giovedì 4 novembre 2021

LA LASTRA DI PELAU DI JERZU. UN ANTICHISSIMO (E BELLISSIMO) DOCUMENTO NURAGICO ‘SCRITTO DISEGNANDO’. LE STAGIONI, L’ANNO, IL VIAGGIO SEGRETO DEL SOLE E DELLA LUNA. IL TORO CREATORE CONTINUO DELLA LUCE.

 

di Gigi Sanna

Dedicato agli amici  Giovanni e Antonio Mura



 



   Il documento è stato scoperto  di recente da Giovanni e Antonio Mura (1) in territorio Pelau di Jerzu murato in una parete di un’antica abitazione ristrutturata, a detta dei proprietari, negli anni sessanta del secolo scorso. E’ di pietra scistosa e risulta di 40 cm circa di larghezza e di 30 cm di altezza.  Per quanto un po’ deteriorato dal tempo in qualche parte (2) reca incisi cinque ‘motivi’ molto chiari e ancora tutti sufficientemente leggibili. A partire dalla sinistra in alto le figure di quattro ‘persone’ a cappello con il ‘volto’ rivolto a destra, al di sotto delle quali insiste la figura di un serpente e sottostante un disegno con sette o nove cerchielli; segue un motivo astrale con dodici raggi; quindi in basso rivolti

a sinistra una navicella nuragica incisa, le figure di due persone, sempre a cappello, ed infine la forma di un nuraghe.

   Dall’orientamento dei due motivi nella parte superiore della lastra e dei tre nella parte inferiore sembra evincersi una lettura sintattica bustrofedica su due linee oblique immaginarie che parte dalla sinistra con il motivo delle quattro figure e termina con la raffigurazione del nuraghe. Apparentemente la ‘scritta’ risulta assai enigmatica, di ostica se non impossibile interpretazione, se non fosse che subito balza alla nostra vista il motivo conduttore che è dato dallo ‘splendore’: splendore (decoro) del cappello dei ‘quattro’, splendore dei dodici raggi dell’apparente astro, splendore della barchetta con il vistoso palco delle corna di cervide, ancora splendore del cappello dei ‘due’ ed infine splendore del nuraghe con le nove fila dei conci di forma isodoma. Per agevolare subito e arrivare ad una completa lettura della scritta del manufatto anticipiamo che in semitico lo splendore (il decoro, la distinzione) si chiama hdr (3). Il motivo conduttore è dato dunque dalla voce semitica che per via acrofonica in nuragico rende spesso l’articolo e il pronome indicativo ‘h’ (lui/lei) che serve per realizzare il nome della divinità senza proferirne il nome (4). La presenza dell’acrofonia e della numerologia (numeri 4, 12, 9 (o 7), 2) induce a pensare che la lastra sia scritta con il solito (5) metagrafico ovvero con l’uso dei tre espedienti che contemplano in primis l’ideografia. Detta scrittura metagrafica non è solo sarda: è stata presa ed elaborata anche e soprattutto dall’etrusco con la necessaria variante dell’acrofonia che non si basa più sulle voci semitiche della lingua sacra della Sardegna nuragica ma su quelle indoeuropee, ovvero il greco, il latino e l’etrusco (6). 

  Ma ritorniamo alla lastra e vediamo di usare per la sua decifrazione il suddetto metagrafico; analizziamo quindi per benino ogni singolo ‘motivo’ che abbiamo detto costituire il significante per il significato complessivo, cioè per la sintassi della espressione che abbiamo detto essere con andamento bustrofedico. 

 

1°motivo. Le quattro figure col cappello e maschera  

     Se ben osserviamo i ‘quattro’ non risultano solo ‘distinti’ a motivo del cappello. Compaiono anche con la maschera. Cosa vuol significare questo dettaglio, per altro così vistoso, così come il cappello? Se procediamo usando l’ideografia, cioè cercando di comprendere che ‘idea’ suggeriscono i quattro mascherati, possiamo (anzi dobbiamo) aggiungere allo splendore il dato del nascosto o del mistero (7). I quattro sono splendidi e anche misteriosi. Ancora non comprendiamo la numerologia del quattro (chi sono o cosa rappresentano i quattro raffigurati) e per arrivare ad afferrarlo bene dobbiamo procedere nella lettura e passare al secondo ‘segno

2° motivo. Il cerchio con i 12 raggi.

 


    Il chiaro segno circolare (8) è arricchito, come si vede con chiarezza, da dodici raggi. Ciò ideograficamente e numerologicamente fa pensare all’anno che è composto da dodici mesi. Se così è il quattro precedente è in relazione ovvia con il dodici e possiamo così iniziare a dare senso e tradurre ‘ lo splendido quattro misterioso dello splendido (raggiante) dodici’ (9) ’. Ma, come si è detto, il primo motivo è arricchito dai particolari del serpente e dei cerchielli (v. fig. seg.). Serpente e cerchielli si riscontrano, come si sa, frequentemente nell’iconografia nuragica (10): il primo sempre con significato di ‘continuità, immortalità’ e i secondi con quello di ‘puntuazione’.  

 


Ora, i cerchielli risultano, con ogni probabilità, essere nove, numero questo che per convenzione (11) nota così come il serpente la ‘continuità. Quindi avremo una ‘doppia continuità’. Se aggiungiamo il valore dei due significanti al segmento iniziale di senso otterremo ‘ splendido quattro mascherato doppio continuo ’(12). Ma il ‘quattro’ in nuragico (13) e in etrusco ha per convenzione valore di ‘forza’ o ‘potenza’ e quindi l’esatta traduzione di tutto il motivo ideografico sarà ‘ Splendida forza misteriosa doppia continua dello splendido dodici (anno)'.

Per capire meglio questo spezzone di frase, praticamente l’intera prima linea del ‘testo’, con i due motivi iniziali, sarà bene passare al terzo di motivo, forse il più appariscente e carico di significato, dell’intera espressione e cioè quello della navicella.

 3° motivo. La splendida navicella nuragica. Perché in quel posto e perché così raffigurata?



    Il terzo motivo ideografico è dato da una chiara navicella nuragica il cui splendore (hdr) è sottolineato, come si è detto, dalla ‘gloria frontis’ (14) del cervo, una delle due  soluzioni topiche usate dagli scribi artigiani nuragici per notare indifferentemente la voce suscettibile di offrire l’acrofonia del pronome riferito alla divinità (v. le figure segg.)

                                        (da Lilliu)                                        (da Lilliu)                         

  Ma la navicella ideograficamente cosa suggerisce in particolare? Ovviamente ci offre il concetto di viaggio (15), di navigazione, di percorso attraverso una 'certo' percorso . Se ora aggiungiamo quest’idea a quelle date dai due motivi precedenti avremo, per ora: ‘splendida forza doppia continua dello splendido dodici (è) lo splendido viaggio’. Senso che si completa nascostamente con i parapetti delle due fiancate che recano  disegnato un doppio continuo, ovvero la doppia zig -zag,  segno ancora della ripetitività o della continuità (16)  Vedremo tra poco di chi è (chi esegue) quel viaggio doppio continuo, ma per il momento  sarà bene cercare di capire sino in fondo l’ideografia che è interessata da altri due dettagli non certo trascurabili: il perché della scarna forma della barchetta e il perché della sua raffigurazione in quella accidentale cavità della pietra scistosa. ‘Scarna’ forma perché ci saremo aspettati, come nella norma (17), una barchetta con tanto di pennone, di cerchio e di colombella (v. fig. seg.).

  (  (da Lilliu)  

     Il motivo è dovuto al fatto che allo scriba non serviva tutto il senso (18) della barchetta ma solo una parte di esso e cioè la doppia sponda delle fiancate con i due motivi a zig -zag che consentivano la realizzazione dell’idea di un ‘doppio continuo’. E che così sia lo dimostra il fatto che la barchetta non è stata disegnata ‘comodamente’ di profilo ma leggermente obliqua in modo da far vedere con chiarezza le particolari sponde delle due fiancate e suggerirne quindi il reale significato.  Più difficile da cogliere è il significato della navicella disegnata in uno spazio anomalo della lastra e cioè in una cavità di essa. Un significato ovviamente da chiarire perché un disegno così raffinato e ben disegnato (i quattro con maschera e cappello) non poteva permettere la realizzazione del disegno della navicella addirittura all’interno di una parte difettosa. Le pietre scistose di una certa grandezza a disposizione come supporto per poter scrivere, lisce e senza difetti  così evidenti (19), non mancavano di certo nel luogo!  La pietra scistosa evidentemente era stata scelta tra le tante proprio per quel particolare difetto in quanto consentiva di ‘scrivere’ ideograficamente ‘barchetta nascosta’ ovvero ‘ viaggio nascosto’,   ‘misterioso’; ripetendo così, con scaltra  ‘variatio’, grazie a quella singolare ‘trovata’, il ‘nascosto’ relativo alla ‘forza’ nel primo motivo. Pertanto la lettura della seconda parte iniziale della scritta a destra o terzo motivo è ‘ splendido (palco delle corna di cervo) viaggio nascosto (navicella nella cavità) doppio continuo (le due sponde con il motivo a zig-zag’). Sommando i significati dei tre motivi provvisoriamente si otterrà: ‘Splendida forza nascosta doppia continua dello splendido Dodici (anno) (è) lo splendido viaggio nascosto doppio continuo’. Viaggio nascosto doppio continuo di chi?   

4° motivo. La splendida coppia. Il sole e la luna.  


    In Egitto la barca sacra era, come sappiamo, simbolo solare, il mezzo con cui l’astro faceva il percorso giornaliero diurno e notturno. Le fonti scritte egiziane ci forniscono ad abundantiam particolari del viaggio, soprattutto di quello notturno, con una traversata densa di pericoli per l’incolumità del sole. Anche per la ‘religio'  dei nuragici esisteva una barca sacra celeste (sacralità di cui i bronzetti, con la loro intensa e singolare simbologia, offrono (20) larghissima testimonianza) ma, come sembra spiegare con chiarezza la lastra di Pelau, essa è simbolo del vigoroso viaggio annuale del sole e della luna assieme. Infatti, come per il quattro (la splendida forza delle stagioni) si ha anche qui, in questo quarto motivo, una personificazione (21) della coppia astrale, con i due a cappello e cioè splendidi. Con l’individuazione del sole e della luna siamo giunti ormai a comprendere molto del senso riposto nelle immagini della lastra e a tradurre così la singolare scritta a rebus:  

 Forza splendida misteriosa doppia continua dell’anno (è) lo splendido viaggio nascosto doppio continuo (22) della splendida coppia (sole e luna).

  Restano quindi da capire due cose: il significato dell’ideogramma ‘edificio troncoconico con filari’ e ancora se la scritta, basata, come si è visto, sull’idea e sulle convenzioni numeriche, possieda, nascondendola, anche la convenzione dell’acrofonia, ovvero il terzo canonico aspetto del system metagrafico (23).

5°motivo. L’edificio nuraghe. L’idea del Nl ‘AK. L’apparente conclusione della scritta.  

    

   L’ultimo segno è di importanza fondamentale non solo per capire bene tutta l’espressione ma per comprendere la stessa ‘religio’ (di impronta ‘cananaica’) dei nuragici adoratori del dio yh o yhwh. Infatti, è evidente che l’ideogramma dell’edificio nuraghe tende a completare, posto com’è per ultimo, il significato della coppia astrale sole - luna che compie il perenne viaggio ciclico annuale di andata e ritorno. Ma l’ideogramma edificio nuraghe cosa ci dice?  Ci dice nella lingua di allora (e ancora di oggi) che esso è il NL 'AK, ci dice che esso è il ‘toro (’ak) della luce (nl/nr) (24).  Ci dice chiaramente che la coppia sole e luna sono ‘del’ cioè, espressione e forma del ‘toro della luce. Sono prodotto di un dio creatore continuo della luce (25). L’espressione così cara ai nuragici e cioè NL/NR 'AK , scritta in vari modi’ (26), intenderebbe, stando almeno all’apparenza, completare l’intera espressione in bustrofedico della lastra che risulta così organizzata sintatticamente :

Splendida forza nascosta doppia continua/

 dello splendido anno//

(è) lo splendido viaggio nascosto doppio continuo/

della splendida coppia/

dello splendido (27) toro creatore continuo della luce’.

 Il ‘continuo’ relativo al toro creatore va da sé (per chi ci segue da tempo sia nell’esame della documentazione nuragica che in quella della documentazione etrusca) è offerto dal ‘nove’ (i nove ‘splendidi’ filari dell’edificio sacro), segno (28) che non è altro che variante rispetto al nove dato dalla serie dei cerchielli disegnati al di sotto del serpente.

Il terzo aspetto del metagrafico? L’acrofonia e il ‘nome’ del toro o sommo creatore.

   Abbiamo visto come il significato della lastra si completi con ‘lo splendido toro continuo creatore della luce’. Il nome del dio, come di norma in nuragico (29), non viene espresso se non con una metafora (il toro o sommo creatore). Ma è davvero assente il nome del dio? Non si dice in alcun modo, diretto o indiretto, chi è il toro o fallo (30) della luce ovvero il NL’AK?  Lo si dice, ma con un accorgimento assai raffinato che coinvolge sia l’acrofonia che la numerologia. Infatti, forse non è a caso (31) che lo scriba insiste in tutti e cinque i motivi con la voce ‘splendido’ (splendida è la forza, splendido è il 12, splendido è il viaggio, splendida la coppia del sole e della luna, splendido è il toro della luce) l’unica che viene reiterata continuamente. Insiste, secondo noi, non per ‘retorica’ e stile ma perché così riesce a creare ulteriore senso per la scritta, offrire maggior varietà compositiva (l’acrofonia oltre che l’ideografia e la numerologia) e a dar risposta, in qualche modo, alla domanda sul nome del dio. Si è detto che lo ‘splendore’ in semitico si dice hdr. Ora, se noi applichiamo l’acrofonia per tutte le volte che compare la voce si ha ‘h cinque’. E cioè ‘ Lui (è) il toro (32). ‘Lui’, il pronome indicativo he per notare il nome di yh senza scriverlo, è comunissimo nel nuragico. La stessa parola per indicare l’edificio sacro ‘nuraghe’ non è composta solo da NL/NR ‘AK: si completa con la consonante, diventata poi solo vocale ‘E’ per caduta dell’aspirazione: NUR/AK/HE, che significa ‘Lui (yh, yahw, yhh o yhwh) (è) il toro della luce’; una voce composta quindi da tre (33) parole e non da due (34).

    Stando quindi alla nostra interpretazione, ottenuta attraverso l’applicazione rigorosa del system o codice metagrafico, otteniamo la seguente espressione nascosta o a rebus della bellissima scritta della lastra di Pelau di Jerzu: ‘ Splendida forza nascosta doppia continua dello splendido anno (è) lo splendido viaggio nascosto doppio continuo della splendida coppia dello splendido toro (fallo) della luce. Lui (è) il toro (fallo).

  Se così, come penso e credo, stanno le cose, se l’interpretazione risulta essere corretta, il documento ogliastrino ci illumina non poco circa la cultura e il credo religiosi dei nuragici:

-        -   Ci dice che i nuragici erano, come di sicuro i sardi del neolitico (35), adoratori di una divinità cosmica creatore della luce e motore dell’universo.

-       -  Ci dice che erano ottimi osservatori e calcolatori delle fasi astronomiche (equinozi e solstizi) che davano forma ed energia all’anno (il dodici luminoso).

-        -   Ci dice che la navicella nuragica altro non è che simbolo fantasioso del tempo ciclico continuo dato dal doppio viaggio (di andata e ritorno) del sole e della luna nello spazio celeste  e ci dice anche che essa è simbolo dei due astri che procedono assieme e non di uno solo.

-        -   Ci dice che il nuraghe è solo edificio sacro, che il suo nome, rimasto pressoché intatto sino ai nostri giorni (nuraghe, nurake, nulake, norake, nuraxi, ecc. sono solo varianti fonetiche) significa ‘toro’ (o ‘fallo’) della luce’.

-        -  Ci dice che la ‘E’ o ‘I’ finale della consueta denominazione è voce acrofonica pronominale (he) che si aggiunge a quelle ideografiche date dal tronco di cono ('ak) e dalla ‘corona’ o ‘cerchio’ soli -lunare  (nl) della sommità dell’edificio templare.

-    - Ci dice che i filari delle pietre suggeriscono non solo ‘potenza’ ma anche e soprattutto ‘decoro, ornamento, splendore’ architettonico (36) e pertanto offrono l’acrofonia di hdr, parola, come si è detto, usatissima per ottenere comodamente e nascostamente ‘he’, il ‘pro -nome’ della divinità yh.

-       -   Ci dice e ci conferma che la scrittura dei costruttori dei nuraghi dell’età del bronzo medio, finale e del primo ferro è non solo quella lineare (37) ma anche quella che, da tempo ormai, abbiamo chiamato ‘metagrafica’, per e con l’uso contemporaneo della ideografia, della numerologia, dell’acrofonia.

-       - Ci dice che gli scribi etruschi hanno copiato dai nuragici non poco del loro system o codice, scritto ugualmente con il metagrafico, per la ‘religio’ riguardante, in particolare, il culto funerario.

-       -  Ci dice e ci conferma che quasi tutti i numeri (38) sino al dodici possono, per convenzione, essere usati al posto delle parole.

-       -  Ci dice e ci conferma che la scrittura dei costruttori dei nuraghi, lineare o metagrafica che sia, era tutta legata al sacro; è espressione pertinente solo al dio (e ai suoi figli). E per converso ci dice e ci conferma, fino a prova contraria, che il codice di scrittura non serviva per scopi pragmatici di natura economica come altre scritture ‘palaziali’ inventate prima o nello stesso periodo dai popoli del Mediterraneo orientale.

-     - Ci dice e ci conferma l’antichità della ‘scrittura’ che risulta presente in Sardegna, soprattutto per testimonianza dell’uso ‘attuale’ del nuraghe e delle navicelle, a partire da un periodo che ci porta, forse, come la barchetta fittile scritta di Teti e i sigilli di bronzo dei 'Giganti' di Tzricotu di Cabras, agli anni intorno all’undicesimo o al decimo secolo a.C., cioè alla fine dell’età del bronzo e all’inizio dell’età del ferro.

 

Note ed indicazioni bibliografiche  

1. Giovanni è un noto professore in pensione che ha insegnato per 35 anni lettere (italiano e storia) nell’Istituto Tecnico di Tortolì; Antonio, suo figlio, è un dottore ricercatore laureato in fisica residente in Roma.

2. L’ultima ‘persona’, ovvero la quarta (partendo dalla lettura della prima linea destrorsa) è visibile e riconoscibile con una certa fatica. Per l’ingiuria del tempo i nove (?) minuscoli cerchielli della serie non sono tutti individuabili con sicurezza. Poco visibili sono ugualmente alcuni particolari della navicella come le incisioni riguardanti l’andamento del palco delle corna di cervide e quelle riguardanti il collo e il muso dell’animale.

3.V.T.: Is,63,1; Sal, 21,6; Sal, 96,6 ecc. La voce hdr הדר è fondamentale per l’acrofonia, forse quella più sfruttata, insieme alla voce hll הלל (salutare in atto di devozione), per ottenere, in modo del tutto convenzionale, il riferimento al nome della divinità yh. Potremmo fare molti esempi di documenti scritti (soprattutto della piccola statuaria in bronzo) ma ricorreremo, per brevità e per pertinenza, ad uno solo: a quello che ci offre una singolare e stranissima pietra scolpita (v. foto seg.) nel muro della collina di Murru Mannu di San Giovanni del Sinis (Tharros). La testa, che presenta le fattezze di un uomo - bestia con occhio e muso di bovide, è fasciata da un copricapo o cappello vistosamente ornato. Che significa la strana composizione? Che significano quell’occhio enorme seguito da un serpentello e quella bocca animalesca? Che significa in particolare quel grottesco copricapo? Lo si comprende leggendo i segni attraverso l’acrofonia e l’ideografia: He (hdr) 'ak (toro) nr (luce, occhio) ‘olm (continua): ‘lui è il toro della luce continua’. La suddetta ‘pertinenza’ riguardante l’esempio allude alla presenza della voce ‘NURAGHE’, quella di cui si tratterà più avanti.

  

4. I documenti nuragici non sempre usano il pronome o qualche circonlocuzione per dire del nome dio. C’è una norma ma non c’è un divieto assoluto. Lo deduciamo dalle scritte dei sigilli di Tzricotu di Cabras (yhw), dal ciondolo di Solarussa (yhh), dalla pietra della chiesetta campestre di S.Antonio di Tresnuraghes (yh), dal coccio di Pranu Antas (?) di Allai (yhw) e da altri documenti ancora. Yhw (forse da leggersi yhwh, con i quattro segni Y H W H in legatura e non i tre Y H W) è attestato sicuramente anche nel cippo fallico custodito nei locali del comune di Aidomaggiore dove insieme alla dicitura ‘ Vigore (fallo) della luce continua’ si trova quella di ‘yhw’ (v. fig. seg.)

    

5. La scrittura che va ‘oltre’, molto più ricca di significato e assai espressiva, praticamente non si conta in tutto l’arco di tempo in cui durò la civiltà nuragica. Tocca l’architettura, la statuaria in bronzo e in pietra, nonché la ceramica. Su di essa abbiamo detto e scritto più volte. La sua abbondanza è tale che fa sorridere il paradigma dei nuragici totalmente analfabeti, il pregiudizio, in qualche modo ancora tenuto in vita e goffamente quanto pervicacemente ‘divulgato’ dagli archeologi negazionisti e misoneisti.

6. Si veda, tra i nostri non pochi articoli sul system funerario etrusco, G. Sanna, 2020. Altes Museum di Berlino. Una kylix di ispirazione pittorica formale greca ma con system funerario metagrafico etrusco. Ancora sulla ‘protezione’, sul ‘sostegno’, sulla ‘stabilità’ del doppio sei (la doppia luce) continuo salvifico. L’osceno e il repellente contro il malocchio? In Maimoni blog (mercoledì 12 febbraio).

7. La ‘maschera’ con valore ideografico di ‘mistero’ si trova, con ogni probabilità, disegnata in Sardegna già a partire dal neolitico. V. Sanna G. 2020, La scrittura in Sardegna? A partire dal neolitico recente. Scrivere disegnando a rebus. Gli ideogrammi convenzionali nelle tombe, nella ceramica e nelle pietre. Il tre e il cinque taurini e la ‘religio’ neolitica astrale ripresi due millenni dopo dai Nuragici e dagli Etruschi (in Maimoni Blog, 4 aprile). Pensiamo che l’articolo, di cui sopra il titolo, possa servire, per più motivi, per comprendere l’origine della scrittura, presente nel nostro documento, ideografica e numerologica a rebus in Sardegna. Scrivere disegnando e disegnare scrivendo non è solo degli Egiziani e di altri popoli medio orientali ma anche dei Sardi antichissimi della seconda metà del terzo millennio a.C. Di seguito il volto in pietra con la ‘maschera’ rinvenuto in Monte d’Accoddi

 

8. Dalla nostra visione autoptica la protuberanza circolare sembrerebbe essere presente ‘naturaliter’ nella pietra. Così come l’incavo in cui si trova incisa la navicella (v. più avanti).

9. Il dodici allude naturalmente ai mesi dell’anno ma forse più propriamente significa ‘tempo completo luminoso’.  

10. La forma del serpente in nuragico è assai varia (v. tab. seg.). Nel nostro caso il serpente si potrebbe accostare a quello disegnato, ma con opposto orientamento, dopo la ‘ayin, nel sigillo A 5 di Tzricotu di Cabras (v. fig.seg.) per formare la voce s‘n צען.

 
 
11. V. Sanna G., 2016, I geroglifici dei Giganti. Introduzione allo studio della scrittura nuragica, PTM Mogoro, 5.2, pp. 120 -121.

12. L’ideogramma notante la ‘continuità’ o la ’immortalità è reso in diversi modi nel nuragico. In questo documento col serpente, con il numero nove e con il motivo a zig -zag. Nella barchetta di s’Urbale di Teti è ottenuto (v. fig. seg.), sorprendentemente, dal motivo ad ‘onda corrente’ sfruttato tantissimo dall’iconografia e dall’ideografia etrusca, particolarmente nel system di scrittura funeraria. Essendo datata, per perizia scientifica, la navicella fittile di Teti al IX-VIII secolo a.C., è lecito ritenere che esso motivo gli Etruschi l’abbiano preso, come altri del resto, dai Nuragici.


13. V. Sanna G., 2016, I geroglifici dei Giganti, ecc. cit. p. 21.

14. Cioè dal decoro e dalla magnificenza delle corna ramose. Certe navicelle nuragiche tendono a magnificare notevolmente il particolare assai significativo (espressivo e non solo decorativo), della prua con la protome animalesca; tanto che balza evidente il ‘difetto’ della sproporzione tra detta protome e la barca nel suo complesso, come ad esempio nel caso della grande navicella (cm. 25 di lungh. e 10.2 di largh.) con prua a protome cervide del Nuraghe Spiena di Chiaramonti (fig. seg.). Cfr. Lilliu G., 2008, Sculture della Sardegna nuragica (ried.), Ilisso, n.319, p.519 fig. 319c.


15. L’idea del viaggio celeste è resa magnificamente, nell’architettura funeraria nuragica, dalla barca dei defunti delle cosiddette ‘tombe di Giganti’, tombe che manifestano spesso uno schema a barca rovesciata alata con protome taurina.  

16. Il segno a zig -zag come quello a ‘onda corrente’ (v. nota 12) è sempre ideogramma per notare la continuità. Esso in Sardegna è attestato con certezza sin dal neolitico finale (v. figg. segg.). Cfr. Sanna G.,2018, La scritta della domus de jana di Korongiu di Pimentel: doppia forza, doppio sostegno, doppia stabilità. Parte forse dal neolitico - eneolitico sardo l’ideologia della rinascita ad opera del ‘doppio’, ovvero della coppia celeste sole -luna? Partono da quel periodo in Sardegna la scrittura ideografico -numerica e i segni convenzionali? (in Maimoni blog, 3 ottobre)


17. Cfr. Lilliu G., 2008, Sculture della Sardegna ecc. cit. (ried.), pp. 477 -534.

18. Testimonianza questa che ci fa comprendere che la navicella (così come tutti i bronzetti nuragici) va letta perché essa contiene ‘scrittura’ dietro l’apparente sola decorazione; decorazione per descrivere la quale, com’è noto, tanto di impegno è stato profuso da Giovanni Lilliu e da altri ancora. Se lo scriba avesse disegnato una barchetta ‘complessa’ con altri ‘segni’ (la colomba, il cerchio, l’antenna, lo schema a nuraghe quadrilobato, ecc.) avrebbe aggiunto scrittura in più e offerto del senso non occorrente e non pertinente  ai fini della realizzazione del suo tema o argomento religioso circa il vigore del viaggio annuale della barca divina del sole e della luna. In poche parole, lo scriba si serve del significato topico di una parte della navicella e non di altro che possa riguardarla.  

19. Il non piccolo difetto naturale della lastra è tanto palese che balza subito il sospetto che anch’esso costituisse un segno nascosto, non subito avvertibile, quello che potesse servire per aggiungere senso ulteriore alla scritta ideografica a rebus. A mio parere lo scriba nello scegliere la pietra ha considerato a priori quali opportunità scrittorie si potessero ricavare dalla conformazione stessa del supporto. Anche il motivo riguardante il Dodici e il Nuraghe (stavolta però al contrario non abbiamo cavità ma rilievi o gibbosità) tende a convincerci che le deformazioni (quelle e non altre) potrebbero aver influenzato la scelta e l’uso anche malizioso di quella particolare pietra e non di altre.

20. Il Lilliu (Sculture della Sardegna, ecc. cit., passim) riteneva che le barchette nuragiche, più o meno abbellite e decorate, servissero nelle abitazioni domestiche come lucerne. Da offrire anche come ex voto. Scambiava così degli ideogrammi (e cioè un certo tipo di scrittura) o per elementi funzionali della lucerna (il cerchio  astrale, talvolta 'uroboro',  giudicato come anello di sospensione) o per aspetti decorativi (la colomba sopra l’anello, le protomi taurine o di cervidi).

21. L’antropomorfismo riguardante gli eventi naturalistici, cosmici e atmosferici (giorno, notte, stagioni, inverno, estate, ecc.) o i protagonisti di essi (sole, luna, stelle, pioggia, ecc. ) è universale, è dell’iconografia di ogni tempo e di ogni luogo. Per restare in tema di stagioni e di splendore si pensi solo alla famosa ‘splendida’ primavera, dipinta come fanciulla, dal Botticelli.

22. Il ‘doppio continuo’ allude al viaggio di andata e ritorno della barca astrale durante l’anno, ovvero ai momenti astronomici degli equinozi e dei solstizi. La barca procede ciclicamente e continuamente con il primo viaggio dal solstizio d’inverno (21 dicembre), all’equinozio di primavera (21 marzo) sino al solstizio d’estate (21 Giugno); quindi ‘torna indietro’ raggiungendo l’equinozio d’autunno (21 settembre) e infine il solstizio invernale. Naturalmente il doppio viaggio per essere effettuato implica una doppia energia continua, quella scritta nel primo motivo. Sarà bene ricordare che i nuragici conoscevano perfettamente l’astronomia e l’ astrologia e che sui misteriosi fenomeni celesti (sul libro del cielo) basavano le loro credenze religiose e le loro superstizioni. L’architettura nuragica dei nuraghi, dei pozzi sacri, delle tombe dei giganti e dei templi, è legata alla perfetta conoscenza dei fenomeni celesti (per i pozzi sacri si vedano oggi gli studi scientifici dello studioso Sandro Angei. Tra i suoi numerosi contributi i saggi pubblicati sulla cosiddetta ‘postierla’ di Murru mannu di Tharros e sul pozzo sacro di Santa Cristina di Paulilatino:     

23. Il metagrafico è un tipo di scrittura a rebus che è basato sull’uso combinato di tre modi di scrivere e realizzare senso: quello ideografico, quello numerologico, quello acrofonico. I tre modi possono anche essere adoperati da soli. Si pensi ad esempio, per quanto riguarda la numerologia, ai tre quadrati del cosiddetto ‘altare’ di Santo Stefano di Oschiri che danno il quattro, il tre e il dodici (forza della luce del Dodici) o alle quattro linee verticali (le unità) del coccio nuragico scritto del Nuraghe Alvu di Pozzonaggiore (v. figg. segg.) che offrono lo stesso preciso senso. A chi ci segue da tempo nelle nostre ricerche sulla scrittura antica forse è superfluo il rammentare che il metragrafico sardo, con alcune varianti obbligate riguardanti l’acrofonia, è usatissimo nel system a rebus etrusco riguardante il culto funerario.  Urne, sarcofaghi, piattelli cultuali, pitture parietali, bronzetti, ecc. mostrano questa scrittura che forse (a parte l’acrofonia) è riscontrabile nelle sculture e nelle pitture parietali (v. nota 16) delle tombe del neolitico (domus de jana) finale.    

  

24. Quante volte e da quando abbiamo detto circa il significato della voce Nuraghe! Quante volte abbiamo prodotto sicuri documenti scritti che attestano che nuraghe altro non vuol dire che ‘Lui (he) toro (’ak) della luce (nl/nr)! Neppure quando è stato scoperto in Terralba, nelle fondamenta di una casa ristrutturata, uno dei più significativi e bei documenti della scrittura nuragica (v. fig. seg.) con la voce 'ag he nl (semplice variante compositiva del più frequente nl 'ag he) l’archeologia ha riflettuto e scritto. Neppure un po’. Eppure aveva davanti con quei cinque chiarissimi segni (‘aleph, gimel, he, nun e lamed) la soluzione di uno dei misteri circa la civiltà nuragica che più è stato oggetto d’indagine e di pronunciamenti (incerti e contrastanti perché non illuminati e sorretti dalle fonti dirette).

    

25. Credo che a questo punto non si possa non pensare ad un ben noto passo della Bibbia (Gen. 16) dove si precisa che yhwh, dopo aver creato la luce assoluta (’Awr), crea anche, per distinguere il giorno dalla notte, una luce maggiore haggādōl e una luce minore haqqāōn.  Yhwh (in nuragico anche yh, yhh e yhw) è dunque il toro creatore dei due ‘luminari’ (lo splendido due della lastra), è quel toro cananaico che nella Genesi e nella Torah in genere venne continuamente cassato perché ‘indecente’ immagine simbolica della divinità.

26. Si veda la tab. seguente comprendente la formula scritta nl/’ak (più la ‘he’ ovvero il pronome per indicare yh,yhw) di vari documenti:


27. Forse sarà appena il caso di sottolineare che lo ‘splendido continuo creatore’ (astro a nove raggi e toro continuo) è riportato ideogrammaticamente anche nella famosa moneta (statere) aurea di Amsicora coniata nel 215 a.C.. Passano i secoli ma sino alla fine (e soprattutto alla fine del loro percorso storico) i nuragici mostrano d’essere ancora fortemente legati all’antica scrittura a rebus e ai loro segni simbolo riguardanti o la divinità o i figli di essa. Tutta la moneta del ‘signore (mr) figlio del toro (br’ak)’ risulta essere scritta e non, come si crede da parte degli studiosi della monetazione sarda, semplicemente decorata.

 

28. La serie dei filari circolari dei nuraghi realizzati di norma in ordine di grandezza decrescente verso l’alto non obbedisce solo alle leggi della statica ma anche (e forse soprattutto) al principio del ‘decoro’. L’edificio nuraghe, il ‘tempio’ caratteristico di ogni parte di Sardegna, è fortemente polisemico. E’ segno tra i più forti se non il più forte della simbologia dei sardi dell’età del bronzo e del primo ferro.  Intende notare potenza e imponenza, ma anche energia fallica, luminosità, bellezza, sacralità, mistero; qualità tutte confacenti al dio creatore yh. Restiamo sempre del parere che il nuraghe altro non sia che un' evoluzione, una realizzazione architettonica assai  più sofisticata (il vuoto al posto del pieno) del betilo, anch’esso ideogramma fallico esprimente il ‘vigore taurino continuo della luce di Dio’. Beth ‘El significa sinteticamente in semitico ‘sede di Dio’. Il nome stesso di nuraghe, composto da tre voci (nl,’ak,he), è sinonimo continuo di luce perché il ‘tre’ significa per convenzione ‘luce’, suggerita dai tre tempi ciclici continui  (sorgere, distendersi, tramontare) dei due ‘luminari’ celesti.   

29. V. nota 4.

30. Nel sigillo A3 di Tzricotu di Cabras il dio è chiamato Yhw hy ’arwhיה הי ערוה (Yhw è fallo che dà la vita): v. Sanna G., 2016, I geroglifici dei Giganti. Introduzione allo studio della scrittura nuragica, PTM ed. Mogoro, 4,3, p.104.

31. Nella composizione della scritta della lastra di Pelau niente è dovuto al caso. Abbiamo visto come lo stesso supporto, nascostamente, sia interessato alla realizzazione del senso. Per tanto cercare di trovarne dell’altro è operazione legittima anche perché non è la prima volta che si nota nella documentazione nuragica l’intento dello scriba di ottenere dalla composizione naturale o artificiale del supporto, dal numero dei segni insistenti in esso, dalla frequenza e orientamento di essi, dall’ambiguità di certi significanti, dalle legature e da altri espedienti ancora, ulteriori significati da impensabili significanti. Scritte come quelle della Stele di Nora, dei sigilli di Tzricotu, del coccio del Nuraghe Alvu di Pozzomaggiore, della barchetta dell’Antiquarium arborense di Oristano  e altre ancora mostrano gli scribi intenti a riempire il supporto di senso recondito. Si pensi alla espressione citata yhw hy ‘arwh del sigillo A 3 di Tzricotu, sequenza di senso ottenuta usando le sole parti scritte che compaiono con i segni in legatura. Accorgimento identico che è ripetuto anche nel sigillo A5 dove nascostamente lo scriba ci dice che il personaggio ‘taurino’ magnificato nella tavoletta bronzea è figlio del Dio: yhw w h bn ( yhw e il figlio).  

32. In numerologia il cinque vale ‘potenza, toro’. Nel ciondolo di Pranu Antas di Allai (v. figg. 1 e 2) il toro è effigiato in tre modi: con la lettera acrofonica 'aleph che segue al n.p. 'abd (servo), con le cinque lineette sottostanti e, nella parte opposta della pietra, con il foro pervio e i ‘cornetti’. Tutta l’espressione suona così: ‘Io sono il servo del toro della luce / padre signore giudice’. Nel saluto devozionale nuragico (fg.3) la mano con il pollice ben staccato sta ad indicare il cinque (4 +1). Se ad esso si aggiunge l’acrofonia di hll הלל (salutare con devozione) avremo ‘lui (è) il toro’. Una espressione quindi riportata diversamente ma identica per espedienti (acrofonia + numerologia) a quella della lastra di Pelau di Jerzu.  

      

Fig. 1                                                                   Fig.2                                                      fig.3

33. Il tre è numero sacro fondamentale nella scrittura. In quanto significante ‘luce’ è usato in particolare nella scrittura funeraria. I sigilli seriali bronzei di Tzricotu, realizzati per essere saldati sulla spalla delle statue dei sovrani (i Giganti) defunti onde dare identità ad esse, non fanno altro che ripetere il ‘tre’ magico con significato di ‘luce’. Il sigillo ‘specimen’ (fig.seg.) (noto come A1) lo fa vedere con grande chiarezza.

 
34. Generalmente da parte degli archeologi e dei linguisti si tende a dividere la parola in due: NL 'AK, intendendo NL come sostantivo  e  AK/ AKE come suffisso. Ciò sulla base soprattutto della voce nulac incisa nella seconda linea della scritta dell’architrave del Nuraghe Aidu Entos di Bortigali. Non ci si è accorti però che l’intera espressione, in evidente mix alfabetico e linguistico, parte da ILI NR e termina con la he di tipologia lunata (a ‘C’). Detta lettera ‘nuragica’ è stata scambiata dagli epigrafisti romanisti (Mastino e altri) per il segno del numerale C (cento). La scritta dell’architrave e lo stesso nuraghe, come abbiamo detto e scritto altre volte, non hanno niente a che fare con i ‘confini degli Iliensi’. Si tratta invece di una scritta sacra dove si dice, con il solito mix dei nuragici : luce di Ili nel nurac sessar ששר (rosso) lui (he). Cioè ‘Lui (yh) è Dio (ILI) della luce nel nuraghe rosso’ oppure ‘Nel nuraghe rosso lui (yh) è il Dio della luce’.  
35. Nelle ‘domus de jana’, ovvero nelle tombe con graffiti e sculture raffiguranti, schematicamente e non, il toro (o i tori), le spirali e il serpente, si allude con pittogrammi – ideogrammi diversi, alla creazione, all’energia e alla continuità della luce. I defunti rinasceranno, ri-vedranno la luce grazie alla magia di quei segni di significato nascosto. L’etrusco, come ho detto e scritto altre volte, ha ripreso la ‘scrittura’ del neolitico sardo adattandola ovviamente alle nuove e particolari concezioni circa il culto dei morti.  ‘Energia’, ‘sostegno’, ‘continuità’ della divinità costituiscono significati cardine delle ricche espressioni delle tombe e dei sarcofaghi riguardanti il viaggio nell’aldilà dei defunti. E (ciò ripeterò senza stancarmi) le ricche espressioni non sono solo decorazione ma anche e soprattutto scrittura. Scrittura nascosta e per questo magica e fortemente protettiva.  

36. A noi i nuraghi ispirano potenza e grandiosità ma per i nuragici erano anche ‘prodotti’ di decoro, di bellezza, di armonia. Per dirla con la lingua sacra (semitica) della ‘religio’ loro, lingua documentata ormai ad abundantiam, erano contemporaneamente espressione di ‘oz עז (potenza) e di hdr הדר (decoro).

37. Cioè l’uso ordinato dei segni alfabetici acrofonici condotto per linee immaginarie. 

38. Sanna G., 2016, I geroglifici dei Giganti. Introduzione, cit. cap.5 p. 121.


appendice dell'amministratore del blog


Fig. A
In risposta alla domanda di Angelo Ledda si mostra la fotografia di una navicella nuragica dove si vedono i due parapetti traforati sopra le murate. Nella lastra di Pelau si è cercato di realizzare qualcosa di simile.


Fig. B



















15 commenti:

  1. Invito i nostri lettori all'attenta lettura di tutte le note esplicative, per comprendere nel miglior modo il documento. In mancanza di queste, si rimarrà confinati alla superficie del dato esposto. Solo leggendo le note si potrà avere una visione d'insieme del documento e poter trarre ognuno delle considerazioni obiettive.

    RispondiElimina
  2. Buongiorno Prof. Sanna, colgo l'occasione per un saluto a lei, Sandro e tutti i lettori del blog e per porre una domanda. Faccio un po'fatica a visualizzare l'obliquità della barchetta. Immagino che la vista del documento dal vivo abbia agevolato la lettura rispetto alle foto. Intende dire che si tratta di una rappresentazione scorciata o in qualche forma resa in modo tridimensionale, come una pseudo-assonometria? Non so se può essermi d'aiuto anche Sandro. Grazie

    RispondiElimina
  3. Caro Angelo, per queste cose è bene che si pronunci Sandro. Per quanto ho potuto osservare nella visione autoptica la navicella è disegnata palesemente inclinata in modo che chi la osserva da vicino può notare il dato delle due sponde con i due zig zag significanti.

    RispondiElimina
  4. Angelo, la vista della navicella è equiparabile alla prospettiva a volo d'uccello, ossia come fosse vista sotto un angolo di visualizzazione di 45°, tale da vedere sopra le murate i due parapetti recanti i segni a zig zag. Per capire meglio inserirò in calce al saggio del Prof. Sanna l'immagine di una navicella nuragica vista in tal modo.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. È trascorso un po' di tempo dalla pubblicazione di questo reperto e, facendo seguito alla domanda gia posta, per la quale Sandro ha inserito in appendice una foto chiarificatrice, mi sembra utile porre una questione importante dal punto di vista dell'immagine della navicella. La storia delle immagini (che è più ampia della storia dell'arte e quindi può includere anche la pittografia) dovrebbe infatti far saltar dalla sedia se si 'riconosce' che una immagine del mondo nuragico è resa in modo tridimensionale su un supporto sostanzialmente bidimensionale. La resa tridimensionale su supporto bidimensionale, da un punto di vista filologico, mi pare assente nel repertorio nuragico (e non solo). L'inclinazione delle balaustre e la vista 'aerea' presuppongono non tanto la conoscenza (chi può dire che non la conoscessero) ma l'impiego, benché schematico, del sistema di rappresentazione vicino alla prospettiva e all'assonometria che non sembra attestato per quelle epoche, anche in altri contesti culturali. Le immagini sardo-nuragiche di norma tendono a una rappresentazione prevalentemente astratta (diremmo di stilizzazione) più che di resa organico-realistica. Mi riferisco ovviamente alla resa sulla superficie piana ovviamente, per così dire, grafica. Questo per dire che una rappresentazione di questo tipo non può, a mio avviso, essere posta a cuor leggero, dal momento che, dal punto di vista della storia delle immagini, filologicamente, questa modalità di rappresentazione è, per quel che ne so, sconosciuta al mondo nuragico. Quindi le cose son due: o ci troviamo davanti a un dato di particolare novità e interesse sul piano delle immagini oppure, almeno la parte bassa della lastra, dovrebbe essere appartenente ad un altro contesto culturale.

      Elimina
  5. L'uomo taurino di Murru mannu in Tharros è esempio emblematico della scrittura metagrafica insita nella lastra di Pelau di Jerzu; nessun grafema alfabetico vi è nella prima, nessun grafema alfabetico vi è nella seconda; tutto il significato è demandato al pittogramma, con la sola differenza che se la bestiale testa di Murru mannu palesa solo pittogrammi e acrofonia a questi legati, la lastra di Pelau associa il pittogramma e l'acrofonia al significato numerologico. Nulla è demandato al caso, neanche la profondità di campo, tanto da immaginarci la navicella come se fosse inquadrata con vista obliqua “a volo d'uccello”, quanto da immaginare il "tutto tondo" del nuraghe che, nel suo bordo sinistro sfrutta lo spessore della lastra per “ingannare” il nostro occhio, e rendere ancora profondità di campo. Si veda l'immagine "Fig. B" pubblicata in appendice a questo saggio.

    RispondiElimina
  6. Certo che questi sacerdoti e scribi enigmisti erano ossessivi e monocordi: sempre toro toro!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Il commento del nostro interlocutore anonimo parrebbe ironico, ma voglio pensare che non lo sia, e se in effetti non lo è chiedo scusa e rispondo: tale e quale ai sacerdoti di tutte le confessioni, non esclusa quella cristiana, quella ebraica e tanto meno quella islamica.
      Che differenza vi è nel dire: toro, toro, toro rispetto alle giaculatorie cristiane da ripetere per ben 33 volte?

      Elimina
  7. Attenzione alla n.34. Bisogna sostituire 'Bolotana' con 'Bortigali'.

    RispondiElimina
  8. L'osservazione dell'anonimo, non penso ironica, è giusta. Giustissima. Toro, ancora toro e sempre toro. E' proprio così. Il Lilliu capisce dalla iconografia che si trova 'ad abundntiam' e sparsa dappertutto che la divinità è 'toro, anche se poi non riesce a individuare chi essa sia. Il Pettazzoni è dalla 'Sardegna taurina' che capisce quello che non afferra il Lilliu. Recentemente mi è stato mostrato un documento nuragico lapideo dove viene detto a chiarissime lettere (è proprio il caso di dirlo) di che cosa è simbolo il toro. E' questo 'che cosa' che è ossessivo, pensiero continuo, amore continuo, non il toro di per sè. Detta scritta la vedremo tra non molto.

    RispondiElimina
  9. Bel reperto e ottimo lavoro, su Professori.
    Quel segno circolare con i dodici segni a me, a prima vista, è sembrato un albero, col tronco distinto nettamente da due solchi continui. Però, a pensarci bene, trattandosi di mesi, quei solchi forse indicano gli equinozi e separano i mesi caldi da quelli freddi.
    Perdona l'ignoranza di uno che continua a parlare nuragico (nuraxi, mogoro, ecc.) per indicare oggetti, ma non sa cosa dice.

    RispondiElimina
  10. Infatti non era ironico

    RispondiElimina
  11. Risposte
    1. Prego, esprimiti e palesati, altrimenti posso pensare che il tuo nickename e il commento siano un tutt'uno: "Io Stesso Un falso". Per tanto: hai prove inconfutabili di quel che asserisci? E non tirar fuori il solito "lo ha realizzato l'amico del cognato del fratello del padre di pinco pallino" perché non attacca.

      Elimina