mercoledì 1 ottobre 2025

La domus de janas di Santa Barbara de Turre - Bauladu

 

Fig. 1

di Sandro Angei

Alla fine della recensione post mortem al libro di Danilo Scintu scrivevo: "Le Domus de Janas non parlano solo di morte. Parlano di passaggio, di relazione tra sopra e sotto, tra luce e ombra, tra gesto umano e ordine cosmico. E forse, per comprenderle, dobbiamo smettere di cercare la regola e iniziare a cercare il ritmo.

Se vogliamo davvero comprendere il messaggio custodito nelle Domus de Janas, non possiamo limitarci a misure, numeri o simboli astratti. Dobbiamo osservare il loro orientamento, la luce, il ciclo solare, e usare le dimensioni in funzione di quelli. Dobbiamo chiederci: quando e come il sole entra in queste tombe. Perché il sole non è solo fonte di vita: nelle Domus de janas è agente rituale, divinità penetrante che collega il mondo dei vivi con quello dei morti.

Il sole e la sua luce potrebbero spiegare il significato dei simboli graffiti sulle pareti e sui soffitti di quegli ipogei – non tutti forse – ma alcuni probabilmente. Ma non è questo il luogo per parlarne. Finiamo quindi qui la nostra disquisizione. Certi di aver contribuito a togliere un po' di quella nebbia che il tempo ha calato su una cultura distante millenni dal nostro tempo."

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Poche sono state, da parte mia, le opportunità di studiare strutture antecedenti l'età nuragica. Nessuna relativa alle domus de janas. Certamente l'avvio degli studi non è avvenuto dalla richiesta di una recensione al libro di Danilo Scintu. Qualche idea nel "cassetto" già esisteva, dettata in verità dall'intenzione di trovare l'anello mancante tra neolitico sardo ed età nuragica. Quell'anello mancante che fino a questo istante mi impone, in mancanza di prove contrarie, che i modelli legati alle manifestazioni luminose del nuraghe Santa Barbara di Villanova Truschedu, ad esempio, o , per citarne un altro: del pozzo sacro di Santa Cristina, siano stati concepiti e attuati per la prima volta in età

nuragica e post nuragica. O meglio, per quanto riguarda il pozzo sacro, che la manifestazione luminosa riflessa nell'acqua possa essere un portato della cultura Micenea (ne diedi notizia nello studio sul pozzo Di Garlo, Fig. 19 di quell'articolo).

Forse le cose non stanno così. Quindi, con questo incipit, inizieremo un viaggio virtuale nelle domus de janas (Ddj) alla ricerca di quell'anello mancante alla stregua del riconoscimento di quello straordinario anello di congiunzione tra domus de janas e tombe di giganti che mostra il progressivo passaggio dalle une alle altre per via di particolari architettonici comuni.

Le osserveremo e le misureremo le domus de janas, non a "iarde" o "stibe", ma con angoli e direzioni.

Chi costruì le Ddj le concepì secondo canoni geometrici. Ma non dobbiamo paragonare l'ideatore di quegli ipogei ad un disegnatore, piuttosto un topografo tracciatore. E i canoni geometrici non riguardano il loro sviluppo in pianta o in alzato, piuttosto la posizione di certi particolari architettonici, fraintesi da alcuni, se non, addirittura, reputati insignificanti da altri.

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Il territorio di Bauladu è ricco di insediamenti di età nuragica, mentre risulta un solo sito di età prenuragica: la domus de janas di Santa Barbara de Turre.

Il sito, vicinissimo all'omonimo nuraghe, ha suscitato la mia curiosità per la sua insolita caratteristica. 

Di norma le domus de janas recano il portello esposto nei quadranti sud-est e sud-ovest. Pochissime sono orientate verso i quadranti nord-est e nord-ovest. Rarissime sono quelle orientate verso nord. Una di queste è proprio quella di Santa Barbara de Turre. 

L'orientamento verso nord impedisce alla luce solare diretta di penetrare nella piccola tomba.

Ho cercato informazioni, per sapere se altri avessero notato questa o altre particolarità di questa tomba di età neolitica. Sembrerebbe che alcuno ne abbia notate e tanto meno scritto. Quindi mi accingo all'esplorazione.

La particolarità riscontrata impone domande: perché fu scelto questo orientamento? Quale ne fu la causa? Fu una scelta dettata dalla natura del territorio, oppure da un rito religioso a noi sconosciuto? Oppure fu un evento malevolo a indurre quella comunità a privare intenzionalmente quel sepolcro di luce diretta?

Ad alcune di queste domande possiamo rispondere con una certa sicurezza.

Certamente non fu una scelta dettata dalla natura del territorio, perché lo sperone di roccia che contiene la tomba ha una parete ben esposta a ovest. Per tanto nulla ostava la realizzazione verso occidente.

Il sentimento religioso delle genti che realizzarono le domus de janas era indubbiamente legato all'auspicio di nuova vita dopo la morte, in analogia con la ciclicità del percorso solare quale esempio sublime di rigenerazione. Tutti i logogrammi presenti in centinaia di questi sepolcri (si stima siano censite 3500 Ddj) confermano questa lettura: spirali, corna e protomi taurine, porte virtuali (quelle che danno il nome a questi caratteristici sepolcri - janas). Per tanto mi domando: perché negare la luce diretta a questo sepolcro? Si potrebbe pensare ad una sorta di maledizione sui resti mortali di qualche individuo. Ma le domus de janas erano tombe collettive, per tanto escluderei questa ipotesi.

Possiamo escludere anche l'ipotesi che la domus fu scavata con tale orientamento per mera noncuranza del costruttore. Chi scavava questi ipogei era conscio dei motivi religiosi legati all'orientamento, tant'è che la stragrande maggioranza delle domus de janas hanno il portello d'ingresso rivolto ai quadranti meridionali. 

 Senza altri dati le ipotesi si fermano qui, e quindi lo studio rimarrebbe "al palo", come si dice. Ma come vedremo nel prosieguo dell'indagine, altri dati apriranno la via a una nuova ipotesi. Quindi è necessario descrivere il sepolcro e le sue caratteristiche.

Descrizione

Il sepolcro è composto da una anticella d'ingresso, preceduta da un ambulacro profondo circa 70 cm. L'anticella è provvista, sulla parete di fondo, di una nicchia a tutt'altezza; a destra di quella vi è un varco che immette in una angusta cella, lunga circa 110 cm, larga e alta non più di 70 cm.

La seconda particolarità sta proprio in questa celletta interna, illuminata in modo inaspettato da luce diffusa che penetra da una sorta di finestrella orientata verso nord-ovest ed inclinata in modo tale che, di primo acchito, parrebbe che il sole possa illuminare il suo interno con una macchia di luce di forma ellittica. Ma l'osservazione rivelerà sbagliata questa prima calda ipotesi.

Il varco che dà luce alla cella interna parrebbe intenzionale (Fig. 2), non il risultato di un evento traumatico, come si riscontra in altre domus de janas. Seppure non possiamo escludere a priori che si tratti di un foro naturale. Ma in tal caso non fu il foro a essere realizzato in funzione della cella, ma la cella in funzione del foro.


Fig. 2

Subito ho intuito che l'orientamento della finestrella poteva consentire l'accesso diretto della luce del sole nel periodo a ridosso del solstizio d'estate. Così, munito di pazienza, e convinto dalla supposizione, ho vissuto con trepidazione il passare dei giorni. Finché il giorno 7 di giugno 2025 ho rotto gli indugi perché, a parte la grande curiosità sulla forma della manifestazione luminosa, non sapevo quanto lungo sia l'arco temporale di presentazione dell'immagine. D'altro canto  quel giorno la posizione del sole si discosta non troppo da quella al solstizio d'estate (tramonta con un scarto angolare orario di 1° 09').

Esperienza del 7 giugno il 2025

Mi avvio alla tomba. Osservo il sole. È ancora alto nel cielo. Attendo. Ogni tanto, dall'esterno, guardo la parete di sinistra del foro cilindrico, e vedo che la luce avanza verso l'orlo interno e quando è lì lì per entrare nella celletta, regolo il mio cellulare in modalità: filmato in time-lapse. Entro carponi nella grotticella e posiziono il cellulare nella parete prospiciente l'immagine solare che si sta già delineando al margine dell'aura luminosa che penetra diffusa dentro la cella. Avvio il filmato e attendo. Sono le 5:30 del pomeriggio, esco dalla grotticella. Ho la tentazione di andare a sbirciare dall'esterno della finestrella, ma so già che è del tutto inutile, perché nel momento in cui sbircio, mi frappongo tra sole e parete e, intercettando i raggi solari col mio corpo, vanificò lo spettacolo luminoso. Per tanto l'unica possibilità è quella di entrare ogni tanto dentro la grotticella e vedere l'immagine attraverso lo specchio che riflette, speculare, quella del cellulare e, contemporaneamente, quella dell'immagine diretta.

Attendo ancora un poco. Vedo, con entusiasmo, che l'immagine allungata che prima procedeva sul pavimento della celletta, lentamente si avvia a salire la parete tra lo stipite e la soglia del varco tra le due camere - promette bene - penso.

Esco nuovamente. Attendo quindici minuti. Rientro. Osservo il cellulare e mi rendo conto che sta riprendendo l'immagine di un vero e proprio corno che si è formato nella parete affianco al varco tra le due camere.

Capisco quel che sta succedendo, e benché ancora abbia l'idea che l'immagine prima o poi diventi pseudo ellittica come il varco, sovviene il dubbio che ciò non accada. Ciò che vedo mi induce a constatare che, in un dato momento della giornata, nei giorni a ridosso del solstizio d'estate il sole, entrando nella celletta, disegna un corno di luce come quello del pozzo sacro di Is pirois - per intenderci – percorrendo inizialmente il pavimento della cella. Poi sale la parete da sinistra verso destra e dal basso verso l'alto, come nel pozzo sacro di SantaCristina. È un corno di luce con la punta rivolta verso il suo procedere. Lambisce l'angolo tra la soglia e lo stipite della porta tra le due celle, e lì a un certo punto, si dirama un ramo di corno che sembra voglia accedere all'anticella1. Ma nel mentre, lentamente, continua a salire, perde quel ramo e si trasforma in mandorla che ricorda il fregio delle statue stele di Laconi (associato, in modo discutibile, a un pugnale con due lame contrapposte). Pian piano, ancora si trasforma in corno, si allunga e si assottiglia, per poi fermarsi e pian piano sfuma rosseggiante, quasi assorbito dalla roccia. Permane, infine, l'aura luminosa diffusa.

Con entusiasmo constato che l'immagine non assume mai la forma d'ellisse, a conferma che quel foro fu realizzato per creare una immagine particolare.


                            
                                                    Fig. 3                                                Fig. 4 
                              La forma allungata sul pavimento               il corno si sdoppia

                           
                                               Fig. 5                                                    Fig. 6
                                        La vesica piscis                                ancora il corno di luce

Esperienza del 21 giugno - solstizio d'estate

Il giorno 21 di giugno - solstizio d'estate - il rigore metodologico del ricercatore mi impone di filmare nuovamente l'evento; poiché, anche se impercettibilmente, in 14 giorni il Sole ha modificato la sua posizione apparente.

In effetti le cose sono cambiate. Il corno più non si sdoppia per tentare l'accesso all'altra cella, ma sale diretto verso l'alto, percorrendo quasi lo stesso percorso osservato in precedenza.

Quando l'immagine si spegne il sole sta tramontando adagiato sulle colline a nord ovest.


                              
                                                 Fig. 7                                                         Fig. 8 
                      Il corno di luce nella sua fase finale    Nello stesso momento si assiste al tramonto del sole

Che meraviglia! È questa l'immagine voluta da quelle antiche genti: il corno di luce?

Come viene creato il corno di luce?

La costruzione del corno di luce

La forma geometrica più vicina all'immagine proiettata nella domus de janas è la vesica piscis, ossa quella figura geometrica piana che si ottiene dall'intersezione di due cerchi di identico raggio, i cui centri si trovano sulla circonferenza dell'altro cerchio (Fig.9).


Fig. 9
Vesica piscis, figura geometrica a forma di mandorla.

Riferendoci, ora, ad un sistema tridimensionale, immaginiamo un cilindro con pareti laterali opache e basi circolari trasparenti che viene attraversato da un fascio di luce solare collimato. Quando il cilindro è orientato con il proprio asse non parallelo alla direzione del fascio (ovvero inclinato rispetto alla sorgente luminosa), si osserva sul piano di uscita — o su un piano posto oltre la base opposta rispetto alla sorgente — una figura proiettata risultante dalla sovrapposizione parziale di due proiezioni circolari sfalsate (Fig.10).



Fig. 10
La proiezione dell'ombra del cilindro con base circolare genera una pseudo vesica piscis

Nel nostro caso il foro pervio che illumina la piccola cella della domus de janas è assimilabile a un cilindro con base ellittica, lungo 55 cm, e le basi con asse maggiore 30 cm e asse minore 15 cm. L'asse maggiore inclinato di circa 20° zenitali verso sud. L' asse del cilindro è orientato con un azimut di 300° Alt. 25°. Ma l'inclinazione di 25° il 21 di giugno la si ottiene solo ad un azimut di 280°

Questo solido rende la vescica piscis più snella rispetto a quella del cilindro con base circolare, rendendo l'immagine luminosa più vicina a quella di un corno (Fig.11).





Fig. 11
Il cilindro con base ellittica ha lo stesso orientamento del cilindro a base circolare di Fig. 10

Una considerazione

Abbiamo compreso che la pseudo vesica piscis presente nella domus de janas di Santa Barbara de Turre è generata dall’intersezione di due archi: uno riferito all’ellisse interna e l’altro all’ellisse esterna del cilindro ellittico. (Fig. 12).


Fig. 12

 In sostanza, i due elementi che generano la figura luminosa risultano disgiunti tra loro. Una simile disgiunzione tornerà, almeno un millennio dopo, come principio alla base delle manifestazioni luminose osservabili nel nuraghe Santa Barbara di Villanova Truschedu, nei pozzi sacri di Santa Cristina e di Funtana Coberta a Ballao, e nella cosiddetta 'postierla' di Murru Mannu a Tharros.

Una seconda considerazione

Se, come penso che sia, la manifestazione luminosa è intenzionale, pure la sua forma è intenzionale.

Non è la forma della manifestazione luminosa a essere generata da una figura tridimensionale ma, viceversa, la forma luminosa auspicata impone una forma tridimensionale ben precisa capace di generarla in modo altrettanto preciso.

In sintesi: l’architettura del manufatto è stata modellata in funzione della figura luminosa che si voleva ottenere, e non il contrario.6 Ciò implica:

- una conoscenza avanzata dell’interazione tra luce e materia,

- un intento simbolico o rituale dietro la progettazione,

- una volontà di comunicare attraverso la luce, come fosse un linguaggio.

 Il corno di luce del sepolcro di Santa Barbara de Turre trova il suo naturale richiamo nella protome taurina o le corna scolpite "materialmente" in molte domus de janas. In quelle la divinità parrebbe manifesta, ma è solo una sua immagine creata dall'uomo per l'uomo. In altre, come quella qui analizzata, l'epifania è tangibile, benché si manifesti, lucifera, in un circoscritto lasso di tempo.

Questa connotazione suggerirebbe se non un cambio di paradigma nei confronti della divinità taurina solare, almeno una variante locale o una innovazione individuale. La divinità, o qualsiasi elemento ad essa legato, non sarebbe più fissata per sempre nella roccia, ma si rivela ciclicamente in modo effimero  attraverso la luce.

E' una lettura, quest'ultima, che di primo acchito potrebbe sembrare solida, ma nel prosieguo dello studio vedremo che si rivelerà falsa, in virtù di approfondimenti che vedranno protagoniste altre Ddj che recano proprio quelle incisioni che sono arrivate intatte fino a noi.

Risposte a dubbi legittimi

"Una teoria è scientifica solo se può essere confutata da un esperimento. Basta un solo caso contrario per falsificarla." Il pensiero di Popper indica la strada da percorrere. E noi non ci sottrarremo al giudizio scientifico. Scandaglieremo, e chiederemo di scandagliare, tutte le possibili soluzioni alla ricerca della prova che confuti la teoria. Nel frattempo cercheremo prove a conforto del nostro pensiero.

Ma già una obiezione si fa largo e altre, di sicuro, ne seguiranno.

Obiezioni dell'avvocato del diavolo.

1° obiezione: L'avvocato distoglie lo sguardo dal saggio che ha appena finito di leggere. Si toglie gli occhiali, si erge in tutta la sua altezza,  e con sguardo penetrante avvia la sua arringa. Secondo noi (avvocato e il suo cliente), benché l'orientamento in effetti sia singolare, e la luce del sole sia convogliata da quel pertugio all'interno della celletta, che altrimenti sarebbe perennemente in ombra, non vedo alcunché di spettacolare nella forma della vesica piscis, perché in un dato momento del giorno fin verso il tramonto, in un certo lasso di tempo a cavallo del solstizio d'estate, i raggi solari formano sempre una vesica piscis, come mi suggerisce il mio cliente. Anzi, dirò di più, qualsiasi orientamento abbia il varco, da est a ovest passando per il mezzogiorno, formerà sempre, in un dato momento, una vesica piscis, come, d'altronde, vi sarà un momento che i raggi solari penetrano radenti le pareti interne del varco, rendendo l'immagine proiettata, tale e quale a contorno del varco stesso.

Risposta: A riguardo della prima parte della Sua obiezione, avvocato, certamente è vero che ogni orientamento del varco forma una pseudo vesica piscis, anche quando i raggi solari sono paralleli all'azimut del suo asse. A riguardo della seconda parte dell'obiezione le rispondo che solo in un caso si verificherebbe la perfetta coincidenza della forma del varco con quella dell'immagine da esso proiettata; ossia quando i raggi solari sono paralleli sia all'azimut che all'angolo zenitale del varco stesso; e visto che mi stuzzica, le dimostro quante siano le probabilità che quell'evento accada nella nostra domus de janas.

Ammettiamo innanzi tutto di mantenere inalterata l'inclinazione del varco che, lo abbiamo già detto, è pari a circa 25° sopra l'orizzonte. Questo evento si manifesta con maggiore probabilità, man mano che l'orientamento dell'orifizio tende verso la direzione compresa tra Sud Sud-Ovest e la direzione Ovest Nord-Ovest. Se orientiamo l'orifizio esattamente al mezzogiorno, non vi è alcuna possibilità che l'evento accada, perché il sole al mezzogiorno del solstizio d'inverno ha un'altezza di 27°,0274. Ben oltre i 25° di inclinazione del varco.

L'orientamento ottimale, quindi, è quello che  spazia tra 197° e 280°. Ad un azimut di 197° il sole al solstizio d'inverno ha un'altezza di 25°. La stessa altezza la assume ad un azimut di 280° al solstizio d'estate. In ragione di ciò vi sono 365 possibilità su 365 giorni (100% di possibilità) di trovare un giorno durante il quale i raggi solari si approssimano all'asse del varco, pari a 25°, e orientato ad un qualsiasi azimut compreso tra 197° e 280°.

Fuori da quel ventaglio angolare non vi è alcuna possibilità che i raggi solari coincidano con l'asse del varco. Quindi nel nostro caso, essendo l'orientamento del varco ad un azimut di circa 300°, le possibilità  si riducono drasticamente a zero. In ragione di ciò la pseudo vesica piscis della nostra domus de janas non diventa mai un ovale a immagine e somiglianza dell'orifizio che la manifesta. Questo dato giustifica l'intenzione, di chi architettò il congegno, di voler realizzate una immagine che richiamasse la vesica piscis e quindi il corno.

A sostegno di questa affermazione vi è da dire, inoltre, che benché il rapporto tra asse maggiore e asse minore della pseudo ellisse del foro sia pari a 0.5,  il corno di luce si mantiene nel rapporto massimo di 0.3, generando sempre una pseudo vesica piscis molto schiacciata, in virtù del particolare orientamento dell'asse del varco. 

2° obiezione: L'avvocato accusa il colpo ma insiste e domanda: "Perché quella da Lei scoperta non potrebbe essere una manifestazione luminosa dettata dal caso? D'altronde, come Lei stesso asserisce, qualunque sia l'orientamento del varco, tra 180° del mezzogiorno a 300° del tramonto del sole al solstizio d'estate, l'immagine è sempre quella di una vesica piscis. Per tanto anche orientando il varco, poniamo, ad un azimut di 210° ed una altezza di 30°, quello, in un dato giorno dell'anno restituirebbe una vesica piscis."

Risposta: Suvvia avvocato! Non focalizzi l'attenzione solo e soltanto sull'immagine della vesica piscis: è riduttivo nei confronti della tesi.

Vi sono tre elementi, o se vogliamo: anomalie,  che inducono a pensare che la manifestazione luminosa sia intenzionale.

1° elemento anomalo: l'ingresso alla domus de janas è orientato verso il nord geografico; ossia quella direzione che inibisce l'illuminazione diretta dentro la tomba. Caso rarissimo benché, forse, non unico (così, almeno, possiamo apprendere dall'elenco che pubblica la Dr. Giuseppa Tanda nel suo saggio "Le domus de janas decorate con motivi scolpiti" Vol. 1 cap. III - Monumenti e territorio pag. 56).

Fosse un caso, sarebbe casuale l' orientamento di tutte le domus de janas, dato che ve ne sono orientate a nord-est, est, sud-est, sud, sud-ovest, ovest, nord-ovest.

Noti, caro avvocato, che le direzioni appena elencate descrivono il percorso del sole al solstizio d'estate. Non è contemplato il tragitto nord-ovest, nord, nord-est che, con tutta evidenza, è fuori dalla "portata" del sole.

2° elemento anomalo: Il foro che illumina la celletta di deposizione è orientato verso nord-ovest, ossia la direzione in cui tramonta il sole al solstizio d'estate, consentendo ai raggi solari diretti di entrare con un pennello di luce nella celletta, quando incombono le ultime ore del pomeriggio fino al tramonto, nel periodo a cavallo del solstizio d'estate. In sostanza, in quel periodo, i raggi solari iniziano a penetrare nella cella quando il sole raggiunge un azimut di 270°.

Se l'intento fosse stato solo quello di illuminare la cella, sarebbe stato più facile realizzare un'apertura di qualsiasi forma orientata a occidente.

Vi è da dire, inoltre, che alcun impedimento vi sarebbe stato a ricavare direttamente l'ingresso nella parete rocciosa esposta a ovest.

3° elemento anomalo: La manifestazione luminosa termina quando il sole sta tramontando dietro le colline. Questo non avverrebbe col varco orientato in altro modo.2 In sostanza, facendo un paragone teatrale, possiamo sostenere che si comporta come un sipario che si chiude su un’unica scena: quella del sole che si ritira dietro le colline, nel momento esatto in cui l’evento luminoso giunge al suo epilogo.

Le coordinate spazio-temporali sono ben precise, tanto da non lasciar adito a dubbi: nessuna coincidenza, ma studiata intenzionalità.

Sarò un visionario, ma caratteristiche come queste, ben connesse l'una con l'altra, inducono a pensare che quelle genti auspicassero la rinascita dopo la morte, lì dove quella speranza, riposta nella divinità taurina luminosa che da sempre si presenta fugace, non fu espressa in modo manifesto, anzi dava l'idea di esser negata. E questo, forse, perché il rito era un rito individuale e privato. Ogni uomo auspicava una rinascita e quindi la divinità doveva aiutare il singolo a percorrere il tragitto pieno di incognite, che lo avrebbe condotto verso quella rinascita. In ragione di ciò, il nascondimento della manifestazione assicurava l'accesso della luce divina, che altrimenti sarebbe stata in balia di intenzioni malvagie.3 

3° obiezione: L'avvocato non demorde e, sicuro di se, affonda l'ennesima stilettata.  Mi consenta un'altra domanda: quanto è lungo il periodo durante il quale si manifesta questo... corno?

Risposta: Mi aspettavo questa domanda e capisco dove vuole andare a parare, egregio avvocato. Le potrei dire che poco importava quanto lungo fosse il periodo di luce dedicato a quelle spoglie. Importante era il particolare periodo di luce a loro concesso. 

Un periodo lungo poco meno di 100 giorni, constatato che il 10 di agosto il sole non penetra più dentro la piccola cella.4 Certamente un periodo lungo, ma non di meno dobbiamo considerarlo intenzionale.

Si potrebbe obiettare - e lei sicuramente avvocato la sta già pensando - che la manifestazione luminosa si protrae troppo a lungo nel tempo per poterla considerare dettata senza dubbio alcuno da precisa volontà. Ma le posso dire che anche in età nuragica l'evento luminoso si protrae per lungo tempo all'interno dell'edificio che lo accoglie. E benché la teofania abbia il suo culmine in un lasso di tempo estremamente breve - 6 giorni per il pozzo di Santa Cristina e tre giorni nel nuraghe Santa Barbara-; nel primo, il pennello di luce inizia a riflettersi nell'acqua già i primi giorni di febbraio e termina a metà novembre; mentre nel nuraghe Santa Barbara  inizia la sua manifestazione già a metà settembre e si protrae fino ai primi di aprile. Ma ciò che accomuna, e dimostra l'intenzionalità di ognuna di quelle manifestazioni, è l'obiettivo che marca con esattezza il giorno preciso. Nel caso del pozzo di Santa Cristina è il cosiddetto "concio alfa" del 12° anello; mentre del nuraghe Santa Barbara era l'altarino (ora scomparso) presente all'interno del nuraghe. Nel caso della domus de janas di Santa Barbara de turre, invece, l'obbiettivo che marca l'evento è l'attimo in cui il corno di luce scompare nel momento esatto del tramonto del sole dietro le colline il giorno del solstizio d'estate. 

La differenza tra i riti di età nuragica appena indicati e quelli di età neolitica sta nelle motivazioni che indussero a creare una manifestazione luminosa all'interno di edifici realizzati dall'uomo.

 Nella domus de janas di Santa Barbara de turre, l'evento è dedicato alle spoglie mortali degli individui che lì venivano inumati, e in quanto tale, era un evento individuale d'auspicio per una nuova vita della persona i cui resti mortali lì riposavano, accolti e accompagnati dal sole nel suo eterno ciclo di morte e rinascita a nuova vita.

Caro avvocato, non so se lei lo abbia notato, ma quel lasso di tempo, dallo 1 di maggio al 10 di agosto, registrato nella Ddj, ricorda altre date, benché in modo approssimativo. Ricorda quelle registrate nel pozzo di Santa Cristina e, indirettamente (ma non meno scientificamente) nella postierla di Murru mannu in Tharros, dei pozzi sacri di Funtana coberta di Ballao e di Sant'Anastasia di Sardara. Nel pozzo sacro di Santa Cristina possiamo osservare la manifestazione luminosa che centra l'obiettivo (concio alfa del 12° anello), dal 16 al 21 di aprile e una seconda volta dal 21 al 26 di agosto. Questi lassi temporali, specifici di due eventi speculari attorno al solstizio d'estate, sembrerebbero andare controtendenza rispetto all'evento della nostra domus de janas: - nella tomba la luce si manifesta ininterrottamente, giorno dopo giorno, dal primo di maggio al 10 di agosto, mentre nel pozzo sacro il 21 di aprile la manifestazione scompare per riapparire il 21 di agosto. In sostanza, quel periodo, se nella tomba è contrassegnato dalla luce, quello del pozzo parrebbe contrassegnato dall'oscurità. Ma è solo un diversivo, perché nel pozzo sacro l'evento che termina il 21 di aprile (si consideri che quella del pozzo sacro è una manifestazione di previsione) prosegue lì dove i raggi solari, che tendono sempre più ad inclinarsi verso lo zenit, penetrano dall'oculo sommitale della cupola ogivale del monumento di Paulilatino. Decretando di fatto una continuità luminosa dal 21 di aprile al 21 di agosto.5

4° obiezione: L'avvocato, non pago, affonda ancora un altro colpo e, con un motto che sa d'arroganza, continua: "L'ipotesi formulata  deve essere necessariamente confermata da altri dati in altre domus de janas. Pena l'infondatezza della teoria qui enunciata. Non basta tirare in ballo manifestazioni luminose che furono messe in atto almeno un millennio dopo: troppo facile come congettura e troppo lontana nel tempo."

Risposta: Vero, avvocato. Ciò non toglie che quella di Santa Barbara de Turre abbia delle particolarissime connotazioni che inducono a formulare una domanda dal sapore retorico: - che altra funzione può avere quella finestrella, che non può essere utilizzata ad altro scopo se non quello di ricevere luce dall'esterno?  Perché l'accesso al sepolcro non fu ricavato direttamente nella parete che ospita quell'esigua apertura? 

Ma a parte questa risposta d'impeto, ha ragione lei a chiedere prove, e scusi se divento arrogante ma, mi ha tolto le parole di bocca. Ecco le prove!

Andiamo nella domus de janas detta "delle clessidre", che fa parte di una serie di domus denominate "S'Adde 'e Asile" in territorio di Ossi (SS).

Questo ipogeo fu descritto minuziosamente dall'archeologa  Pina Maria Derudas in "Necropoli ipogeiche di S'Adde 'e Asile e Noeddale (Ossi). Ma nella descrizione di una delle numerose celle che compongono l'ipogeo, il cui ingresso è sulla parete sinistra dell'anticella, manca un dato non di poco conto, di fondamentale importanza in questo studio. Non si menziona la presenza di una varco dal quale la luce penetra direttamente nell'angolo in alto a sinistra della cella, tra la parete di fondo, quella adiacente di sinistra e il soffitto . Particolare simile a quello della domus de janas di Bauladu, tanto che anche la forma del varco è simile, essendo in quella delle clessidre, di forma ellittica con asse maggiore di 39 cm e l'asse minore di 28 cm.


Fig. 13
Ingresso alla tomba delle clessidre
si veda il dettaglio del varco

Fig. 14


Fig. 15

Fig. 16
La manifestazione luminosa all'interno della cella adiacente all'anticella.

Ecco la prova. Ed eco anche qui il corno di luce.
Alla luce di queste informazioni, abbiamo un quadro più preciso del tema proposto, tanto da poter avanzare una ipotesi più circostanziata circa la presenza dei famosi bassorilievi e pitture evocanti il toro e quanto a lui riconducibile: - spirali, triangoli contrapposti ("clessidre" sic!) e quant'altro.
Possiamo avanzare l'ipotesi, dicevo, che le protomi taurine e la sequenza di corna annidate,7 (ossia una dentro l'altra), siano la rappresentazione di una delle molteplici peculiarità aggettivali della divinità quali: potenza, forza, difesa, continuità, immortalità e quant'altro i segni criptici che decorano molte domus possano evocare.

La divinità, invece, si palesava (ancor oggi si palesa) solo in determinati fuggevoli momenti, qui documentati.
Questa lettura, da un lato giustifica l'esistenza di una domus de janas con portello esposto al nord come quello dell'ipogeo di Santa Barbara de Turre; dall'altra suggerisce la continuità nei secoli, fin verso la civiltà nuragica e oltre, di un motivo religioso attuato nei nuraghe e nei pozzi sacri.
Intravvediamo in nuce (vedi nota 3), quel modo di considerare la divinità che in età nuragica sarà la regola. In sostanza riscontriamo già in età neolitica, non la divinità manifesta, benché i suoi attributi siano fissati in eterno nella roccia, ma una divinità nascosta, che si rivela solo nei luoghi e nei periodi deputati alla sua manifestazione. Il nascondimento è la parte più importante dell'architettura del rito. Ma è un nascondimento che non dobbiamo pensare sia assoluto, ma è un nascondimento che reca, nel luogo della manifestazione teofanica, una chiave di lettura; certamente di difficile individuazione, ma non impossibile.
Seguendo questo ragionamento, la domus de janas di Santa Barbara de turre sarebbe il risultato di un intenzionale errore di orientamento, con  un altrettanto intenzionale apertura di un varco deputato solo all'ingresso nel sepolcro della divinità luminosa. In sostanza, l'apertura ricavata nella piccola cella assolverebbe la funzione che nel nuraghe Santa Barbara di Villanova Truschedu è deputata al cosiddetto "finestrino di scarico" posto sopra l'ingresso della torre.8 

L'avvocato, quasi piccato, continua ed esclama: "solo questo esempio? Mi sembra ben poco!"

No, avvocato. Le porto un altro esempio. La bellissima Ddj di Serruggiu (Cuglieri), reca pure quella un varco nel vasto ambiente posto subito dopo la grande anticella. Questa presenta un foro circolare, sempre in corrispondenza dell'angolo triedro compreso tra due pareti e il soffitto dell'ambiente. Da quel varco penetra la luce del sole che in determinati momenti dell'anno illumina i due grandi bacili, uno rettangolare, l'altro circolare, scavati nel pavimento.

5° obiezione: L'avvocato, si mostra irritato, ma irriducibile spende, forse, la sua ultima carta. Gli occhi gli brillano, sembra il gatto che gioca col topo, o meglio, un giocatore di poker con quattro assi in mano, e quasi preso da estasi mistica e irrigidito dalla tensione nervosa esclama con un filo di voce: "Mi mostri come potevano quelle genti, con miseri mezzi a disposizione, orientare quel ... foro ... diretto verso il sole che muore al solstizio d'estate." Riprende fiato, sollevato e orgoglioso, sicuro d'aver affondato la stoccata finale.

Risposta: Caro avvocato, mi invita a nozze, dato che il sottoscritto è aduso a dimostrare tecnicamente le sue teorie.
Per tanto, sperando di non troppo tediarla con oziose descrizioni, mi accingo a descrivere il metodo che, presumibilmente, il costruttore della Ddj di Santa Barbara de turre mise in atto per l'orientamento del foro passante.

Mi consenta, però, un inciso. Per un momento le rubo il mestiere, perché ha tralasciato una obiezione di fondamentale importanza. I casi sono due: o lei non ha colto tutte le sfumature della questione, oppure il suo cliente sta dormendo.

L'avvocato strabuzza gli occhi. Io continuo.

Ha mai considerato cosa implicasse per le popolazioni neolitiche l'orientamento del portello della Ddj esattamente al nord geografico?
Di primo acchito, concettualmente, è più impegnativo individuare quella direzione piuttosto che il punto di arresto annuale del tramonto del sole all'orizzonte.

Qui, sorge il dilemma: sapevano le genti neolitiche individuare la direzione del nord geografico?

Quella del nord geografico è una direzione difficile da intuire se slegata dal contesto del moto solare. Senza questa osservazione, il nord non ha un “segno” visibile: non c’è nulla nel paesaggio che lo indichi chiaramente. È necessaria astrazione mentale e quindi la necessità di escogitare un metodo per individuare quella precisa direzione.
Il sole lungo il suo tragitto non passa mai per il nord geografico. D'altronde a quelle genti, poteva non interessare per niente quella direzione. Loro vedevano il sole nel cielo e ne apprezzavano il culmine della sua altezza nel percorso giornaliero. Da quella constatazione potevano ben pensare che vi era una direzione per la quale il sole non poteva mai transitare, ed era proprio quella opposta alla direzione del mezzogiorno. Quindi, secondo questo ragionamento potevano calcolare la direzione nord-sud per approssimazione, giorno dopo giorno, verificando la riduzione dell'ombra di un bastone infisso a terra lungo l'arco della giornata. Bastava questa semplice operazione per stabilire il nord geografico, che però implica un'astrazione di non poco conto.
Siamo sicuri che ciò sia avvenuto? Oppure quella direzione è frutto dell'intento di negare l'accesso alla luce diretta del sole dentro l'ipogeo, guardando verso il sole e non verso il nord.
In questo senso, l’orientamento “verso nord” potrebbe essere un effetto collaterale di un gesto rituale: guardare il sole per evitarlo, e quindi scavare o costruire nella direzione opposta.

L'avvocato è turbato, col suo cliente si guardano negli occhi. Io ne approfitto.

Ecco, caro avvocato, come ci si orienta verso il nord, guardando verso il sud: facile facile.

E facile era anche la individuazione del punto di arresto al tramonto del sole al solstizio d'estate, perché frutto di osservazioni costanti e prolungate nel tempo.

Ancor prima di dare inizio allo scavo, di certo era stata già registrata con opportuni segnacoli quella direzione osservata dal punto prescelto per l'ipogeo.

Ma quale fu il primo atto che compì il costruttore?

Scavò l'intero ipogeo e solo dopo realizzò il foro passante. Oppure iniziò a scavare proprio quel foro ancor prima di iniziare la tomba?

 
La prima ipotesi comporta lo scavo dell'anticella delle dimensioni volute. La parete che doveva contenere il portello tra anticella e cella di deposizione sarebbe stata orientata verso il tramonto del sole all'equinozio.9 
Quindi si scavò il portello e la cella di deposizione in quella direzione.
Terminato lo scavo della cella di deposizione si diede inizio al traforo della parete orientata a ovest, incidendo la roccia seguendo la direzione del tramonto del sole al solstizio d'estate. La direzione era facilmente individuabile anche senza sofisticate tecniche agrimensorie: bastava scegliere una direzione “di mezzo” tra quella del tramonto del sole all'equinozio e quella con alle spalle il sole al mezzogiorno. Due direzioni codificate, frutto di innumerevoli osservazioni di generazione in generazione del grande respiro solare. La pendenza doveva essere notevole invece, per evitare che la luce del sole potesse entrarvi più del dovuto. Quindi la sezione del foro iniziale doveva essere di esigue dimensioni.

Per tanto, nessuna necessità vi era di ricavare il pertugio in anticipo rispetto all'ipogeo, stante la certezza che la linea di riferimento era ben conosciuta. Quindi cade l'ipotesi alternativa.

Compiuto questo indispensabile preambolo, possiamo ben dire che iniziarono quindi a scavare la Ddj partendo, naturalmente, dal portello d'ingresso all'anticella, ricavato nel corto ambulacro, seguendo la direzione del meridione materializzata da due segnacoli posti a breve distanza.

Così ha origine, caro avvocato, l'orientamento della tomba verso il nord. Nasce dalla consapevolezza di negare l'accesso diretto della luce del sole all'interno dell'anticella.

Veniamo quindi alla puntuale realizzazione del foro di illuminazione.

Si iniziò, lo abbiamo già accennato, praticando un foro di piccola sezione, orientato e inclinato secondo quanto già scritto.
Il varco sarebbe stato allargato pian piano, e man mano che procedeva lo scavo, dall'interno della celletta si osservava quel che si vedeva all'esterno. Era necessario allargare con prudenza sia il bordo esterno del foro cilindrico, che assumeva una forma di base ellittica, che quello interno.
Fuori lo scalpellino seguiva le istruzioni di chi, all'interno della celletta, traguardava e contemporaneamente "cesellava" il bordo interno; e avrebbe interrotto i lavori non appena, dal suo punto di osservazione, fossero apparsi i segnacoli e le colline all’orizzonte, lì, dove il sole tramonta al solstizio d'estate.
 È possibile che la verifica empirica richiedesse un anno di attesa, ma non era certo questo un problema per quelle genti. Per tanto l'anno successivo - con gran parte del lavoro già realizzato - durante i giorni precedenti il solstizio (anche qualche settimana) si poteva perfezionare l'apertura per rendere l'effetto luminoso voluto. E nei tre giorni del solstizio vi era la possibilità, eventualmente, di procedere all'affinamento dei bordi che avrebbero consentito di far terminare la manifestazione luminosa nel preciso istante in cui il sole tramontava dietro le colline.
Il lavoro era compiuto. La dimora era pronta ad accogliere le spoglie mortali di coloro che avrebbero intrapreso il viaggio verso l'ignoto. Per chi rimaneva, fiducioso, l'auspico era che il corno luminoso del toro divino avrebbe accompagnato i suoi cari a nuova vita, in un ciclo continuo di morte e rinascita.

Non so, avvocato, se questo fu il metodo usato. Io avrei fatto così.

L'avvocato, sconsolato, visibilmente turbato dalle risposte alle sue obiezioni, guarda il suo cliente, e muto mi tende la mano con un mezzo sorriso tra le labbra. La stringo dicendo: Avvocato il suo disarmato consenso non mi basta. Attendo, se avrò ragione, quello della scienza.
 

Note:

1 Sembrerebbe pura speculazione su una illusione ottica dovuta alla posizione dell'apparecchio di ripresa quella documentata nella Fig. 4 . Ciò non toglie che quella illusione sia intenzionale, dato che nel nuraghe Santa Barbara di Villanova Truschedu, la protome taurina si trasforma in fallo non solo per via del particolare architettonico che elide il corno destro (fig. 17), ma anche per la posizione dell'immagine distesa sul pavimento (Fig. 18).


Fig. 17
 
Fig.18


2 La modellazione in 3D dimostra che una sezione circolare del foro o un suo diverso orientamento, decretano vera questa affermazione.

3 Questo aspetto, qui in nuce, lo ritroveremo in età nuragica, lì dove la manifestazione luminosa del nuraghe Santa Barbara di Villanova Truschedu, o nel pozzo di Santa Cristina (per elencare quelli dove ancora la manifestazione compare) sono fuggevoli e in continuo e perpetuo movimento.

4  Non potevo monitorare la tomba tutti i giorni. Per tanto dopo il 21 di giugno ho potuto visitare il sepolcro solo il 6 luglio e il 10 di agosto. Per tanto ho valutato che la luce del sole non penetra nella cella probabilmente i primi giorni di agosto.

5  Nel pozzo di Santa Cristina il 21 di aprile il sole illumina i primi tre anelli a partire dall'oculo sommitale (il 20° a salire) con un corno di luce appena accennato. Il periodo di illuminamento dell'oculo sommitale ha inizio il 21 di dicembre, ed è in continuo crescendo. Pian piano, giorno dopo giorno, scende gli anelli fin verso il 21 di giugno, quando con un lungo corno di luce, illumina la base del 10 anello a salire. Poi risale, e giorno dopo giorno, riduce la sua lunghezza fino al 21 di agosto, e poi ancora si riduce, anello dopo anello, fin verso il successivo 21 di dicembre, momento in cui solo metà dello spessore dell'oculo sommitale è illuminato.

6  La frase, che parrebbe solo un gioco di parole, di fatto spiega in modo preciso l'intento dei costruttori. Non siamo nel caso che vuole un particolare architettonico che genera una forma luminosa casuale. Siamo invece nel caso che vuole quel particolare architettonico studiato in modo tale da generare una particolare forma luminosa. È il particolare architettonico a sottomettersi alla forma voluta. Ne abbiamo un bellissimo esempio nella chiesetta de S'eremita Matteu di Narbolia, nella quale la finestra posta sopra l'ingresso al tempio sulla parete esterna ha foggia circolare, mentre nella parete interna ha foggia quadrata. Questo particolare architettonico fa si che in un dato lasso di tempo, il giorno degli equinozi, i raggi solari che penetrano dalla finestra formano sulla parete di destra della chiesetta una forma allungata, tronca sulla sinistra e arrotondata sulla destra (Fig. 19).

Fig. 19
L'immagine di sinistra è il risultato di un modello 3D realizzato prima dello scatto dell'immagine di destra.

7  Così le definisce Guillaume Robin in "Iconographie funéraire et espace architectural dans les hypogées néolithiques de Sardaigne : quelques données empiriques pour une nouvelle approche théorique - 2014.

8  Questa affermazione, circa la funzione del finestrino di scarico nei nuraghe, trova la sua prova nei due finestrini di scarico sovrapposti uno sull'altro del nuraghe Zuras di Abbasanta, che dimostra in modo evidente, che i due finestrini altro non sono se non porte riturali dalle quali la divinità taurina solare penetra all'interno della torre nuragica.

9  Nella pubblicazione dell'archeologa G. Tanda si contano 11 Ddj su 120 orientate a Sud, 9 sono orientate a Est, 3 a Ovest, 14 a sud-ovest, 20 a sud-est, e ci fermiamo qui. Considerando acquisita l'idea che in periodo neolitico si aveva cognizione sia dei punti di arresto solare - solstizi - e per quanto appena accennato, si conosceva la posizione del sole agli equinozi, è possibile che quelle genti avessero la cognizione di ortogonalità tra la direzione nord-sud e quella est-ovest. L'ipotesi di tracciamento descritta si inquadra in questa conoscenza, e benché l'ambiente sia angusto, era possibile portare all'interno dell'anticella la direzione nord-sud, e da quella procedere, anche se non proprio in modo geometrico, alla individuazione della direzione ortogonale est-ovest (punti equinoziali) consci del fatto che quest'ultima indica la direzione di alba e tramonto del sole agli equinozi.  È possibile che ciò sia avvenuto in modo del tutto empirico "ad occhio" per così dire. Ne abbiamo prova nella realizzazione di portelli e di false porte di molte domus de janas, che benché sembrino realizzate con angoli a squadra, la loro cornice non è mai ad angolo retto, a meno di combinazione casuale dettata dall'occhio esperto del suo costruttore (fig. 20). In ragione di ciò risulta coerente la possibilità di realizzazione di due allineamenti che rasentino, tra loro, l'angolo retto.

Fig. 20 falsa porta della Ddj di S'incantu 

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