Si sa che sin dal rinvenimento della
ricca tomba etrusca di Cavalupo l’attenzione degli archeologi e degli
etruscologi fu rivolta in particolare ai tre oggetti bronzei nuragici che
furono trovati nel cospicuo corredo funerario riguardante due individui ivi
sepolti (1).
Non è un caso che la tomba viterbese venga chiamata da allora ‘dei bronzetti sardi’. Tra i tre, ovviamente,
ha attirato maggiore attenzione il bronzo raffigurante un uomo caratterizzato,
soprattutto, dall’essere raffigurato in modo sontuoso e singolare in ogni sua
parte. Di esso, tra gli altri, si è interessato ovviamente G. Lilliu per
l’illustrazione e l’interpretazione del corpus dei bronzetti (guerrieri,
sacerdoti e sacerdotesse, offerenti, oggetti vari, animali vari, ecc.) sin ad
allora conosciuti e riconosciuti (2).
Dello studio analitico del bronzetto e, come
sempre, preciso, da parte dello studioso
ci serviremo per sostenere l’assunto che il bronzetto non è un oggetto
di pregio ornamentale finito in qualche modo nella tomba che contiene il
cinerario delle due, evidentemente altolocate, donne etrusche (3), ma un oggetto ‘scritto’. E scritto con il
solito metodo ternario ideografico, numerologico e acrofonico che si è visto (4)
in non pochi ‘documenti’ funerari etruschi (coperchi di sarcofaghi e di urne,
casse dei medesimi, oggetti votivi, pitture parietali, ecc.).
Giovanni Lilliu parte dall’analisi del manufatto che, naturalmente, fa a suo piacimento senza seguire un ordine spaziale descrittivo. Noi invece edotti dal fatto che la lettura metagrafica non è anarchica ma segue un certo ordine (ad es. un piatto è scritto partendo dall’esterno verso l’interno, una coppa dall’alto verso il basso, un coperchio di sarcofago con andamento alto - basso e semicircolare a ‘C’), inizieremo rigorosamente dall’alto calcolando di volta in volta i segmenti vari dell’intera sequenza - frase che tendono a rendere tutto il significato.
Il copricapo.
Il copricapo
è uno degli oggetti più comuni, quasi fissi (5), calcolati nella strategia sintattica perché costituisce l’incipit dell’espressione criptata architettata
a rebus. Il motivo è dato dal fatto che il suo aspetto (6), suggerito dall’ornamento che distingue la persona, rende in semitico la voce
‘hdrh ’הדרה e
da qui l’acrofonia ‘h’ ה
che permette di iniziare il linguaggio formulare introducendo l’articolo
con valore di pronome (7) e cioè
LUI/LEI dal momento che ‘hê’ vale sia per il maschile che per il femminile.
Nella fattispecie il copricapo è il ‘pileus’ fatto di pelle sul quale il Lilliu
non tarda a dire circa la sua somiglianza con il tipico cappello degli aruspici
etruschi e con quello della divinità siriaca della guerra raffigurata in un
bronzetto (8).
Gli occhi:
E’ la parte dove meno,
stranamente, indugia lo studioso con la sua attenta osservazione analitica dove semplicemente si dice ‘occhi a globetto
cerchiato’. Eppure, secondo noi, per quel che diremo circa la lettura generale
del bronzetto, essi per la loro forma a ‘occhio di bue’ (9) sono simbolicamente fondamentali e non possiedono a caso quella
loro espressività che dà l’idea della vista ampia, aperta, maggiore del comune.
Da subito, per chi osserva attentamente il bronzetto lo sguardo si concentra,
in particolare, su quegli occhi (in sardo si direbbe ‘sprapeddaus’ ovvero
‘spalancati’) che sembrano subito ‘comunicare’ qualcosa, esprimere un senso
profondo e misterioso non meno di tutto il corredo che abbraccia la persona.
Lo scudo avvolgente:
Sentiamo il Lilliu: ’ Il braccio sinistro non si vede perché lo
nasconde , insieme ad un tratto del fianco, un curioso ed inedito schermo
assomigliante ad uno scudo , assicurato all’arto per mezzo di un anello di cui
si scorgono all’esterno le teste a borchia
dei ribattini che ve lo fissavano. Questo supposto scudo consta di un
grande piastrone di cuoio lavorato […] la
pezza si divide in due parti ; una la più ampia , si sviluppa lungo il fianco
sinistro accartocciandosi ad imbuto , e l’altra di minore estensione , si
espande in un lembo disteso e tondeggiante davanti al ventre e alle gambe delle
persona, a guisa di riparo. La singolare forma arrotolata del piastrone porta a
credere che lo si potesse far muovere attorno al corpo secondo il bisogno , e
specie in giro alla testa che, in particolare veniva protetta dal
largo avvolgimento superiore’ (p. 284).
Insomma, il Lilliu sostiene che si tratta di uno ‘schermo’, di un
‘riparo’, di uno scudo a difesa del corpo concepito in due parti, ovvero di uno
scudo doppio.
Le trecce.
Per Lilliu ‘ due grosse trecce’ disegnate ‘con fasto e precisione decorativa ed
esibite intenzionalmente […] mostra d’un valore anormale, superiore al
comune, dell’immagine figurata. Più che una moda, il portare i capelli lunghi e
intrecciati poteva essere un segno di potenza militare e religiosa’.
Segno di decorazione (‘hdrh ’הדרה ) e di potenza
dunque.
Mano, brassard e vasettino:
Sono le parti del bronzetto che più
impegnano lo studioso nel tentativo di spiegare sia la loro vera identità
sia la loro funzione. La mano sarebbe ‘ingrandita oltre misura e sproporzionata
rispetto al modulo modesto della figura’ con ‘prevalenza del valore espressionistico legato al fine cultuale. Il
brassard sarebbe di tipo militare, un oggetto di difesa. Sull’oggetto
che pende dal polso destro legato da una stringa alla parte inferiore del
bracciale si afferma: ‘ i minuscoli
risalti tondeggianti , che sembra di scorgere sul corpo globoso, fossero
effettivamente delle borchie (e non
forse sbavature di fusione), l’idea di un ‘guanto armato’ potrebbe
apparire come suggestiva se non proprio accettabile […]. Ma poiché con tutta quella pesante bardatura
di veste e di trecce, ci sembra difficile convincerci che la statuetta sia la
raffigurazione di un pugile […] resta da riparare sull’ipotesi che l’oggetto
pendente del braccio , pur non essendo un ‘gavettino’, sia comunque un piccolo
recipiente recato per qualche funzione legata con il culto ; di un vasellino
l’oggetto ha chiaramente la forma , a parte la strana e irrazionale postura ed
il poco spiegabile nesso col brassard’.
Insomma per il Lilliu, l’oggetto sarebbe un
vasellino, stranamente pendente dalla parte terminale del brassard, attinente a
delle funzioni cultuali.
Lasciamo, per ora, da parte l’ermeneutica
faticosa del Lilliu sugli oggetti (guanto, brassard e vasellino) e proseguiamo
nella ‘lettura’, procedendo sempre dall’alto verso il basso.
L’abito a coda:
L’abito è a frac, a coda ‘sotto il
quale, per quanto sia lungo si scorgono ben evidenti gli attributi virili. Ma è
un abito ‘elegante nel taglio e abbellita da disegni per quanto semplici e
lineari […] Un vestito dunque, fuori
dal normale, ampio, castigato e severo, che si adatta ad una persona distinta
(p. 286).
I calzari:
Per Lilliu: ‘a sandalo dall’alta suola e con larghi nastri passati sopra il dorso
dei piedi a dita nude, sono propri di un uomo di rango’ [ …] A maggior ragione poteva tenerli un prete ,
più vicino e più confidente nelle divinità che la massa amorfa o la gente meno
elevata ammessa nei luoghi di culto a piedi nudi, per un atto di religioso
rispetto conosciuto nei culti orientali (anche oggi).
Il supporto:
‘E’ a forcella con i piedi saldati uno per ciascun ramo e al solito
divaricati’ (idem, p. 284)
Dopo la descrizione, assai accurata dello
studioso, che ci dice, per quanto dubbioso, dai riscontri oggettivi e da quelli presunti, che il
bronzetto rappresenta un ‘sacerdote militare’, facciamoci una semplicissima
domanda. Ammesso che l’identità sua sia quella, che ci fa un siffatto bronzetto
con gli altri due in una tomba etrusca e per giunta a corredo per due donne altolocate stanti nella stessa urna?
Che significato può avere il manufatto nello stesso contesto di corredo tra tutti gli altri numerosissimi
oggetti, sardi e non, più o meno
preziosi (10)?
La risposta degli archeologi e degli
etruscologi è stata da subito abbastanza pronta: sono oggetti pregiati i e/o
affettivamente importanti posti a corredo per una donna sarda andata sposa a
qualche etrusco. Ancora oggi la spiegazione è, più o meno, questa anche se per
alcuni studiosi sulla provenienza allogena della donna non si possano dare
‘risposte definitive’(11). Il bronzetto più pregiato sarebbe insomma un oggetto che in qualche
modo ricordava alla defunta (la più grande delle due donne) la sua origine e a
cui era (insieme agli altri due (12) piccoli bronzi) particolarmente legata
anche perché attinente in qualche modo alla religio e al culto della sua terra.
Le cose però non stanno affatto in
questo modo, la verità è un’altra dal
momento che l’oggetto, come altri che si sono visti per il culto funerario
etrusco, ha una valenza molto più profonda di quella affettiva. La donna, se sarda è (era), ha in corredo quel bronzetto
in quanto esso comunica qualcosa non tanto dal punto di vista dell’
attaccamento etnico per un oggetto sardo da parte di una sarda, quanto da quello simbolico ideografico. E’ un
oggetto con una sua indiscutibilmente forte apparenza
formale che però va tradotto in sostanza, che è quella che, dato l’ambito
funerario, alla fine più conta. E per
ottenere ciò i ‘segni’ presenti in esso non vanno solo e non tanto descritti , come fa il Lilliu, per capire
l’individualità, l’essere specifico di un uomo con quel suo particolare
abbigliamento, quanto interpretati. Diciamo 'interpretati' perché il bronzetto,
come avviene per tutto ciò che in nuragico attiene al sacro e alla divinità, è scritto a rebus e il significato
profondo di esso si discosta spesso in parte o del tutto dal messaggio visivo
immediato. L’essere cioè l’uomo raffigurato - supponiamo - un ‘sacerdote
militare’, potrebbe anche far parte
della lettura, ma non è la 'vera' lettura, quella che solo la soluzione del rebus
può dare. Un rebus difficilissimo e forse impossibile da risolvere se nel
frattempo, passo dopo passo, non si fosse capito che sia i nuragici che gli
etruschi adoperavano delle convenzioni di scrittura basate (giova ripeterlo
sempre) sul metagrafico, cioè sulla possibilità di rendere un’espressione
linguistica, cioè una certa frase, basandosi su tre principi: quello
acrofonico, quello numerico e, soprattutto (13),
quello ideografico. Concentriamoci ora, per risolvere il rebus, sulla
possibilità di avere fonetica attraverso l’ideografia.
L’etrusco ha bisogno, per rendere l’idea di
‘sostegno’ o ‘aiuto’, dell’uso di cuscini, quelli su cui, singoli o doppi, di norma
si appoggiano con il gomito i nobili defunti. Sostegno
ancor più reso efficace se, nella
lettura, prima di essi,si pongono altri oggetti (altri ideogrammi) che possano
rendere bene l’idea di quella efficacia. Non è un caso ad esempio che si trovi spessissimo
nei sarcofaghi, nelle dita dei defunti, un
‘anello sigillo’ che allude alla garanzia, alla totale sicurezza certificata, del sostegno (14).
Il sostegno (talvolta doppio sostegno)
è sempre quello del padre e della madre,
ovviamente invocati nel sepolcro per la possibilità e la speranza di una rinascita attraverso la potenza delle
due fonti luminose o, se si vuole,
dell’androgino celeste TIN/UNI .
Ora detto ‘sostegno’ risulta altrettanto
chiaro nei bronzetti nuragici i quali tutti mostrano, come si sa, un dato comune: che sono ‘fissati’ (ben piombati),
resi per sempre stabili altrove o nelle tavole dell’offerta. Senza procedere oltre
nella lettura (15) del bronzetto mostriamo questa ‘chiarezza’ da un
dettaglio, apparentemente solo
‘decorativo’, del noto bronzetto (fig. 4) rinvenuto nel santuario nuragico di Serra Niedda di Sorso. Esso si
caratterizza molto bene per ideografia perché ‘prima’ della lettura ‘sostegno’
c’è una singolare trovata di ‘scrittura’ dello scriba artigiano: aggiunge all’immagine
del cosiddetto ‘re pastore’ un piccolo muflone legato e cioè ‘fermo’.
L’ideogramma ‘muflone legato’ tende a suggerire ovviamente la sequenza
formulare ‘sostegno fermo, sicuro, tranquillo’ (16).
Fig.4
Talvolta il fissaggio del bronzetto è stranamente (‘strano’ perché non
comprensibile per funzionalità) non
semplice ma doppio (nel nostro caso si veda la curiosa ‘forcella’, ovvero il doppio,
su cui sono fissati i piedi ‘del
sacerdote militare’). L’idea è quindi quella di un ‘doppio sostegno’, un ‘doppio
‘sostegno’ posto alla fine di tutta la complessa sequenza significante. Sia in etrusco quindi che in nuragico la
scrittura ideografica rende, sia pur in modo diverso (con immagini differenti),
la lettura il ‘doppio sostegno’. Ma bisogna considerare anche che in etrusco abbiamo le casse dei coperchi dei
sarcofaghi e delle urne che offrono, in genere, per ideografia una voce un po’ diversa
da ‘sostegno’ (cuscino o cuscini) presente
nei coperchi e più propriamente quella di ‘ protezione’ e di ‘difesa’. Si è
visto, ad esempio, che nella sequenza ‘e
padre e madre’ delle casse dei sarcofaghi di Cerveteri’ (fig. 5) il portone (significativamente collocato nel mezzo e doppio) dà l’idea non del
‘sostegno’ quanto della ‘protezione’ e/o della ‘difesa’ .
Fig. 5
Fig. 5
Riprendiamo ora il nostro bronzetto e ci renderemo conto che, procedendo
dal basso verso l’alto ci troviamo di fronte all’ideogramma ‘calzari’. Si è notato
come il Lilliu si sia soffermato sul dato ma solo per ricavarne il significato
di esso legato al rango del personaggio che, in quanto (presunto) sacerdote, si differenzia dalla ‘massa amorfa’ e dalla
‘gente non elevata’, non calzata durante le manifestazioni rituali. Osservazione
non del tutto censurabile se non per il fatto che i personaggi ‘sacerdoti’ non sempre sono muniti di
‘calzari’. Anzi non lo sono quasi mai. Per non dire di altri personaggi di
rango, capi tribù e guerrieri, sempre a piedi nudi. Il motivo della presenza di
quei calzari allora potrebbe essere un altro, ovvero il fatto che i due calzari
offrono l’idea di ‘protezione’ (‘proteggono’ i piedi). Si avrebbe quindi la
sequenza iniziale di ‘doppio sostegno’ seguita da quella di ‘doppia
protezione’. Saltiamo, per ora, i significati che possono dare il guanto, il
brassard e il supposto vasellino , e
concentriamoci sullo scudo di pelle,
che non è semplice ma ‘doppio’ come ben
vede il Lilliu, in quanto da ‘doppio’ difende
o meglio ‘ripara’ (lo studioso adopera lo stesso termine) due
parti della persona, quella alta e quella bassa, il petto e il grembo con le
cosce. Abbiamo quindi un altro doppio,
un ‘doppio scudo che ‘difende’ o ‘ripara
’, cioè un ‘doppia difesa’ o un doppio riparo’. Le tre sequenze ora analizzate ci danno, nell’ordine, doppio
sostegno/ doppia protezione/ doppio riparo (o difesa). Se si osserva anche l’idea della ‘difesa’, così come
quella del ‘sostegno’, della ‘protezione’ è espressa contemporaneamente in
etrusco, come si può vedere dalla nota urna del Museo Guarnacci di Volterra dove si notano nel coperchio il defunto che si sostiene sui due cuscini e nella cassa due arcieri contrapposti con l’arco in
posizione di ‘difesa’ (17).
Dopo l’ideogramma ‘riparo o difesa’
procedendo più su nella lettura abbiamo i due singolari occhi del personaggio ben
evidenziati, dilatati e molto aperti. Essi non sono da trascurare perché, verosimilmente,
anch’essi fanno parte della scrittura ideogrammatica in quanto alludono all’attenzione e, più precisamente, alla
‘doppia attenzione’, allo ‘sguardo attento’
di chi non chiude occhio perché sa di dover essere pronto e capace di scansare
in anticipo dei gravi pericoli .
Dalle sequenze il bronzetto sembra dirci dunque
che in esso si parla di un doppio sostegno, di una doppia protezione, di una
doppia difesa, di una doppia attenzione o vigilanza da parte di qualcuno. Per
il metagrafico etrusco il doppio, come
si è visto, è dato sempre dall’androgino TIN/UNI ‘apac atic' (sia padre che madre’), la coppia divina celeste. La formula è realizzata attraverso
una doppia forma acrofonica ‘e padre e madre’, ottenuta attraverso il consueto
‘sorgere, distendersi e curvare (tramontare)’. E in nuragico? Chi è in nuragico
il dio doppio che dà quel sostegno doppio, quella protezione doppia, quella
difesa doppia, quella vigilanza doppia che in etrusco fornisce il dio doppio Tin/ Uni? Il nome del dio o, meglio, il ‘pro’
nome, lo si ottiene precisamente come in etrusco: per via acrofonica. Infatti,
si ritorni al pileus, ovvero al copricapo
che distingue la persona attraverso l’ hdrh, l’ornamento. Il pileus
dunque dà l’idea, è l’ideogramma (che si trasforma in consonante acrofonica
semitica) che consente l’uso della semplice consonante ‘hê’ con valore
pronominale.
Non abbiamo certo, come in etrusco, la sequenza
acrofonica che ci realizza per esteso (18) voci
come ‘padre’ e ‘madre’, abbiamo però
la più scarna ma significativa voce semitica ‘Lui/
Lei’ (hê è sia maschile che
femminile) che allude anch’essa ad un
androgino, ad un dio doppio, ovvero al dio yh.
Questa però, se si bada, è solo la prima acrofonia che si ottiene con la voce hdrh, perché, procedendo nella lettura, ne otteniamo altre due con lo stesso
accorgimento: una con lo ‘splendore’ delle trecce e l’altra con lo ‘splendore’
dell’ornamento dell’abito a coda. Particolari che ovviamente consentono di reiterare
la voce ‘Lui/Lei. Voce che si ripete un’altra volta ancora nella lettura, ma con
variatio, perché data dal consueto saluto religioso ovvero hll הלל (la grossa mano che saluta in segno di rispetto e devozione).
Insomma, ricapitolando, con l’espediente
ideografico e quello acrofonico si realizza nel manufatto una sequenza scritta
che, partendo dall’alto, si sviluppa in questo modo:
(di) Lui doppia attenzione
(di) Lui doppia difesa/riparo
(di) Lui doppia x
(di) Lui doppia protezione
doppio sostegno
Manca, come si vede, una sequenza che è affidata all’interpretazione
della grossa mano, del brassard e del
supposto ‘vasellino’. E’ evidente che, mantenendo quest’ultima voce non si
ottiene alcun risultato apprezzabile (né ideografico né acrofonico), mentre lo si ha invece se riusciamo ad intendere
meglio ‘cosa’ rappresenta il presunto oggetto in forma di piccolo recipiente o
vaso. La soluzione dell’enigma può essere data solo da una considerazione: che
essendo il personaggio un sacerdote, esso tiene in mano un oggetto funzionale alle sue mansioni cerimoniali e rituali
e, soprattutto, un oggetto che spieghi quella particolare e insolita postura
(allacciato all’estremità del ‘brassard’) di un qualcosa che penzola oppure oscilla con il movimento della mano.
Ora, i bronzetti nuragici ci hanno fatto vedere con notevole chiarezza,
attraverso l’interpretazione del cosiddetto ‘musico e ballerino’ (19), che i sacerdoti, così come prescritto nel
rituale biblico (20), si presentano davanti
al Signore (yhwh) non
all’improvviso ma con imprescindibile preavviso che si ottiene con della musica
o con un qualche avvertimento sonoro. Stante la prescrizione il suddetto
‘musico e ballerino’, bronzetto per altro realizzato anch’esso con notevole fasto
nell’abbigliamento dell’ampio manto di
pelle, non è un caso che tenga in mano
un flauto (doppio flauto) e alle caviglie delle armille o cerchi sonori atti
per la danza (21). Il bronzetto sardo della tomba di Cavalupo reca allora penzolante,
con ogni probabilità, non un ‘vasellino’ per scopi militari ma un tamburello cerimoniale
atto a potenziare il suono di quegli anellini metallici (22), individuati (sia pur a
fatica e con dubbi) dal Lilliu; quelli che tintinnando consentono l’accesso del
sacerdote nella tenda del convegno משכן (‘sancta santorum’), senza che questi corra il
rischio di essere annientato e morire.
Quindi si deve supporre che l’ artigiano scriba che ha realizzato il
manufatto ne abbia complicato la ‘scrittura’ attraverso una variatio che non contempla più la sola
ideografia (un doppio ‘aspettuale’ così come negli altri quattro casi) ma un
doppio che si ottiene attraverso l’interpretazione della mano, del
brassard e dello strumento sonoro che
‘tintinna’ o che amplifica il ‘tintinnare’. Come si può vedere, la mano, resa ‘il doppio’ del solito (quella che al Lilliu
appare fuori misura e viene interpretata come
frutto di espressionismo legato al culto) già invita a capire in cosa
consista quel doppio. ‘Un ‘doppio’ naturalmente che deve essere coerente e
andare di concerto, come segmento di senso, con tutti gli altri ‘doppi’ che
abbiamo individuato e ‘letto’ nel bronzetto. E’ chiaro che una mano grande, fuori misura (come ci dice
il Lilliu), non ci può rendere, se non per approssimazione, l’idea del
‘doppio’. Il doppio invece può essere realizzato perfettamente se quella mano non è la mano del
bronzetto ma una mano resa doppia con il
guanto. Tanto più se è una mano che fa tutt’ uno (stavolta sì espressivo)
sia con il manicotto (il cosiddetto ‘brassard’),
sia con il tamburello. Quindi l’ ’espressionismo cultuale’ del Lilliu, potrebbe
in qualche modo calzare, ma è quello
reso enfaticamente con una mano di pelle
adeguata alla sua funzione, cioè d’essere ‘pelle’ (come vedremo) e, nel contempo
fornire un segno di scrittura, un chiaro significante, cioè il doppio. Detto doppio va a unirsi con il manicotto e
il tamburello per formare attraverso l’aspetto di essi la voce acrofonica che è
‘oz עז (forza, potenza). Infatti il tamburello
con gli anellini suggerisce la voce ‘ks עכס (tintinnare)
mentre il manicotto suggerisce la voce zwr
זור (stringere, serrare). Aggiungeremo quindi alle altre quattro
sequenze quella ora ottenuta per acrofonia e cioè ‘ di lui doppia potenza’. Il risultato finale della lettura allora sarà:
di lui/lei doppia difesa// di lui/lei
doppia attenzione// di lui/lei doppia potenza// di lui/lei doppia protezione
doppio sostegno e cioè ‘doppio
sostegno della doppia difesa, della
doppia attenzione, della doppia potenza , della doppia protezione di yh.
A questo punto però sarà meglio ricorrere
ad un grafico che consenta di vedere, con lettura dall’alto verso il basso, i
singoli segni e i significati del bronzetto (ottenuti con numerologia,
ideografia e acrofonia). Per capire che esso è stato così concepito onde
fornire - per così dire - un campo semantico esaustivo circa l’aiuto
che la divinità (la doppia divinità o l’androgino yh) invocata può dare alla defunta o alle defunte etrusche (?) collocate assieme dopo
l’incinerazione (23). Un campo semantico che, si osservi, difficilmente nelle sue raffigurazioni riesce
a raggiungere l’etrusco dato che in esse si trova ideograficamente ‘scritto’
l’uno o l’altro tipo di aiuto ma, da
quanto siamo riusciti sinora a comprendere , non più di due tra coperchi e casse dei sarcofaghi (24).
Se qualcuno però nutrisse dei dubbi sulla giusta
lettura metagrafica del bronzetto, organizzato sui concetti del difendere, proteggere ecc., veda di ‘leggere’
anche questo di bronzetto, quello che
il Lilliu, sempre attentissimo ai dettagli e alle possibili comparazioni, non a caso affianca per somiglianza (25) al
nostro.
Ma il bronzetto (fig. 8) che in
assoluto prova meglio, sul piano scientifico,
che il vario ‘doppio (26) salvifico’
della divinità androgina è ciò che, al di là del dato ‘decorativo’, maggiormente
interessa lo scriba artigiano nuragico, si trova catalogato al n. 90 del catalogo del Lilliu (27).
Lo studioso sa bene (e lo dice) di
trovarsi davanti ad un doppio ma, ben
saldo nelle sue conoscenze (e nei suoi pregiudizi), non riesce ovviamente a spiegarsi
il perché in uno stesso basamento si trovino abbinati quelli che lui, in base alla loro immagine, non può che chiamare ‘commilitoni’ (di diverso
grado).
Sentiamolo:
‘Da un piedestallo plumbeo di forma rettangolare, che si inseriva nella
cavità della pietra (28) di supporto (o tavola
d’offerta), sorge un gruppo di
soldati, vicini ed affiancati ma anche separati tra di loro. E’, di fatto, un
gruppo giustapposto, un accoppiamento
paratattico secondo le regole del frontalismo e della bidimensionalità
geometrica; non c’è, invece, una
composizione vera e propria in quanto ciascun elemento forma un soggetto a
sé stante e potrebbe isolarsi senza
alcun pregiudizio dell’insieme’ (p.242).
Da quanto si è detto e sostenuto sembra evidente che non c’entrano per nulla
le ‘regole del frontalismo e della
bidimensionalità geometrica’ né è vero che ‘ciascun elemento forma un soggetto a sé stante e potrebbe isolarsi
senza alcun pregiudizio dell’insieme’. E’ vero proprio il contrario. L’
affermazione va proprio in direzione del
tutto opposta rispetto a quella voluta dal creatore del bronzetto. Il
descrittivismo, talora bizantino quanto compiaciuto, del Lilliu porta inevitabilmente lo studioso a vedere
singole parti e dettagli, a concentrarsi magari sull’aspetto militare del
manufatto (e da qui il titolo), ma non a coglierne il più importante: che i due presunti commilitoni
altro non sono che una coppia di guardie con
stocco (29);
coppia presa a pretesto (ma questo Lilliu ovviamente non poteva
immaginarlo) per rendere la solita formula del doppio relativo alle ‘tipologie’ di aiuto che la divinità concede o
può concedere al richiedente, già con l’atto stesso dell’impianto del bronzetto
(consacrazione) sulla ‘lastra delle offerte’. E non è detto che ad ‘offrire’ sia stata una
guardia o siano state due per un particolare motivo che le abbia riguardate: una persona qualsiasi potrebbe aver scelto e ‘acquistato’
nel tempio stesso o altrove quel ‘soggetto’ figurativo, quel bel pretesto per l’aiuto e il sostegno della
coppia divina celeste. Perché i
bronzetti sardi non sembrano costituire ‘ex voto’, doni alla divinità per ‘grazia ricevuta’ e neppure sono oggetti preziosi o di prestigio
(30),
quando lo sono, da tenere in casa o altrove, ma sono sempre oggetti magico
religiosi del culto templare o funerario, richieste
nascoste di aiuto da parte del dio.
Pensiamo che ancora un aiuto grafico (figg. 9 -10) possa far comprendere, con
immediatezza, la formula di aiuto
(doppio) contenuta nel bronzetto.
Fig. 9 Fig. 10
Il bronzetto di Cavalupo dunque, così come tutti i bronzetti sardi di qualsiasi tipologia (navicelle, guerrieri, sacerdoti e sacerdotesse, animali, oggetti, ecc.), risulta essere, in ambito funerario (31), una composizione scritta metagrafica, un ‘attestato’ di petizione (si chiede per ottenere) dove è riposta, del tutto nascosta, la formula magica apotropaica che, anche se spesso variata e ottenuta in mille modi (32), rimane in fondo sempre la stessa. Nella formula è presente, come in tutti i manufatti del culto di questo tipo, una esortazione scritta al ‘sostegno’, all’ aiuto sicuro, alla garanzia di salvezza e dello scansare il negativo che si raggiungono attraverso l’energia, pressochè totale, della divinità. Nel nostro caso il dio androgino sardo ‘difende’, è ‘attento e vigile’, è ‘potente’, ‘ripara’, ‘protegge’ nel difficile e incerto viaggio degli inferi. Le defunte invocano, attraverso un tramite straordinario, tutto quell’immenso vigore per i pericoli e le ostilità che si ergono contro l’aspettativa del ‘farcela’, ovvero dell’esito positivo di un ritorno alla vita e alla luce. Ideologia della ‘salvezza’, attraverso il ricorso alla magia della formula sacra scritta per il dio, che risulta, come si vede, identica sia in nuragico che in etrusco. Tanto che sotto questo aspetto si può dire che il ‘modesto’ bronzetto per significato valga il sarcofago o l’urna etrusca, veri e propri attestati anche questi ultimi di nascoste petizioni scritte per ottenere l’aiuto della divinità. Così come petizioni, ossessivamente reiterate, risultano tutti gli elementi del corredo funerario delle due donne (33) che altro non sono se non simboli ‘scritti’ analoghi, quanto a significato, al bronzetto del sacerdote sardo. Fibule in quantità incredibile, foggia di esse (a disco, a spirale, con svastiche di vario genere), l’urna cineraria con altri motivi a svastica, con aspetti geometrici indicanti la forza, la continuità ecc., il singolare contenitore stesso dell’urna in forma manifestamente fallica e così via elencando, costituiscono una enorme somma simbolica, struggente per la sua intensità, manifestazione questa di un grido intensissimo di dolore, perché le due defunte (perite insieme in qualche tragico incidente?) ottengano dalla divinità (anzi dalla doppia divinità, perché ad agire sono, contemporaneamente, il dio androgino soli -lunare nuragico e quello etrusco) l’immortalità e la prosecuzione della vita nell’aldilà.
Il bronzetto di Cavalupo dunque, così come tutti i bronzetti sardi di qualsiasi tipologia (navicelle, guerrieri, sacerdoti e sacerdotesse, animali, oggetti, ecc.), risulta essere, in ambito funerario (31), una composizione scritta metagrafica, un ‘attestato’ di petizione (si chiede per ottenere) dove è riposta, del tutto nascosta, la formula magica apotropaica che, anche se spesso variata e ottenuta in mille modi (32), rimane in fondo sempre la stessa. Nella formula è presente, come in tutti i manufatti del culto di questo tipo, una esortazione scritta al ‘sostegno’, all’ aiuto sicuro, alla garanzia di salvezza e dello scansare il negativo che si raggiungono attraverso l’energia, pressochè totale, della divinità. Nel nostro caso il dio androgino sardo ‘difende’, è ‘attento e vigile’, è ‘potente’, ‘ripara’, ‘protegge’ nel difficile e incerto viaggio degli inferi. Le defunte invocano, attraverso un tramite straordinario, tutto quell’immenso vigore per i pericoli e le ostilità che si ergono contro l’aspettativa del ‘farcela’, ovvero dell’esito positivo di un ritorno alla vita e alla luce. Ideologia della ‘salvezza’, attraverso il ricorso alla magia della formula sacra scritta per il dio, che risulta, come si vede, identica sia in nuragico che in etrusco. Tanto che sotto questo aspetto si può dire che il ‘modesto’ bronzetto per significato valga il sarcofago o l’urna etrusca, veri e propri attestati anche questi ultimi di nascoste petizioni scritte per ottenere l’aiuto della divinità. Così come petizioni, ossessivamente reiterate, risultano tutti gli elementi del corredo funerario delle due donne (33) che altro non sono se non simboli ‘scritti’ analoghi, quanto a significato, al bronzetto del sacerdote sardo. Fibule in quantità incredibile, foggia di esse (a disco, a spirale, con svastiche di vario genere), l’urna cineraria con altri motivi a svastica, con aspetti geometrici indicanti la forza, la continuità ecc., il singolare contenitore stesso dell’urna in forma manifestamente fallica e così via elencando, costituiscono una enorme somma simbolica, struggente per la sua intensità, manifestazione questa di un grido intensissimo di dolore, perché le due defunte (perite insieme in qualche tragico incidente?) ottengano dalla divinità (anzi dalla doppia divinità, perché ad agire sono, contemporaneamente, il dio androgino soli -lunare nuragico e quello etrusco) l’immortalità e la prosecuzione della vita nell’aldilà.
Il bronzetto e gli altri due oggetti sardi si inseriscono dunque in
un contesto tombale del
tutto organico per significato
religioso. Non costituiscono accessori solo
denotanti prestigio e rango e, magari, etnia. Sono anch’essi organici al tutto,
simboli forti tra simboli forti. L’organicità è data dalla identità di
contenuti spiegabili, ovviamente, per identità di vedute religiose
basate sulla concezione di un dio
androgino (yh per i nuragici e Tin /Uni per gli etruschi), che è
soprattutto ‘salvatore’, così come salvatori risultano sempre un ‘padre’ e una
‘madre’ (apac atic) secondo la formula
razionalistica e naturalistica MF, inventata dai nuragici ma brillantemente
modificata (forse) dagli scribi etruschi con le apposizioni date alla divinità
doppia o androgina. Infatti, come si può facilmente notare, le qualità del dio espresse
nell’invocazione possono essere tranquillamente riferite a quelle dei genitori
terreni: come questi aiutano (sostengono) sempre la loro creatura, fanno di ‘tutto’ e
nulla trascurano affinché essa possa procedere sana e salva nella sua vita,
così affettuosi, premurosi e disponibili sostenitori
i fedeli immaginano, dopo la morte, i loro genitori celesti.
Specificato
‘cosa’ è e a ‘cosa’ serviva quello specifico oggetto ora però è tempo di
domandarci: chi è, chi mai rappresenta
un bronzetto che si presenta in quella singolarissima foggia? Un dio non è
perché abbiamo visto che è un sacerdote. Un sacerdote però potentissimo o sommo
sacerdote come quello al quale solo è consentito, con tutte le precauzioni del
caso, di entrare e di presentarsi nella tenda del convegno davanti al Signore. Un
Gran Sacerdote sul quale e ‘con’ il quale è applicata la formula di invocazione
per la salvezza. Ma riusciamo a sapere
qualcosa di più su di esso?
Innanzitutto vediamo di mettere in rilievo un particolare interessantissimo
del bronzetto che riteniamo non possa essere sfuggito dopo tutta l’analisi particolareggiata
che si è eseguita. Esso è stato studiato e congegnato dallo scriba artigiano sardo
per dare l’idea, con il suo aspetto, che il personaggio sacerdote è tutto
pelle. Infatti, di pelle è il pileus,
di pelle lo scudo, di pelle sono il guanto, il manicotto e il tamburello, di
pelle è l’abito e di pelle infine sono i calzari. Dalla testa ai piedi la figura è tutta rivestita di pelle. Se detta pelle è
‘taurina’, come suggerisce l’ampiezza e la necessaria robustezza dello scudo
avvolgente, ci troviamo di fronte ad un personaggio che è ‘tutto toro’, ad un pantauros ovvero ad un personaggio che è ‘rivestito’ nel profondo della potentissima
formula sacra ma è anche rivestito completamente in superficie del materiale
tratto da un animale che per antonomasia manifesta la potenza. Se dunque la
formula nascosta della preghiera appartiene al dio androgino (yh), parla di ‘lui’, la potenza taurina
appartiene invece al personaggio. Questo vorrebbe dire che la formula d’invocazione
è fatta passare, è mediata e inoltrata attraverso un uomo di altissimo
rango, attraverso un sommo sacerdote che è anche - per così dire - ‘sommo toro’ (34). E questi, per
logica, non può che essere, data la sua
potenza straordinaria in grado di riportare la formula sacra per il dio, se non
un figlio simile in qualche modo al padre, ugualmente ‘taurino’ con la sua forza straordinaria di intervento salvifico. Il bronzetto resta dunque
sempre, come infiniti altri, un pretesto
per la scrittura ma esso si configura come pretesto singolarmente efficace data la caratura del
personaggio. Si potrebbe dire che c’è una doppia potenza taurina ‘scritta’ che
interviene a favore delle due defunte contenute nell’urna della tomba etrusca.
Ora, si sa che gli archeologi
tutti, hanno trovato subito facile, data la straordinaria somiglianza,
paragonare una delle statue dei cosiddetti ‘guerrieri’ dell’ heroon
di Monte ‘e Prama (35), rinvenuta di recente e di recente
esposta nel museo di Cabras, al bronzetto della tomba di Cavalupo. Tanto singolare
somiglianza che hanno chiamato ‘gemelle’
la statuina in bronzo e la grande statua in pietra arenaria (figg.3 e 11). Chi ha
realizzata l’una sapeva bene dell’esistenza dell’altra.
Fig.
11. Statua di Monte ‘e prama con foto
indicante la somiglianza tra i due manufatti
Questo dato allora, secondo noi, vuol dire una cosa sola: che nella tomba di Cavalupo è finito un bronzetto d’eccezione per magnificenza in quanto alludente ad una (o più?) statua di Monte ‘e Prama, forse ad un personaggio ben preciso (36) per il quale i nuragici avevano ideato e composto quella determinata opera. E vuol dire ancora, secondo l’interpretazione che abbiamo dato del bronzetto di Cavalupo, che quel personaggio di Monte ‘e Prama, per noi sconosciuto, era un Sommo Sacerdote, un ‘toro’ sacerdote che svolgeva anche lui il compito straordinario di presentarsi davanti al Signore nella tenda del convegno e di poter parlare eccezionalmente con lui. E vuol dire ancora che attraverso quel sacerdote toro, attraverso la statua ‘scritta’ (con lo stesso evidente significato del bronzetto della tomba etrusca) di quel personaggio sepolto, vicinissimo per essenza al dio (un semidio), era possibile invocare, ‘parlando’ con la divinità, la sua totale protezione. Si comprende così che, per i nuragici, le preghiere e le invocazioni degli uomini per il dio, onde avere maggiore efficacia e successo, dovevano essere possibilmente indirette, avere un tramite di grande potenza (37). E potrebbe voler dire infine che, date le singolarissime statue, tutte eguali con e per ‘occhi bovini’ (38), tutte di santi ‘guerrieri’ variamente armati, tutti con manifeste fattezze somatiche taurine (tutte insomma di ‘giganti’ e non di piccoli uomini mortali), i nobili personaggi sepolti a Monte ‘e Prama erano, con buona probabilità, non solo re e giudici (39) ma anche sommi sacerdoti .
Questo dato allora, secondo noi, vuol dire una cosa sola: che nella tomba di Cavalupo è finito un bronzetto d’eccezione per magnificenza in quanto alludente ad una (o più?) statua di Monte ‘e Prama, forse ad un personaggio ben preciso (36) per il quale i nuragici avevano ideato e composto quella determinata opera. E vuol dire ancora, secondo l’interpretazione che abbiamo dato del bronzetto di Cavalupo, che quel personaggio di Monte ‘e Prama, per noi sconosciuto, era un Sommo Sacerdote, un ‘toro’ sacerdote che svolgeva anche lui il compito straordinario di presentarsi davanti al Signore nella tenda del convegno e di poter parlare eccezionalmente con lui. E vuol dire ancora che attraverso quel sacerdote toro, attraverso la statua ‘scritta’ (con lo stesso evidente significato del bronzetto della tomba etrusca) di quel personaggio sepolto, vicinissimo per essenza al dio (un semidio), era possibile invocare, ‘parlando’ con la divinità, la sua totale protezione. Si comprende così che, per i nuragici, le preghiere e le invocazioni degli uomini per il dio, onde avere maggiore efficacia e successo, dovevano essere possibilmente indirette, avere un tramite di grande potenza (37). E potrebbe voler dire infine che, date le singolarissime statue, tutte eguali con e per ‘occhi bovini’ (38), tutte di santi ‘guerrieri’ variamente armati, tutti con manifeste fattezze somatiche taurine (tutte insomma di ‘giganti’ e non di piccoli uomini mortali), i nobili personaggi sepolti a Monte ‘e Prama erano, con buona probabilità, non solo re e giudici (39) ma anche sommi sacerdoti .
Se così è, la lunga schiera e il
lungo percorso degli eroi immortali di Monte ‘e Prama, tomba dopo tomba, non era solo quello, come è stato detto, di
personaggi in armi (magari rivolti verso il mare del Sinis a proteggere simbolicamente, con archi, frecce, spade,
guantoni e quant’altro) ma anche di personaggi santi combattenti, difensori e liberatori,
di strenui intercessori (40), ognuno in virtù d’essere figlio del ‘toro della luce’ (nl’ak)
e ‘toro della luce’ anch’egli, per la gente comune, per il ‘popolo’ che ad essi ricorreva per poter invocare e parlare
proficuamente col padre (e madre) toro celeste o creatore supremo. Se così è quelle statue risulterebbero di proposito ambigue
(41):
quell’ostentato armamento intenderebbe
esaltare la magnificenza e la potenza di rango dei personaggi sepolti ma nel
contempo esaltare la potenza della loro santità per essere figli ‘divini’ e in
grado di poter interloquire con il padre loro. Il simbolismo della singolarissima
statua ‘taurina’ riguarderebbe dunque non solo il piano della gloria ‘militare’ terrena ma anche (forse soprattutto) di quella religiosa. Se così è dobbiamo constatare e
ammettere che i sublimi muscolosi atleti
santi, i poderosi intercessori e salvatori li abbiamo intesi,
erroneamente, chi più chi meno, solo e semplicemente come laici guerrieri adusi a
poderose e cruente battaglie (42), fuori o dentro l’isola di Sardegna. Mentre erano ancora tanto altro. Con tanto di nascosto.
Se così è infine, se la nostra lettura sulla pregnanza di significato, condotta su base rigorosamente documentaria sardo - etrusca,
risulta giusta e attendibile, vuol dire che nella collina di Monte ‘e Prama si trovava il più grande santuario nuragico della Sardegna, il pantheon ‘nazionale’ degli
eroi o
semidei (ἕρωες) sardi, in vita e in terra magnifici re e giudici e, da
morti e
in cielo, santi avvocati, guerrieri difensori
e salvatori del popolo; luogo sacro per lunghissimo tempo (dal XIII - al VII
secolo a.C., stando ai dati scientifici archeometrici) presso il quale si
recavano le popolazioni sarde per ottenere grazie, prosperità e salute: un
cimitero monumentale di certo frequentatissimo dato il prestigio e il rango eccezionale
delle persone ivi sepolte e raffigurate e la potenza collettiva di tutta quella
santità. Potrebbe essere stata quella straordinaria grandezza, sotto ogni aspetto, il motivo dell'odio e della sua distruzione
Note e indicazioni
bibliografiche
1. Si
tratta di una donna adulta tra i 25 e i 35 anni e di una giovane (o di un giovane) di 8 -10
anni collocati e deposti simultaneamente assieme nell’urna (Vargiu R., Analisi antropologica dei resti incinerati
; in Arancio
M.L. , Moretti Sgubini A.M. , 2008, Pellegrini E., “Corredi funerari
femminili di rango ecc., cit. Appendice II, p. 199) di ‘ altissimo rango’.
2. LIlliu
G., Sculture della Sardegna antica
(saggio intr. di A. Moravetti), Ilisso, 2008, n. 111 pp. 284 -287.
3. Arancio M.L. ,
Moretti Sgubini A.M. , Pellegrini E., 2008 “Corredi funerari femminili
di rango a Vulci nella prima età del Ferro: il caso della tomba dei Bronzetti
sardi”, in N. Negroni Catacchio (ed.), L’alba dell’Etruria Fenomeni di continuità e trasformazione nei
secoli XII-VIII a.C., Atti del Nono Incontro di Studi Valentano (Vt) -
Pitigliano (Gr), 12-14 Settembre, 2010 by Centro Studi di Preistoria e
Archeologia.
4.
Si veda il nostro recente contributo e la bibliografia in esso contenuta: http://maimoniblog.blogspot.it/2017/12/scrittura-etrusca-due-piatti-tra-i.html#more
5.
Si veda Lilliu, Sculture della Sardegna,
ecc. cit. Quando il copricapo di distinzione
non c’è lo scriba ricorre ad altro
per sostituirlo nel concetto, ovvero nell’idea che consente alla voce di
rendere la stessa acrofonia.
6.
Le difficoltà nell’interpretazione dei particolari dei bronzetti sardi sono
numerose. Una di esse è data dal fatto che non poche volte non si riesce a
comprendere se essa riguardi l’oggetto , la ‘cosa’ in sé, oppure ciò che essa tende a notare. Di
ciò abbiamo parlato più volte ma sarà bene ripeterlo. Ad es. l’acrofonia
potrebbe derivare dalla voce ‘coda’ (la ‘cosa’) ma anche da quello che essa
suggerisce con il suo aspetto (arcuata, distesa, irritata, ecc.). Qualche volta
sembra notarsi una certa ridondanza e quindi entrambe le interpretazioni risultano
possibili. Spesso è solo il confronto sardo nuragico - etrusco che tende ad
annullare dubbi e incertezze. In ogni caso sarà bene ricordare e sottolineare
che lo studio della particolare scrittura metragrafica sardo - etrusca ha
bisogno del tempo necessario per consolidarsi. Come sempre ci vuole molta
pazienza nella ricerca e i cosiddetti ‘ripensamenti’ (vale a dire le correzioni
parziali o totali di quanto si è detto) sono - come si sa - nella normalità.
L’importante però è aver capito a sufficienza come funziona ‘grosso modo’ il
meccanismo e quali sono le norme fondamentali, le convenzioni che permettono di
intendere significanti e significati particolari che danno corpo al senso
generale.
7.
Questa voce, in quanto pronominale, è
organica al pensiero religioso dominante circa il nome della divinità, da
scriversi ed esprimersi questa il meno possibile. La ormai ricca documentazione
del nuragico in nostro possesso permette oggi di affermare con sicurezza che il
nome del dio (yh, yhh, yhw,yhwh)
raramente veniva scritto e quando lo era si faceva in modo di renderlo quanto
mai oscuro e nascosto. Per esempio yhwh
è scritto con agglutinamento e lettere rare come mostra il crittogramma inciso nel masso custodito nei
locali del comune di Aidomaggiore: Sanna
G. 2013, Aidomaggiore (Sardegna). Il tetragramma/crittogramma di YHWH per la prima volta nella storia
della scrittura, in monteprama.blogspot (27
maggio). Altro modo criptato è naturalmente quello, comunissimo, presente
soprattutto nei recipienti dedicati al culto, della sigla ‘y’, ovvero della
consonante ‘yod’ (la mano, la potenza del
dio) comicamente detta dagli archeologi ‘lettera a forcella’. Espediente sempre
più pietoso per evitare l’imbarazzo di
pronunciare il suo vero nome alfabetico e per negare così
l’innegabile.
8.
2008, Sculture della Sardegna nuragica, ecc. cit. n. 111, p. 286.
9. L’occhio di bue (era credenza antica,
assai diffusa, che la vista dell’animale fosse potente quanto l’animale
stesso) già a partire dall’egiziano è
l’occhio ampio e luminoso che tutto vede e tutto sa. E’ l’occhio di Ra e, nel contempo, l’occhio del Faraone
suo figlio. E’ appena il caso di ricordare che l’occhio di bue è uno dei segni che più di tutti gli altri
caratterizzano (e non a caso, come vedremo) le statue di Monte ‘e Prama. Si può dire che esso è il segno ‘fondamentale’,
come quello che accomuna tutte le statue; tanto da potersi dire che tutti i ‘giganti’ sono,
soprattutto, ‘occhi di bue’. Tutti, senza eccezione, sono ‘βοώπιδες’.
10. Arancio M.L.,
Moretti Sgubini A.M. ,Pellegrini E,., 2008 “Corredi funerari femminili
di rango a Vulci nella prima età del Ferro: il caso della tomba dei Bronzetti
sardi”, cit. pp. 178, 181, 183, 186.
11.
Arancio
M.L. , Moretti Sgubini A.M. , Pellegrini E., 2008 Corredi
funerari femminili di rango a Vulci nella prima età del ferro: il caso, ecc.
cit. pp. 190 - 191.
12. Arancio M.L. ,
Moretti Sgubini A.M. , 2008, Pellegrini E., Corredi
funerari femminili di rango a Vulci nella prima età del ferro: il caso, ecc.
p. …
13.
La regola del metagrafico non è
rigida. Dall’esame di non pochi documenti sembra evincersi che l’applicazione
di esso può riguardare (come dimostrano alcuni manufatti sia nuragici che
etruschi) solo il criterio numerico o solo quello ideografico, oppure
l’ideografia e l’acrofonia assieme ma non
la numerologia. Come sempre la crittografia (si pensi a quella ‘amunica’
egiziana: Atropa Belladonna, 2013, Gli scarabei sigillo
della Sardegna e la scrittura segreta del Dio nascosto; in Monte Prama
blog (26 ottobre) non si fa afferrare docilmente e, non di rado, lascia ampio
spazio al dubbio interpretativo.
14.
Sanna G. http://maimoniblog.blogspot.it/2017/02/scrittura-metagrafica-dei-sarcofaghi.html#more
15.
Il bronzetto sorsense di Serra Niedda può essere preso come uno dei ‘testi’ più belli e più chiari
dell’uso della scrittura nuragica ideografica, numerologica e acrofonica. Di esso ci occuperemo in un
altro articolo riguardante altri bronzi sempre provenienti dallo stesso
santuario nuragico.
16.
Sembra quasi impossibile credere che due ideogrammi etruschi come ‘anello
sigillo’ e ‘cuscino’ possano dire la stessa cosa, suggerire lo stesso identico concetto,
di due ideogrammi nuragici realizzati invece con uno ‘zoccolo bronzeo ’ e un
‘muflone tenuto a guinzaglio’! Eppure le
cose stanno così. La fantasia degli uni e degli altri è incredibile e la
consonanza di realizzazione dell’ideografico con audacia è tale che rende
plausibile l’ipotesi che in un certo momento della storia etrusca antica gruppi
consistenti di sardi si siano trasferiti in Etruria portando con se la cultura
religiosa, compresa quella linguistica, sacerdotale
-scribale. Qui però essa, attraverso canali e momenti sconosciuti, tutti da
scoprire, è rimasta identica nella sostanza ma non nella forma, modificata
questa e arricchita in modo del tutto nuovo e, sotto non pochi aspetti, antitetica a quella di origine. In
Sardegna povertà ed essenzialità governano
e informano le manifestazioni del culto e del rito, impongono solo allusioni e rigoroso
simbolismo. In Etruria troviamo invece, ferma restando la cripticità dei
messaggi, ricchezza, abbondanza e sfarzo.
Per capirlo bene si pensi ad un caso analogo di un bronzetto nuragico apotropaico
trovato in una sepolcro a pozzetto di Antas
di Fluminimaggiore (Zucca R.,1989, Il tempio di Antas, Delfino Sassari, pp.
27 -31), dove l’inumato sta in una
misera fossa, con pochi e semplici anche se altamente simbolici, oggetti di corredo, ‘sostenendo’
con una mano il suddetto bronzetto. Non si deve pensare minimamente che l’inumato
fosse una persona di basso rango e che il corredo fosse povero di conseguenza.
Dobbiamo invece pensare alla regola della
sepoltura con gli oggetti solo simbolici e per nulla ‘decorativi’ o attinenti a
magnificenza o gloria terrena. Quello di Antas
è lo stesso preciso rigoroso modo di
inumare gli eroi di Monte ‘e Prama
dove persino il ‘ricco’ corredo della tomba n. 25, che si distingue da tutti
gli altri, è ben poca cosa dal punto di vista materiale mentre è ‘molto’ invece
da quello spirituale simbolico. Quindi identità di ‘religio’ tra Sardi ed
Etruschi, stesso modo di ideare i rebus con l’uso di una certa scrittura, ma
diversità enorme nell’applicazione esteriore del ‘decus’. Quasi che in Etruria,
molto prima dei noti influssi del lusso
e del ‘bello’ della Magna Grecia, fossero
giunti (in periodo villanoviano?) dei sardi shrdn egittofili, artisticamente
liberi e aperti, in scarsa sintonia di gusto e oppositori al modo rude e severo
di intendere e condurre la vita. La dicotomia storica tra shrdn irriducibili
antiegiziani e quelli apertamente (persino troppo) filo egiziani può ravvisarsi
in questa manifesta differenza di usi e costumi che si manifesta in Etruria? L’avventura
storica dei Sardi Shrdn in Egitto, luogo di magnificenza regale per eccellenza,
non potrebbe aver creato una insanabile frattura ‘culturale’ e ‘religiosa’ nell’elite nobiliare - sacerdotale dominante, l’esito della quale sarebbe stato
non solo la divisione in Egitto ma anche quella in Sardegna? La ‘chiesa povera’
dominante, i sacerdoti rigoristi della tradizione, i seguaci della antichissima cultura religiosa ‘cananaica’, non potrebbero aver 'costretto' ad emigrare
quella ‘eretica’, aperta alle seduzioni dell’esteriorità?
17.
Il disegno confonde e tende (forse a bella posta) a dare l’idea dell’offesa.
Invece le armi (lance, spade, stocchi, pugnali, archi, ecc.) sono posti sia in
etrusco che in nuragico per dare il significato contrario, perché si vuole alludere che è attraverso di
esse che opera la difesa della divinità.
18.
Sanna G., http://maimoniblog.blogspot.it/2017/05/scrittura-etrusca-solleva-distende.html#more. Io penso che uno dei motivi che hanno indotto gli
Etruschi a trasformare le urne in sarcofaghi (contenitori non pertinenti - come
si sa - perché essi non contengono
corpi) o, perlomeno, a preferirli ad esse, sia stata la possibilità di
aggiungere più decoro, sfarzo e pompa alla scarna e ripetitiva formula
dell’urna. Un sarcofago si prestava molto meglio alla monumentalità e dava agli
artisti, in quanto ampio e vario supporto, la possibilità notevolissima di ‘variatio’, usando
soggetti vari (astratti, della vita quotidiana, del mito, della storia, ecc.)
pur nel rispetto della ‘petitio’ (v. più avanti) formulare fondamentale nei confronti
della divinità.
20.
Esodo,
33 -35.
21.
Lilliu G.,2008, Sculture della Sardegna nuragica, ecc. cit. n. 113, p. 290.
22.
‘ Minuscoli risalti tondeggianti’ : Lilliu G., 2008, Sculture
della Sardegna antica, ecc. cit. n. 111,
p. 290
23.
Vargiu R., Analisi antropologica dei
resti incinerati; in Arancio M.L. , Moretti Sgubini A.M. , 2008, Pellegrini
E., “Corredi funerari femminili di rango ecc., cit. Appendice II, p. 199.
24.
Il caso più frequente sembra essere quello di realizzare a rebus l’idea di
‘sostegno’ nel coperchio e quello di ‘difesa’ nella cassa. Si veda come esempio
la fig. n. 6.
25.
Lilliu G., 2008, Sculture della Sardegna nuragica, ecc. cit. n. 100, pp. 263 -265.
26.
Ritorneremo ancora sull’argomento per fornire, possibilmente, anche dei dati
statistici. Per ora basterà tener presente che il bronzetto è realizzato,
talvolta, con il solo intento di
scrivere la voce ‘sostegno’ seguita dalla specificazione di esso, ovvero del Maschio-Femmina, cioè dal padre e dalla
madre (il dio androgino). Si veda il celeberrimo bronzetto denominato ‘la nuda’
dal Lilliu (Sculture della Sardegna nuragica
ecc. ,cit. n. 185, pp. 381 -383). Lo studioso non ha capito quasi niente della caratura altamente
religiosa del manufatto con ideografia dell’androgino; manufatto con immagine
ritenuta di ‘mostruosa bestialità’ e con un volto di quasi introvabile ‘violenta e aggressiva
laidità’. Vittima del suo pregiudizio sui bronzetti esito di arte ‘decorativa’
e ‘ornamentale’ da parte di artigiani che
tenevano bottega presso gli edifici templari oppure girovaghi ha pensato, al massimo, ad una immagine di una ‘devota’ desunta dalla
cultura iconografica dei Fenici della costa riguardante ‘una deità fenicia
naturalistica’ (una versione di Astarot)’. ‘En passant’ diciamo che da questo bronzetto e da altri
simili, con ideografia MF ovvero Padre/ Madre, è verosimile che sia partito il suggerimento
che ha determinato la fortunata formula cardine ‘apac atic’ (e padre e madre) tanto cara alla cultura
scribale dei santuari degli Etruschi.
27.
Lilliu G., 2008, Sculture della Sardegna nuragica, ecc. cit. pp. 242 - 245.
28.
Sbaglierò ma a me l’uso (antichissimo a detta degli studiosi) degli israeliti di inserire nelle cavità del Kotel (il cosiddetto muro del pianto) di Gerusalemme dei
foglietti con richieste o petizioni scritte a yhwh, ricorda tanto, per la chiara simbologia del ‘fissare’ per
iscritto la preghiera, l’uso nuragico dei bronzetti ‘scritti’ inseriti nelle
cavità del tempio nuraghe o in altri edifici di culto. E’ evidente però che se
la consonanza fosse reale e non ipotetica, data la specifica cultura religiosa dello yhwh dei nuragici, ai cananei
andrebbe ricondotto e non tanto agli ebrei l’uso dell’inserimento o del fissaggio del messaggio scritto per la
divinità. La stessa scrittura dei bronzetti su base linguistica semitica potrebbe
rendere plausibile l’ipotesi.
29.
Forse guardie armate con il verudu,
berrudu (verruto) rimasto dalla tradizione nell’armamento medioevale sardo
giudicale ’ (kita de berrudu). Per
questa voce si veda Wagner, DES, Dizionario
etimologico sardo (a cura di G.Paulis) pp. 163 -164.
30.
Lilliu G., 1967, La civiltà dei sardi dal neolitico all’età dei nuraghi (pref. di A.
Segni) ERI ed. Torino, pp. 330 - 335.
31.
L’ambito d’uso dei bronzetti sembra essere stato vario: quello funerario, quello templare e anche di
uso domestico. Il fatto si spiega con la natura apotropaica dell’oggetto e con
la formula magica scritta in esso nascosta che è quella dell’aiuto potente della
divinità. Detto aiuto, contro le avversità, difficoltà e i pericoli (il
negativo in genere), naturalmente poteva riguardare il devoto in vita (e quindi
l’uso di esso nel fissaggio nelle tavole dei templi o la deposizione nelle
case) oppure nella sua dipartita (e quindi l’uso nelle tombe).
32.
E questa ‘variatio’ continua che stordisce e fa sì che spesso il bronzetto
sfugga all’immediata comprensione. Pur non variando sostanzialmente la formula, la ricchezza dei ritrovati
significanti è tale che, a parte il capire dove stiano l’ideografia e l’acrofonia, il rebus non si
scioglie se non con prolungata riflessione. Quando poi le allusioni
sono assai sofisticate (si pensi, nel nostro caso, al dato del sacerdote che porta guanto e
tamburello cerimoniale oppure agli oggetti di ‘pelle’ di cui è
‘significativamente’ cosparso) c’è il rischio che l’interpretazione si fondi su
basi precarie, solo analogiche o contestuali oppure che essa, senza volerlo, rimanga monca.
33.
V. nota 10.
34.
Forse sarà bene sottolineare il dato che la taurinicità
del bronzetto è simbolizzata anche dal fallo (fallo e toro per i nuragici, come
per gli egiziani, volevano dire la stessa cosa e pertanto interscambiabili) che
lo scriba ha significativamente realizzato in modo del tutto nascosto dietro la
parte bassa dello scudo avvolgente. Un dettaglio quindi che dettaglio non è ma
simbolo importante che si aggiunge chiaramente ai significanti, ugualmente
criptati, che realizzano il ‘pantauros’.
Si tenga presente, per corroborare il dato fallo = toro, che anche nel bronzetto ‘musico e ballerino’
del corpus dei bronzi studiati dal Lilliu, in modo del tutto simile, il fallo
del Gran Sacerdote è realizzato nascostamente dietro l’ampio mantello di pelle.
Del tutto invisibile se uno non capovolge il bronzetto. Il Lilliu tenta una
spiegazione intelligente e plausibile della stranezza e la butta in chiave decorativo - rituale ma è ben lontano dal riuscire a spiegare il
vero intento dello scriba: ‘al corpo
aderisce una tunica che si può scorgere guardando la statuina da sotto in su;
allo stesso modo è dato vedere il sesso maschile del personaggio che l’artigiano
si è preoccupato di indicare pur non esibendolo. Infatti, nel suo intento,
veste e membro virile dovevano rimanere nascosti per non disturbare la visione
del manto di valore primario ed assoluto. Chè il manto, nella figurazione, risalta
come elemento decorativo e rituale nel contempo, e con la pompa d’un sacro
paramento (Lilliu G., 2008, Sculture della Sardegna nuragica, ecc.
cit. n. 113, p. 290)
35.
Bedini A - Tronchetti C. - Ugas G. -
Zucca R., 2012, Giganti di pietra. Monte Prama. L’Heroon che cambia la storia della
Sardegna e del Mediterraneo, Fabula ed., Cagliari.
36.
Tre dei sigilli cerimoniali di Tzricotu
del Sinis di Cabras (dei quali - si ricordi - di recente sono stati trovati, da parte dell’avv.
Mariano Dsogus, dei nuovi calchi nel laboratorio dell’odontotecnico di Oristano
Ninni Blumenthal: Sanna G., 2016, I
geroglifici dei Giganti. Introduzione allo studio della scrittura nuragica,
PTM ed. Mogoro, 2. pp. 29 32, fig. 1 bis) mostrano che i ‘figli giganti’ (ggh[n]loy) del toro e ‘tori’
anch’essi avevano un praenomen, un nomen, un cognomen (Sanna G., 2004, Sardōa grammata.’ag ’ab sa ‘an yhwh. Il dio unico del popolo
nuragico, S’alvure ed. Oristano, pp.
85 -179; 487 -513; pp. 541 - 551) . Detti sigilli, rinvenuti con ogni probabilità in un archivio, suggeriscono che anche
le statue pertinenti ai singoli inumati ‘giganti’ di Monte Prama fossero, in qualche modo, denominate e
riconoscibili. Non è possibile pensare che quel cimitero, con così tante
statue, composte nello spazio di cinque secoli e più (XIII - VII secolo a.C.), fosse
un Heroon di ‘Eroi’ (semidei, uomini
divinizzati) del tutto anonimi. Tanto più se, come vedremo, quei semidei erano
‘santi’ e, con ogni probabilità, in quanto tali, singolarmente venerati.
37. L’uso del ‘figlio del Dio’, il prestigioso faraone come tramite ed ‘intercessore’ per i defunti, è della cultura degli scarabei funerari egiziani, anche di fattura sarda (Sanna G., 2012, Lo scarabeo di Monte Sirai. L'obelisco di Amun Ra e di Yhh Nl. Faraoni santi egiziani e 'padri' santi nuragici; in gianfrancopintore blog pot.com (23 aprile). Sarà utile, crediamo, perché assai pertinente, riportare qui la nostra interpretazione circa il contenuto dello spillone nuragico scritto di Antas di Fluminimaggiore. Quell’oggetto, stranissimamente risultante ‘scritto’ (perché funge da supporto con una superficie che poco o nulla si presta all’uopo), considerato il contesto funerario, ha il chiaro significato di ‘stabilità o ‘sostegno sicuro’ dato dalla ‘forza’ (kaph) di Gayni (un santo nuragico sicuramente re e figlio del Dio). Assume quindi (con la sua scrittura ‘nascosta’ piccolissima in un minuscolo oggetto) lo stesso preciso valore simbolico del bronzetto ‘scritto’ di Cavalupo: il nuragico defunto della tomba di Antas reca con se una ‘petizione’, per quanto riguarda la sua salvezza nella vita futura, con la mediazione di un personaggio d’eccezione intercessore, un santo sicuramente santissimo (si pensi alla enorme diffusione anche in epoca storica fino ai giorni nostri del culto di Gayni) che fa da ‘sponsor’ tutelandolo con tutta la sua forza. V. Sanna G., 2013, Un santo nuragico e uno spillo sardo - egizio per l'eternità; in Monte prama blog (28 aprile). E dire che, anche per i chiari, evidentissimi segni alfabetici dello spillone si è detto, perché non compresi o fraintesi, che sono grafemi senza significato!
38.
Si è stentato molto a comprendere il motivo per cui tutte le statue di Monte ‘e Prama avessero, quasi come
segno precipuo di distinzione, gli ‘occhi di bue’. C’è chi ha parlato di
semplice geometrismo ‘orientalizzante’, chi di occhi ‘solari’ o soli - lunari,
chi di espressionismo stilistico astratto. Ora il bronzetto di Cavalupo (ed
altri ancora), in virtù della comprensione della formula del ‘sostegno’ ci fa
capire il motivo di quel doppio cerchio che rende l’idea della vista
‘penetrante’, ‘acuta’, ‘attenta’, ‘sempre vigile’. Tutte le statue, così’ come
i bronzetti, si caratterizzano per
essere di guerrieri dalla vista 'bovina' ovvero 'molto
acuta'. Naturalmente sono possibili anche altre interpretazioni perché il
segno, come accade spesso in nuragico, è pregnante e può alludere a più
significati. Per esempio alla potenza della luce o ai due astri, ovvero all’androgino
(yh), sole e luna, padre e madre.
39.
Non pochi indizi fanno pensare che gli inumati di Monte ‘e Prama fossero ‘signori giudici’ e cioè Shrdn. Per esempio il fatto che alcune
statue riportano il ‘pettorale del giudizio’ (ancora inteso e detto erroneamente
dall’ermeneutica archeologica ‘piastra
di difesa’ per il combattimento) e, soprattutto, la strana postura di tutti corpi
degli inumati ‘seduti’ (Atropa Belladonna, 2016, Seduti
in fila, ma perché; in Maymoni blog (4 ottobre); eadem, 2016, I
Nasamoni di Erodoto, i dormienti di Monte Prama e i ( pochi) altri: l’enigma
millenario dei defunti seduti rannicchiati in verticale; in Maymoni blog
(12 ottobre). A ciò va aggiunto il fatto che non pochi documenti scritti
nuragici registrano con chiarezza la voce shrdn
come apposizione del dio (IL YH): ciondolo di Pranu Antas di Allai, coccio del Nuraghe Alvu di Pozzomaggiore, Stele
di Nora, concio della chiesa di San
Pietro extra muros di Bosa, ecc.).
Essendo i ‘giganti’ di Monte ‘e Prama
‘figli del Dio’ si ricava, per via indiretta, che anche gli inumati fossero
‘signori giudici’. Queste prove sui giganti shrdn
le riteniamo sufficienti e probanti ma restiamo convinti che gli ulteriori
scavi nella collina del Sinis, così come ci hanno consentito di ricavare dati
impensabili riguardanti il bronzetto apotropaico di Cavalupo e il suo preciso
significato, consentiranno anche di focalizzare meglio l’identità dei
nobilissimi principi nuragici.
40.
Non ci sarebbe niente di nuovo in tutto ciò data la religione, ancora con
aspetti molto arcaici, dei Sardi. Le testimonianze orali e scritte della
devozione, in lingua sarda, insistono nel dire che i santi della Sardegna sono,
nei tipici gosos/goccius, celebrati e
cantati come combattenti valorosi, paladini, difensori, intercessori, liberatori e,
assai significativamente, avvocati.
Si vedano di Sant’efisio, per noi
santo nuragico attestato nella stele di Nora (Sanna G., La stele di Nora. Il dio, il dono, il santo. The God, the Gift, the
Saint, pp. 88 - 91), questi passi di
uno dei tanti Goccius composti in suo
onore: Protettori poderosu/ De Sardigna speziali/liberanosì de mali/Efisi Martiri
gloriosu/ … De
Casteddu appassionau/ sempri sias difensori/
sighei a essiri intercessori/ Efis
martiri sagrau. In uno dei Goggius
per San Lussorio martire (sicuramente
altro santo nuragico e non cristiano),
il santo nel ‘ritornello’, cioè nel verso più importante e significativo
di tutto il lungo componimento, viene chiamato ‘intercessori’ e ‘avocau’:
Siais
nostu intercessori Luxori santu avocau. Naturalmente
si può obiettare che i gosos/goggius
sono composizioni letterarie assai più recenti e di influenza catalana (goigs) e poi spagnola. Ma ciò è vero solo dal punto di vista metrico
formale non di certi contenuti. Questi ultimi possono essersi innestati in una
antica e forse antichissima tradizione di canti (e forse di balli cantati)
‘pagani’ (e cioè nuragici) che si perdono nella notte dei tempi. Si sa che i
nuragici, per attestazione degli stessi bronzetti, conoscevano bene la musica e
gli strumenti musicali (Ortu P.,2007, Considerazioni
ed ipotesi sul processo evolutivo delle Launeddas; in Quaderni Oristanesi, PTM ed. Mogoro, nn. 57/58, pp. 153 – 168;
idem, 2008,’Su moriscu’: una launedda a
torto dimenticata; in Quaderni oristanesi, nn. 59/60, pp. 171 –
175) la quale è più che verosimile fosse accompagnata
dal canto. Sempre che il canto, così come ancora ai giorni nostri,non
costituisse di per sé parola e suono. E’
difficile ritenere che i ‘santi nuragici’ (della cui esistenza, stante anche la
documentazione, riteniamo che non si possa più dubitare: si pensi oltre ai santi
succitati Efisisy e Lussoriu, anche al celebre Santu Gayni) non avessero manifestazioni
di tipo canoro durante le feste in loro onore nei santuari a loro dedicati . Di
ciò del resto sono consapevoli certi studiosi che ritengono che i gosos, come manifestazioni liturgico
-musicali, possano essere culturalmente riportati agli albori dell’introduzione
del cristianesimo in Sardegna. Si veda Manca R. I gosos tra fede e cultura: dai novenari ghilarzesi alla Pontificia
Facoltà teologica; in I gosos:
fattore unificante nelle tradizioni culturali e cultuali della Sardegna (a
cura di R.Caria), Convegno di Senis, 26 settembre 2003, pp. 36 -37. Noi pensiamo però che il fenomeno fosse
precristiano e quindi da riportare a tanto
tempo prima.
41.
L’ambiguità, ovvero la non unicità
del significato di uno o più significanti, era aspetto ricorrente delle
composizioni ‘scritte’ degli scribi nuragici. Basti pensare a certi
componimenti come la stele di Nora con le sue tre letture, dove la disposizione stessa nel supporto di certe lettere
consonantiche di tipologia ‘fenicia’ va oltre,
senza che uno facilmente lo noti, la normale aspettativa del lettore circa il
significato del sistema che le adopera (Sanna G., 2009, La stele di Nora. Il dio, il dono, il santo. The God, the Gift, the
Saint, PTM ed.. Mogoro). Oppure basti osservare l’ ambiguità (λοξότης) della tarda lastra nuragica dell’Antiquarium
arborense di Oristano con scrittura interamente consonantica anche con le
voci latina e greca e non solo quella semitica (Sanna G. 2016, Antiquarium arborense di Oristano. La tarda scritta nuragica tharrense
della luce salvifica per il figlio (non nominato) di Yhwh. Il 'segno' complesso della λοξότης
(obliquità); in Maymoni blog (26
gennaio). Oppure, se si vuole, l’ambiguità degli stessi
bronzetti, composti apparentemente da significanti (ad es. archi, scudi,
gambali, ecc.) per dire e rappresentare una
cosa ma per dirne nascostamente (a rebus) un’altra.
42.
In realtà, come hanno dimostrato i dati archeometrici condotti sugli scheletri
degli inumati, nessuno dei poderosi ‘guerrieri’
mostra traumi per ferite di sorta, come invece sarebbe stato logico aspettarsi
per dei giovani o giovanissimi combattenti continuamente in lotta in guerre
interne o esterne. Questo dato ci sembra assai significativo e, direi, una
prova da non trascurare , per ritenere quelle
statue del tutto simboliche circa il
doppio status (di sublimi semidei e di santi poderosi) degli inumati.
* Questo
articolo potrebbe risultare fastidiosamente lungo. In realtà non lo è perché costituisce solo una ‘breve’
anticipazione, quasi obbligatoria, di una tematica (il significato
dei bronzetti sardi ‘scritti’ ed il loro influsso sulla produzione metagrafica
scritta etrusca) che contiamo di
sviluppare in modo esaustivo con altri articoli ancora che (è nelle
speranze) confluiranno in un volume
apposito di prossima pubblicazione. Come ognuno
avrà potuto notare, l’esemplificazione circa la bronzettistica sarda è ridotta all’indispensabile
mentre solo un più ampio ventaglio di riferimenti e di riscontri avrebbe potuto illustrare
meglio e meglio garantire della bontà scientifica circa fondamentali aspetti, del tutto inediti, della cultura scritta ‘ a tutto campo’ dei
nuragici (e di quella degli etruschi).
Grazie Gigi,studio interessantissimo,per me.Gli scavi intorno a ''Mont'e Prama'' ti daranno ragione.Era un unicum,il Santuario di tutto il popolo s'ardo: lo sento.Un caro abbraccio,Marco Vargiu
RispondiEliminaMi hai fatto commuovere. Arrivi a una conclusione per Monte Prama che è quella che avevo in testa in modo molto nebuloso e solo con il lunghissimo percorso che hai fatto poteva diventare così lucida.
RispondiEliminaSai poi che a questa cosa del bronzetto -santino di Cavalupo "tutto pelle" non ci avevo pensato? ma è vero, hai ragione.
E temo che tu abbia ragione anche su questo: "Potrebbe essere stata quella straordinaria grandezza, sotto ogni aspetto, il motivo dell'odio e della sua distruzione". Però credo che non attirerai troppe simpatie.
Grazie Aba. Mi è costato un po' ma tu sai quanto sono testardo e ‘campestristra’. E il metagrafico è ora, secondo me, una bella realtà. Da vedere e rivedere per tanti aspetti. Un aspetto della scrittura che non so quante strade ancora aprirà per comprendere la storia sarda antica e quella etrusca. Lo so. Me la dovrò vedere con gli archeologi di casa nostra e con quelli etruschi che non fanno sconti e spesso, purtroppo, sono negazionisti 'a priori' e per partito preso. E me la dovrò vedere soprattutto con il loro stupido silenzio. Ma la scienza è fatta così (tu lo sai meglio di tanti altri) e non scopriamo nulla che ci sorprenda. Ci ho messo anni ed anni,come sai, per cercare di afferrare il rebus dei bronzetti. Non riuscendoci ho cercato di aggirali con l'etrusco. Ma di ciò parleremo per posta privata anche perché ci sono tante belle cose da far vedere, tanti documenti che 'commuovono'. Compresi alcuni di Monte ‘e Prama.
EliminaCaro Sandro. Nel mio piccolo ti ho sempre incoraggiato perché sei molto intelligente, curiosissimo ed ami tanto le scoperte. Anche quelle avventurose e che sono ‘senza rete’. Cosa che qualche volta non guasta. Ti ho ‘illuminato’? Esumaria! Una la ‘commuovo’ e l’altro lo ‘illumino’. Anche Francu, in altra sede, ha usato parole supergentili. Non pensate che così ci si possa montare la testa?
Lo so che non è difficile, né prudente montarsi la testa.
EliminaNon corre questo pericolo chi una testa non ce l'ha.
Caro Professore, questo studio mi ha illuminato, dando un sostegno ad una mia ricerca. Forse, dico “forse”, riuscirò ad interpretare un certo disegno nostrano (non di origine ma ubicazione nostrana), che molto mi ha dato da pensare e cercare e chiedere a destra e a manca ad amici parenti e conoscenti, per arrivare al bandolo della matassa. Chissà che non ci sia arrivato finalmente!
RispondiEliminaIl problema era annichilire la distanza tra etrusco e nuragico, passando, per di più, per il romano, in relazione ad alcune espressioni religiose, lì dove certi aggettivi possono andar bene per l'etrusco ma non per il nuragico; almeno, finora così mi sembrava!
Grandioso, sei grandioso, Gigi.
RispondiEliminaCome ho scritto (male) su fb, il tuo impegno pare quello di comporre un puzzle al buio. aiutato dalla luce intermittente di un faro.
Il faro è la tua intelligenza che ti permette, una tessera alla volta, di ricostruire il quadro delle antiche vicende legate alla Sardegna, tale che abbia un senso compiuto, aldilà delle opinioni estemporanee e dei copie-incolla di studiosi che badano più alla quantità dei loro scritti, che alla qualità delle loro performance.
Se qualcuno di essi avesse nutrito e nutrisse solo la metà della tua passione e dedizione alla ricerca, non saremmo a questo punto, visto che si parla ancora di nuraghe-fortezza, di lotte cantonali fratricide, di fobia del mare con conseguente negata attitudine alla navigazione, insomma di un popolo muto e con le mani in tasca che aspettava gli stranieri per imparare qualsiasi cosa, anche a parlare o a costruire un muretto a secco.
Non sono sicuro se a quel popolo antico sia stato riconosciuto il fatto che, non scrivendo e non parlando, almeno sapessero modulare il fiato attraverso le labbra, per ottenerne un fischio: se sapessimo ascoltare, se sapessero ascoltare, c'è un rumore di fondo in Sardegna attribuibile ai fischi assordanti degli antichi, perché tutti fischiavano e tutti continuano a fischiare. E sono fischi da domenica pomeriggio allo stadio, non i fischi da caciara all'americana.
Fischi? Li sentono e non li sentono. Ma chi se ne frega? Usiamoli i 'tristi' per quel poco che valgono(non tutti per fortuna), per quelle informazioni a 'spizzico' che ci danno, tenendo conto dei loro incredibili difetti. Mica ci impediscono di parlare al mondo! Questa del metagrafico, caro mio, la dovranno digerire perché la posta in gioco è immensa. C'è un'altra scrittura di mezzo passata inosservata nonostante l'avessimo sotto il naso. E tutta tranquilla tranquilla, museale, trovata e collocata nelle bacheche da archeologi per secoli e secoli. Nessuna scusa di 'falsi' o di altre stupidaggini a cui sono ricorsi per rompere le balle!
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