6. La funzione del pozzo sacro
Abbiamo appurato che il monumento, benché orientato secondo le note specifiche geometriche, non poteva manifestare la ierofania nel modo classico, ossia luce riflessa che penetra e si manifesta all'interno della camera attraverso la scalinata, come avviene nel pozzo di Santa Cristina e di Funtana coberta; inoltre nulla ci induce a pensare che la manifestazione luminosa fosse legata in modo stringente alla illuminazione di un caratteristico particolare architettonico come avviene nel pozzo di Santa Cristina (concio alfa del 12° anello). Per tanto a quale altra funzione poteva essere dedicato il pozzo di Is Pirois?
Di primo acchito, e rifacendoci alla particolarità della riflessione luminosa che entra dall'oculo ed esce, per così dire, dalla scalinata, ho pensato ad un rito dal sapore spettacolare, forse anche verosimile, che però abbiamo deciso di descrivere solo in nota perché poco, anzi nulla, ha di scientifico12.
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In nota (12) abbiamo esposto una ipotesi sui generis, ma una seconda ipotesi, ben più plausibile, prende in considerazione l'uso della manifestazione ierofanica per uno scopo di natura più pragmatica
che non quella giudiziale paludata da sentenza divina. Un metodo per il quale il sole entrava dall'oculo e la sua luce, riflessa dall'acqua del bacile, veniva proiettata nei gradini della scala rovescia. La ierofania per riflessione, secondo i miei calcoli, poteva, e ancora oggi può, manifestarsi attorno al 21 di giugno solo quando l'acqua del bacile avesse superato una certa soglia altimetrica - ottavo gradino a scendere - tale che i raggi solari venivano proiettati, riflessi dall'acqua, all'intradosso del 3° architrave a scendere (Fig.6).In tale situazione, che poteva preannunciare una limitata disponibilità d'acqua, l'immagine luminosa era sicuramente visibile all'osservatore posto in piedi davanti alla scalinata, perché venivano illuminati il 3° e il 4° architrave a scendere.
Precipitazioni più copiose, alimentando la falda, facevano raggiungere al liquido la quota del primo gradino a scendere; oltre il quale l'acqua poteva fuoriuscire liberamente, invadendo l'ambulacro, se non ci fosse stato il sistema di troppopieno. Raggiunta quella quota la ierofania luminosa veniva riflessa all'intradosso del 6° architrave a scendere; per tanto per vedere la ierofania luminosa era necessario inginocchiarsi13 (Fig.7).
Fig. 7
In ragione di quanto detto possiamo dire con ragionevole sicurezza che la posizione della ierofania suggerisce una previsione di fertilità e abbondanza o, al contrario, di penuria d'acqua e carestia. Vediamo perché.
Rifacendoci al “nilometro”, utilizzato dagli antichi Egizi per prevedere l'andamento dei raccolti (tassazione!) tramite l'altezza che l'acqua del loro fiume sacro raggiungeva (e questo per filologia, che ci protegge da inutili quanto aleatori voli pindarici), possiamo ipotizzare anche a Is pirois una sorta di idrometro14 mascherato da munificenza divina nel suggerire all'uomo il suo futuro prossimo venturo, ma di fatto dedicato alla previsione della disponibilità d’acqua da lì a pochi mesi.
Secondo questa ipotesi, se il livello dell'acqua rimaneva sotto l'ottavo gradino a scendere ( Fig.8) il sole non avrebbe illuminato alcun architrave perché lo specchio d’acqua sarebbe stato troppo basso per riflettere la luce del sole, la qual cosa si traduceva al lato pratico in una penuria d'acqua che avrebbe compromesso i raccolti e il sostentamento del bestiame e per tanto si sarebbe dovuto/potuto correre ai ripari.
Se l'acqua raggiungeva lo 8° gradino si era al sicuro; se arrivava a lambire il 1° gradino, il surplus era una benedizione divina.
Tutto questo avveniva, guarda caso, nei giorni attorno al solstizio d'estate, nel momento in cui la divinità, manifesta nel sole, al massimo della sua potenza lucifera, nella mente di quelle genti suggeriva: “ecco questo è il segreto che a voi confido, fatene buon uso!” Per tanto nulla di eccezionale dal punto di vista previsionale, ma un attestato di clemenza e fiducia della divinità nei confronti della sua creatura che in Lui riponeva l'auspicio di un benevolo destino. Nulla di eccezionale, dicevo, perché i sacerdoti sapevano benissimo come leggere il livello dell'acqua dentro al pozzo sacro e ben prima del 21 di giugno. Per tanto quello di Is pirois, alla stregua degli altri monumenti, era (leggi: potrebbe essere) una costruzione che legittimava il potere sacerdotale perché in quel luogo la divinità si manifestava attestando con la luce del sole la sicurezza di un futuro prospero o, al contrario, un futuro di carestia.
Ancor oggi si assiste allo spettacolo ierofanico a partire dal 7 giugno fin verso il 6 luglio, quando il sole raggiunge l'azimut di 141°41' per via che l'oculo è relativamente stretto, circa 30 cm e la scala rovescia ha una larghezza, pure essa, di circa 30 cm. Per questo motivo l'azimut è estremamente preciso; infatti si può agevolmente verificare che l'illuminazione avviene entro un ristretto ventaglio angolare non superiore a 9° a cavallo di 141°41' (da 137° a 146° circa), ossia tradotto in termini temporali un intervallo di soli 15 minuti entro il quale poter osservare la ierofania all'intradosso dell'architrave in quel momento illuminato.
7. La seconda ierofania o meglio: la prima!
Da lontano il pozzo sembra voler nascondere la sua bellezza. Quel coacervo di pietre poliedriche, policrome e pezzatura ridicola se confrontata a quella di un vero nuraghe, da l'idea di un mucchio di pietre, che al confronto certe muridinas sono ben più imponenti e di posa più precisa. Ma girando intorno ed esso alla fine si arriva all'ambulacro costretto da due ali di quella grezza muratura e la sorpresa è grande quando ci si accorge della magnificenza della parete che ospita il varco d'accesso al pozzo, con quello strano architrave che spicca, chiarissimo, dal cromatismo più scuro della parete di scisto. Anche a distanza si intravedono i corti architravi che compongono la copertura della scalinata, e avvicinandosi si è impressionati dalla posa precisa dei piccoli conci di scisto che creano un piacevole cromatismo ed una superficie piuttosto uniforme benché formata da conci pseudo parallelepipedi appena sbozzati; tanto che l'attenzione iniziale catturata dalla scala rovescia viene subito rapita da quella parete che continua, tondeggiante, all'interno del pozzo (Fig. 9a). La mancata attenzione verso quella scala rovescia, fa si che un particolare di grande importanza venga del tutto ignorato dall'osservatore; questo è uno spiraglio ricavato nell'angolo tra intradosso del 3° architrave e la parete del 4° architrave a scendere (Fig.9b).
Fig.9b - lo spiraglio
Lo spiraglio è un particolare sicuramente architettato perché all'interno di quello che viene considerato il “nuraghe” (La Dr. Salvi non usa mai questo termine) posto sopra il pozzo sacro (sic!), corrisponde una nicchia ricavata nello spessore murario (Fig.10).
Fig.10 - si noti lo spiraglio indicato dalla freccia rossa
Nicchia descritta dalla Dr. Salvi che scrive, illustrando il vano superiore: “Tra la parete ed il pavimento si apprezza, inoltre una piccola nicchia.”
La studiosa non si avvede dello spiraglio, e se pur lo ha notato, penso lo abbia associato ad una non perfetta coesione dei conci. Ma il fatto che la piccola nicchia sia proprio in quella precisa posizione denota con ogni probabilità l'intenzione di creare un varco ad hoc che potesse in qualche modo essere utilizzato quale pertugio di un segnale luminoso.
A tal proposito la Dr. Salvi nel suo articolo scrive: “Il secondo elemento nuovo è costituito dalla presenza della camera superiore, di diametro maggiore al vano del pozzo e priva di accessi nell'elevato che conserva. Non è possibile escludere, perciò, che un'apertura potesse essere ricavata a maggiore altezza, ma sarebbe comunque risultata priva di corrispondenza sia con il piano di campagna esterno che con il pavimento interno dell'ambiente, Tuttavia la presenza della nicchia ricavata a livello del pavimento ed il foro, cilindrico, che corrisponde al culmine della Tholos inferiore – ma certamente poco funzionale e insufficiente per attingere -, insieme alla comoda agibilità del vano, dimostrano che qualcuno, o qualcosa, vi dovesse trovare posto, forse in occasioni particolari legate al rituale.”
La studiosa innanzitutto cerca una qualche giustificazione alla mancanza di un varco d'accesso al vano, ma non trova alcun solido argomento, nel contempo si rende conto che qualcosa di strano e particolare nasconde quella mancanza di accesso ad un vano, dove quella piccola nicchia e l'oculo sommitale della cupola sono evidenti segnali del fatto che “qualcuno, o qualcosa, vi dovesse trovare posto”; e associa questo particolare ad un non meglio specificato “rituale”. Certamente la studiosa non può andare oltre a meno di sconfinare in altra disciplina.
Noi quel “qualcuno, o qualcosa” pensiamo di averlo individuato e abbiamo forse individuato anche il “rituale” ad esso legato.
In sostanza abbiamo calcolato che quando il sole si avvicina all'asse della scalinata (141°41), lo spiraglio lascia filtrare i raggi solari già il 16 di febbraio fin verso il 28 di marzo (Figg.11 e 12). Il fenomeno si ripete speculare il 13 settembre fin verso il 25 ottobre; ma in questo periodo evidentemente non vi era la necessità di controllare il livello dell'acqua.
Fig.11 - I raggi solari attraversano lo spiraglio solo quando la loro inclinazione è tale da superare il bordo del muro di recinzione (cerchio blu), ossia dal 16 di febbraio in poi
Fig.12 - I raggi solari perdurano nell’attraversamento dello spiraglio fin quando la loro inclinazione è tale che lo spigolo di intradosso della nicchia (cerchio blu) si frappone tra il sole e lo spiraglio, ossia fin verso il 28 di marzo.
Fig. 11a - ierofania tondeggiante |
Fig.11b - la ierofania evolve in forma triangolare |
Non voglio qui forzare la mano, ma l'esame di questa sequenza mi riporta alla mente l'evoluzione della ierofania che si manifesta nel nuraghe Santa Barbara di Villanova Truschedu, allorquando la ierofania da protome taurina si trasforma in fallo.
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La struttura architettonica è estremamente precisa, tanto da poter affermare che l'altezza della nicchia che ospita lo spiraglio è funzionale alla regolazione del periodo durante il quale l'immagine luminosa doveva manifestarsi. In sostanza se lo spigolo di intradosso della nicchia fosse stato a quota inferiore il periodo sarebbe stato più corto, tendendo verso il giorno dell’equinozio, viceversa una maggiore altezza avrebbe allungato il periodo.
Per tanto, focalizzando l'attenzione sull'equinozio di primavera15 possiamo pensare che la ierofania fosse funzionale alla individuazione non tanto di un giorno esatto, quanto di un periodo - dal 16 febbraio al 28 marzo - entro il quale verosimilmente le scorte d'acqua nel sottosuolo dovevano garantire un buon approvvigionamento tanto per l'agricoltura, quanto per il bestiame che nel periodo estivo potevano soffrire per la penuria d'acqua. Naturalmente qui si fa un ragionamento abbastanza semplificato del problema idrico, che verosimilmente era collegato anche alla transumanza; e probabilmente proprio questa eventualità doveva essere tenuta in considerazione da quelle genti allorché il territorio, del quale l'idrometro di Is Pirois era strumento di segnalazione, poteva subire un periodo di siccità dovuto alla esigua scorta d'acqua. Per tanto una transumanza non solo per assicurare al bestiame un buon pascolo e un clima ottimale per tutto l'arco dell'anno, ma anche, in certe regioni dell'isola, per assicurare acqua da bere a quel bestiame.
Ancor oggi ad Arzana e Villanova Strisaili la transumanza è ancora praticata e guarda il caso questa avviene dai monti di questi due paesi verso le zone marine tra Tortolì e il Sarrabus. Ecco che lo spostamento di greggi lungo un percorso che poneva e pone in contatto due territori distanti in linea d'aria anche 60 km, non poteva essere dettato dal caso. Era necessaria programmazione, controllo del territorio a largo raggio e sicuramente pace tra le varie popolazioni.
Viste sotto questo aspetto possiamo interpretare le due ierofanie nel seguente modo: la prima ierofania, che va dal 16 febbraio al 28 di marzo, serviva alla individuazione del livello che l'acqua raggiungeva nel momento in cui dall'equinozio di primavera il clima tende verso la calura estiva. Pertanto è possibile che quel lasso di tempo fosse funzionale ad una prima previsione sulla capacità idrica futura. In sostanza, per essere nella situazione ottimale, il livello dell'acqua doveva approssimarsi a quello massimo16 regolato dalla posizione altimetrica del canale di troppopieno.
In ragione di ciò, se in quel periodo il livello dell'acqua fosse stato al di sotto di quel limite – uno o due gradini – di certo la prospettiva non era ottimistica. In questo periodo però, anche nel caso di livello massimo si doveva comunque stare in allerta perché il flusso idrico regolare sarebbe stato garantito dalla quantità d'acqua accumulata a monte. L'incognita era sempre lì, pronta a dare brutte sorprese.
La seconda ierofania, quella attorno al 21 di giugno, era di certo quella più importante, perché proprio in quel momento si poteva prevedere quanta acqua ancora restava nel sottosuolo. E proprio in quel momento si doveva prendere la decisione di spostare gli animali verso altri luoghi dove le acque avrebbero potuto garantire un regolare abbeveraggio del bestiame. Ecco che in questa situazione il controllo del territorio e la cooperazione tra gruppi umani dislocati nelle varie zone territoriali, ognuno dotato del proprio “idrometro”, dava modo di garantire il necessario sostentamento del bestiame scegliendo di trascurare una regione siccitosa per transumare il bestiame in altra regione con una potenzialità idrica sufficiente a soddisfare il fabbisogno, se non di tutte, almeno di alcune comunità anche distanti tra loro.
Questo clima di cooperazione, che contrasta con la visione militarista della civiltà nuragica tratteggiata da parte di alcuni studiosi, sulla scia del Prof. Giovanni Lilliu, è in accordo con quella che vede il nuraghe quale opera destinata al culto. Questa nostra concezione cooperativistica delle varie comunità sarde di quel periodo è condivisa dall’archeologa Caterina Bittichesu che nel suo bel libro “Culto degli antenati nell’età del bronzo della Sardegna - i templi degli eroi dormienti della Macomer protostorica”, 2017 Ed. Nuove Grafiche Puddu scrive “Accanto ai nuraghi erano presenti i pozzi e le fonti usate per l’approvvigionamento delle acque, i templi a pozzo e le maestose sepolture megalitiche dal lungo corpo che si sono succedute nel tempo per custodire le spoglie dei propri avi. Attraverso di esse, oltre la spiritualità e il forte legame con chi li aveva preceduti , si comprende la consistenza dei gruppi umani gravitanti nella zona, le loro risorse e la loro coesione, qualità indispensabili per edificare opere architettoniche straordinarie.”
Aspetto quello della “coesione” e della “concezione cooperativistica” operata da quelle antiche genti, sostenuta anche dalla tesi formulata dall’archeologo Augusto Mulas nel suo libro “L'isola sacra” 2012, Ed. Condaghes, dove scrive: “Possiamo iniziare a trarre alcune conclusioni: la costruzione di un nuraghe delle dimensioni del Santu Antine, e in Sardegna ce ne sono tanti e anche di maggiori dimensioni, necessitava oltre che di lunghi periodi di tempo e di manodopera, anche di ampi periodi di pace che mal si accordano con l'immagine di una società bellicosa e guerrafondaia.” E ancora scrive: “Personalmente ritengo invece che solo un'altra motivazione poteva indurre un così imponente numero di individui alla costruzione di tali monumenti (i nuraghi ndr), e questa è da ricercarsi nella sfera religiosa che, al contrario di ciò che è stato detto prima, ben si adatta all'ipotesi di uno società capace di lunghi periodi di pace e non divisa in cantoni, come invece si sostiene da più parti, che avrebbero consentito la costruzione di così tanti monumenti, ma anche un'unità di intenti per cui grandi forze lavoro si univano nel completamento dell'opera poiché essa serviva a ringraziare o a ingraziarsi la benevolenza degli dei.”
Quanto affermato da Caterina Bittichesu e da Augusto Mulas delinea un quadro nel quale il nostro assunto ben si adatta, nel momento in cui la coesione, cooperazione e l’unità di intenti non è solo di carattere edilizio (costruzione dei nuraghe, tombe di giganti, pozzi sacri e quant’altro) ma contempla, e non può che essere così, anche il soccorso del vicino nel momento del bisogno; il ricordo del quale probabilmente è arrivato fino ai giorni nostri con l'usanza de “sa paradura”.
7. - Ancora qualche dettaglio a proposito del cartello di presentazione.
Il cartello asserisce a chiare lettere che nel pozzo sacro “secondo alcuni studiosi (chi!?) vi si svolgevano particolari riti propiziatori nei giorni dei solstizi”. Questa affermazione indurrebbe a pensare che nel pozzo sacro il sole si manifesti non solo il 21 di giugno, ma anche il 21 di dicembre; ma questo è assolutamente impossibile visto che in tale data il sole, quando è in asse alla scalinata ad un azimut di 141°41’, ha un’altezza all’orizzonte di 16°39’, decisamente insufficiente per illuminare, attraverso l’oculo, l’interno del pozzo; e ciò non può avvenire neppure quando esso è in meridiano perché ad un azimut di 180°, l’altezza massima è di soli 27°02’. In ragione di questi e dei ben noti motivi su esposti, suggerirei la sostituzione di quel cartello con un più semplice didascalia: “Pozzo sacro di Is Pirois”, nulla di più.
8. - Riflessioni sul rito Abbiamo studiato il pozzo sacro di Is pirois dal punto di vista tecnico: geometrico, topografico, architettonico e astronomico; e ipotizzata una funzione prettamente materiale e utilitaristica: previsione sulla disponibilità idrica. Certamente questo aspetto è importantissimo dal punto di vista funzionale, ma non è tutto. Non può essere tutto, perché in fin dei conti, qui a Is pirois come a Santa Cristina, Sant'Anastasia, Funtana coberta e Murru mannu le previsoni idriche per il primo e cerealicole per i secondi potevano benissimo esser lette dai sacerdoti/sacerdotesse senza far sfoggio di tutta questa spettacolarità. Perché allora costruire dei templi così sofisticati e complessi? La risposta è sempre legata alla religiosità di quelle genti e alla loro perpetua impellenza di soddisfare, celebrandola, la potenza di quel loro dio unico e androgino. Un dio che manifestava la sua presenza attraverso la potente luce del sole nel momento in cui essa, la luce, si univa all'acqua.
I primi versetti del Genesi recitano:
In principio Dio creò il cielo e la terra.
La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque.
Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu.
Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre
e chiamò la luce giorno e le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: primo giorno.
Per tanto il Genesi afferma che la luce viene dopo le acque già create. Luce che sostiene la vita che l'acqua principia già nel buio nel germe protetto dalla terra. Quel germe che potente erompe dalla terra in cerca di luce. E forse proprio questa potrebbe essere l'idea allusa nei pozzi sacri. O forse, spingendoci oltre, potrebbe alludere assieme sia all'acqua che alla luce che viene dal cielo. Quell'acqua "di su" che una filastrocca tutta sarda invocava fino a non molto tempo, e che recitava: “Maimone Maimone abba cheret su laore, abba cheret su siccau, Maimone laudau”.
In questa filastrocca si chiede acqua a chi?
Si chiede acqua al dio che ha il potere di elargirla, quel yhw che attraverso la potente luce solare muove la vita su questa terra.
A prima vista, confrontando il pozzo di Is pirois con quello di Santa Cristina, ma anche con quello di Funtana coberta o di Sant'Anastasia, sembrerebbe che questi ultimi abbiano poco in comune col primo; ma non è così. Vi è in tutti un principio di fondo, che oserei dire essere dogmatico, e che unisce tutti questi pozzi, per non dire “tutti i pozzi sacri”; ed è l'anastasis; ovvero l'erezione del fallo lucifero divino che nei pozzi di Santa Cristina, di Sant'Anastasia e di Funtana coberta avviene al 21 di aprile, mentre a Is pirois avviene attorno al solstizio d'estate. Cambia il periodo, che in quest'ultimo pozzo è posticipato di circa due mesi rispetto agli altri; ma è pregnante nel significato quanto lo è nei primi, se non di più.
Conclusioni
Penso di aver portato prove che dimostrano che il pozzo sacro di Is pirois era un idrometro piuttosto complesso atto a verificare la disponibilità d'acqua del territorio circostante. La luce del sole dava un primo segnale nel periodo a cavallo dell'equinozio di primavera, ed un secondo segnale nel periodo del solstizio d'estate: il periodo più critico. Per tanto a distanza di tre mesi veniva monitorato il livello dell'acqua con due espedienti luminosi diversi, il primo di preavviso, il secondo di categorico verdetto.
Una riflessione.
Ritengo che dobbiamo tutti noi esser grati a quelle genti del lascito da loro ereditato. Ancor oggi i pastori e gli agricoltori del posto potrebbero utilizzare questo magnifico pozzo sacro per prevedere la disponibilità d’acqua nel periodo estivo. Certamente non più col sentimento religioso di quelle antiche genti, che probabilmente pensavano che tutto ciò fosse scritto nelle leggi naturali che il loro dio dettava loro; ma con un senso di nostalgico ritorno a quel modo di interpretare la natura dal punto di vista prettamente utilitaristico che l'uomo nuragico sapeva ben mascherare dietro un'aura divina.
Per concludere, possiamo dire con ragionevole sicurezza che il popolo che abitava la Sardegna, forse già nel bronzo medio (?) era attento a quei segnali che la natura offriva per prevedere in qualche modo il futuro, senza bisogno di arti magiche, naturalmente, ma solo ed esclusivamente osservando in un dato momento (21 aprile a Santa Cristina e Funtana coberta) il grado di sviluppo della spiga di grano oppure, come a Is Pirois, per prevedere il livello dell'acqua sorgiva nei pozzi sacri a questo compito dedicati. In entrambi i casi le previsioni venivano arricchite di spettacolarità in uno scenario che non sbaglieremmo a definire fantasmagorico in un tripudio di allegorie legate agli elementi vitali: acqua e luce solare.
Pensiamo in definitiva, per quanto qui esposto, che chi costruì il pozzo sacro di Is Pirois diede o ricevette17 gran parte delle tecnologie e cognizioni di geometria e astronomia che nel pozzo sacro di Santa Cristina videro la massima espressione tecnologica. Non può essere altrimenti. Non può essere dovuto al caso che il metodo di orientamento del pozzo sacro di Is Pirois rispecchi quello usato a Santa Cristina e Funtana coberta; dato anche il fatto che Funtana coberta dista da Is pirois solo 21 km in linea d'aria.
In fine, il pozzo sacro di Is Pirois sembrerebbe dimostrare che il pozzo di Santa Cristina non avesse alcun tempio aereo soprastante, per il semplice motivo che anche qui a Is Pirois, contrariamente a quanto sosteneva il compianto Ercole Contu, non vi era e non vi è alcun tempietto che sovrasta il pozzo sacro.
In sostanza se a Is Pirois non fosse stata creata la ierofania attraverso la nicchia e il pertugio tra gli architravi della scala rovescia, quel recinto (pozzo luce) non sarebbe stato necessario, come non lo era nel pozzo sacro di Santa Cristina. A tal proposito (finora non lo abbiamo mai scritto) l'oculo del pozzo di Santa Cristina era preservato dalla collinetta mammelliforme che si eleva dal piano di campagna. Quella sorta di collinetta a calotta con ogni probabilità era luogo sacro perché all'interno di un luogo sacro: il recinto a forma di topa di chiave (sic!)18, a sua volta luogo sacro all'interno di un luogo sacro delimitato dal recinto esterno di forma ovoidale (leggi glandoidale). Secondo questa lettura architettonica possiamo vedere nel pozzo di Is Pirois gli stessi elementi del pozzo di Santa Cristina; manca solo la forma glandoide, almeno così ci sembra da quel che rimane delle strutture esterne di questo magnifico tempio.
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Ringrazio il Prof. Gigi Sanna per i suggerimenti e la lucida critica che in privato ha elevato nei confronti di questo studio. Obiezioni critiche che mi hanno consentito di valutare il problema da punti di vista diversi dai miei.
👉 continua
Note e riferimenti bibliografici
12 Di primo acchito mi viene in mente il rito ordalico dell'acqua calda ricordato dal Petazzoni (e in seguito anche dal Lilliu) citando Solino che attinse da Sallustio, secondo il quale in Sardegna i ladri venivano sottoposti al giudizio divino con il lavacro degli occhi con acqua calda sorgiva; il superamento della terribile prova decretava l'innocenza dell'imputato, al contrario la cecità lo condannava per la sua colpa. Le fonti antiche con tutta evidenza riferiscono ciò che fu visto da viaggiatori in particolari “giudizi divini” con l'uso dell'acqua calda; ciò non toglie che quel giudizio poteva esprimersi anche in altri modi, sempre legati all'acqua e, dove questa non fosse stata “calda”, alla “terribile” e “calda” luce solare, esponendo l'accusato alla luce del sole che entrando dal foro apicale del pozzo sacro veniva riflessa dalla superficie dell'acqua che colmava il bacile; se li chiudeva o girava il volto per proteggerli era colpevole se, benché li tenesse aperti guardando il riflesso, veniva accecato, era ancora colpevole, se invece guardando quel riflesso abbacinante, la vista rimaneva intatta, era sicuramente innocente. L'ipotesi, benché non suffragata da alcuna prova concreta è verosimile visto il connubio acqua luce che la civiltà nuragica espresse nei pozzi sacri: Santa Cristina, Sant'Anastasia, Funtana coberta per citare quelli studiati.
Naturalmente essendo questa solo una mia ipotesi per la quale alcuna prova può essere esibita, non mi dilungherò oltre, né la prenderò in seria considerazione. L'ipotesi nasce "di primo acchito" leggendo di "particolari riti propiziatori" nel cartello all'ingresso del sito archeologico.
13 Il gesto visto da un osservatore esterno alla scena da l'idea di un ringraziamento sottomissivo nei confronti della divinità. Per tanto quello che per il sacerdote o sacerdotessa era un gesto di controllo e verifica, e possibile che agli occhi dei fedeli fosse visto come un gesto di servile gratitudine.
La civiltá nuragica: la civiltá dello stupore.
RispondiEliminaCaro Ergian45, il tuo commento spero ponga un dubbio in un certo ambiente che supporta teorie becere e squalificanti che vogliono la civiltà nuragica una civiltà sottomessa al valore altrui: prima i Fenici, poi Ciprioti e Micenei e chissà quanti altri ancora in futuro. Qui si sta dimostrando, ma la strada è ancora molto lunga, che la civiltà che si è sviluppata in Sardegna mostra potenzialità tecniche e scientifiche di alto profilo che altre civiltà, neppure quella egiziana possedevano. Forse è un azzardo ciò che scrivo e benché possa sbagliarmi, sfido chiunque a dimostrare il contrario.
EliminaNon sto parlando certamente di tecniche di taglio di pietre o grandiosità metriche di monumenti; sto parlando di statica, architettura, ottica e architettura della luce, idraulica, geometria, astronomia, metallurgia dedicata a strumenti di lavorazione di pietre dure, molto dure; e tanto, tanto altro. Ah già, dimenticavo! Scrittura geroglifica.
Ancora complimenti, studio minuzioso che apre la via ad ulteriori ricerche e riflessioni.
RispondiEliminaNell'immediato fine lettura, commento, presumo, molto banale: pertanto, la mancata ierofania del periodo autunnale, avrebbe potuto significare che fosse terminato il periodo di necessità di approvvigionamento idrico ?
Le foto 11b, 11c, 11e, parrebbero mostrare, come scrivi per altri casi, che anche qui troviamo un torello che non è ancora cresciuto ma è pur sempre manifestazione della divinità ed alpha primigenio ?
No Orni, la ierofania avviene puntualmente anche nel periodo autunnale, tant'è che le fotografie delle Fig. 10 e 11, nonché tutte quelle del "book fotografico" postato prima del saggio, sono state da me scattate il 16 di ottobre; solo che nel periodo autunnale è molto probabile non servisse monitorare il livello dell'acqua nel pozzo.
EliminaPer quanto riguarda le immagini che indichi: 11b, 11c e 11e, vedo che hai buon fiuto. A bella posta non ho accostato in modo esplicito le forme al toro, benché lo abbia fatto capire riferendomi al filmato pubblicato in questo blog dove si vede la trasformazione della protome taurina in fallo. Volevo lasciare lasciare qualche porta aperta ai commenti.
Ti ringrazio di cuore, mi piacerebbe avere competenze maggiori in matematica ed astronomia. Forse in una vita futura, se trovo aperta la jana ;-)
EliminaCon stima infinita, Orni
Lo sapevi che, tempo fa, forse sino a cento anni fa, nei giorni di prolungata pioggia, i contadini e i braccianti non se ne stavano con le mani in mano, ma si recavano in campagna a "pesai murus"? Sì, ad alzare muri, a costruire quei muretti a secco, che non sono per forza quelli delle "tancas serradas a muru", ma più spesso muri di contenimento, costruzioni di "accorrus", recinti per il bestiame. Muri a secco alzati con grande maestria, visto che resistono al Tempo e alla Storia, mentre i manufatti i c.a. cascano dopo qualche decennio sulla testa di chi è sopravvissuto alla loro costruzione.
RispondiEliminaDetto questo, e sono sicuro che lo sapevi già, mi complimento ancora con te.
A fronte di chi pensa e dichiara che i nuraghi -e le altre opere architettoniche di cui hai parlato, tutte costruite "a bullu", cioè a secco - non erano alzati alla bell' e meglio, al "come viene, viene. Poi vediamo", stai dimostrando che gli abitatori antichi di questa terra di Sardegna lasciarono al caso solamente le dichiarazioni dei posteri, fossero umili pastori o dotti cattedratici.
Lo sapevo Francu, tant'è che non solo era usanza di contadini e braccianti fare altro fuori dal loro ambito lavorativo, ma era usanza anche dei muratori fare altro se il tempo non permetteva di costruire. Anche mio padre, maist'e muru classe 1914, lo faceva.
EliminaLo so che lo sapevi; è che lo dico a te per farlo presente anche alla signora Grazia che è sempre la prima a commentare, sebbene questa volta sia in ritardo.
EliminaNon è raro che is maistus de muru, nelle prolungate giornate di pioggia (is temporadas) lavorassero all'asciutto, spesso a costruire un forno per la cottura del pane, che era posizionato sempre sotto una tettoia.
Un giorno o l'altro scriverai anche di questo.
Quei forni, senza una struttura portante, resistevano e resistono ancora cento e cento anni dalla loro fabbricazione. Eppure erano fatti solamente di argilla (il fango de su ladiri), un po' di calce e teulacciu (tobacciu in Marmilla), vale a dire i cocci di tegole rotte.
Un lavoro perfetto, Sandro. Leggendo ti puoi immedesimare in un osservatore del secondo millennio avanti Cristo. Con un crescendo, in ogni tuo nuovo lavoro, verso livelli difficilmente superabili. Poichè due elementi fondamentali del pozzo sacro erano l'acqua ed la luce solare, mi piace fare questo accostamento che forse è frutto solo di suggestione. Nell'antico Egitto, il segno consonantico per l'acqua ( come una increspatura) era traslitterato n mentre il sole, la luce erano scritti con il segno-significato dei due cerchietti concentrici, lo stesso segno degli occhi dei giganti di pietra di Mont'e Prama, vale a dire ra. Ma, spesso come in Italiano, la prima lettera n assume il valore di una preposizione con il significato di "verso", quindi "verso la luce" in un abbraccio primordiale e inscindibile. Sarà anche questo legame, scoperto dagli antichi abitanti dell'Isola, una manifestazione del "Sacro"?
RispondiEliminaSignor Francu,ha ragione questa volta sono in ritardo nel mio commento,sono vecchietta con qualche acciacco.Ho letto solo ora questa meravigliosa analisi del signor Angei con una competenza che mi fa amare,ancora di più ,i nostri antenati nuragici.Ma questi antenati nuragici ,saranno stati aiutati dai fenici?????!!(quanto mi stanno diventando antipatici).
RispondiEliminaQuesti antenati nuragici, signora Grazia, edificarono il pozzo di Is Pirois intorno al 1300 A.C., così mi pare abbia detto Sandro Angei nella prima parte, andando dietro agli addetti ai lavori che queste date propongono.
EliminaCiò significa che i nuragici ebbero grande aiuto dai Fenici per il sollo fatto che questi ultimi non erano stati ancora "inventati" dai Greci.
I Fenici, alcuni credono e a ragione, sono solamente un ennesimo mito degli antichi Greci.
Un cavallo, questo mito, che ancora oggi viene cavalcato da molti degli archeologi nostrani, in una corsa senza briglie e senza meta.
"Dove arriverà - cantava Endrigo - questo non si sa".
Anzi, si sa benissimo.
Esprimo tutta la mia ammirazione per questo studio così profondo e documentato che solo una mente preparata e un cuore appassionato possono analizzare per capire i nostri 'antenati', il loro rapporto con la natura, con il sacro e la divinità. Rapporto che molti di noi, non solo sardi, hanno perso o dimenticato. Siamo tutti diventati, in varia misura, consumatori che inquinano l'ambiente, la terra, il mare e il cielo mettendo a rischio la nostra stessa vita su questo meraviglioso pianeta. Lo studio può a ben titolo essere accolto nelle Università meglio e più di quelli di blasonati archeologi che purtroppo osteggiano e misconoscono volutamente questo tipo di ricerche. Ma, come ho avuto modo di dire in alcune conversazioni anche col prof. Gigi Sanna, prima o poi la forza della verità di questi studi come quelli sulla scrittura si imporranno in tutta la loro evidenza anche ai più riottosi 'negazionisti' (oggi di moda anche in altri ambiti). Ancora complimenti e auguri per il prosieguo delle tue ricerche così avvincenti. Un caro saluto.
RispondiEliminaCaro Salvatore, il tuo intervento mi lusinga non poco perché... perché la tua sensibilità da risalto al nerbo dei miei studi. La tua sensibilità poetica coglie il senso profondo di questi studi che, al di la del dato tecnico e scientifico, sono alla ricerca dell'uomo, del suo modo d'essere e dei suoi sentimenti. E' impervia la scalata che mi sono accinto ad affrontare, perché cogliere questi sentimenti dopo millenni di idee che pian piano si sono confuse e mescolate ad altre di generazione in generazione, non è una bazzecola. Ma siamo qui, sempre pronti alla ricerca di quelle emozioni, perché un poco di quel modo antico d'essere probabilmente è ancora dentro i recessi profondi del nostro "io".
EliminaSignor Salvatore,complimenti anche a lei per la profondità del suo intervento su come noi esseri umani ci siamo ridotti e,sopratutto,condivido con lei "prima o poi la forza della verità...." Sono stata sempre ottimista sia sulla caparbietà di Gigi Sanna che sul fatto che,in generale,la verità dovrebbe sempre vincere.Tutti questi interventi sulla ricerca del signor Angei mi danno uno spiraglio di speranza,grazie a tutti voi.
RispondiEliminaAhi, ahi, ahi! Anche tu, caro Sandro, ti sei messo “alla ricerca dell’uomo”?
RispondiEliminaSuppongo che sia partito dal presupposto secondo cui “l’uomo” si sia perso, altrimenti perché cercarlo?
Se Diogene di Sinope lo cercava in pieno giorno con la lanterna, certo tu adoperi mezzi ben più sofisticati, ma ho paura che il risultato a cui perverrai non sia diverso da quello dell’antico filosofo.
Mi viene da pensare che tu non cerchi l’uomo in giro per il grande mondo che sta fuori, ma quello che sta dentro il piccolo mondo che sta dentro di te.
Per questo non servono lanterne, né laser; forse ore di isolamento, di riflessione, di solitudine spirituale.
Diogene viveva dentro una botte; a te basterà un rifugio con soffitto a botte?
Auguri.
Che gioia,finalmente ritrovo la sua ironia signor Francu,ultimamente lo sentivo un p0' abbattuto signor Francu,anche questo solleva il mio spirito.
RispondiEliminaVoglio qui ringraziare l'Associazione culturale Sólene di Macomer che ha voluto pubblicare il saggio sul pozzo sacro di Is pirois nel suo sito web: http://www.associazionesolene.it/
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