di Sandro Angei
vedi: Il pozzo di Santa Cristina: 9° parte - un problema di scala rovescia
Alla luce
di quanto fin qui esposto possiamo affermare con ragionevole
sicurezza, che il pozzo sacro di Santa Cristina è di carattere prettamente solare. L'edificio fu realizzato impiegando un mòdano “polifunzionale" dettato dalle fasi annuali del sole. Questo recava i dati necessari al tracciamento delle parti essenziali di quel
monumento costruito impiegando una precisa unità di misura: “sa stiba”.
Ci accingiamo ora a percorrere le fasi salienti di costruzione del monumento, perché la complessità costruttiva è tale da dover fugare ogni dubbio circa il preciso
intento edificatorio con cognizione di causa; perché il dubbio si annida proprio nella complessità edificatoria, nel momento in cui non si riesca a spiegare un passaggio costruttivo e/o renderlo sequenziale, ossia: vincolato o vincolante.
Il pozzo
sacro è alimentato da una falda artesiana perenne che raggiunge in modo naturale la quota del bacile, perché questo anche in periodi di
siccità è colmo d'acqua.
Fig. 3 – Lo scavo raggiunse la quota poco sopra la superficie piezometrica della falda artesiana (5,40 m), in modo tale che il fondo dello scavo rimanesse all'asciutto.
Fase
G.
Fig.6
– i tratti orizzontali alternati neri
e gialli indicano la stiba
Fig.8
9 Un rapporto equilibrato tra durezza e resilienza la si ottiene con una percentuale di stagno del 10% col quale si raggiungono valori di resilienza uguali o maggiori di 9 J. Percentuali superiori determinano l'ulteriore indurimento della lega metallica e conseguente fragilità.
Estratto in summa da: https://campanologia.it/
vedi: Il pozzo di Santa Cristina: 9° parte - un problema di scala rovescia
15.
Cronoprogramma dei lavori
Ci accingiamo ora a percorrere le fasi salienti di costruzione del monumento, perché la complessità costruttiva è tale da dover fugare ogni dubbio circa il preciso
intento edificatorio con cognizione di causa; perché il dubbio si annida proprio nella complessità edificatoria, nel momento in cui non si riesca a spiegare un passaggio costruttivo e/o renderlo sequenziale, ossia: vincolato o vincolante.
In sostanza dobbiamo
interpretare ogni singolo particolare architettonico come parte di un meccanismo, nel quale tutti gli ingranaggi sono uno in
funzione dell'altro e, nella logica sequenziale, tutti concorrono in
modo ordinato e preciso al funzionamento del meccanismo stesso. I vincoli architettonici che incontriamo nel pozzo di Santa Cristina
sono tali da essere equiparabili ad un orologio, almeno dal punto di
vista concettuale, tant'è che in quest'ultimo mai incontreremo un ingranaggio a tre ruote, ognuna ingranata con le altre due, pena il blocco del meccanismo stesso.
Alla luce
di questo paragone dobbiamo capire il modo (forse l'unico) di
edificazione del monumento e lo faremo prendendo in considerazione
tutti gli elementi palesi, nonché quelle caratteristiche emerse dallo studio, che sono risultate funzionali alla sua costruzione e alla sua funzione rituale (mòdano, divisione in parti uguali di un segmento, uso della stiba, pozzi di afflusso e deflusso con sistema di evacuazione etc.). Inoltre nella ipotesi costruttiva dobbiamo tener conto non solo delle due
ierofanie al 21 di aprile e del 21 di giugno, ma anche di quella al
21 di dicembre perché, benché quest'ultima sia slegata dal punto di vista rituale dalle altre
due ricorrenze, ci sono sufficienti indizi che rendono verosimile una precisa manifestazione ierofanica luminosa al solstizio d'inverno. Nel dubbio dobbiamo
tenerne conto nella sequenza costruttiva perché, qualunque sia stato
l'intendimento di quelle antiche genti, prevederne la possibile fase costruttiva non ostacola
la sequenza generale, ma al contrario, la arricchisce e la rende perfetta dal punto di vista vincolante.
***
E' stato
appurato che il monumento era provvisto già in origine di un sistema di troppo pieno atto a limitare il livello dell'acqua nel bacile. E' verosimile che il
sistema di troppo pieno incanalasse le acque in esubero in un pozzo di
riimmissione in falda; pozzo che potrebbe essere stato sigillato e
occultato alla vista alla fine della costruzione del pozzo sacro1.
La possibilità che sia presente tale pozzo freatico di drenaggio,
risponde al mancato ritrovamento del sistema di troppopieno da parte
dell'archeologo che studiò e restaurò il monumento.
L'immagine
di Fig. 1 mostra, in modo del tutto ipotetico, la disposizione dei
due pozzi rispetto al bacile del pozzo sacro, nonché il percorso
dell'acqua quando il sistema fu messo a regime (frecce azzurre). Il particolare in doppia linea rossa tratteggiata tra i due pozzi indica la condotta provvisoria che verosimilmente fu posta in essere per “lavorare all'asciutto”.
A riguardo del pozzo freatico, ossia un pozzo col quale si raggiunge l'acqua di imbibizione del terreno (falda freatica) vi sono da precisare alcuni aspetti. La superficie piezometrica di questa falda non può essere controllata come quella della falda artesiana, per via che l'acqua freatica non è confinata nella parte superiore da uno strato impermeabile (è questa caratteristica che fondamentalmente la distingue dalla falda artesiana), per tanto è ancor più necessario verificare durante l'arco dell'anno e per svariati anni, il movimento altimetrico di questa falda. Di certo questa verifica fu eseguita da quelle genti in modo che in qualunque momento dell'anno si potesse evacuare in modo efficace l'acqua dal bacile col sistema di troppo pieno. C'è da notare comunque che il pozzo è ubicato in un crinale che degrada verso sud, in un ventaglio angolare compreso tra sud-est e sud-ovest, tale che a distanza di 100 m dal pozzo il terreno scende di 8 m verso l'origine di un canalone posto all'incirca in direzione sud sud-ovest (esattamente un azimut di 194° dall'asse del pozzo); e sempre nella stessa direzione il piano di campagna raggiunge un dislivello di 15 m ad una distanza di 200 m dal pozzo. Per tanto a meno di non incontrare una conca impermeabile dove l'acqua ristagna (e proprio per questa evenienza è necessaria un'attenta verifica del livello dell'acqua), il deflusso avviene con naturale normalità.
Fig. 1
Fase
A.
Fig. 2
Fig.2 -
Tutto ebbe origine dalla captazione della falda artesiana e della falda freatica. Certamente la sorgente fu sottoposta ad un attento controllo
di persistenza del flusso, così pure fu controllato il livello dell'acqua freatica e una volta verificata la costanza nel
tempo della falda artesiana e il livello massimo raggiungibile da quella freatica, si diede inizio alla realizzazione del pozzo sacro. Il
monumento doveva celebrare l'importante data del 21 di aprile; una
data di previsione, alla quale associarono quella del 21 giugno: solstizio
d'estate. Per tanto il monumento doveva soddisfare numerosi
requisiti imposti da un rituale legato a ben due manifestazioni
ierofaniche. Non solo. Vollero
andare oltre e magnificare il loro "dio" con quell'orientamento del tutto speciale
di 153°08' dell'asse della scalinata. Orientamento che coniuga astronomia e architettura secondo rapporti angolari e misure lineari
dettati dal sole: manifestazione del dio (lo abbiamo ampiamente dimostrato nei
capitoli precedenti). Per fare ciò misero in campo tutto il loro sapere (abbiamo ampiamente descritto nei capitoli precedenti i procedimenti adottati per l'orientamento e costruzione del pozzo).
Fase
B.
L’orientamento
della scalinata fu eseguito secondo le modalità descritte nel 11°capitolo; il suo asse fu materializzato con due pali infissi a terra
a debita distanza dal pozzo già scavato, tali che la retta
congiungente doveva passare vicino al pozzo artesiano ma non per il
suo centro2.
Fase
C.
Fu tracciata
la superficie di scavo di forma rettangolare delle dimensioni
(ipotetiche) di 15,00 m
x 6,00 m*,
col lato maggiore orientato all'azimut di 153°.
* le misure in rosso sono ipotetiche
Fase D.
Fig. 3 – Lo scavo raggiunse la quota poco sopra la superficie piezometrica della falda artesiana (5,40 m), in modo tale che il fondo dello scavo rimanesse all'asciutto.
Fase
E.
Fig. 4 –
Nel fondo dello scavo, poco lontano dal pozzo artesiano, fu
realizzato (verosimilmente) un pozzo freatico allo scopo di convogliare l'acqua
sorgiva che scaturiva naturalmente dal pozzo artesiano stesso3.
L'espediente, come già detto, serviva a creare un flusso costante d'acqua corrente
senza dover realizzare una condotta disperdente troppo lunga, che a
quella profondità non poteva ricevere manutenzione.
Fase
F.
Fig. 5 - Fu
realizzata una canala provvisoria ad una quota tale da abbassare il
livello dell’acqua sorgiva. In seguito fu abbassato il fondo dello
scavo fino ad arrivare ad una quota tale che la superficie
piezometrica fosse ben al di sopra della superficie della quota di
sfioro del bacile. Questo espediente avrebbe garantito un afflusso naturale dell'acqua sorgiva nel bacile.
Fig.
6 – Nel luogo dove avrebbe preso posto
il bacile fu spianata la superficie nel fondo di scavo, che sarebbe
stata anche fondo del bacile stesso4.
Fu
posizionato sul piano un manufatto amovibile; forse un concio di
basalto lavorato e ben spianato spesso 2/3 di stiba
verso la rampa inclinata (manufatto verde di Fig.6); concio che avrebbe simulato la quota del bordo del
bacile. Adiacente a questo fu posizionato un secondo concio, più basso del primo, nella parte opposta alla rampa (manufatto celeste di Fig.6) .
i tratti
verticali del medesimo colore indicano l'unità pari a 1/3 di stiba
L'ipotesi dell'utilizzo di questi due conci amovibili è dettata dal piano di posa degli anelli. Questi in modo del tutto inaspettato, sono inclinati a scendere dal varco
di accesso al bacile verso il punto diametralmente opposto, con
pendenza tale da avere in dislivello di circa 6,5 cm.
Fig.7
E' evidente (dall'osservazione di Fig. 7) che tutti gli anelli posti
sotto il 12°, compreso il piano di appoggio di quest'ultimo (linee
rosse), hanno la medesima pendenza; mentre gli anelli superiori sono
pressoché orizzontali (linee azzurre). La caratteristica la notò
pure A. Lebeuf e ne trattò nel suo libro escludendo, giustamente,
un assestamento della struttura5,
senza però trovare altra motivazione.
Solo
studiando i mutui rapporti tra le misure del monumento si può
arrivare alla soluzione del dilemma, perché la cupola ogivale fu realizzata nel rispetto
dell'unità di misura e proprio questa impose l'inclinazione dei piani di posa anulari.
Come
si evince dall'immagine di Fig. 6 (che ripetiamo per comodità
espositiva in Fig. 8) si capisce che l'inclinazione degli anelli fu "forzata", dovendo coniugare la direzione imposta dal mòdano con l'utilizzo dell'unità di misura: “sa stiba”
(e precisamente il suo sottomultiplo: l'unità pari a 1/3 di stiba. Vedi seconda parte capitolo 6). La stiba fu usata per il
posizionamento altimetrico e dimensionamento del 12° anello (impostato anche dal punto di vista numerologico). Un escamotage simile lo abbiamo incontrato nella costruzione della scala rovescia. In sostanza l'inclinazione del piano di posa degli anelli doveva coniugare il vincolo imposto dal numero di anelli: 12, e dalla quota del testimone T1 in rapporto all'incrocio X, il tutto impostato sull'unità di misura: sa stiba.
Fig.8
Apriamo una parentesi per notare la misura del dislivello tra base del 12° anello
e smussatura dell'oculo della cupola ogivale, che è pari a 23 unità esatte.
Ci si domanderà perché
si debba prendere in considerazione il bordo smussato dell'oculo,
anziché il suo piano superiore? Quegli architetti, forse assillati dal rispetto della numerologia (è possibile fosse un dogma da rispettare in modo imprescindibile; e dal punto di vista antropologico abbiamo tantissimi esempi a dimostrazione di azioni e riti che ai nostri occhi risultano maniacali), pensarono proprio
a tutto, infatti il raggio solare che penetra dall'oculo il 21 di
giugno è costretto dalla gibbosità della smussatura dell'oculo e
non dal suo bordo superiore. Il dislivello tra la gibbosità e il
piano esterno dell'oculo è pari a circa 4 cm.
Siamo difronte ad un
sistema alquanto macchinoso, che risponde però, all'esigenza di
coniugare, come già detto, il dato astronomico (inclinazione dei
raggi solari), con l'unità di misura, che con essi è in stretto
rapporto geometrico e matematico. Per tanto il rispetto dell'unità
di misura era fondamentale. Risulta evidente che troviamo nella cupola ogivale due serie di misure in altezza; la prima legata all'altezza
totale del monumento che dal bordo superiore dell'oculo al fondo del
bacile misura esattamente 16
stibe;
l'altra, che misura dalla base del primo anello fuor d'acqua alla
smussatura dell'oculo (elemento che veicola il raggio luminoso), esattamente 45
unità di base (14,33 cm), ossia 15
stibe.
Sono due misure che non coincidono geometricamente ma, sfalsate sul
piano altimetrico, coesistono.
Tornando
alla descrizione del metodo costruttivo possiamo auspicare che fu posizionato il mòdano sopra
il concio di basalto6,
quindi su quest'ultimo fu scolpito un segno (T1)
in corrispondenza dell'angolo acuto del mòdano; segno che
materializzava il punto di riflessione del fascio
luminoso proveniente dal sole.
All'altro capo la direzione inclinata dettata dal mòdano fu fissata
con un secondo testimone
(T2),segnato probabilmente sopra una impalcatura aerea posta sopra lo
scavo (travi di legno o semplici tronchi abbastanza lunghi).
Fu
posta una pertica perfettamente verticale e della misura di 22
unità,
in modo che il vertice superiore lambisse la linea inclinata T1-T2 (proprio questa fase giustifica la pendenza del piano di posa degli anelli);
punto, questo, di posizionamento del 12° anello. Fu posto il mòdano
sul piano della viva roccia in modo da intersecare il punto appena
descritto e poterlo materializzare con due testimoni T3
e
T4 (Fig.
9).
Fase H.
Fig. 10 –
L'incrocio delle due direzioni: T1-T2
con T3-T4,
fu registrata posizionando un nuovo testimone T5,
sulla verticale dell'intersezione in modo da poterla individuare in
qualsiasi momento con un filo a piombo e poter rimuovere la lenza tra i testimoni T3 e T4 che evidentemente disturbava la costruzione della cupola.
Dalla
posizione del filo a piombo fu individuata la posizione del bordo del
bacile ad una distanza in orizzonale pari a 1 stiba
(43 cm) e fu impostato il diametro del bacile pari a 6 stibe
(la misura effettiva è 2,565 m, ossia 1,5 cm di differenza).
Fu
posto il mòdano ancora una volta sul testimone T1
in modo da individuare la direzione dei raggi solari al 21 di aprile
(direzione T1-T6).
Per tanto fu posizionato il testimone T6.
Si pose
il primo cerchio di base della cupola e contemporaneamente furono
impostate le canalizzazioni di adduzione ed evacuazione dell'acqua
del bacile e sigillate le commessure tra i conci per assicurare
l'azione sifonante del sistema di troppo
pieno.
Fase
I.
In
seguito fu posizionato il mòdano sul bordo del bacile per poter
posizionare il testimone T7
che avrebbe individuato l'inclinazione della scalinata. Però, come
abbiamo avuto modo di chiarire, fu commesso molto probabilmente un
errore di posizionamento dei primi scalini; errore che determinò la modifica
di inclinazione della scalinata stessa nella sua parte superiore e
l'aggiustamento dei primi gradini. In sostanza possiamo pensare che
per “distrazione” fu individuata l'inclinazione della scala
ponendo una lenza tra il testimone T7
e il testimone T1 (Fig. 12), anziché sul bordo del bacile (Fig. 11). Quando si accorsero
dell'errore aggiustarono le misure dei primi gradini per renderli
fruibili in modo sicuro (vedi parte 5° dello studio).
Fase
L.
Fig. 12 Si
diede inizio alla costruzione della scalinata; per la quale, come già
detto, probabilmente fu eseguita una modifica in corso d'opera
dell'impostazione dei primi gradini, perché seguendo l'inclinazione
del mòdano così come descritto in Fig.12, il gradino per avere
un'alzata di 4/7 di stiba
(24,57 cm) avrebbe imposto una prima pedata di soli 11 cm; che è del
tutto illogica quanto impraticabile. Per tanto fu impostata una prima
pedata di 20 cm che corrisponde al piano di contenimento del bacile,
il primo gradino con alzata di 26,4 cm e pedata di 26,2 cm, e solo
dal 2° gradino in poi furono impostate le giuste misure pari
all'alzata di 4/7 di stiba
e pedata di 5/7 di stiba.
Sul
cambio di inclinazione della scalinata dal 7° gradino fin verso il
24° abbiamo già scritto, per tanto non ci dilungheremo oltre; basti
aggiungere solo che la ricostruzione operata dal Dr. E. Atzeni della
parte alta della scalinata evidentemente corrisponde alla originaria
impostazione della stessa perché operando, egli, sulla base delle
misure dei gradini in situ
e della inclinazione residua della scala stessa, non poteva che
arrivare alla fedele ricostruzione della parte mancante.
Fase M.
Fig. 13
Terminata la scalinata si diede inizio alla costruzione della cupola e contemporaneamente al rivestimento delle pareti laterali della
scalinata stessa.
Quando si
arrivò alla posa dell'11° anello, in esso fu inserito il concio di
riferimento azimutale β (quello che il 21 di giugno segnava in
azimut la ierofania nel concio α. Vedi Fig. 13).
Fig. 13
Con ogni
probabilità questo concio fu posizionato utilizzando lo stesso sole
quale preciso marcatore ossia; si attese il giorno del solstizio
d’estate per individuare in modo preciso la posizione dell’oculo
della cupola7
in corrispondenza della trave che fungeva
da testimone T4; testimone che già si trovava nella posizione
altimetrica definitiva. Questo a parer mio è l’unico metodo
empirico che poterono adottare quelle genti per posizionare in modo
preciso il concio β.8
Quando si
apprestarono a realizzare il 12° anello, posizionarono il concio α
praticamente in asse al concio β.
Eventuali
piccoli aggiustamenti furono adottati in questa fase; ed è probabile
che la posizione decentrata dell’oculo rispetto all’asse della
scalinata (quasi 8 cm) sia dovuta proprio a questi aggiustamenti.
Durante
il posizionamento degli anelli, risparmiarono nel paramento murario
della cupola il varco d’accesso al bacile; infine fu posizionato
l’architrave del varco stesso all'altezza dell'11° anello.
Con molta probabilità (non né abbiamo la certezza assoluta) questo particolare
architettonico fu posato con cognizione di causa. In
sostanza questo fu posizionato in modo tale che segnasse il limite
architettonico tra luce ed ombra al solstizio d'inverno, avendo quali
limiti costrittivi lo spigolo C del 24° gradino della scalinata (che
di fatto sostituiva in modo definitivo il testimone T7,
e lo spigolo A dello stesso architrave. Il segmento A-C di Fig.14 materializza il limite inferiore entro il quale si sarebbe manifestata la ierofania il 21 di dicembre.
Risulta del tutto evidente che la posizione del concio
A sia preimpostato sulla base di un progetto iniziale vista la sua
dipendenza dallo spigolo "C" del gradino. Lo abbiamo già detto, ma lo ribadiamo, che questa fase
costruttiva è dettata solo ed esclusivamente dall'intento di
dimostrare la fattibilità del pozzo sacro, tenendo in considerazione
tutte le particolarità del pozzo stesso, a prescindere che queste risultino intenzionali o meno nella loro totalità. E vogliamo ribadire altresì, ancora
una volta che, benché ci siano i presupposti per ritenere vera la
registrazione in questo monumento del solstizio d'inverno, non
abbiamo sufficienti elementi per dimostrarlo perché; se per le due
date del 20 aprile e 21 di giugno abbiamo affinità di manifestazione
ierofanica, col solstizio d'inverno questa affinità viene a mancare.
Tornando al metodo costruttivo possiamo dire ancora che, per
quanto riguarda la sagoma del vano d’accesso al bacile, ho
constatato che il profilo dei conci, lì dove i filari di parete
risegati del vano scala si innestano negli anelli della cupola a
formare lo spigolo, segue il medesimo profilo della cupola stessa e
solo l’ultimo filare, quello che regge la piattabanda, se ne
discosta in maniera sensibile (Fig.15).
Fig. 15
In ragione di ciò possiamo desumere
che i conci d'angolo siano stati sagomati seguendo viva via l'inclinazione dei conci che formano gli anelli. I filari delle due pareti aggettanti della scalinata invece furono realizzati seguendo pedissequamente una lenza tesa tra lo
spigolo inferiore di ogni concio d'angolo del varco d’accesso e la base del
primo gradino che si innesta nella parete aggettante in costruzione, che dava la direzione dei filari verso la scalinata.
Fig. 16 Mentre si erigeva la cupola fu posizionata una lenza, che
materializzava il piano inclinato della volta a zig zag della
scalinata, tra l’intradosso dell’architrave del varco d’accesso
al pozzo e il testimone T6
(tratto A-B);
il metodo costruttivo lo abbiamo ampiamente descritto nella parte 9°
di questo studio, per tanto rimandiamo a quello per eventuali
delucidazioni.
Fase N.
Fig. 17
Fig. 17 -
Infine furono completate le pareti aggettanti coi restanti 12
architravi di copertura della scalinata.
L'ultima
azione fu quella di scavare nella viva roccia il 24° cerchio del pozzo sacro, quello concentrico al bacile. Dovevano però rispettare sa
stiba, per
tanto usarono, verosimilmente, un pertica lunga 16 stibe e con quella arrivarono esattamente al livello di scavo definitivo.
Infine
fu sigillata la condotta drenate provvisoria tra pozzo artesiano e
pozzo freatico. L'acqua iniziò a salire di livello, riempì il
bacile e quando arrivò al bordo di sfioro, iniziò a defluire nel
pozzo freatico.
I
due pozzi furono sigillati definitivamente; solo allora furono
colmati tutti i vuoti attorno alla cupola e delle pareti aggettanti.
Fase
P.
Quando fu colmato lo
scavo fu possibile tracciare il perimetro del recinto esterno secondo
il metodo descritto nel capitolo 14 (8° parte) e in seguito il
perimetro di quello interno.
Il
successivo 21 aprile avrebbe avuto inizio il rito legato alle messi,
che avrebbe avuto il suo apogeo il 21 di giugno e sarebbe terminato
il 21 di agosto.
Qualche
considerazione sulle misure
Abbiamo
constatato che tutto
il monumento fu costruito sulla base del mòdano
e della stiba;
e proprio su quest'ultima voglio soffermarmi per dire che:
- l'altezza della cupola è di 16 stibe
- l'aggetto del 12° anello rispetto al bordo del bacile è di 1 stiba
- il raggio del bacile è di 3 stibe e conseguentemente il diametro di 6 stibe
entrando nei
particolari osserviamo che:
- il 12° anello misura 1 stiba
- tutti gli altri anelli misurano mediamente 2/3 di stiba
- i due anelli sott'acqua sommano allo spessore di 1 stiba
- le 24 pedate della scalinata misurano 5/7 di stiba
- le 24 alzate della scalinata misurano 4/7 di stiba
- la faccia orizzontale delle pittabande di copertura della scala misura 3/4 di stiba
- le pareti verticali delle medesime misurano 2/3 di stiba
Nella parte aerea del monumento osserviamo che:
- l'asse maggiore del glandoide misura 24,10 m ossia 56 stibe (56 x 0,43 = 24,08 m)
- il raggio dell'arco maggiore che delimita il glandoide è lungo 8,58 m ossia 20 stibe (20 x 0,43 = 8,60 m).
- l'asse minore del glandoide misura 42 stibe
- il varco d'accesso al recinto di forma glandoide ha una larghezza di 3 stibe nella parete interna.
- il raggio dell'arco di cerchio del recinto interno (fuori centro rispetto al primo della misura di 1 stiba) è mediamente di 3,81 m (in alcuni punti misura 3,87 m, in altri 3,75 m) ossia 9 stibe (9 x 0,43 = 3,87 m).
Considerazioni
finali
Giunti
alla fine di questo lungo e laborioso lavoro di ricerca, rimane da
fare una semplice considerazione.
Quanto
fin qui si è scritto è frutto di ingegno e conoscenze di carattere
tecnico e topografico, nonché della propensione ad eseguire gesti e
operazioni di carattere pratico ricorrendo all'esperienza e a mezzi
di fortuna nel momento in cui non si hanno altre risorse disponibili.
Abbiamo messo in campo queste conoscenze nell'ottica dell'archeologia
sperimentale. Normalmente con tale termine si intende una disciplina
che tenta di verificare sperimentalmente le tecniche costruttive e di
fabbricazione antiche. In questo contesto si è cercato di intuire i
ragionamenti di quelle antiche genti, nell'affrontare problemi
pratici senza l'ausilio di particolari cognizioni teoriche e/o
strumenti complessi. In ragione di ciò, se oggi si riesce in un
certo qual modo a risolvere con una serie di gesti e di procedure
estremamente semplici, dei problemi che normalmente risolviamo con
l'ausilio di tecniche moderne ed elaborate formule matematiche; perché non dovremmo pensare che gli stessi gesti, le stesse tecniche
e gli stessi ragionamenti non potessero essere prerogativa di genti
vissute 3000 anni fà?! Il cervello e l'intelligenza sono sempre gli
stessi, quel che cambia è il mezzo usato per arrivare allo scopo.
Come fecero a lavorare in modo tanto magistrale quei conci di duro basalto?
Obiezione che potrebbe scaturire anche da una affermazione di A. Lebeuf che a pag. 176 del suo libro "Il pozzo di Santa Cristina un osservatorio lunare - edizioni Tlilan Tlaplan" scrive: "il bronzo non può intaccare una pietra così dura".
La maggioranza delle persone è convinta che ciò sia vero; però basta un minimo di informazione sul tema specifico per capire che il bronzo con un alto tenore di stagno (oltre il 10%) è durissimo ((la durezza aumenta da 60 Brinell per il 4% di stagno a 300 Brinell per il 30%). Si noti che l'acciaio "duro" ossia con una percentuale di carbonio di 0.45-0.65% ha una durezza Brinell di 260 ed è usato per scalpelli, seghe, filo per cavi e utensili vari; e solo l'acciaio "extra duro", ossia con una percentuale di carbonio oltre 0.65%, usato in edilizia per i cavi del cemento armato precompresso, raggiunge una durezza Brinell di 300.9
Sfatato questo luogo comune, possiamo affermare che bastava usare utensili di bronzo nel modo corretto, ossia senza sottoporli a flessione (punto dolente del bronzo con alto percentuale di stagno), per eseguire lavorazioni precise e sofisticate. Detto questo, possiamo dare la giusta connotazione di utilizzo a particolari attrezzi di bronzo che possiamo ammirare in tanti musei e descritti genericamente come: picconi, piccozze, asce, doppie asce a tagli paralleli e tagli ortogonali, scalpelli, mazze e mazzuoli (senza per altro entrare nello specifico del loro campo di utilizzo); utensili questi che furono usati per lavorare quei conci di basalto in modo magistrale.
Ragione di ciò sta nel fatto che le argomentazioni fin qui esposte hanno puntuale riscontro nelle caratteristiche del pozzo sacro.
***
Il nostro lettore potrà a questo punto fare una obiezione legata alla realizzazione pratica del monumento.Come fecero a lavorare in modo tanto magistrale quei conci di duro basalto?
Obiezione che potrebbe scaturire anche da una affermazione di A. Lebeuf che a pag. 176 del suo libro "Il pozzo di Santa Cristina un osservatorio lunare - edizioni Tlilan Tlaplan" scrive: "il bronzo non può intaccare una pietra così dura".
La maggioranza delle persone è convinta che ciò sia vero; però basta un minimo di informazione sul tema specifico per capire che il bronzo con un alto tenore di stagno (oltre il 10%) è durissimo ((la durezza aumenta da 60 Brinell per il 4% di stagno a 300 Brinell per il 30%). Si noti che l'acciaio "duro" ossia con una percentuale di carbonio di 0.45-0.65% ha una durezza Brinell di 260 ed è usato per scalpelli, seghe, filo per cavi e utensili vari; e solo l'acciaio "extra duro", ossia con una percentuale di carbonio oltre 0.65%, usato in edilizia per i cavi del cemento armato precompresso, raggiunge una durezza Brinell di 300.9
Sfatato questo luogo comune, possiamo affermare che bastava usare utensili di bronzo nel modo corretto, ossia senza sottoporli a flessione (punto dolente del bronzo con alto percentuale di stagno), per eseguire lavorazioni precise e sofisticate. Detto questo, possiamo dare la giusta connotazione di utilizzo a particolari attrezzi di bronzo che possiamo ammirare in tanti musei e descritti genericamente come: picconi, piccozze, asce, doppie asce a tagli paralleli e tagli ortogonali, scalpelli, mazze e mazzuoli (senza per altro entrare nello specifico del loro campo di utilizzo); utensili questi che furono usati per lavorare quei conci di basalto in modo magistrale.
Un
auspicio, per mettersi in gioco...
Abbiamo
ipotizzato la presenza di due pozzi: uno artesiano, l'altro freatico;
elementi, questi, di un sistema idrico basato sul principio del
troppopieno sifonato.
L'auspicio
è quello di poter eseguire una prospezione col georadar
per verificare quanto ipotizzato.
L'indagine
sarebbe auspicabile, non tanto per dar credito al mio studio, che
comunque ritengo non abbia bisogno, nello specifico, di questo tipo
di conferma (che ci sia o meno un pozzo freatico di evacuazione non
inficia minimamente la mia ipotesi; e non la inficia neppure la
presenza o meno di un pozzo artesiano di adduzione che potrebbe
essere sostituito da una falda naturale perenne. Semplicemente
verrebbe modificato l'espediente utilizzato per l'allontanamento
delle acque reflue); bensì per dar atto (se ci fosse ancor bisogno)
dell'intelligenza e dell'altissimo livello tecnico raggiunto da
quelle antiche genti, nel momento in cui si rivelasse vera la presenza dei due pozzi.
E' questo
l'aspetto che tengo a precisare e motivo unico di questo studio.
note e
riferimenti bibliografici
1 Abbiamo
già avuto modo di dire che il sistema di troppopieno attuale, per quanto si sa fu
realizzato dall'archeologo E. Atzeni. Di recente, abbiamo avuto modo di apprendere da notizie indirette (che avrebbero bisogno di conferma), che l'archeologo si limitò a ripristinare la condotta esistente che sfocerebbe a valle in un punto imprecisato. Ciò mi sembra verosimile a meno che l'archeologo non abbia eseguito uno scavo a sezione obbligata per raggiungere la quota di scorrimento (circa 6.50 m di profondità) per una lunghezza di scavo superiore ai 100 m (il dato calcolato sull'altimetria desunta da Google Earth, benché non precisissima, da una idea delle distanze da superare per consentire un deflusso efficace con una pendenza minima del 5‰). Proprio quest'ultima considerazione pone dubbi sulla reale esistenza di una condotta sotterranea di deflusso di quelle proporzioni realizzata in età nuragica (vedi Fig. A).
Fig. A
Profilo altimetrico da Google Earth elaborato con l'inserimento della condotta di colore Blu
2
Il pozzo di adduzione (se di pozzo si tratta), con ogni probabilità
è disassato rispetto all'asse della scalinata; e questo per motivi
legati alla costruzione del monumento, come vedremo più avanti.
3 L'ipotesi
del pozzo freatico scaturisce dal fatto che il Dr. E. Atzeni non
trovò alcuna canala di scolo delle acque in esubero.
4
La già citata guida del Moravetti descrive il fondo del bacile come
scavato nella viva roccia (pag.21).
5 Lebeuf
scrisse che l'inclinazione non poteva essere causata da un
assestamento della struttura, dato che il piano d'appoggio della
costruzione è di roccia compatta.
6 Si noti che il mòdano doveva essere utilizzato anche in funzione di
archipendolo. Nel nostro caso il mòdano necessariamente doveva
essere provvisto di filo a piombo per verificare la verticalità del
cateto maggiore e di conseguenza l'orizzontalità del cateto minore.
Il mòdano in sostanza era
costituito con ogni probabilità da una squadra di legno. La squadra
è strumento noto fin dalla più remota antichità. Si trovano
raffigurazioni di questo strumento in immagini dell'antico Egitto
che raffigurano muratori al lavoro (Fig. A1). Era pure conosciuto
l'archipendolo ed altri strumenti topografici che furono ritrovati a
Deir el-Medineh nella tomba di Sennedjem, un funzionario egizio
della XIX dinastia. (da
http://gslandsurveying.com/history-of-surveying
) (Fig. A2). E' appena il caso di rimarcare che non ci sono dubbi
sulle competenze tecniche e geometriche degli architetti Sardi, che
sicuramente avevano la capacità di realizzazione di strumenti di
controllo della verticalità e della orizzontalità delle loro
costruzioni. Prova ne sia l'uso del compasso che, come abbiamo
riportato nell'articolo relativo al sito archeologico di Giorrè di
Florinas, fu usato per il tracciamento di un edificio circolare e
per la costruzione geometrica del recinto ovale che racchiude il
luogo di culto. E' del tutto evidente che conoscendo i principi di
geometria di costruzione dell'ovale, di certo nessuna difficoltà
poteva ostacolare la costruzione di una squadra lignea; basta
disegnare a terra un segmento di opportuna lunghezza, tracciare due
archi di cerchio dai due estremi di detto segmento; l'unione dei
punti di incontro dei due archi è perpendicolare al primo segmento;
la costruzione geometrica può essere utilizzata per la costruzione
di una figura piana con un angolo retto; insomma una squadra da
carpentiere o da muratore piuttosto precisa.
Non sembri vano quanto qui
affermato, perché nei nostri musei vi sono le prove che quelle
genti conoscevano concetti avanzati della meccanica, basti pensare
alle punte di trapano di forma elicoidale (identiche a quelle
moderne nel principio fisico di funzionamento legato al piano
inclinato).
7
La individuazione poteva avvenire posizionando un oculo posticcio
delle dimensioni e nella posizione esatta di quello definitivo. Nel
momento in cui il sole avesse illuminato il bordo superiore
dell’undicesimo anello, quello era il punto esatto dove
posizionare il concio β. Evidentemente, per questa specifica
operazione, dello 11° anello furono posizionati in modo provvisorio
solo alcuni conci.
8 Ritengo che sarebbe stato impossibile per quelle genti calcolarlo in modo
analitico (vedi
http://maimoniblog.blogspot.com/2018/11/il-12-anello-al-solstizio-destate-nel.html
9 Un rapporto equilibrato tra durezza e resilienza la si ottiene con una percentuale di stagno del 10% col quale si raggiungono valori di resilienza uguali o maggiori di 9 J. Percentuali superiori determinano l'ulteriore indurimento della lega metallica e conseguente fragilità.
Estratto in summa da: https://campanologia.it/
Caro Sandro, un enorme applauso a te che hai portato a termine questa fatica, improba per un uomo solo. Un viaggio che ti ha fatto tanto spaziare e che ora finalmente ti lascerà sgravato.
RispondiEliminaNon mi impanco a dire che posso avallare tutto; certi passaggi, in particolare, li ho potuti fruire solo superficialmente; ma sono sicuro che l’approfondimento e l’onestà nel resoconto rendono il saggio esauriente per quanti sappiano e vogliano misurarvisi.
Fossi un produttore televisivo investirei in un documentario che renda conto del tuo lavoro con immagini filmate e animazioni (lo preferirei a essere un “semplice” editore che potrebbe farne un “semplice” libro, magari con altri tuoi studi; ma non si butta via nulla ;-).
Perciò ancora bravo, bravissimo.
Dovremmo tutti esserti grati per questo studio comunque capitale.
Spero tutti gli autori che da qui in avanti si cimenteranno con il Pozzo di Santa Cristina (ma anche con le architetture nuragiche in genere) non tralascino di confrontarsi con questo tuo lavoro.
Con tanta stiba ;-)
E' stato un lavoro lungo e difficile, ma mi son preso i miei tempi, scanditi da riflessioni, ipotesi, passaggi costruttivi presi per veri e poi scartati perché improbabili; intuizioni e studio, molto studio. Questo saggio accorpa in se e rafforza quel che si è scoperto in altri ambiti: l'ovale del recinto di Giorrè, che conseguentemente ha dato modo di capire le conoscenze geometriche di quel popolo, registrate nel perimetro esterno del santuario di Gremanu: l'ovoide o meglio il glandoide, vista la specifica connotazione. Forma, il glandoide, che similmente possiamo associare, data la radice semantica della parola estrapolata dal contesto di Gremanu, al recinto esterno del pozzo si Santa Cristina e non solo a quello. Ecco che si fa chiara la natura di quelle due geometrie descritte dalle guide archeologiche quali, ovale o ellisse la prima e recinto a forma di serratura di chiave (sic!) la seconda (My god!). Tant'è che, se il primo propone la forma glandoide dell'organo sessuale di Gremanu, il secondo non può che proporre la protome taurina con corno asimmetrico. E non può che esser così vista la connotazione “solare” della manifestazione luminosa registrata nel pozzo sacro.
RispondiEliminaLo studio rafforza e rende prova la data del 21 di aprile, scoperta per la prima volta da Borut Juvanec nel pozzo di Santa Anastasia di Sardara, ma rimasta sterile finché nel 2016 non pubblicai lo studio sulla porta del sole di Murru mannu in Tharros (Sincretismo religioso tra nuragico e romano).
Lo studio nel suo complesso arricchisce e rafforza quel che già si sapeva del popolo nuragico: costruttori di torri a cupola ogivale (geniale elemento architettonico che non ha bisogno di centina per essere innalzata).
Un bagaglio culturale e tecnico, che sfocia nell'uso della luce riflessa e nell'utilizzo di sistemi di regimentazione dell'acqua estremamente sofisticati (troppopieno sifonato), funzionale alla registrazione in un luogo ben preciso del pozzo (12° anello) in un momento ben preciso dell'anno (21 aprile e 21 di agosto).
Un bagaglio culturale dettato molto probabilmente dalla semplice osservazione dei fenomeni naturali e dal movimento delle ombre proiettate dal sole durante l'arco dell'anno. Fenomeni naturali descrivibili e utilizzabili praticamente tramite la geometria che diventa disciplina topografica (6° parte dello studio).
Cosa vogliamo dire di più se non dare la reale connotazione all'asserzione di Diodoro quando scrive dei “ginnasi” di Sardegna?!