di Gigi Sanna
Fig. 1 (da Zucca).
Nel corso della spiegazione (1) del bronzetto sardo ‘scritto’ della tomba etrusca di
Cavalupo abbiamo cercato di offrire una definizione sulla natura dei bronzetti
sardi in genere. Ripetiamola.
I bronzetti risultano essere composizioni scritte metagrafiche, ‘attestati’ di petizione (si chiede per ottenere) dove è riposta, del tutto nascosta, del tutto nascosta, la formula magica apotropaica che, anche se spesso variata e ottenuta in mille modi, rimane, in fondo, sempre la stessa. Nella formula è presente un'esortazione scritta al ‘sostegno’, all’aiuto sicuro, alla garanzia di salvezza e dello scansare il negativo che si raggiungono attraverso l’energia straordinaria, pressoché totale (2), della divinità.
I bronzetti risultano essere composizioni scritte metagrafiche, ‘attestati’ di petizione (si chiede per ottenere) dove è riposta, del tutto nascosta, del tutto nascosta, la formula magica apotropaica che, anche se spesso variata e ottenuta in mille modi, rimane, in fondo, sempre la stessa. Nella formula è presente un'esortazione scritta al ‘sostegno’, all’aiuto sicuro, alla garanzia di salvezza e dello scansare il negativo che si raggiungono attraverso l’energia straordinaria, pressoché totale (2), della divinità.
Non si allontana dalla norma formulare il noto bronzetto della tomba a pozzetto (3) di Antas di
Fluminimaggiore . Con misero ma significativo corredo (4), l’inumato
portava in mano (5) o vicino al
petto una statuina, manufatto sul quale subito si è sbizzarrita la solita aleatoria
speculazione comparativo - descrittivista degli archeologi. Infatti, facili quanto
superficiali riscontri hanno fatto
ipotizzare la presenza di un dio raffigurato con la lancia (6), forse lo stesso ‘sardus
pater' bab(a)y citato nel frontone del
tempio ad ‘antas’ (colonne) più volte rifatto, ma in origine nuragico (7), cioè del luogo di pellegrinaggio delle popolazioni attorno al centro
abitato dell'odierna Fluminimaggiore.
La lancia è l’arma che ha fatto propendere l’ermeneutica archeologica, per analogia con la nota raffigurazione della moneta del praetor Atius Balbus (8), a ritenere che il defunto stringesse l’immagine della divinità, ritenendola quasi una reiterazione dell’antico culto funerario ctonio del neolitico dove i defunti spesso recavano accanto la statuina della dea madre, ovviamente simbologia di una protezione e di una rinascita da parte della ‘Grande Dea’. Ipotesi che certamente non sarebbe stata da scartare se nel frattempo gli archeologi (anche al tempo in cui scriveva R. Zucca) non avessero sperimentato, con i numerosi scavi riguardanti i siti nuragici di tutta l'isola, che nessuna statua mai né alcuna statuina di metallo o di altro e neppure raffigurazioni vascolari erano state rinvenute con la divinità recante fattezze antropomorfe. E’ stata l’assenza di queste immagini che ha fatto propendere il Lilliu a dare, attraverso il ritrovamento di una fitta e costante simbologia iconografica astratta della divinità sarda, la denominazione di ‘dio toro’ e ‘dea madre’, una coppia divina con prerogative non solo ctonie ma anche astrali, soli lunari (9).
Oggi, con le
nuove scoperte iconografiche e la rilettura di simbologie che non sono più da
definirsi ‘fenicio -puniche’ ma nuragiche (10), come ad
esempio quella della cosiddetta ‘Tanit’, portano ad affermare con certezza che i nuragici
per ideologia religiosa non raffiguravano mai realisticamente il loro dio,
rispettando ben precise prescrizioni (bibliche,
cioè scritte in testi sacri
precedenti il V.T. ebraico) che al massimo consentivano una leggera, assai sfumata
antropomorfizzazione iconografica nella quale però delle stesse parti del corpo
venissero enfatizzate quelle più fortemente simboliche (fallo, vulva, seno,
viso fortemente maschile o femminile). Si veda per esempio la ormai nota (11) iconografia di YHW[H], realizzata (fig. 2) su ceramica, con la coppia
Dea - Dio (immagine femminile sopra e maschile sotto), al di sotto della quale
in caratteri 'sardi protocananaici' lineari è scritto il nome della divinità
androgina.
Fig. 2. La divinità sarda YHW[H].
Si noti l’aspetto androgino (lo schema FM o MF) e sotto i tre segni
lineari della yod, della hê e della waw.
La statuina di Antas non è dunque raffigurazione di una divinità ma è altro. E’
quello che sono tutti i bronzetti se li si esamina analiticamente. Sono
oggetti, con raffigurazioni usate come ‘pretesto’, composte di un
particolare metallo (incorruttibile ed eterno); 'disegni' che
rendono ‘ideogrammi’ (logogrammi)
realizzanti ora singole voci ora consonanti ottenute per acrofonia, presente
questa quasi sempre perché con essa e
per essa, in modo del tutto sintetico, si riesce a dire in qualche modo della divinità ma indicandola nella maniera
più astratta e allusiva possibile e cioè con la voce pronominale ‘hê’ (LUI/LEI).
Detta acrofonia, a cui ci siamo abituati (e ci abitueremo sempre di più), l’abbiamo vista reiterata nel ‘testo’ del bronzetto del ‘santo
gigante sacerdote’ della tomba etrusca di Cavalupo (12).
Leggiamo
dunque il bronzetto con la formula che si ottiene:
- con il copricapo
- con la lancia
- con il saluto devozionale
- con il fallo
- con (l’immancabile) base o sostegno.
Il risultato sarà:
hdrh
(ornamento)/ difesa (ideogr.
lancia)/ hll (salutare
religiosamente, con devozione)/ potenza,
toro (fallo)/ sostegno, stabilità,
fermezza. Cioè ‘Stabilità della difesa di LUI/LEI, della potenza (taurina, fallica) di LUI/LEI.
Il defunto ha
quindi con sé un oggetto che fa da
intermediario con la sua magica formula scrittoria nascosta, che lo rassicura
sul suo viaggio nell’aldilà. Avrà dalla sua parte la difesa e la potenza (13) di ‘Lui/Lei', della coppia luminosa sole - luna. Un oggetto più umile dunque,
diverso come concezione, ma identico per significato a quello sontuoso del ‘gigante’
sacerdote santo di Monte ‘e Prama. La
ricchezza e le particolari allusioni (si pensi al sacerdote ‘pantauros’ che è
intercessore) del bronzetto di Cavalupo non devono ingannare sul messaggio che
sempre sta alla base dei bronzetti di ‘petizione’. Questi (ne vedremo ancora
tanti altri) possono avere la formula la più semplice possibile nella
realizzazione formale ma anche la più complessa, sempre dal punto di vista
formale. Nel bronzetto di Antas
l’intervento della divinità avviene con l’aiuto della difesa e della forza, in altri magari solo con l’intervento della sola forza, in altri con quello della protezione e della forza e così in altri
ancora con quello della vigilanza, della difesa,
del riparo, della forza, della protezione ecc. ; ma è sempre il concetto dell’aiuto e del fermo sostegno della divinità 'scritto' magicamente nell'oggetto che conta per un buon esito del viaggio dell’aldilà.
Non mi si è
voluto credere a proposito dello spillone, anch'esso trovato in una delle tombe a
pozzetto di Antas (14), ma io insisto nel dire che si
sbaglia se l’oggetto lo si vede dal punto di vista del valore (in fondo scarso valore) del corredo funerario e si scarta il suo valore simbolico che è
metagrafico ideografico e cioè tendente a ‘scrivere’ fermezza, stabilità, forte sostegno. Senza che uno se ne avveda, lo spillone dice la stessa
identica cosa del bronzetto. Entrambi sono oggetti
apotropaici e strumenti di petizione. Solo che nello spillone (ahimè, ora, dopo consulto,
inteso addirittura come contenente non si sa che cosa, un marchio o una sigla) la petizione
semplice ottenuta ideograficamente, ovvero quella della sicurezza, certezza della rinascita e del superamento della morte
assoluta, viene ad essere accresciuta
dalla scrittura lineare (piccolissima, nascosta il più possibile in una parte
quasi impossibile per la scrittura), che aggiunge ‘forza (kaph) di Gayni’. Cioè il sostegno della divinità la si ottiene
attraverso l’intermediazione di un santo (forse ancora uno di quelli di Monte
‘e Prama). Si ripete quindi, in maniera molto più limitata per spettacolarità
ma forse maggiore per ‘senso’ (data la presenza della scrittura nascosta
lineare), il testo di Cavalupo con l’invocazione al dio attraverso l’
intermediazione di una certa santità. Solo che a Cavalupo il santo 'gigante' sacerdote intercessore
resta del tutto anonimo, in Antas invece possiede il nome. E che nome! Che nome
di Santo!. Nome di un santo
nuragicissimo celeberrimo e per nulla cristiano, come tanti altri santi
nuragici della Sardegna di oggi. Nuragicissimo e antichissimo tanto che è riportato (v.
fig. 3 e part.) in uno dei sigilli dei
Giganti di Tzricotu del XIII - XII
secolo a.C. (15).
Fig. 3. Il sigillo denominato A5. Calco dell’oggetto effettuato nel 1995
dall’odontotecnico di Oristano Ninni Blumenthal. Sulla destra il particolare
con la scritta BN GYN. Detto calco venne effettuato contemporaneamente al calco del
sigillo A1, quello che oggi si trova nell’originale in bronzo custodito nei magazzini della Sovrintendenza
di Cagliari.
Ma si sa, i raffinatissimi e singolarissimi sigilli dei Giganti sono dei falsi oppure modani per linguelle per cinturoni bizantini da parata! Evviva l'epigrafia e la paleografia!
Note ed indicazioni bibliografiche
2. Per lo sforzo della divinità nel dare il suo aiuto il bronzetto di
Cavalupo è assai indicativo. Il devoto del dio chiede il suo ‘ stabile sostegno’
attraverso delle attenzioni che possono essere paragonate solo a quelle dei
genitori premurosi nei confronti dei figli : vigilanza, difesa, riparo, forza e protezione.
3. Zucca R., 1989, Il tempio di
Antas, In Sardegna Archeologica, Guide e itinerari, 11, Delfino Sassari.
4. Idem, 1989, , Il tempio di
Antas, In Sardegna ecc. cit. pp.
27 -31. Diciamo ‘misero’ ma
‘significativo’ perché il corredo non punta minimamente al valore degli oggetti
in sé ma alla loro simbologia, tutta protesa al risultato ‘magico’ del
superamento negativo della morte eterna per conquistare e raggiungere la vita
eterna. La collana con i 12 pezzi fortemente allusivi al sole e alla Luna ( i
12 mesi ciclici dell’uno e dell’altra), il bronzetto e gli altri pezzi del corredo costituisco
una ‘scrittura’ metagrafica ‘totale’. Noi siamo soliti nell’analisi descrittiva
separarli ed interpretarli distintamente. Ma la ‘lettura’ della tomba
va fatta tenendo contemporaneamente presenti tutti i significanti (gli oggetti),
ritenendoli parti sintattiche di uno stesso brano
di senso.
5.Il particolare ha fatto pensare ad un rito funerario ctonio presente
nel neolitico dove gli inumati impugnano o hanno presso di sé la statuina della
‘grande dea’. Qui pertanto ci sarebbe il dio ‘maschio’ e non la dea. Il rito analogo
nuragico per la deposizione simbolica di
un oggetto accanto al cadavere è però altra cosa, uso molto distante per
concezione religiosa perché nella tomba a pozzetto di Antas non è presente il
Dio ma un oggetto senza eccessive pretese che ad
esso allude. Il dio nuragico secondo le ferree prescrizioni bibliche
(Deut.29, 16) non poteva
essere rappresentato e materializzato con idoli
di legno, di pietra, d’argento e d’oro. Anche le sue manifestazioni luminose, ovvero il
sole e la luna, non venivano, da quanto
si capisce da tutta la documentazione, esplicitate con realismo ma
solo attraverso simboli (numerici e geometrici) alludenti al loro comportamento
ciclico astronomico. Si spiegano così gli oggetti in oro e argento che sono
simboli solari e lunari. Il vasetto in argento laminato in oro della tomba n. 3
allude alla compresenza dei due simboli della manifestazione divina in quanto il dio nuragico è androgino. E’ sole
e luna (ovvero la luce) contemporaneamente.
Mettere nella tomba oggetti per scopo esclusivamente ornamentale e di prestigio del
defunto e non simbolico sarebbe stato considerato un atto sacrilego e
di superbia contro la volontà di yhwh,
un pericoloso contravvenire ad una delle
norme fondamentali dei ‘comandamenti’ e del ‘patto’. Ciò diciamo anche per far
capire che il più delle volte la cripticità della scrittura nuragica non va
ritenuta tanto ghiribizzo degli scribi quanto stretta osservanza della ‘legge’
del rigore nel dire di Dio e nel rappresentarlo. E’ questo rigorismo, come abbiamo
detto (Sanna G., http://maimoniblog.blogspot.it/2018/02/un-gigante-sardo-pellita-pantauros.html ), che trionfa nelle tombe dei re
guerrieri santi intercessori di Monte ‘e
Prama. Anche lì collane, scarabei
appositamente invetriati (ovvero durevoli nel tempo), perline, ambra, pezzetti di bronzo,
ecc., cioè simboli, ma mai ἔιδωλα. Gli
‘idoli’ (le statue) sono al di fuori delle tombe ma non rappresentano il dio:
sono gli stessi inumati, i ‘semidei’,
figli del dio e quindi ciascuno per la sua parte e la sua santità autorevole
tramite per invocarlo e parlare con lui.
6. Anche per questa arma si sono 'scatenate' le fantasie di certi
archeologi e di semplici appassionati che hanno parlato per il simbolismo di Antas
persino di ‘oplolatria’ (cioè di adorazione delle armi) sulla base
di riscontri ‘superficiali’ di lance’
‘votive’ conficcate su edifici sacri e su tavole delle offerte. Si è confuso così il
mezzo, il ‘bronzetto’, il tramite
dell’adorazione ovvero la ‘ lancia (o
la spada) conficcata girata’ (= salda difesa di lui/lei), con il Dio cautamente menzionato e nascosto
nell’oggetto stesso.
7. Il santuario nuragico, forse ligneo e con le stesse colonne lignee,
doveva trovarsi in origine al di sotto della struttura odierna ovvero del
rifacimento di età punico - romana. Bisognerebbe effettuare degli scavi mirati
per saperlo. Comunque, un notevole indizio che l’origine templare fosse nuragica è data
dalle significative ‘sei’ colonne ancora esistenti tipiche (v. figure a
corredo) dei templi ad ‘antas’ nuragici,
colonne che, evidentemente, ripetono per sacralità, i numeri ciclici astrali
fondamentali della divinità androgina sole-luna. E’ lo stesso numero sacro in
uso nel metragrafico etrusco: (Sanna G., 2016 http://maimoniblog.blogspot.it/2016/12/tarquinia-lancora-della-salvezza-e-il.html)
Tempietti nuragici ad Antas (
sei colonne) raffigurati in pietre (provenienza incerta)
8. Si veda, tra i tanti che parlano della moneta, Zucca R., 1989, Il tempio di Antas, In Sardegna, ecc. cit.
p. 31.
9. Lilliu G., La civiltà dei
sardi. Dal neolitico all’età dei Nuraghi, 1967, La religione, pp. 336 -347.
10. Si pensi al rinvenimento della Tanit bronzea di S’arcu ‘e is Forros di Villagrande Strisaili da parte
dell’archeologa M. A. Fadda. Tanit
chiaramente nuragica dal momento che il sito, abbandonato nel VII secolo a.
C., non fu frequentato mai dai Fenici. E
si pensi ancora alle due Tanit incise,
tra altri segni (di tipologia protocananaica sarda), su frammento fittile nuragico rinvenute in una
vigna presso un nuraghe di Orani, ritenute sbrigativamente (quanto stoltamente
per metodologia scientifica) esito grafico di falsari (Lilliu, Zucca, Fadda). V. Atropa Belladonna, http://monteprama.blogspot.it/2012/11/l-incredibile-storia-dei-cocci-di-orani.html. E si pensi
infine alla Tanit, segno di scrittura tra segni di scrittura, del coccio di
Selargius (http://monteprama.blogspot.it/2014/03/il-segno-tanit-su-un-coccio-nuragico-di.html ). Si vedano le seguenti figure di S’arcu ‘e is Forros di Villagrande
Strisaili , di Selargius e di Orani.
La notizia dell’invio di una ‘statua’ del Sardus
Pater a Delfi da parte dei Sardi della costa occidentale di cui ci parla
Pausania (II secolo a.C.) andrebbe
interpretata, a mio parere, sulla base della religio tradizionale dello yhwh sardo. Tenendo ben presente che lo
storico greco nulla ci dice sulle fattezze di quell’opera e sul suo viso, c’è da pensare che gli artigiani sardi
l’avessero realizzata interpretandola in chiave simbolica e non
antropomorfa. Non mancavano certo fantasia e esperienza dalla tradizione per
sfumare al massimo un ‘idolo’ e renderlo in qualche modo accettabile perché umanoide e non umano. Penso a
certe raffigurazioni, assai astratte, della divinità presenti nella produzione
vascolare nuragica, come ad esempio quella del noto coccio del santuario di Santa Anastasia di Sardara dove la figura antropomorfica
praticamente si confonde e quasi si annulla in tutta la segnica simbolica (data
in particolare da cerchi concentrici uguali o simili che realizzano l'umano : occhi, mani, sesso, ecc. ).
12. V .nota 1
13. Si tenga presente sul significato del fallo come ‘toro/potenza’, oltre alla nota simbologia egiziana del ‘ka’ con doppio valore, il fatto che nei bronzetti nuragici, come nel caso del bronzetto di Cavalupo e in quello denominato da Lilliu ‘musico e ballerino’, il fallo è significativamente ‘nascosto’ perché è ‘fallo divino’. I due personaggi (entrambi Grandi Sacerdoti) sono ‘tori’ e devono la loro potenza al toro o fallo supremo. I sigilli di Tzricotu mostrano ad abundantiam gli aspetti fallici dei personaggi tori ‘figli del toro’ (Sanna G. 2004, Sardoa Grammata. ’ag ’ab sa ‘an yhwh. Il dio unico del popolo nuragico, S’alvure Oristano, pp. 85 -175.
13. Si tenga presente sul significato del fallo come ‘toro/potenza’, oltre alla nota simbologia egiziana del ‘ka’ con doppio valore, il fatto che nei bronzetti nuragici, come nel caso del bronzetto di Cavalupo e in quello denominato da Lilliu ‘musico e ballerino’, il fallo è significativamente ‘nascosto’ perché è ‘fallo divino’. I due personaggi (entrambi Grandi Sacerdoti) sono ‘tori’ e devono la loro potenza al toro o fallo supremo. I sigilli di Tzricotu mostrano ad abundantiam gli aspetti fallici dei personaggi tori ‘figli del toro’ (Sanna G. 2004, Sardoa Grammata. ’ag ’ab sa ‘an yhwh. Il dio unico del popolo nuragico, S’alvure Oristano, pp. 85 -175.
15. Sanna G. 2004, Sardoa
Grammata. ’ag ’ab sa ‘an yhwh. Il dio ecc., cit. pp. 98 -99.
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