lunedì 22 novembre 2021

Il pozzo di Santa Cristina: una obiezione


di Sandro Angei

      Qualche giorno fa un amico ha avanzato una obiezione relativa al pozzo di Santa Cristina.

     Lo ha fatto in privato pensando che la stessa domanda formulata in pubblico potesse mettermi in difficoltà.

    Dal punto di vista umano ringrazio l’amico per la sua sensibilità, ma da ricercatore non farò altrettanto, perché non devo e non posso presumere a priori che quel che dico e scrivo sia verità assoluta. Per tanto nel momento in cui espongo pubblicamente uno studio devo, e sottolineo DEVO, rispondere alle obiezioni, perché queste mettono alla prova la tesi formulata. Sono le obiezioni ad offrirci la possibilità di avvicinare la verità dei fatti, rispondendo ad esse in modo efficace e convincente, oppure potrebbero farci capire di essere in un vicolo cieco nel momento in cui non riusciamo a rispondere a queste in modo adeguato.

     E' questo il principio di base che tutti gli studiosi devono seguire: non si deve pensare che il lettore debba accodarsi per fede a quel che gli viene proposto, ma è necessario che quest'ultimo metta in discussione le ipotesi di studio se necessario. Chi legge deve trovare tutti i possibili agganci per smontare una tesi che a quel punto potrebbe dimostrarsi falsa, o al contrario far emergere, se pur di poco, la verità oggettiva.

    Non devo decidere io se rispondere o meno ad una domanda (nel caso mi sia formulata in privato posso decidere proprio questo perché dovrei dar conto solo ad un amico) ma devo essere costretto a rispondere; e “facessi silenzio”, anche quella sarebbe una risposta. Per tanto sarebbe auspicabile che tutte le obiezioni fossero fatte pubblicamente.

    In ragione di ciò, non abbiate paura a esporre in pubblico le vostre perplessità e i vostri dubbi: solo così si cresce e ci si avvicina alla verità.

 Ma veniamo alla domanda dell’amico.

     In seguito al mio intervento al convegno tenutosi ad Oristano sabato 13 novembre, durante il quale ho descritto e valutato dal punto di vista geometrico e antropologico la natura del recinto esterno del pozzo di Santa Cristina, l’amico, che io scherzosamente chiamo “avvocato del diavolo”, mi chiede in privato:

 “In merito alla muratura che circonda il Pozzo [di Santa Cristina] chiedo quanto questa struttura sia originale o ad esso possa essere riconducibile.

      L’amico ha pensato che rispondere a questa domanda mi fosse fastidioso, ma non lo è per nulla.

     Basti pensare, ammesso e non concesso che, se pure quel muro di recinzione fosse recente ricostruzione operata  dall’archeologo Enrico Atzeni; egli con ogni probabilità lo avrebbe ricostruito sulle tracce del muro originario e non certo secondo un suo gusto.

     Se così non fosse dovremmo dubitare pure delle genuinità della cosiddetta capanna delle riunioni e delle altre strutture annesse edificate attorno al pozzo. [1]

     Detto questo, posta anche per vera la ricostruzione, questa non pregiudicherebbe per nulla quanto da me valutato, perché la mia analisi prescinde dalla struttura in elevazione fuori terra, ma si basa sulla forma in pianta del recinto, del quale rimarco la sua perfetta forma geometrica; a meno di voler affermare, lo ripeto, che quella forma sia espressione di una recente opera di fantasia e che nulla di antico possa esserci sotto quel muro.

      Mi sembra, però, estremamente improbabile che quel recinto sia stato costruito ex-novo, e solo per caso secondo le caratteristiche messe in evidenza nel mio studio.

   Apro una parentesi per dire che in buona sostanza siamo nella stessa condizione relativa al sistema di troppopieno che alcuni vogliono realizzato ex-novo da E. Atzeni, ma che egli dichiarò aver solo ripristinato nella sua funzione. E vi è da credergli, dato che anche in quel caso: quale motivo poteva avere per realizzare un sistema di troppopieno sifonato come in effetti è quello del pozzi di Santa Cristina?

 Si badi bene che il sistema di troppopieno sifonato è funzionale alla riflessione del fascio luminoso che quando è in asse alla scalinata, il 21 di aprile, intercetta un particolare concio del 12° anello; della qual cosa di certo non era a conoscenza l'archeologo.

       Chiusa la parentesi si può affermare che per altri versi, basta leggere quel che scrive Alberto Moravetti in Sardegna Archeologia –guide e itinerari – Il santuario nuragico di Santa Cristina, C. Delfino Ed., nel descrivere il recinto esterno: “… il tutto è delimitato da un recinto ellittico (26x20) che, con un unico ingresso coassiale al vestibolo, separa l’edificio sacro dalle altre strutture del santuario” (mio il grassetto ndr).

       Per tanto il Moravetti non mette in dubbio l'esistenza già in antico del recinto, dando per scontato che esistesse almeno la sua struttura di base, ma non ha neanche idea della sua reale conformazione, descrivendolo di forma “ellittica”.

     D’altronde l’ipotetico costruttore moderno della recinzione perché avrebbe dovuto darsi la pena di tracciare un perfetto ovoide geometrico non avendo alcun esempio da seguire e non conoscendo di certo la reale forma sia di Gremanu né quella del recinto del nuraghe Santa Marra?

      Non so in quale anno fu messo in luce il recinto esterno del pozzo di Santa Cristina; di sicuro non in un periodo posteriore all’intervento di Enrico Atzeni negli anni ’60 [2], e dato che il santuario di Gremanu fu scoperto solo 1987, nessuno negli anni '60 poteva presagire una similarità costruttiva di carattere geometrico tra il recinto esterno del pozzo di Santa Cristina e il recinto d'accesso all'area sacra di Gremanu. E per quanto ne so, nessuno fino al 2018 poteva affermare che i Sardi nuragici conoscessero la tecnica per la costruzione dell'ovoide geometrico.

     Per tanto Gremanu dimostra la natura fallica del recinto esterno di Santa Cristina e Santa Cristina dimostra l'intenzionalità della forma geometrica di Gremanu.

E' questo l'assioma.

note:

1. Alberto Moravetti in Sardegna Archeologia –guide e itinerari – Il santuario nuragico di Santa Cristina, C. Delfino Ed. scrive: "Occorrerà  attendere  il  1953  per  i  primi  interventi  di  scavo  e  di restauro  dell’edificio  nuragico  e  delle  strutture  annesse, proseguiti poi negli 1967-73 e dal 1977-83 da E. Atzeni." (mio il sottolineato ndr). La citazione pone una domanda: cosa dobbiamo intendere per "strutture annesse"?
Una indagine sulle ortofoto della Regione Sardegna mette in luce che nel 1954-55 già si vedeva il recinto interno "quello definito in modo abietto "a forma di serratura di chiave" ma non quello esterno. 

2. Dalle ortofoto della Regione Sardegna anni 1954-55, come già detto in nota [1] si percepisce solo il contorno del recinto interno, mentre nelle ortofoto del 1968 il recinto esterno è ben evidente. Sempre nella ortofoto del 1968 è distinguibile la capanna delle riunioni e quella ad essa attigua, ma non si notano quelle strutture descritte dal Moravetti: "una serie di ambienti a profilo curvilineo ed altri quadrangolari in parte disposti “a schiera", poste a nord e nord-est del pozzo sacro.
   Ciò dimostra con ogni evidenza che tutte le strutture attorno al pozzo sacro erano completamente interrate quando A. La Marmora descrisse il monumento nel 1840, e lo rimasero fin verso il 1953, quando iniziarono i primi scavi.





4 commenti:

  1. ... ahimè dovrei essere io il dubitatore d'ufficio! ...
    ... l'avvocato del diavolo; ...
    ... OKKIO NON SONO TITOLATO
    ... per cui i dubbi riguardano la mia ignoranza,
    ... che magari può essere condivisa
    ... o colmata fino a chiarimento;
    ... e come accennato dall'autore del post
    ... vertono in merito alla certezza dell'originalità
    ... sulla pianta delle strutture murarie adiacenti e contenenti il Pozzo stesso; ...
    ... avendo avuto testimonianze sullo stato del pozzo
    ... prima degli interventi del 1956;
    ... ma avendo lacuna sulle modalità di riedificazione delle mura perimetrali; ...
    · Rispondi · 1 m

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  2. Ringrazio Nemo Nemus per essersi palesato. Chi mi segue e soprattutto segue a tutto campo ciò che è stato scoperto, sia a livello archeoastronomico e geometrico, che di quello epigrafico relativo alla scrittura sacra nuragica, che ormai da decenni il Prof. Gigi Sanna non si stanca mai di ribadire quale espressione della religiosità delle genti nuragiche, sa che la divinità nuragica, chiamata YH, YHH, YHW è una divinità androgina, che si manifesta attraverso il Sole e la Luna (qualità lucifera), il toro (espressione di potenza) e il fallo (qualità vivificante).
    In ragione di ciò, pare azzardato intravvedere l'uovo cosmico nel recinto esterno del pozzo di Santa Cristina, come alcuni asseriscono commentando su Facebook questo articolo, e tra l'altro portando ad esempio dell'uovo cosmico la pietra di forma ovale del complesso monumentale di Monte d'Accoddi, che ci sta come i cavoli a merenda.
    Per tanto, data la confusione innescata in quel di Facebook, ho lì cercato di spiegare in altro modo il parallelo tra Gremanu e Santa Cristina, dato che il termine "ovoide" rimanda in modo automatico all'idea di "uovo".
    Ripropongo qui la spiegazione che nella fiumana di Facebook, da qui a qualche giorno è difficilmente rintracciabile.
    Commento su Facebook:
    E’ probabile che mi sia espresso male, per tanto cercherò di chiarire che:
    1°: In geometria si definisce “ovoide” quella figura piana concava chiusa che ASSOMIGLIA alla sezione di un uovo di gallina. Così non sarebbe se le galline facessero uova perfettamente sferiche oppure ovali come quelle di struzzo.
    In tal caso si sarebbe ricorso ad altro soggetto per definire la nostra forma geometrica.
    Se togliamo qualsiasi riferimento ad oggetti che rientrano nelle forme a noi familiari, come potremmo definire la forma dell’ovoide?
    Piuttosto difficile definire l’ovoide in poche parole senza riferirlo a una forma familiare; ecco perché si utilizza per convenzione l’uovo per descrivere questa figura piana. Per tanto non avessimo, per pura ipotesi, quale riferimento l’uovo, avremmo dovuto inventarci un altro nome che, sempre per ipotesi chiameremo “XYZ”.
    Per tanto la nostra figura non la avremmo chiamata “a forma di uovo” ma “a forma di XYZ” e avremmo detto che il recinto esterno del pozzo di Santa Cristina fu realizzato “a forma di XYZ”.
    Ora andiamo a Gremanu per scoprire che anche il recinto d’accesso al santuario è “a forma di XYZ”; per tanto, possiamo dire che il recinto esterno del pozzo di Santa Cristina fu realizzato secondo le specifiche tecniche del recinto d’accesso a Gremanu.
    In ragione di ciò, posso dedurre che la figura “a forma di XYZ” definisca un soggetto e solo quello: in modo esplicito a Gremanu (solo se visto dall’alto) e in modo più velato a Santa Cristina.
    Se le cose stanno così, come posso asserire che a Gremanu XYZ alluda al glande, mentre a Santa Cristina alluda all’uovo? Perché se a Gremanu ho la prova tangibile e incontrovertibile che quel recinto “a forma di XYZ” è quella del glande, a Santa Cristina che prove ho per asserire che la “forma a XYZ” rappresenti un uovo?

    2°: Possiamo ora dire, date le prove evidenti da me scoperte e pubblicate in alcuni articoli nel blog Maymoni, che in età nuragica sapevano costruire la figura a forma di XYZ, ossia una figura piana dettata da regole precise usando il compasso (una corda e due pioli nella versione più semplice) e una riga (una corda tenuta ai due estremi nella versione più semplice).

    3°: il rilievo topografico del recinto di ingresso al santuario di Gremanu mette in evidenza che questo fu tracciato secondo le regole dettate per la costruzione della figura "a forma di XYZ".

    4°: il rilievo topografico del recinto esterno del pozzo di Santa Cristina mette in evidenza che anche questo fu tracciato secondo le stesse regole geometriche, benché con punti di riferimento diversi.

    5°: le evidenze archeologiche mettono in evidenza la natura fallica della divinità nuragica, e Gremanu ne è prova lampante.

    6°: nessuna evidenza in età nuragica conduce all’idea dell’uovo.

    Ergo…

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  3. Ancora su Facebook questo commento esplicativo che ho agganciato ad altro commento:
    Mi rendo conto che certi argomenti sono difficili da trattare e sinceramente cerco di affrontare questo con molta cautela per non scadere nel triviale.
    Il suo commento mi fa capire quanto lei abbia inteso fino in fondo il mio pensiero; per tanto ne approfitto per dire alcune cose.
    Mi rendo conto che è difficile scardinare delle convinzioni radicate.
    Quelle convinzioni dettate da una analisi, per così dire “ a pelle” del tema, trattato in modo superficiale lì dove i contenuti contrapposti che si adducono sfociano in quelle che mi sembrano risposte dal gusto esoterico, senza alcun aggancio alla realtà dei fatti; dove per “realtà dei fatti” si intende l’utilizzo di un determinato ideogramma (in questo caso l’uovo) in una determinata cultura. La civiltà nuragica, per quanto mi è dato sapere, non ha espresso questo ideogramma in alcuna sua rappresentazione. Per tanto manca proprio l’aggancio per poter sostenere che quel recinto ha il significato di “uovo”.
    Nulla in contrario all’esoterismo, è un modo di comprendere la spiritualità, ma non rientra, a parer mio, in quella che è la ricerca dell’aspetto meramente pratico delle strutture che stiamo indagando.
    Praticità che ritengo sia necessario usare nel momento in cui si ha a che fare con una civiltà piuttosto pratica ed essenziale, quale fu la civiltà nuragica.
    Una civiltà mai speculativa in ogni sua azione: neanche quella legata al culto e alla divinità lo era. Divinità unica benché androgina, che si manifestava comunque sempre in modo palese attraverso connotazioni lucifere del Sole e della Luna, della potenza taurina e della forza vitale del fallo.
    Questa era l’essenza di quella religiosità, tutta incentrata sulla divinità unica e androgina.
    Non sfuggiva a questa regola neanche la scrittura, a parer mio, dato che anche quella era impressa in modo indelebile su supporti ritenuti eterni: bronzo, pietra, ceramica. Vi era, cioè, la necessità di materializzare in qualche modo l’inno a quel dio, e per preservarlo nascondevano il più possibile la scrittura e il suo nome.
    In una religiosità di tal genere l’uovo non aveva posto alcuno perché l’espressione divina era totalizzante: irriducibilmente totalizzante.
    A Gremanu (si rifletta su termine e si avranno le giuste risposte) il fallo era visto quale principio della vita assieme alla sua controparte: il pozzo sacro più a monte.
    A Santa Cristina il glande racchiude e ingloba in se il pozzo sacro alludendo probabilmente alla natura androgina della divina.
    Vedere nel recinto esterno del pozzo di Santa Cristina un uovo o, addirittura come fa un commentatore, che lo accosta alla sacca uterina dentro la quale il feto si sviluppa, significa che quel recinto sarebbe ideogramma del figlio e non del padre/dio creatore.
    Se invece vediamo in quel recinto il glande, quello si, è ideogramma del padre/dio creatore.
    Si abbandoni per tanto l’idea dell’uovo, perché esso non è principio vitale, non è padre/madre, ma è figlio.

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  4. Una riflessione.
    Eccomi qui a postare commenti scritti altrove, su Facebook per l’esattezza.
    E si, perché ormai nei blog non si commenta più come una volta; questa funzione è demandata a “Facebook”, nel quale l’articolo pubblicato sul blog viene scientemente condiviso dal blogger, e in ragione di ciò appare, l’articolo, alla finestra del piano terra, quella che si affaccia direttamente sul vicoletto che, a seconda dei casi, si può trasformare in strada maestra tanto è il traffico immane dove il vociare di uno, lo strillare di altri, si mischia, si contrappone, quando non sommerge, il sussurrare di pochi che lì, più che altro assistono, a volte si divertono, altre volte rimangono basiti di tanto vociare che in certi casi, purtroppo, risulta spropositato.
    Sussurratori taluni (li capisco e mi immedesimo nel loro imbarazzo) che spesso neanche commentano tanta è la virulenza, la tracotanza e la maleducazione che, direttamente proporzionali all’ignoranza, manifestano certi commentatori.
    A volte assisto, basito pure io, a certe situazioni che hanno dell’irreale per non dire “assurdo”, perché in questo tran tran di articoli che rimbalzano da una piattaforma ad un’altra, da un post ad un altro, a volte in una miriade di condivisioni nelle quali ognuno dice la sua (per carità è giusto sia così, ma vi è modo e modo e vi è caso e caso), si leggono commenti che francamente ti fanno cascare le braccia.
    In sostanza succede che:

    1° fase: pubblicazione dell’articolo sul blog.

    2° fase: condivisione di quell’articolo su Facebook o altra piattaforma con presentazione stringata del tema.

    3° fase: commenti in dette piattaforme.

    4° fase: domanda prima di rispondere a certi commenti: “hai letto l’articolo prima di commentare?”

    Si è proprio così, alcuni facebookiani commentano senza aver letto una riga dell’articolo o del saggio proposto. Sembra inverosimile ma è proprio così.
    In una occasione mi è capitato di leggere un commento denigratorio basato solo ed esclusivamente sulla lettura del titolo di un mio articolo: STOP.
    Definire surreale questo fatto è un modo gentile per non dire che rasenta la follia… così è!
    Salvo poi, per non passare io per “coglione” (mi scuso con i gemelli che nessuna colpa hanno per esser tirati in ballo, ma l’accezione lo richiede), far notare allo sprovveduto commentatore che sarebbe stato il caso di leggere, non dico l’intero saggio, per carità, ma almeno farsi una idea di ciò che vi era scritto, prima di commentare in modo preconcetto, fazioso, prevenuto e presuntuoso un articolo che nulla c’entrava col contenuto che il commento stigmatizzava.

    Che figura di m****. Beh, quando ci vuole ci vuole!

    In situazioni come queste tu estensore dell’articolo ti trovi a dir poco frastornato, dato che non è possibile destreggiarsi, a volte, in una miriade di condivisioni: croce e delizia di Facebook.

    Ecco che, in questo bailamme si ha nostalgia del caro commentario del blog, tanto da voler commentare tra me e me. Buona serata.

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