quel cambio di pendenza potrebbe avere attinenza con l'illuminazione della "scala rovescia". In sostanza pensiamo, ma solo in ambito antropologico e simbolico, che la correzione fu eseguita per rispettare la "scenografia luminosa", in quanto possiamo presume che durante il solstizio d'inverno il sole non dovesse illuminare (se non in modo limitatissimo), l'interno della tholos, né il bacile contenente l'acqua, né la scalinata, ma solo la scala rovescia.
Ma è solo una congettura.
L'auspicio è quello di trovare in futuro giuste e convincenti motivazioni anche, si spera, sulla base di altri studi e altri monumenti. Per tanto l'evento luminoso che possiamo osservare al solstizio d'inverno, non trascurando quello agli equinozi, se pur suggestivi quanto a spettacolarità, e rapportabili strumentalmente al mòdano, rimarranno per ora nell'ambito di labili ipotesi.
Per quanto riguarda il primo errore - quello sicuramente imputabile ai costruttori - è possibile che la pedata del primo gradino fu realizzata della misura minima di 26 cm per compensare la pedata insufficiente tra il bordo del bacile e l'alzata del primo gradino. Infatti se il 1° gradino avesse avuto una pedata di 30 cm, come gli altri, la pedata di partenza (bordo del bacile) sarebbe stata di soli 17 cm (Fig.12) contro i 19.6 cm reali (Fig.11). Una pedata di tal fatta (17 cm) se in fase di salita può anche essere di comodo utilizzo, perché si sale poggiando la parte di piede a partire dall'articolazione tra metatarso e falange prossimale; in discesa si correrebbe il rischio di cadere, perché l’articolazione tra metatarso e falange prossimale non avrebbero alcun appoggio, potendo poggiare solo tallone e arco plantare fino all’estremità del metatarso.
Alla domanda possiamo rispondere solo per via indiziaria, perché non conosciamo esattamente lo stato in cui si trovava la scalinata nel momento in cui E. Atzeni intervenne e la reintegrò (lamenta il Moravetti nella citata guida: "Per quanto riguarda, poi, le indagini stratigrafiche che hanno interessato il santuario, va detto che purtroppo non si dispone ancora dei dati di scavo, così come non si conoscono i materali rinvenuti, fatta eccezione per quattro statuine di bronzo fenicie, recuperate sui gradini del tempio, una fibula ad arco semplice ed una a sanguisuga, alcune figure fittili antropomorfe". Evidentemente si riferiva al lavoro di E. Atzeni.
Per tanto non conoscendo l'operato dell'archeologo e sperando nel prossimo futuro in una sua pubblicazione (!), non possiamo far altro che ipotizzare per via indiziaria sulla base di alcuni dati rilasciati nelle varie pubblicazioni, valutando i quali siamo indotti a pensare che fu eseguita una modifica in corso d'opera da parte dei costruttori.
Nella guida del Moravetti leggiamo al capitolo: "Il tempio a pozzo" pag.21: "Il pozzo sacro – reintegrato nella parte medio-superiore della scala – ripete lo schema planimetrico comune a questi edifici templari di età nuragica: atrio o vestibolo, scala discendente nella camera, sotterranea, che custodisce la vena sorgiva" (mio il grassetto).
Cosa possiamo dedurre da questa affermazione, se non il fatto che la scala fu ricostruita a partire all'incirca dal 12° gradino a salire. Essa fu ricostruita, evidentemente, sulla base della parte di essa ancora in situ e secondo i parametri lì rilevati, di alzata e pedata dei gradini esistenti e secondo l'inclinazione dettata a partire dal 7°-8° gradino al 12°. In ragione di ciò, essendo il piano di campagna dettato dalla quota di calpestio in prossimità del sedile del recinto interno (vedi parte 2°, 4° capitolo), e sulla base della media delle alzate dei gradini esistenti, questi dovevano necessariamente essere in numero di 24.
Sulla base di questo indizio (non sentiamo di definirlo "prova"), pensiamo che il Dr. Atzeni, rispettò l'impostazione della scala; per tanto è verosimile che l'aggiustamento di pendenza fu eseguito in antico in fase di costruzione. Al riguardo abbiamo elaborato un embrione di ipotesi sui motivi di questa correzione, ma non riteniamo solidi gli argomenti di base; per tanto, almeno per il momento, pensiamo basti dire che quel cambio di pendenza potrebbe avere attinenza con l'illuminazione della "scala rovescia". In sostanza pensiamo, ma solo in ambito antropologico e simbolico, che la correzione fu eseguita per rispettare la "scenografia luminosa", in quanto possiamo presume che durante il solstizio d'inverno il sole non dovesse illuminare (se non in modo limitatissimo), l'interno della tholos, né il bacile contenente l'acqua, né la scalinata, ma solo la scala rovescia.
Ma è solo una congettura.
L'auspicio è quello di trovare in futuro giuste e convincenti motivazioni anche, si spera, sulla base di altri studi e altri monumenti. Per tanto l'evento luminoso che possiamo osservare al solstizio d'inverno, non trascurando quello agli equinozi, se pur suggestivi quanto a spettacolarità, e rapportabili strumentalmente al mòdano, rimarranno per ora nell'ambito di labili ipotesi.
Per quanto riguarda il primo errore - quello sicuramente imputabile ai costruttori - è possibile che la pedata del primo gradino fu realizzata della misura minima di 26 cm per compensare la pedata insufficiente tra il bordo del bacile e l'alzata del primo gradino. Infatti se il 1° gradino avesse avuto una pedata di 30 cm, come gli altri, la pedata di partenza (bordo del bacile) sarebbe stata di soli 17 cm (Fig.12) contro i 19.6 cm reali (Fig.11). Una pedata di tal fatta (17 cm) se in fase di salita può anche essere di comodo utilizzo, perché si sale poggiando la parte di piede a partire dall'articolazione tra metatarso e falange prossimale; in discesa si correrebbe il rischio di cadere, perché l’articolazione tra metatarso e falange prossimale non avrebbero alcun appoggio, potendo poggiare solo tallone e arco plantare fino all’estremità del metatarso.
Comunque, a
prescindere dalla causa che modificò l'inclinazione, sta il fatto che
la prima parte della scala rispetta in modo preciso l’angolo di
inclinazione del mòdano; se poi la parte finale della scalinata fu
restaurata da E. Atzeni , oppure fu così costruita in età nuragica,
nulla cambia per quanto riguarda l'ipotesi del mòdano.
Note e riferimenti bibliografici
1 Secondo la prassi costruttiva da me ipotizzata, che vedremo nell'ultima parte dello studio, l'errore probabilmente ebbe origine dalla posizione del mòdano, che nel rispetto di una geometria del tutto teorica, originava la base della scala sul punto di riflessione teorico dei raggi solari al 20 di aprile. Secondo questa costruzione la pedata alla base del 1° gradino (bordo del bacile), avrebbe avuto una pedata di soli 11 cm.
Un nostro affezionato lettore che si chiama “Unknown” (?), preferisco chiamarlo, “Ulisse” (forse è meglio!), ha postato un commento relativo a questo articolo sul commentario della locandina annunciante l'ottavo corso di epigrafia nuragica.
RispondiEliminaAdai sballiau stampu?!