sabato 18 ottobre 2025

Serruggiu - la domus delle meraviglie

 

di Sandro Angei

Si veda anche: La domus de janas di Santa Barbara de Turre - Bauladu

Se la domus de janas di Monte Siseri è definita s'incantu, per via delle sue meravigliose "decorazioni", quella di Serruggiu è la “domus delle meraviglie” per le peculiarità tecniche simili a quelle che in età nuragica diedero lustro alla divinità solare taurina che ancor oggi si manifesta nel pozzo di Santa Cristina e nel nuraghe Santa Barbara di Villanova Truschedu.

Descrizione dell'ipogeo

L'ipogeo è orientato verso mezzogiorno. L'accesso avviene da un ambulacro, in origine coperto con un padiglione profondo circa 2.00 m, e che immette, tramite una comoda porta d'ingresso, nell'anticella che possiamo definire, grossomodo, di forma semi ovoidale1 (Fig.1),

il soffitto della quale è rifinito a ventaglio, con otto raggi scolpiti che hanno origine in un semicerchio.2

Fig.1

Il pavimento è percorso da un canale di discrete dimensioni (una decina di centimetri di larghezza) che corre per tutta la profondità dell'ambiente e sfocia all'esterno, attraversando la soglia d'ingresso incavata a tutta sezione. Si notano, inoltre, due bacili ricavati nella roccia.

Il primo, sulla sinistra, è composto da cerchi concentrici e vi confluiscono tre canalette poco profonde (Fig.2).

Fig.2

In primo piano si vede la canaletta che attraversa l'anticella

Il secondo, sulla destra, ha una forma bizzarra: di goccia, di cuore, o forse di glandoide.3 E anche in questo confluisce una canaletta dall'angolo destro dell'anticella (Fig.3).



Fig.3

Superato un gradino di circa 30 cm a salire (Fig.4), dall'anticella si accede al vasto ambiente retrostante che, come vedremo, con molta probabilità era l’ambiente destinato in modo esclusivo alla manifestazione della divinità luminosa4. Un ambiente che potremmo identificare come il “Sancta Sanctorum”, e così lo chiameremo d’ora in avanti.



Fig. 4

L'ambiente, di forma quadrilatera con le pareti leggermente concave, mostra due vasche al centro, tra i residui di due colonne ormai distrutte. La prima, di forma pressoché circolare,
5 è posta proprio davanti a quella che in origine era la soglia di passaggio tra anticella e sancta santorum.6
Subito dopo questa, e a stretto contatto, vi è la seconda vasca di forma quadrilatera, coi lati lunghi rivolti verso la direzione Est-Ovest7.

Fig.5

Nell'angolo in fondo a sinistra vi è una terza vasca di forma quadrilatera, profonda parecchie decine di centimetri. Nessuna canaletta vi confluisce.

Nel frattempo l'occhio viene nuovamente attirato dalla canalizzazione profondamente scavata nel pavimento. Seguendo il suo percorso, si nota all'altezza del bordo della vasca rotonda, una diramazione che in essa si immette. Non sfugge, inoltre, il breve raccordo che mette in comunicazione la vasca tonda con quella quadrilatera (Fig.6).

Fig.6

Pur cercando di contenere l'entusiasmo, seguo con attenzione la canalizzazione che si dirige verso la parete di fondo. Qui svolta di 90° verso destra e continua seguendo la parete. Giunto all'angolo Nord-Est curva nuovamente (Fig.7) e costeggia la parete attigua, continuando verso l'angolo opposto, dove termina. O meglio: dove tutto ha inizio.

Fig. 7

Sollevo lo sguardo verso l'alto; verso un foro circolare ricavato nel soffitto, proprio nell'angolo triedro (Fig.8). Da quel varco entra la luce e l'acqua che, quando piove, ruscellando lungo la parete precipita sulla canaletta, che la intercetta e la dirige, costretta dall'invaso in pendenza, lungo il percorso prestabilito (Fig. 9).


Fig. 8

Fig. 9

Il sistema è facilmente delineabile: la canalizzazione convoglia l’acqua verso la vasca di forma circolare, che si riempie progressivamente fino a raggiungere il punto di travaso con la vasca quadrilatera. A quel punto, l’acqua inizia a fluire in quella vasca. Quando anche quest’ultima raggiunge la sua capacità massima, il liquido è costretto a defluire verso l’esterno, seguendo il percorso previsto dal sistema di evacuazione (Fig.10).



Fig.10

Una prima considerazione

Quanto appena descritto, di fatto, è un vero e proprio impianto di canalizzazione capace di alimentare due vasche e tenerle a regime durante la stagione piovosa (Fig. 11).


Fig.11

La planimetria è puramente indicativa

Quella che si pensava fosse una tecnica costruttiva di età nuragica8, la scopriamo, invece, già in auge nel neolitico sardo, non per evacuare semplicemente l'acqua piovana di infiltrazione, piuttosto per indirizzarla e conservarla per scopi specifici, dettati dalla realizzazione del foro pervio.9 

Una seconda considerazione

Una domanda nasce spontanea: a cosa poteva servire un simile impianto all'interno di un ambiente dedicato al culto dei morti?

Tenuto conto della funzione del sito che stiamo studiando, tralasciamo tutte le ipotesi legate ad aspetti materiali e cercheremo, invece, soluzioni legate al culto dei morti. Non si tratta di una scelta preconcetta, ma una conclusione basata sulla logica deduttiva.10

Nel saggio sulla Ddj di Santa Barabara de turre di Bauladu, abbiamo puntato l'attenzione sul pertugio che immette direttamente nella cella di deposizione. Questo elemento ci fornisce la chiave di lettura del foro della Ddj di Serruggiu.

In quella di Bauladu abbiamo appurato che nei giorni a cavallo del solstizio d'estate la cella di deposizione viene illuminata da una lama di luce diretta, in forma di vesica piscis, quando il sole si accinge al tramonto.

A commento di quel saggio abbiamo anche detto che da quel foro, oltre alla luce, vi entra anche l'acqua. E che sia ipotizzabile tramite quel foro un rito libatorio. 11

A Serruggiu il rito libatorio è innescato dalle stesse forze della natura, non ha bisogno, come ipotizzano in nota 11 per la Ddj di Santa Barbara de turre, dell'intervento dell'uomo per avviarlo12. Da quel foro entra l'acqua piovana che provvede a riempire in modo del tutto naturale le vasche. Ma da quel foro, come nella Ddj di Santa Barbara de turre, entra anche la luce del sole. Ed è proprio quella luce, riflessa dalla superficie dell'acqua dei due invasi, a manifestare la divinità solare che, irrompendo nell'ambiente in perenne penombra, illumina la volta del sancta santorum.

Quindi lo specchio d'acqua è in funzione di una manifestazione luminosa. Che altra funzione può avere un artificioso sistema di vasi comunicanti destinati a contenere l'acqua ma non a rilasciarla?

Perché prodigarsi in una simile opera ingegneristica se per le normali libagioni bastava un semplice bacile di piccole dimensioni da riempire alla bisogna?

Perché creare un percorso così lungo quando bastava convogliare l'acqua proveniente dal pertugio direttamente alla vasca subrettangolare, poi a quella circolare e infine evacuarla mediante il troppopieno?

Le domande, che parrebbero ampiamente retoriche, necessitano, invece, di risposte puntuali.

Una installazione astronomica

Una simulazione in 3D dimostra che nei giorni attorno al 21 di aprile13 il sole, penetrando da quel varco, illumina l'acqua della vasca quadrangolare. La luce riflessa proietta una immagine luminosa nel soffitto del sancta santorum.

La stessa simulazione dimostra che nei giorni a cavallo del solstizio d'estate14 il sole illumina l'acqua della vasca rotonda, e ancora, la luce riflessa illumina il soffitto del sancta santorum.

Vi è da notare che la terza vasca, posta nell'angolo, al margine del sancta santorum, parrebbe non avere alcuna funzione rituale legata alla luce, perché le è preclusa la luce diretta del sole. La simulazione in 3D dimostra che il sole non può arrivarci in alcun momento dell'anno, né dal foro ricavato nel soffitto del sancta santorum, tanto meno dall'ingresso all'ipogeo.

Quindi, a parte la terza vasca, che abbiamo appurato non è coinvolta in alcuna manifestazione luminosa, le altre due parrebbero associate a manifestazioni luminose che si susseguono durante l'anno, scandite e interrotte fisicamente dal setto che separa la vasca quadrangolare da quella circolare. La vasca di forma rettangolare registra la manifestazione il 21 aprile e il 21 di agosto; mentre la vasca circolare registra la manifestazione il 21 di giugno, solstizio d'estate15.

Però, il rigore scientifico impone una obiezione, di non poco conto.

L'avocato del diavolo

Obiezione: Le vasche si riempiono naturalmente nel periodo piovoso. Ma una visita all'ipogeo nel periodo estivo dimostra che le vasche sono asciutte. Quindi l'ipotesi circa la riflessione della luce del sole nell'acqua viene meno. Almeno per il periodo attorno al solstizio d'estate.

Risposta: L'obiezione parrebbe mettere in discussione l'ipotesi della riflessione della luce nella vasca circolare. Ma vi è da dire che quello che osserviamo oggi è un ambiente fortemente modificato dall'azione dell'uomo, che oltre ad aver demolito i due pilastri centrali ha rimosso gran parte del setto divisorio con l'anticella.

In origine il sancta santorum era accessibile da un varco che possiamo dimensionare in larghezza - 1.25 m - ma non in altezza. Quindi l'ambiente doveva essere certamente più buio e più fresco. Vi circolava poca aria. Di conseguenza l'acqua evaporava con più difficoltà.16 

Ma l'avvocato ribatte: Ciò non toglie che l'acqua evapora comunque.

Risposta: La manifestazione luminosa era comunque garantita, entro un certo margine, dalla profondità della vasca. È stata misurata nella vasca rotonda una profondità di 70 cm, ma non si è arrivati sicuramente al fondo. In un primo momento il dato mi è sembrato strano - perché realizzare una vasca tanto profonda quando il requisito di primaria importanza è quello di ottenere una superficie riflettente, seppure di pochi centimetri di profondità dell'acqua? - Una simulazione in 3D dimostra che anche un abbassamento della superficie liquida di 20 cm non pregiudica completamente la manifestazione luminosa di riflessione. Per tanto un invaso così profondo può garantire un'autonomia dal fabbisogno d'acqua per un lungo periodo.

Vi è, inoltre, la possibilità che l'acqua filtri attraverso le fenditure della roccia. Dobbiamo pensare ad un paesaggio completamente diverso da quello attuale. La presenza di foresta primaria tratteneva l'acqua nel sottosuolo, quindi la rilasciava in modo costante. È anche possibile che la canaletta non a caso sia stata realizzata lungo le due pareti del sancta santorum. In tal modo l'acqua che filtrava, e che ancora oggi potrebbe filtrare dalle fessure della roccia in seguito a piogge abbondanti,  alimentava il canale e quindi la riserva d'acqua nelle due vasche.

Ecco le risposte a quelle che parevano domande retoriche. Ma oltre al presumibile motivo che ha indotto a realizzare il canale secondo un tragitto così lungo, occorre spiegare il motivo per il quale il canale immette l'acqua prima nella vasca circolare più lontana, e solo dopo in quella subrettangolare che la antecede. Il sistema non è metodologicamente corretto, almeno dal punto di vista tecnico. Quindi è necessario scandagliare l'aspetto simbolico di questo dato di fatto. Aspetto simbolico che sicuramente albergava nell'animo di quello che possiamo definire "sciamano" che progettò il sistema, che vedeva e interpretava tutto in funzione della natura. È possibile che l'osservazione continua, l'intuito e prove empiriche abbiano indotto quello "sciamano" a comprendere che l'acqua che scende dal cielo in qualche modo al cielo risale. Quindi - simbolicamente - l'acqua piovana assieme a quella sorgiva passava per il cielo (la vasca tonda) e da quella convogliata sulla terra (la vasca subrettangolare). E benché non si possa avere prova concreta che ciò sia stato realmente l'intento di quello "sciamano", di certo nelle culture antiche il cerchio e il quadrato/rettangolo avevano quel significato. Basti dire che in qualsiasi luogo della terra il cielo è visto di forma circolare perché l'orizzonte è circolare. La terra, invece, è percorribile ma finita. I fiumi e il mare la delimitano, il burrone e la parete montagnosa la delimitano. Ma restringendo il campo, l'uomo neolitico sedentario, che ha imparato a coltivare la terra, ha delimitato il suo campo d'orzo e di grano.17 Ma anche l'allevatore di bestiame ha necessità di confinare la terra per i suoi animali. È quella la terra che ha bisogno d'acqua - la sua terra.

Tutte combinazioni?!

Quante combinazioni... troppe per essere tali e, a dire il vero, non sono ancora finite.


Ogni tassello al suo posto: disquisizione sul foro pervio

La posizione del foro nella Ddj non è casuale.

Nella Ddj di Serruggiu, come in quella delle clessidre18, il foro pervio è posizionato nell'angolo triedro fra due pareti e il soffitto. La parete che delimita il foro è tangente alle pareti della cella. In tal modo quando il sole ha superato il mezzogiorno la sua luce è radente alla parete e disegna di fatto un corno luminoso di notevole sviluppo longitudinale (Fig.12).

Fig. 12

In sostanza, non solo il contorno del foro fu ideato per rendere volutamente la forma ideografica, che richiama quella della protome taurina (si veda Fig. 9), ma nel prosieguo del percorso solare, la posizione spaziale degli elementi architettonici (foro tangente alla parete orientata al mezzogiorno) fa in modo che la luce crei il corno luminoso. Lo stesso corno luminoso che possiamo osservare nella Ddj delle clessidre (Fig. 13) e in quella di Santa Barbara de turre (Fig.14)

Fig. 13
Ddj delle clessidre (Ossi)


Fig. 14
Ddj di Santa Barbara de turre (Bauladu)

A costo di risultare pedante vi propongo le manifestazioni luminose che qualche millennio dopo furono concepite in età nuragica nel pozzo sacro di Santa Cristina (Fig. 15), nel pozzo sacro di Is pirois di Villaputzu, e nel nuraghe Santa Barbara di Villanova Truschedu nel quale la protome trasfigura in fallo.


Fig. 15
Il corno di luce nel pozzo sacro il  21 di aprile e il 21 di agosto.
Mirabile perfezionamento del corno neolitico 


Ogni tassello al suo posto: la terza vasca

Non è opportuno tralasciare alcun elemento. E sebbene la terza vasca, collocata nel sancta sanctorum, possa apparire priva di una funzione evidente, è necessario prenderla in considerazione, anche solo per inquadrarla in un diverso contesto cronologico (Fig. 16).

Fig. 16

La manifattura di questo elemento sembra discostarsi da quella delle altre due vasche, risultando più approssimativa la sua realizzazione. Le pareti sono svasate verso l’interno e si nota una scarsa attenzione nella levigatura delle superfici, che conservano le asperità derivanti dallo scavo grossolano d'abbozzo. Si potrebbe ipotizzare, pertanto, che questa vasca non appartenga all’impianto originario dell’ipogeo, ma sia stata realizzata in epoca successiva e scopo diverso.

Tuttavia, esiste un dettaglio che potrebbe mettere in discussione tale conclusione. Si tratta di una concavità, anch’essa di fattura grezza, che sembra essere stata ricavata intenzionalmente in corrispondenza di una sottile fessura nella roccia viva, dalla quale l’acqua filtra. Questa concavità sembra avere la funzione di liberare, convogliandola, l’acqua verso la vasca sottostante. La presenza di depositi minerali lungo il percorso dell’acqua, ben visibili sulla parete rocciosa, conferma che da quella nicchia sgorga effettivamente del liquido (Fig. 17).

Fig. 17

Se questa osservazione fosse corretta, potremmo ipotizzare che la vasca servisse a raccogliere quella che, per le popolazioni dell’epoca, poteva essere considerata acqua sorgiva,  distinta, per natura e significato, da quella piovana proveniente dal cielo.

E per tale natura ctonia sia stata preservata dalla luce diretta del sole.

Naturalmente, questa ipotesi resta da verificare e, per il momento, va collocata tra le congetture da dimostrare. Ciò non di meno, la prova di evidenti infiltrazioni d'acqua nella roccia viva, sostiene l'ipotesi che vuole l'acqua sorgiva contribuire a rimpinguare nei mesi estivi l'acqua nelle vasche centrali. 

Prima considerazione conclusiva

Alla luce di quanto scoperto e qui illustrato, si rafforza l’idea che la cultura sarda dell’età nuragica e post-nuragica abbia ereditato gran parte dei riti dal Neolitico isolano.

Lo confesso: mi ha sorpreso non poco ritrovare, in una Ddj, la data del 21 aprile. Eppure, così è.19

Non abbiamo alcun motivo per dubitare del protrarsi millenario di quella data. Piuttosto, dovremmo chiederci quale fosse, in origine, il motivo che ne impose la registrazione.

Nello studio sul pozzo sacro di Santa Cristina ipotizzai che la data del 21 aprile fosse legata, come momento di previsione, alla produzione del grano - dunque al mondo dei vivi.

Nella Ddj di Serruggiu, invece, quella stessa data appare connessa all’auspicio di nuova vita dopo la morte.

Possiamo quindi pensare che la data del 21 aprile, abbia origine in età neolitica in un contesto agricolo, e lì abbia assunto una duplice valenza: auspicio di buon raccolto per i vivi e promessa di rinascita per chi lasciava questa terra.

Seconda considerazione conclusiva

Ma l'aspetto più sorprendente, a mio giudizio, è quello legato alla manifestazione luminosa per riflessione nell'acqua.

Dopo la scoperta per via deduttiva, ad opera dell'architetto Borut Juvanec, della riflessione nell'acqua dei raggi solari nel pozzo di Sant'Anastasia di Sardara allo scopo di creare una ierofania luminosa;  e dopo la mia osservazione diretta della riflessione nell'acqua nel pozzo sacro di Santa Cristina, che tutt'ora è osservabile, pensavo che il sistema di illuminazione fosse prerogativa delle genti di età nuragica o, tutt'al più, un portato della cultura cretese più antica (ne diedi notizia nello studio sul pozzo Di Garlo, Fig. 19 di quell'articolo).

Dopo questa nuova scoperta, possiamo affermare che questo sistema basato sulla riflessione luminosa nell'acqua è con ogni probabilità una eredità del neolitico sardo. Potremmo anche avanzare l'ipotesi che la cultura cretese abbia ricevuto questo sapere dalla Sardegna neolitica, se non fosse più convincente, a mio avviso, l'ipotesi che si tratti di un caso di convergenza culturale indipendente.

Conclusione

Alla luce delle evidenze raccolte e delle riflessioni qui esposte, emerge chiaramente l’idea che le manifestazioni luminose di gusto taurino osservabili in vari luoghi sacri della Sardegna preistorica, insieme alle date ad esse associate, non siano invenzioni dell’età nuragica, ma piuttosto un’eredità profonda, radicata nel neolitico sardo.

Quello che oggi noi possiamo osservare, è ciò che resta della potenza di un gesto antico: quello di plasmare la luce in forme che esprimono la potenza divina, e quello di catturare la luce del cielo nell’acqua della terra per restituirla risorta. Gesti che parlano di vita, di morte, e di rinascita.

I segnali lasciati dall'uomo neolitico fino a poco tempo fa li abbiamo appresi attraverso l'uomo nuragico che pensavamo fosse l'ideatore. Ora possiamo apprendere quei segnali direttamente dall'uomo che usava la pietra per scavare altra pietra, con in mente la stessa divinità lucifera e taurina che millenni dopo, l'uomo nuragico celebrava tagliando e modellando la stessa pietra con in mano i figli da lei stessa partoriti.

A noi, ora, il compito di leggere quei segnali.


Note

1 La pianta dell'anticella, benché non abbia le caratteristiche della costruzione geometrica, perché le linee curve che definiscono il contorno, fanno capo a tre diversi centri di origine, nel suo insieme risulta  armoniosa.

2 Ritengo che questa descrizione, a differenza di quanto espresso dagli archeologi che vi individuano la struttura fittizia delle capanne dei vivi, possa essere la raffigurazione del sole e dei suoi raggi. Ma è una deduzione, affrettata - d'impulso - dettata dalla natura solare delle manifestazioni luminose che in certi momenti dell'anno avvengono all'interno dell'attigua cella dedicata - come vedremo - alla manifestazione luminosa. In alternativa a questa ipotesi, posso avanzarne un'altra, che da ragione del numero di raggi: 8 in tutte le Ddj che riportano questa decorazione. Quelle otto scanalatura potrebbero indicare, non i raggi del sole, ma le fasi solari. Vediamo nel dettaglio di spiegare questo assunto, riferendoci all'immagine di Fig. A.

I due raggi rossi rappresenterebbero alba e tramonto del sole al solstizio d'estate, individuato dall'ampiezza dell'arco A͡B, quello del periodo massimo di illuminazione .

I raggi verdi rappresenterebbero alba e tramonto del sole all'equinozio di primavera. Riconducibili quindi all'ampiezza dell'arco C͡D, più vicino al solstizio d'estate. La durata della luce diurna, benché uguale a quella dell'equinozio di autunno è percepita in crescendo.

I raggi gialli rappresenterebbero alba e tramonto del sole all'equinozio di autunno. Riconducibili quindi all'ampiezza dell'arco E͡F più vicino al solstizio d'inverno. Percepita, quindi, in diminuzione.

I raggi azzurri rappresenterebbero alba e tramonto del sole al solstizio d'inverno. Riconducibili quindi all'ampiezza dell'arco G͡H, momento di minima illuminazione.

Mi rendo conto che l'ipotesi potrebbe essere un tantino azzardata, ma vista con gli occhi degli “antichi” potrebbe essere non tanto peregrina.

Fig. A

3 Con tutta evidenza è difficile vedere in quella forma una "goccia" o un "cuore". La forma, all’apparenza bizzarra, potrebbe simboleggiare — come accade in altri contesti, quali il recinto esterno del pozzo di Santa Cristina e strutture analoghe — un elemento da associare per similitudine al recinto d’ingresso del santuario nuragico di Gremanu, a Fonni. Quindi la forma del glande.

Recinto esterno del pozzo sacro di Santa Cristina

Fonte de "Su laccu del s'abba santa" -  Villanova Monteleone

Recinto del santuario nuragico di Gremanu - Fonni


4 Ancora oggi l'ambiente conserva quella funzione, come vedremo più avanti.

5 Il diametro del cerchio e di circa 1.20 m. La vasca è piena di detriti – probabilmente il risultato della demolizione del setto divisorio – e si stima, con molta cautela, una profondità di 70/80 cm.

6 Attualmente gran parte della parete divisoria, come pure i due pilastri del sancta santorum, non esistono più, furono abbattuti, probabilmente, in un periodo del recente passato per adibire il luogo ad altra funzione.

7 Le dimensioni della vasca sono di 166 cm e 168 cm per i lati lunghi. 100 cm per uno dei lati corti e 101 cm per l'altro.

8 In età nuragica possiamo apprezzare le canalizzazioni del pozzo sacro di Irru a Nulvi, oppure quelle dei pozzi e fonti sacre muniti di troppo pieno come quello di Su Tempiesu di Orune. Non si dimentichi la canalizzazione del nuraghe Nurdole di Orani, né quella che convoglia l'acqua del complesso di fonti sacre verso il villaggio annesso al santuario nuragico di Gremanu (Fonni).

9 La realizzazione del foro pervio dimostra con tutta evidenza l'intenzione di realizzare una canalizzazione per uno specifico uso diverso dalla evacuazione del liquido. Quindi un uso funzionale ad un rito.

L'archeologa Maria Grazia Melis in “Osservazioni sul ruolo dell’acqua nei rituali della Sardegna preistorica”, nelle considerazioni conclusive del suo saggio scrive: “Poiché il fenomeno eclatante del culto delle acque, documentato presso fonti e pozzi sacri nuragici, ha finora indirizzato l’attenzione degli studiosi solo ai culti protostorici, questo contributo ha tentato di mettere in risalto la valenza dell’acqua nei culti della Sardegna sin dal Neolitico. Il fenomeno è stato posto in relazione con l’importanza dell’acqua nello sviluppo dell’agricoltura e nella navigazione. Le manifestazioni più evidenti si riscontrano nelle grotte - quindi in corrispondenza di acque ” ctonie, non acque piovane - che rappresentano il legame con il mondo sotterraneo; ciò consente di ipotizzare una connessione tra culti dell’acqua, della fecondità e funerari, come testimonia la duplice funzione di alcune grotte, cultuale e funeraria. Tale connessione con i culti agrari spiega la cronologia del fenomeno nell’ambito del Neolitico, benché spesso sia difficile circoscrivere con maggior dettaglio le diverse manifestazioni, poiché le grotte sarde sono quasi sempre frequentate in tutte le sue fasi: se infatti l’uso delle grotte nel Neolitico antico e medio è maggiormente diffuso anche per scopi abitativi, nella fase finale si ha una prevalenza di siti all’aperto. Nell’età del Rame sembra che il ruolo dell’acqua muti da oggetto di culto a strumento per il culto. Sembra cessare, come nell’Italia peninsulare (Grifoni Cremonesi 1999, pp. 161-163), il culto ipogeico delle acque, per riapparire in modo eclatante e differente in età nuragica.

Queste considerazioni offrono un importante contributo alle osservazioni che seguiranno in merito alla funzione di alcuni particolari della Domus de Janas di Serruggiu, in particolare alla continuità — dal Neolitico sardo fino all’età nuragica — delle manifestazioni luminose e delle date ad esse associate. In ambito archeologico, lo abbiamo appena letto, si consolida l’idea, tutt’altro che nuovaa, di un passaggio e di un cambio di paradigma nei riti e negli usi religiosi tra le due epoche.

a Basti pensare alle domus de janas con prospetto architettonico che ritroviamo tale e quale nelle tombe di giganti

Tuttavia, l’archeologia, per sua natura, si arresta laddove l’indagine non può andare oltre lo scavo, l’analisi dei reperti e il confronto tra evidenze materiali. È qui che altre discipline — come l’archeoastronomia — possono intervenire fruttuosamente, e di fatto lo fanno, ampliando il campo dell’interpretazione e restituendo profondità a ciò che altrimenti resterebbe silente nella pietra.

10 È fin troppo facile pensare ad una soluzione legata al fare quotidiano di un recente passato, come potrebbe essere quello di un allevatore che usò l'ambiente quale ricovero per se o per il bestiame e realizzò quelle vasche per accumulare acqua. Ma questo non spiega la posizione delle due vasche, poste, ad intralciarne il passaggio, davanti alla soglia della porta di comunicazione tra anticella e sancta santorum – oramai distrutta a causa dell'abbattimento del setto roccioso di delimitazione. Ma a questa risposta si potrebbe opporre l'obiezione che vuole quelle vasche realizzate dopo l'abbattimento del setto divisorio. Ciò, però, non spiega la forma delle due vasche scavate – una tonda, l'altra subrettangolare. Che motivo aveva l'ipotetico fruitore moderno di realizzare due vasche di forme tanto diverse?

Inquadrando, invece, le due figure in ambito simbolico, e attribuendo al simbolo un significato logografico - a prescindere dal preciso significato allusivo -  possiamo ben pensare che la figura subrettangolare possa avere lo stesso significato delle losanghe della cosiddetta "tomba delle clessidre" oppure quella della cosiddetta "scacchiera" della Ddj di Pubusattile. Ma non dimentichiamo il piccolo bacile di forma subquadrata della Ddj di Mandras (Ardauli) 

Lo stesso vale per il cerchio. Lo ritroviamo in tantissime Ddj quale coppella o bacile o focolare (sic!), ma anche ricavato nella parete - all'intero di una cornice subquadrata - come nel caso della Ddj di Monte Airadu (Romana).

11 Dal foro, senza alcun dubbio, entra l'acqua piovana che si accumula sul pavimento della celletta. Quando questa si riempie, nella stagione piovosa, tracima dal setto del portello e invade l'anticella. Quando anche il pavimento di questa è colmo d'acqua, un corto canale di tracimazione evacua il liquido in eccesso. È possibile che nel periodo arido, a cavallo del solstizio d'estate,  venissero fate libagioni dal canale di innesto del foro di illuminazione e, allo stesso tempo acquifero, per dar modo di esaltare la manifestazione luminosa mediante la riflessione dei raggi solari nell'acqua allo scopo di illuminare la parete prospiciente. Così come accade nel pozzo di Santa Cristina. È solo una ipotesi. Ma nel presente studio si delinea la possibilità che in quella Ddj potesse avviarsi proprio quel rito.

12 Naturalmente questa era la percezione di chi assisteva alla manifestazione luminosa, non certo quella del costruttore, ben conscio di essere lui l'artefice di quell'artefatto.

13 Il periodo durante il quale l'immagine luminosa si riflette per intero all'interno dello specchio d'acqua subrettangolare è esattamente quello che va dal 1° aprile al 5 di maggio. Ma la luce inizia a lambire la vasca già il 24 di marzo e finisce il 1° di giugno, e già quel giorno l'intera macchia di luce illumina il bacile circolare.

14 L'8 di maggio la macchia di luce inizia a lambire lo specchio d'acqua. Il 1° di giugno penetra interamente dentro il cerchio. Il 21 di giungo attraversa la vasca lungo il suo diametro.

15 Si noti, ma è solo una mia impressione - bene inteso - che la forma delle due vasche potrebbe essere legata all'evento che si verifica in ognuna di esse. Mi spiego meglio: la forma circolare, come in altre culture, potrebbe simboleggiare il cielo e le manifestazioni che in esso avvengono, ovvero la natura monovalente e ciclica dell'evento al solstizio d'estate durante l'intero ciclo solare. Mentre la forma quadrangolare potrebbe essere intesa quale simbolo della terra e degli avvenimenti che in essa accadono a causa delle manifestazioni celesti che impongono il ritmo stagionale su quello agricolo.

16 L'evaporazione è un processo che richiede calore per rompere i legami tra le molecole d'acqua, trasformandole in vapore. L'assenza di ventilazione causa un rallentamento dell'evaporazione perché il vapore acqueo si accumula sopra la superficie dell'acqua, creando una saturazione dell'aria locale e ostacolando il processo. 

17  Che il grano fosse di immensa importanza nelle culture antiche, tanto da divinizzarlo, lo spiega molto bene l'antropologo James G. Frazer in "Il ramo d'oro - Studio sulla magia e sulla religione" -Ed. Newton 2006, quando indica Adone (cap. XXXII), Attis (cap. XXXV), Osiride (cap. XL) Iside (cap. XLI), Dioniso (cap. XLIII), Demetra e Persefone (cap. XLIV) quali personificazioni del grano. 

18 Del foro praticato nella cella della Ddj detta delle "clessidre" si è detto nel saggio dedicato alla Ddj di Santa Barabara de turre di Bauladu.

19 L'affermazione non si basa sul singolo dato registrato nella Ddj di Serruggiu - sarebbe del tutto infondata - abbiamo invece riscontrato la manifestazione luminosa in coincidenza con la data del 21 di aprile in altre Ddj, che saranno oggetto di prossimi saggi.












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