mercoledì 23 gennaio 2019

Tharros - Un “logo” ante litteram da Murru mannu


di Sandro Angei

Si è detto molto su Murru mannu, della sua postierla (sic!), del muro e della scritta, ma ogni tanto salta fuori qualche dettaglio da approfondire.

La scritta di Murru mannu così come la trascrisse il Prof. Garbini

Sommario
Il presente articolo è la naturale prosecuzione dello studio sulla cosiddetta Postierla di Murru mannu in Tharros; col quale esponemmo la scoperta di una interessante manifestazione luminosa (ierofania) legata ad una particolare data (22 di aprile); data attestata prima nel pozzo sacro di Sant'Anastasia di Sardara e dopo nel pozzo sacro di Santa Cristina.
    Con questo articolo si vuole dimostrare una stringente correlazione tra la scritta grafita di Murru mannu e il sito di Murru mannu stesso, alla luce della scoperta della ierofania prima menzionata e sulla base del significato della stessa scritta.

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Introduzione
Certe iscrizioni risultano del tutto insignificanti se non si conoscono i codici per la corretta decifrazione; così è per tutte le lingue del mondo, moderne e antiche, vive o morte che siano. Ci sono poi dei casi che fanno riflettere quando si osservano composizioni che sembrano disegni piuttosto che delle vere e proprie scritte come noi le intendiamo. E’ il caso della scritta di Murru mannu di Tharros. Si ancora lei, quella che Giovanni Garbini interpretò (suggerì)
0, quale formula vaticinale e nella quale intravvide solo alcune parti sicuramente traducibili in ambito Filisteo.
Anche il Prof. Gigi Sanna si cimentò nella traduzione, secondo le regole della scrittura nuragica, ottenendo risultati ben più completi, sostenibili e documentabili dal punto di vista filologico. D’altronde il Prof. Garbini propose solo un suggerimento.
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La scritta, dicevo, sembra più un disegno piuttosto che vera scrittura. Essa può dar l’idea di una nave (come la descrisse il Prof. Garbini di primo acchito nel suo articolo), con tanto di poppa e prua con polena, albero maestro e vele, nonché, in stiva, il carico trasportato. La fantasia corre, ma si ferma lì dove il buon senso esige filologia. Ma andiamo per gradi.
Giovanni Garbini analizza la scritta e in conclusione estrapola che:
  • la scritta è una …manifestazione di carattere religioso
  • il motivo ce lo spiega proprio lui “…la natura del monumento originario (presumibilmente un tempio), e la sua collocazione, verosimilmente all’interno del tofet di Tharros, lasciano ben pochi dubbi in proposito…”
  • successivamente interpreta il simbolo a forma di svastica, descrivendolo con prima impressione e associazione di idee, all’albero maestro e le vele di una nave; interpretazione che subito abbandona per descrivere in modo filologico e circostanziato il simbolo, dove intravede una croce; e in seconda battuta vi legge tre monogrammi, tanto da arrivare alla conclusione che quel simbolo ha il significato di ZeBuL che in ebraico significa “dimora”; e tiene a precisare che …L’esame dei passi biblici in cui ricorre la radice zbl mostra chiaramente, accanto a un generico valore di «dimorare», una specifica «dimora» con valore sacrale
  • aggiunge ancora riferendosi al versetto …1 Re 8,13 Salomone dichiara a Dio di avergli costruito «la casa della dimora», cioè il tempio di Gerusalemmepuntualizzando tra parentesi …(nell’ebraico post-biblico zebul è il «tempio»… e ciò significa che a meno che la scritta non sia relativamente recente, zebul ha il solo significato di «dimora» e non certo di «tempio».
  • Riferendosi sempre alla Bibbia scrive …Isaia 63,15 definisce zebul qodšeka «la tua santa dimora» «il cielo» (šamayim), dove Dio risiede; secondo Abacuc 3,11 lo zebul è la dimora del sole e della luna prima del loro spuntare: si tratta dunque dell’aldilà, il regno sotterraneo… Nel primo versetto il cielo è la dimora di Dio, nel secondo è dimora del sole e della luna.

Per tanto la “linea spezzata” che prima veniva assimilata ad una sorta di nave, alla fine della trattazione non viene più menzionata e non ha alcun posto nella possibile interpretazione, lasciando spazio ad un vago concetto di “manifestazione di carattere religioso” ossia vaticinio, e appellativi quali: tempio e dimora. Ritorna, però lo studioso, alla svastica scrivendo: “Prima di lasciare il monogramma di Tharros è opportuna una breve considerazione di ordine paleografico. Il segno z presenta la forma a Z che è estranea all'ambiente punico, dove con l'eccezione di due soli casi documentati nella Cartagine del IV sec. a.C. è adoperata una forma completamente diversa (una specie di piccolo p greco) attestata anche nei due abecedari di Tharros; la forma a Z nasce e si sviluppa in ambiente fenicio a partire dalla seconda metà del VI sec. a.C.. Questo significa che il monogramma di Tharros non può essere stato concepito nella città sarda ma è stato importato, verso il V sec. a.C., dalla regione fenicio-filistea. Del resto, il fatto stesso che alla croce originaria (il taw) siano state apportate modifiche per farla diventare un monogramma (o criptogramma) è indice di una evoluzione, certo non soltanto formale.” (mio il sottolineato ndr).
Il Prof. Garbini intuisce che qualcosa di strano vi è nel monogramma, ma non può andare oltre nella interpretazione, visto che quella che sta trattando è una scritta a rebus in ambito nuragico; in ragione di ciò, non conoscendo il codice, cerca origini oltre il mare.
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Vediamo ora come interpreta la scritta il Prof. Sanna (si veda in dettaglio l'articolo su Monte Prama blog). Su base filologica e la scorta delle regole della scrittura nuragica, egli vi legge: “Tempio della luce, dimora eterna del santo yh padre, santo toro YL”.

Come si può notare l’interpretazione data dai due studiosi converge verso un dato che in sostanza non è messo in discussione perché, per motivi diversi, entrambi riconducono la scritta ad una manifestazione religiosa ubicata in un tempio che è dimora della divinità.

Il Prof. Sanna però va oltre nella interpretazione, dando alla strana svastica formata dai tre grafemi “ZeBuL”, il relativo significato che restituisce in forma logografica l’espressione “eterna”; per tanto quel segno complesso, formato da un logogramma e da tre grafemi, restituisce la formula “dimora eterna”; ma va ancora oltre, intravedendo un macrografema in quella “linea spezzata” (quella definita di primo acchito quale “nave” dal Garbini) e lo associa al monogramma “beth” da considerare però come pittogramma col valore di “casa, tempio”; e non può che essere questa la interpretazione visto che “dimora eterna” richiede la individuazione del luogo o dell’edificio dove materialmente si “dimora”1 appunto; per tanto la casa o il tempio “beth”, è la "dimora" eterna di YL. Interpretazione, questa, in sintonia con quanto affermato da Giovanni Garbini nell'interpretare “ZeBuL” col “solo significato di «dimora» e non certo di «tempio»”.

   Allo studio del Prof. Sanna, seguì un mio lavoro che pubblicai come ultima parte dello studio "Sincretismo religioso tra nuragico e romano". In quello studio presi in considerazione un segno puntiforme messo in evidenza dallo stesso Prof. Garbini; segno  posto sotto lo zayin a destra del lamed. Quel piccolo segno grafico arricchisce la frase che recita: Tempio della luce, dimora eterna del toro, santo yh padre, santo toro YL.

   Per inciso, non vi è alcun dubbio che la manifestazione del dio venerato in quel luogo fosse il toro. L'immagine di Fig.1 placa qualsiasi discussione.


Fig.1
Il masso poliedrico di basalto è con tutta evidenza sbozzato ad arte per dar l'idea della testa di un toro.

Il logogramma: rapporto intercorrente tra disegno e simbolo
Il grafito, che sembra, come già detto, più un disegno che una scritta, potrebbe essere un logotipo2 ideografico3 atto a descrivere in modo conciso ma immediato il tempio che lo ospitava. E' una sorta di descrizione al contempo logografica e disegnata del monumento, con uno stretto rapporto intercorrente tra disegno e simbolo (sono parole di M. Gimbutas. vedi nota 22).
Potremmo addirittura accostare il grafito alla “tabula ansata”, la quale, in ambito romano, esprimeva chiaramente il significato di esposizione ed enfatizzazione della scritta posta al suo interno4. L'accostamento non è certamente formale ma di significato, nel senso che entrambe recano: nel consueto della tabula ansata e nell'inconsueto del graffito di Murru mannu, un particolare che doveva attirare l'attenzione, “etichettando” di fatto l'intero costrutto; un po’ come avviene nel riconoscere immediatamente il significato di un cartello stradale anepigrafico dalla sua forma (tonda = divieto, triangolare = pericolo).

In questo contesto possiamo anche affermare che la scritta-disegno “parla”; né più né meno degli “oggetti parlanti”, resi tali dall'iscrizione che «parla» in prima persona.
Gli “oggetti parlanti” esistevano in Grecia fin dall'età più arcaica. La famosa coppa di Nestore di Ischia, databile all'ultimo quarto dell'VIII secolo recita: “Io sono la bella coppa di Nestore. Chi berrà da questa coppa subito lo prenderà il desiderio di Afrodite dalla bella corona”. Parimenti il logotipo ideografico di Murru mannu probabilmente fu ideato per esprimere "in proprio" un messaggio facile da interpretare nel suo insieme, ma difficile da leggere nei suoi particolari (ricordiamoci che è una scritta di carattere religioso dedicata alla divinità: un geroglifico). Ne abbiamo esempi evidenti nella pubblicità moderna5 dove a volte il messaggio è nascosto e solo un'attenta analisi del logo svela la scrittura criptica.
Eclatante e pertinente ci sembra il caso del museo di Londra dove le diverse aree colorate che compongono il logo del Museum of London sono rappresentazioni schematiche dell'evoluzione della pianta di Londra, dalle sue origini ai giorni nostri (Fig.2). È una sintesi visuale di tutto ciò che si può trovare nelle sale del museo6. Di certo queste “macchie di colore” hanno senso solo per chi conosce il codice di lettura, per tutti gli altri è solo “fantasia”, a meno di essere abbastanza curiosi e scaltri nel far congetture nel rapporto tra la parte epigrafica e quella anepigrafica; rapporto che senza ombra di dubbio non è lasciato al caso in un contesto erudìto quale è quello museale.
Nulla di diverso troviamo nella impostazione del “logo” di Murru mannu, essendo composti entrambi i loghi da una parte epigrafica e da una ideografica.

Fig.2


Ma possiamo dire ancora qualcosa, visto che trascrivendo la scritta in caratteri odierni abbiamo il risultato di Fig. 3. Senza ombra di dubbio e pochissime riflessioni (conoscendo naturalmente anche i caratteri e il lessico dell'alfabeto ebraico), riusciamo a distinguere le lettere che compongono la scritta; ossia un enorme beth ebraico (beth nelle lingue semitiche significa casa), all'interno del quale prende posto una sorta di monogramma composto, in caratteri latini, da una “zeta” ruotata di 90°, una “b” minuscola”, una “L” maiuscola che di fatto restituiscono nell'insieme il trilittero ZBL. All'esterno del “beth” non è difficile individuare il bilittero legato NL sulla destra (anche nel latino abbiamo esempi di tale legatura, basti pensare al famosissimo Æ ), e il bilittero YL sulla parte sinistra. In sostanza leggiamo con facilità ב zbl nl yl → Casa (tempio) dimora della luce di dio.
Fig.3

La moderna grafica pubblicitaria sforna esempi notevoli di tali costruzioni grafiche, ma a quanto pare nulla di nuovo vi è sotto il sole.
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A riguardo dell'esempio portato in Fig. 3, si vuole rimarcare che verosimilmente la lettera utilizzata nella iscrizione di Murru mannu potrebbe essere la lettera ebraicaב 7usata nell’esempio (risalente al VI sec. a.C.), perché ben si adatta. C’è la possibilità, però, che il carattere usato sia quello protocananaico attestato in un coccio da Lachish, datato al XIV sec. a.C.8  (Fig.4),
Fig. 4
 se non il carattere del protosinaitico datato al XVI sec. a.C.9(Fig.5).
Fig.5

 Comunque sia le attestazioni confortano in modo preciso il significato del macro grafema beth della scritta di Murru mannu.
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Accantonata l’ipotesi che la scritta possa ricondurre all’idea del navigare; e visto che quel macro segno, il beth, avrebbe valore pittografico di casa o tempio; potrebbe darsi il caso che esso sia stato realizzato similmente alla reale conformazione del tempio che è dimora eterna di YL? Se così fosse, ancor di più potremmo accostarlo, il nostro, al logo del Museum of London, visto che entrambi sarebbero ideogrammi di carattere topografico.

Uno sguardo dall'alto
Visto dall’alto il sito di Murru mannu (Fig.6 - Google Earth), mette in evidenza (linea gialla) quel che rimane del muro di blocchi poliedrici dove è incastonata la ”postierla” (sic!) .
Da quel punto, percorrendo il muro verso Nord, subito si svolta ad Est, dove si incontrano i resti della seconda “postierla” (quella settentrionale); proseguendo si arriva fino al declivio che con pendenza estrema, guarda la riva di “mare morto”, e da qui, svoltando, si prosegue verso sud, seguendo sempre un muro di grossi macigni che ad un certo punto termina. 10
Fig. 6 - Immagine elaborata di Google Earth orientata al nord geografico.
La linea gialla indica il tratto di muro esistente di Murru mannu; la linea rossa è la sovrapposizione del pitogramma Beth della scritta di Murru mannu, le linee blu sono gli altri grafemi della stessa scritta, così come fu rubricata da Giovanni Garbini.

Con tutta evidenza, la sovrapposizione della scritta al tracciato del muro mostra una buona corrispondenza di forme.
Se diamo ragione del fatto che la muraglia fosse di carattere difensivo, dobbiamo ipotizzare una cinta che proteggeva gran parte del perimetro della città; ma se ipotizziamo una funzione diversa da quella militare, sarebbe giustificabile un muro con perimetro non completamente chiuso (vedi ancora nota (10)).

Quali elementi supportano questa diversa funzione, a prescindere dalla congruenza formale?

Un luogo sacro
In età imperiale (romana) il cosiddetto “fossato” fu utilizzato quale cimitero, con tombe a baule nelle vicinanze della postierla settentrionale e l'edificazione di una piccola cappella davanti alla cosiddetta “postierla” occidentale. Condizione del tutto “stravagante” se le mura dovevano assolvere ad una funzione difensiva. La circostanza poi che la cappella funeraria di fatto impediva il transito di chicchessia dalla porta che occludeva, non aiuta la tesi militaristica, almeno in età romana11.

A poche decine di metri dalla “postierla” fu rinvenuto il tophet punico: area sacra pur'essa, visto che per tophet si intende un santuario punico a cielo aperto, consistente in un'area consacrata dove venivano deposti ritualmente i resti di infanti incinerati. D'altronde anche Giovanni Garbini nella sua analisi della scritta grafita dichiara, come già scritto, che la scritta è una “manifestazione di carattere religiosola natura del monumento originario (presumibilmente un tempio), e la sua collocazione, verosimilmente all’interno del tofet di Tharros, lasciano ben pochi dubbi in proposito…”12

Per tanto anche in epoca punica l'area era ritenuta sacra. E prima dei Punici?

Il tophet fenicio (sic!)- 4° livello – l’impianto del tophet

A Tharros l'impianto del tophet avvenne tra la fine dell'VIII e gli inizi del VII sec. a.C. e si protrasse fin verso il II-I sec. a.C.13 (vedi tabella di Fig. 7).
Fig. 714

Nel saggio di cui alla nota (13), la Dott. Melchiorri ancora scrive che il tophet: “... è caratterizzato, eccezionalmente, dall’impianto del campo d’urne direttamente al di sopra di un villaggio di tradizione nuragica, costituito da torri poligonali e da capanne a pianta circolare. Tali costruzioni mantenevano un alzato consistente al momento dell’impianto del tofet e furono riutilizzate per lo sviluppo della nuova area santuariale.” (mio il sottolineato ndr).
Per la Dott. Melchiorri il fatto che il tophet sia stato impiantato su un'area adibita in passato ad altra funzione, assurge a fatto eccezionale. Si presume che la studiosa si riferisca al fatto che l'impianto dei tophet avveniva generalmente in un'area da consacrare e per tanto (con ogni probabilità) vergine. Se a Tharros questa regola fu disattesa, probabilmente lo fu per il carattere ritenuto già sacro di quel luogo. Non si spiega diversamente a parer mio; e a ragione di ciò in "Tharros Felix 4"15 leggiamo "Lo scarto cronologico fra l’abbandono del villaggio e l’impianto del tofet, al contrario di quanto sostenuto in precedenza, parrebbe minimo". In sostanza "parrebbe" che ci sia stata una sorta di continuità nell'uso dell'area sacra, benché con diverso obiettivo rituale. Un'altra affermazione (sempre da Tharros Felix 4) dà ragione di questa continuità, che è possibile non sia mai venuta a mancare: "Un nutrito novero di bronzi nuragici tharrensi, oggetto di rinvenimenti ottocenteschi prevalentemente nell’area della necropoli fenicia di Torre Vecchia (necropoli meridionale di Tharros), pone un problema di inquadramento culturale e cronologico" (mio il sottolineato ndr). Bronzi tharrensi di sicura manifattura nuragica che giustificano una florida vita e status di "dominante" in Tharros a prescindere dai "Punici", visto che tra i bronzetti vi è un pugnaletto ad elsa gammata, pacificamente riconosciuto quale distintivo del potere (Tharros Felix 4 pag.79). Non di meno leggiamo, sempre su Tharros Felix 4, che sulla base di reperti rinvenuti nella parte bassa di Tharros (un vaso a cestello vicino al tempio delle semicolonne doriche e una pintadera nella zona delle "due colonne"), si ipotizza "la plausibile persistenza di un insediamento indigeno, eventualmente policentrico, in Tharros, che si sviluppa nel corso della prima Età del Ferro raggiungendo le fasi antiche del periodo orientalizzante" (mio il sottolineato ndr). Per tanto questo presunto "policentrismo" viene inquadrato in un periodo che và dall'850 a.C. al 730 a.C. (da Ugas, L'alba dei nuraghi - Ed. Fabula per quanto riguarda la cronologia). L'insediamento definito "policentrico" di età nuragica potrebbe rivelarsi semplicemente un agglomerato abitativo posto nella parte bassa, con annessa a settentrione una struttura di carattere templare edificata in un luogo reso sacro (Murru mannu). La quale ipotesi ben giustifica l'impianto del tophet che gli studiosi affermano fosse sempre impiantato ai margini degli isediamenti. Ancora su Tharros Felix 4 leggiamo che: "La datazione del livello più antico del tofet di Tharros allo scorcio dell’VIII-inizi del VII secolo a.C., basata su un tipo di urna globulare a collo obliquo, con fondo “a onda”, decoro a fascia rossa inquadrata da righe nere, di lontana derivazione dalle olle a collo nuragiche con anse a gomito rovescio e fondo piano  è stata, in base a un riesame della stessa urna, ribassata da Piero Bartoloni  all’ultimo quarto del VII secolo a.C."(mio il sottolineato ndr). Questo passo, a prescindere dalla rettifica della datazione, ribadisce la derivazione delle forme vascolari rinvenute nelle prime fasi del tophet, da forme di cultura nuragica*.

* Un inciso
Sotto questo aspetto ci sarebbe molto da indagare sull'origine del tophet; la mia è al momento solo una sensazione dettata dalla lettura di vari studi di carattere accademico  sui primi tophet: Mozia, Cartagine, Sulki ed altri; senza tralasciare quelli non accademici, come quelli dell'amico Mikkelj Tzoroddu; dai quali emergono dati e affermazioni molto interessanti; ma non è questo il luogo per trattarne.

 Tutte queste notizie rafforzano l'ipotesi avanzata nell'articolo “Sincretismo religioso tra nuragico e romano”16 nel quale si proponeva una diversa funzione della cosiddetta “postierla”. "Postierla" che non esplicava alcuna funzione legata a mura difensive di età punica e poi romana, ma era al centro di un rito religioso molto, molto particolare in ambito nuragico. Un rito legato ad una data ben precisa come abbiamo ampiamente dimostrato con altri studi, (sia del Prof. Borut Juvanec che dello scrivente), relativi ai pozzi di Sant'Anastasia e di Santa Cristina.17

Data questa “eccezionalità” riservata al sito d'impianto del tophet, si può ben intendere che il muro di Murru mannu non fosse di carattere difensivo ma funzionale, architettonicamente parlando, alla porta del sole dove si manifestava la ierofania luminosa ben prima dell'impianto del tophet stesso.
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Possiamo inoltre fare una riflessione a riguardo della funzione della porta del sole; riflessione dettata da una domanda: - Per quale motivo in età romana la porta fu ostruita con la costruzione della piccola cappella funeraria? - Le risposte possono essere due:

1° - La porta fu chiusa per motivi religiosi legati in qualche modo ad una presa di posizione dell'egemonia dominante romana.

2° - La porta fu chiusa perché il rito cadde in disuso; ed essendo il varco non praticabile dalle persone18, non vi era motivo alcuno per tenerlo efficiente. Potremmo addirittura intravvedere un espediente da parte dell'egemonia romana per sopprimere il culto senza profanare il tempio di ascendenza nuragica dedicato al sole.

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I materiali di riutilizzo
Nei vari articoli di carattere archeologico relativi a Murru mannu si fa cenno ad un tempio ormai distrutto, i cui conci furono riutilizzati in un muro di quello che viene definito “il quartiere artigianale” (sempre lì a pochi metri dalla cosiddetta “postierla” Figg. 8-13). Un muro realizzato riutilizzando conci di arenaria ben squadrati e magistralmente scolpiti, nei quali si individuano particolari lavorazioni che fanno pensare a complicati incastri; e scanalature che potrebbero essere canalette di convogliamento di liquidi. I conci furono riutilizzati anche per la realizzazione di “altari” come ci informa E. Acquaro in una didascalia del libretto dedicato a Tharros19 “Altari e stele votive puniche in arenaria furono reimpiegati come materiale di costruzione in epoca romana nell’area già occupata dal tofet”. Lui attribuisce i conci a costruzioni puniche (altari... e che altari, sarebbero stati!), ma sono davvero lavorazioni puniche?
   Innanzi tutto dobbiamo dire che in uno studio di P. Bernardini, P.G. Spanu e R. Zucca - Tharros: indagini nell’area dell’anfiteatro romano - leggiamo: "Le mura settentrionali puniche, costruite in tecnica isodoma forse alla metà del IV secolo a.C. con un sistema di terrazzamenti, ottenuti con il riuso di blocchi in arenaria, stuccati, pertinenti in origine a strutture templari, vennero ristrutturate in età tardo repubblicana per esigenze di difesa della città, forse fatta oggetto di incursioni da parte dei populi ribelli delle montagne." (Mio il sottolineato ndr). L'intendimento degli autori dell'articolo è chiaro e ammenoché non si voglia pensare che i Punici appena arrivati costruirono un grandioso tempio nel VI secolo a.C. e lo smembrarono nel IV sec. a.C. per innalzare le mura difensive a discapito di un "loro" tempio (?), evidentemente il tempio già esisteva, come pure esisteva il muro poliedrico di basalto contenente la cosiddetta "postierla", che poi postierla non è!

Fig. 8
Fig. 9
In un concio di questa parete fu rinvenuta la scritta graffita

Fig. 10

Fig. 11

Fig. 12
Fig. 13
Vicino all’altare di basalto (di cui parleremo più avanti) troviamo conci lavorati con lesene, del tempio ormai distrutto. Conci riutilizzati in vari modi; questo in particolare è vicino al presunto altare.

La tecnica di rifinitura dei conci è simile, se non identica a quella della cosiddetta “postierla”. Inoltre i conci estremamente complessi nella loro struttura, ricca di intagli, scanalature, dentelli e quant'altro, per complessità riportano alla mente particolari conci della fonte sacra di Su tempiesu di Orune (Figg. 14),


 
Fig.14a                                    14b                                           14c
14d                                             14e

oppure, il concio d'angolo della chiesa di Santa Cristina, vicina al pozzo sacro (Figg.15);

 
15a                                                        15b

 oppure le notevoli lavorazioni del pozzo sacro di Irru (Nulvi)20.


Per quanto riguarda la tessitura muraria, troviamo un esempio che ben si adatta alla foggia del tempio di Tharros ormai distrutto nel nuraghe Santu Miali di Pompu. In questo nuraghe, che fu costruito interamente in arenaria, si trovano pregevoli particolari architettonici a dimostrazione della perizia di quelle maestranze sia dal punto di vista manifatturiero che dal punto di vita ingegneristico, vista la messa in opera di conci d'angolo a forma di "L" (Figg.16).
  
16a                                                16b                                                  16c  
Nuraghe Santu Miali di Pompu - Si noti la lavorazione dei conci specialmente nella figura 16c

  
16d                                                   16e                                                   16f
Le figg. 16d ed 16e mostrano conci d'angolo monolitici a forma di L.
 La fig. f mostra un concio d'angolo visto dall'alto.

   Tornando a Tharros. Alla fine del cardo massimo che dall'abitato porta a Murru mannu, incontriamo altri conci che svelano la loro natura “nuragica”. Una fila di blocchi di arenaria reca inciso il segno a “zig zag” difficilmente associabile alla simbologia punica21, né quella romana, ma certamente a quella nuragica, eredità del neolitico sardo22 (domus de janas e statuine della dea madre) (figg. 17). Lo stesso identico segno a “zig zag” che ritroviamo nella scritta grafita e descritta dal Garbini “a dente di lupo*; che siano anche questi conci provenienti da quel tempio ormai distrutto?

* Un inciso
   Nel Catalogo Generale dei Beni Culturali troviamo la scheda di una brocca che descrive così il manufatto: "brocca con ansa a nastro, verticale, impostata a metà collo; orlo sagomato; collo cilindrico leggermente svasato, corpo ovoide; base piatta. La superficie è ricoperta da un engobbio nero ed è decorata a stecca con motivi a linee oblique che si intersecano; negli spazi risparmiati tra le linee sono presenti motivi circolari "a scarabocchio", mentre sul collo è un motivo a zig zag". Nella scheda si avanzano dubbi sull'autenticità del reperto perché "L'analisi autoptica e l'assoluta mancanza di confronti rendono dubbia la sua autenticità". A tal proposito basterebbe un esame di laboratorio per fugare il dubbio.
 Per quanto ci riguarda, fin quando non sarà accertata la falsificazione, riteniamo autentico l'esemplare.
  Con tutta evidenza l'ornato è costituito da chevron sovrapposti (come in alcuni motivi di Domus de Janas: es. tomba delle clessidre - Ossi) e in sequenza (a zig zag), con inseriti dei globuli tra le forcelle divaricate verso l'alto. La tipologia è la stessa  della grafica definita dal Garbini "a dente di lupo" (vedi immagine di testa).


152° pagina immagine n° 10 del Catalogo
Posizione: Cittadella dei Musei - Cagliari


Fig. 17a

Fig. 17b

Fig. 17c

   Percorrendo Tharros in lungo e in largo, si incontrano conci simili a quelli delle Figg. 8-13, un po' dappertutto. Anche alla base del tempio con le colonne "rifatte" troviamo un concio con incavi, proprio come quelli del muro del quartiere artigianale.



 Si incontrano soglie di porte, con le tipiche scanalature di chiusura degli usci d foggia romana (chiudende già definite da Giovanale con "catenatae tabernae") , ricavati da conci di riutilizzo originariamente dedicati ad altro uso, come possiamo verificare nel concio di Fig.18, dove nella parte sottostante a quella della piccola scanalatura, è evidente una canala di grossa sezione che lo attraversa per tutta la lunghezza; con tutta evidenza potrebbe trattarsi di un concio che convogliava liquidi. Conci simili li troviamo almeno in atri due luoghi di Tharros: uno vicino alla biglietteria, sulla strada romana che la costeggia, l'altro adiacente alla pietra che raffigura la testa di toro affianco alla cosidetta "postierla" di Murru mannu; quella che in un primo momento pensavo fossero i resti di un sarcofago, potrebbe essere, invece, il residuo di una canalizzazione (Fig.1). Agli archeologi il compito di accertarlo.
Fig.18

   Troviamo inoltre tutta una serie di manufatti che a ben guardare potrebbero ricondurre alla sfera del sacro di epoca nuragica, con manufatti (coppella con sorta di umbone centrale) che richiamano i cerchi concentrici, tipici delle "decorazioni" di tanti reperti di età nuragica (Figg.19), e una coppella ricavata in un concio deposto vicino al "villaggio nuragico" (sic!) Fig.20.

Fig.19a

Fig.19b

Fig.20

Sulla base di tutte queste considerazioni si profila l'ipotesi che il tempio (distrutto) ritenuto di ascendenza punica, sia invece nuragico e il muro di cinta della Tharros punica e poi romana (sic!), fosse costruito sulla prosecuzione di quel recinto sacro che delimitava già allora l’area sacra nuragica.
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Fatto sta che quel che oggi rimane della muraglia di Murru mannu è ricalcata in modo straordinario da quella linea della scritta che il Prof. Sanna traduce come “beth” pittografico con valore logografico di “tempio”.

L'ipotesi è tutt'altro che peregrina, visto che lo stesso Prof. Garbini in prima battuta accostò la scritta ad un significato ideografico (idea di una nave). Verosimilmente l’accostamento non era legato a suggestione da parte del Professore (sarebbe puerile) ma probabilmente a simili “costruzioni” ideografiche trovate in altri contesti, se pur d'altra specie.

Proviamo a trovar le prove
Abbiamo individuato la possibile natura del macrografema “beth” della scritta, che ricalcherebbe la forma reale della muraglia. Rimangono ora da individuare quei particolari (se esistono) che possano avvalorare questa ipotesi.
   Ricordiamoci del meccanismo mentale messo in atto per la lettura dei logogrammi moderni23; dopo di che puntiamo l'attenzione sulla posizione dei due bilitteri esterni al macrografema “beth”, per notare una netta concordanza tra la posizione del bilitero NL (col significato di luce), e la posizione ad ovest della porta del sole (vedi Fig. 22 - posizione del triangolo equilatero). Stessa concordanza troviamo tra il nome della divinità YL e la sua posizione ad est, ossia dalla parte cui proviene la luce solare che generava la ierofania luminosa il 22 di aprile. Posizione rimarcata tra l'altro, a mio avviso, da un macigno del tutto particolare che sembrerebbe essere una sorta di altare (Fig. 21). Questo presunto altare è adagiato lungo la muraglia esposta a Est ad un azimut di circa 96° rispetto alla porta del sole; questo da modo di ipotizzare che la suppellettile fosse posta lungo la direzione che il sole occupava nel momento in cui, terminata la manifestazione luminosa, andava in ombra anche la soglia della porta rituale (quest'ultima affermazione è dettata evidentemente dalla simulazione da me eseguita su modello 3D del monumento).

Fig. 21

In sostanza possiamo auspicare che si sia voluto individuare la posizione dell’altare lungo la direzione del sole – manifestazione di YL - nel momento in cui, terminato il rito legato alla ierofania, si rendeva grazie alla divinità.
  Per tanto il bilittero "YL" individua la posizione del sole nel cielo al momento della ierofania, mentre il bilittero "NL" individua la posizione della ierofania rispetto al sole.
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L'immagine di Fig. 6, orientata com'è al nord geografico, non rende giustizia di questa relazione tra immagine e significato; se però poniamo l'osservatore che da nord guarda verso il mezzogiorno, ci si rende conto della notevole se non “sbalorditiva” coincidenza tra la scritta e la realtà dei luoghi (Fig.22).

Fig. 22
L'immagine di Google Earth ruotata di 180°, orientata al mezzogiorno, con sovrapposta la scritta di Murru mannu, da l'idea della perfetta corrispondenza del dato scrittorio con la topografia del sito e la manifestazione ierofanica.

Conclusioni

Tirando le somme, possiamo intravedere uno scenario ben coerente con i riti e le credenze religiose delle popolazioni nuragiche. Troviamo nel sito di Murru mannu, innanzi tutto, i caratteri “calendariali” che ritroviamo nel pozzo sacro di Santa Cristina e quello di Sant’Anastasia relativamente alla data del 22 aprile a Murru mannu e 21 aprile in quei due siti; in secondo luogo constatiamo la similitudine della manifestazione ierofanica tra quei monumenti e il nostro, per via dei medesimi particolari architettonici funzionali all’evento luminoso.
Per altri versi troviamo descritta nella epigrafe di Murru mannu e con perfetta corrispondenza di significato, la manifestazione luminosa ritualizzata nella “porta del sole”.
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Considerazione finale

Lo lettura logografica della epigrafe di Murru mannu è stata possibile assemblando, come un puzzle multidisciplinare, epigrafia, linguistica, paleografia, archeologia, antropologia, architettura, modellazione 3D, topografia, astronomia... e perché no, enigmistica24. Senza questo approccio interdisciplinare, nulla sarebbe stato possibile ipotizzare e tanto meno capire.  



Note e riferimenti bibliografici

0 G. Garbini, Iscrizioni fenicie a Tharros -III; in Rivista di studi Fenici , 22, 1994, pp. 215 - 221.


1 Il termine dimora è da intendere non come sostantivo, quale sinonimo di “casa” o “abitazione”, ma col significato del verbo “dimorare” ossia “trattenersi, indugiare” in un luogo e per tanto risiedere.

2 Il logotipo è definito dall'Enciclopedia Treccani on line alla voce lògo: “lògo nel linguaggio pubblicitario, forma accorciata di logotipo, nome di una azienda o di un prodotto trattato con elementi grafici caratterizzanti che non ne impediscono la leggibilità.”.

3 Nel vocabolario Treccani on line è definito: “ideogramma s. m. [comp. di ideo- e -gramma] (pl. -i). – 1. Simbolo grafico che non rappresenta un valore fonologico, bensì un’idea, e può consistere sia in un’immagine più o meno stilizzata dell’oggetto, sia in altro segno che rappresenta la parola nel suo insieme.

4 S. Angei - L'ipogeo di San Salvatore di Sinnis 2° blog Maimoni 4 marzo 2018 http://maimoniblog.blogspot.com/2018/03/lipogeo-di-san-salvatore-di-sinnis-2.html

7 Il carattere usato è quello definito “ebraico quadrato” (VI sec. a.C.)i, prima di tale carattere gli ebrei utilizzavano il paleo-ebraico (X sec. a.C.) e in seguito anche il samaritano (VI sec. a.C) per scrivere i versetti della Bibbia.
8 Ezio Attardo – saggi - Utilità della Paleografia per lo studio, la classificazione e la datazione di iscrizioni semitiche in scrittura lineare. Parte I: Scritture del II millennio a.C. - Fig. 49.2 pag. 173

9 ibidem Fig. 3.6 pag. 153

10 Non vorrei sembrar pedante, ma la memoria rimanda al sito eneolitico di Monte Baranta di Olmeto e alla camera con due ingressi in una muraglia di forma taurina dove possiamo intravedere anche la forma del “beth”, ossia della “camera”; uguale uguale a Murru mannu.
Può essere solo frutto del caso, certo, ma la somiglianza è stringente; e se lì il toponimo del monte di Olmedo ha forte attinenza con il monumento che vuole indicare; di certo possiamo pensare che a Murru mannu, dove anche lì il toro è Signore, quella scritta del tutto anomala nella sua conformazione, possa disegnare proprio la planimetrica del tempio a lui dedicato.
   Per quanto riguarda la descrizione del luogo, attualmente il territorio tharrense adiacente al perimetro murario rivolto verso mare morto è stravolto dal colossale terrapieno risultante dagli scavi effettuati in passato.

11 Non si capisce per quale motivo in età romana non si usufruisse di tale varco, se quella fosse stata la funzione della porta.

12 Sarà per questo motivo, visto il contesto, che Giovanni Garbini interpretò la scritta in senso funerario?

13Valentina Melchiorri - I SANTUARI INFANTILI A INCINERAZIONE DELLA SARDEGNA
UNA RASSEGNA PRELIMINARE tratto da: SANTUARI MEDITERRANEI TRA ORIENTE E OCCIDENTE Interazioni e contatti culturali - Atti del Convegno Internazionale, Civitavecchia – Roma 2014. pag. 276.

14 Tabella tratta dal saggio di BRUNO D’ANDREA, SARA GIARDINO - IL TOFET DOVE E PERCHÈ. L’IDENTITÀ FENICIA, IL CIRCOLO DI CARTAGINE E LA FASE TARDO PUNICA - BOLLETTINO DI ARCHEOLOGIA ON LINE DIREZIONE GENERALE PER LE ANTICHITA’ IV, 2013/1

15 P. G. Spanu e e R. Zucca, "Da Ταρραι πόλις al portus sancti Marci: storia e archeologia di una città portuale dall’antichità al Medioevo", pubblicato su - Tharros Felix 4 - Collana del Dipartimento di Storia dell’Università degli Studi di Sassari. Carocci Editore.

16 S. Angei – Sincretismo religioso tra nuragico e romano” su Maimoni blog.

17 S. Angei – 21 aprile al pozzo sacro di S. Cristina – Maimoni blog 2018

18 Vedi: S. Angei – Sincretismo religioso tra nuragico e romano 2 su Maimoni blog http://maimoniblog.blogspot.com/2016/02/sincretismo-religioso-tra-nuragico-e_23.html

19 E. Acquaro e C. Finzi, Guide e itinerari THARROS C.Delfino Editore. Fig. 20 pag. 38.

21 Benché Donatello Orgiu in "Il segno a V e l'origine del simbolo di Tanit" ritenga che i segno a Λ sia l'archetipo della dea Tanit (punica evidentemente)
https://www.academia.edu/6303754/Il_segno_a_V_e_lorigine_del_simbolo_di_Tanitla Tanit con tutta evidenza non è punica, visto che quella in bronzo trovata a S'acru 'e is forros è datata ad un periodo antecedente all'arrivo dei punici; e benché M. A. Fadda (scopritrice della Tanit nuragica) affermi che il pendaglio di bronzo della dea Tanit fu portato nel santuario in un periodo più antico rispetto all’epoca cartaginese in Sardegna, dal momento che i materiali più recenti del ripostiglio si datano all’VIII-VII a.C., la clamorosa scoperta (clamorosa si fa per dire, visto che è passata quasi sotto silenzio) prova in modo inconfutabile l'origine sarda della Tanit (si ricordino le Tanit inserite in stringhe scrittorie di età nuragica); a meno di non trovare attestazioni di questa "donnina" in altre civiltà con le quali i sardi nuragici vennero in contatto. In ragione di ciò, l'ipotesi di Donatello Orgiu può ancora sussistere, ma certamente non in ambiente punico.

22 Marija Gimbutas ci dice che il segno a V, a chevron e zig zag, sono segni ancestrali e universali presenti in ogni parte del mondo a partire almeno dal 25000 a.C. Secondo M. Gimbutas V e chevron sono segni della dea madre e si lamenta che "... in tutta la letteratura delle ceramiche del Neolitico e delle epoche posteriori sono considerati come semplici "motivi geometrici", senza neppure sospettare il rapporto intercorrente tra disegno e simbolo".
 http://orig00.deviantart.net/4edb/f/2015/113/f/a/dea_madre_by_realcatholicreligion-d8qu1rg.pdf

23 Quando, alla guida della nostra auto, leggiamo il cartello di strada con diritto di precedenza con inserzione di strada laterale a destra (macro freccia rivolta verso l'alto con inserzione di tratto orizzontale a destra o sinistra a seconda dei casi), il nostro cervello elabora istantaneamente il dato, richiama dalla memoria il codice scrittorio (ideogramma = significato), focalizza l'attenzione sulla barretta laterale a destra e istantaneamente invia il segnale all'occhio per scandagliale la possibile uscita dalla prossima strada laterale a destra di un qualche veicolo o essere umano o animale. Tutte questo in una frazione di secondo. L'esempio dimostra la grande quantità di informazioni insite nella lettura di un semplice cartello stradale.

24 Certamente dobbiamo intendere l'enigmistica nella sua essenza di nascondimento di un significato da rendere imperscrutabile ai più; non certo nella normale accezione di sfida tra la Sfinge e Edipo, dove la prima propone un testo apparentemente insensato, o incompleto, o ambiguo e il secondo trova o ricostruisce la chiave di lettura. Nel caso dei rebus epigrafici che trattiamo non vi è alcuna sfida tra contendenti, vi è solo criptografia legata a messaggi che solo la divinità doveva e poteva decifrare.

3 commenti:

  1. Incredibile! Non può essere una combinazione! Il muro della cosiddetta 'postierla' coincide con il disegno (il macro segno). La dimora che doveva durare in eterno (svastica) è proprio il tempio nuragico di cui parli. E la posizione nella cartina lo dimostra (coincidono dunque sia muro che tempio). Purtroppo però la scritta non portò fortuna perché il tempio (la dimora), da quello che ho capito, non durò in eterno ma venne raso al suolo.

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  2. Forse mi sbaglio, però da quel che ho letto, anche tra le righe, dei vari studi su Murru mannu e da quel che si vede in loco, penso che il “tempio fosse a dir poco: enorme, se è vero come sembra che anche la muraglia sotto la torre di San Giovanni fu realizzata con conci di riutilizzo isodomi di arenaria, anche lavorati con riquadri in rilievo.
    Inoltre da una mia indagine sul perimetro del cosiddetto “anfiteatro romano” (sic!), risulta una planimetria non in linea con i canoni costruttivi di quegli edifici romani. Infatti l'immagine elaborata di Google Earth di Fig. 7 del saggio di Bernardini, Spanu e Zucca “Tharros – indagini nell'area dell'anfiteatro romano” non corrisponde alla realtà perché i due cerchi (delimitanti l'ipotetica cavea e gli spalti) non sono concentri (il centro del cerchio delimitante l'ipotetica cavea è spostato verso ovest di circa 7,50 m rispetto a quello che delimita gli spalti) e ciò fa specie, visti gli esempi del Colosseo
    (http://www.the-colosseum.net/ita/architecture/ellipse/schema%20geom.htm), dell'anfiteatro di Pozzuoli, quello di Pompei e quello di Verona per citarne alcuni, nei quali il perimetro della cavea e quello degli spalti sono pressoché “concentrici”. Inoltre tutti gli anfiteatri citati hanno forma ellittica. E' di forma ellittica anche quello di “Lucus Feroniae” citato dagli autori quale esempio rarissimo di anfiteatro di forma circolare; e comunque anche quello è costruito secondo figure concentriche. Non è circolare neppure il secondo citato dagli autori: anfiteatro di Portus (https://ilfattostorico.com/2009/10/02/un-anfiteatro-romano-a-portus/ ) perché anch'esso è, a detta del Team Britannico che lo ha studiato, di forma ovale. L'unico che risulterebbe adeguato quale esempio è quello di Lixus (Tangeri), anche quello però non perfettamente circolare, essendo le dimensioni dell'arena di 32,00 m in un senso e di 32,50 m in senso ortogonale (http://www.bcmediterranea.org/tanger-tetouan/it/argomenti/architettura/anfiteatro-di-lixus). Le misure rilevate parrebbero rientrare in tolleranza, ma qualche dubbio mi viene pensando di tracciare un cerchio di 16 m di raggio con un errore di 25 cm.
    Inoltre c'è da dire che è alquanto strano che il perimetro “dell'anfiteatro” tharrense sia stato realizzato usando elementi di strutture preesistenti: testualmente “La struttura dell'anfiteatro riusa elementi di edifici anteriori, sia nuragici, come i blocchi basaltici poliedrici, sia punici (stele del tofet, krossai parallelepipede a profilo superiore curvilineo delle mura urbiche), sia punici o romani (blocchi e blocchetti, soglie, etc,)”. In sostanza gli autori affermano che l'anfiteatro fu costruito anche con elementi delle “mura urbiche” Puniche che a loro volta furono realizzate usando elementi di edifici templari preesistenti, come affermano nello stesso articolo.
    La stranezza sta nel fatto che tutti gli anfiteatri romani visitati (sul web) utilizzano materiali della stessa tipologia e non un collage di materiali di recupero. Personalmente sono dell'idea che quello che vediamo di quel perimetro di blocchi poliedrici di basalto inframmezzati da elementi isodomi di arenaria rispecchino la manifattura del muro poliedrico di basalto dove è incastonata la “porta del sole” realizzata in arenaria. Per tanto mi lancio a dire che, è possibile che quello che viene interpretato quale anfiteatro romano, altro non sia se non il residuo del tempio nuragico. L'idea comunque mi pare non sia nuova.

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