mercoledì 3 ottobre 2018

La ‘scritta’ della ‘domus de Jana’ di Korongiu di Pimentel: doppia forza, doppio sostegno, doppia stabilità. Parte forse dal neolitico - eneolitico sardo l’ideologia della rinascita ad opera del ‘doppio’, ovvero della coppia celeste luna-sole? Partono da quel periodo in Sardegna la scrittura ideografico - numerica e i segni convenzionali?


Fig. 1
Fig. 2. Segni trascritti (Lilliu p. 135)
 Le cosiddette domus de janas sarde ci ha hanno lasciato disegnati o scolpiti, come si sa, non pochi segni  relativi  alla ideologia della morte e dell’aldilà (1). Spirali, bipenni , motivi ondulati e  motivi detti a zig - zag, motivi ad ‘U’ semplici o reiterati, motivi
‘lunati’, tori, cervi, antropomorfi ‘capovolti’, antropomorfi con schema a candelabro (figg. 3 - 4 -5 -6 -7 -8 -9 -10 -11), costituiscono solo una parte del ricco repertorio inventato dalle popolazioni prenuragiche per comunicare, in qualche modo, il loro sistema concettuale riguardante la/le  divinità, il regno dei morti e le loro aspettative ultraterrene.

     

     

         


   La tomba ipogeica di per sé e la segnica riportata se è vero che possono far pensare ‘anche’ a delle decorazioni (2), al desiderio di rende esteticamente più valido un certo ambiente e la parte prospiciente (in genere cella e anticella) fanno pensare però soprattutto a quella che per i sarcofaghi e per le tombe etrusche abbiamo chiamato  ΜΗΧΑΝΗ (μηχανή), una macchina o apparato (3) teso a rendere il più possibile magico il luogo destinato solo temporaneamente al ‘riposo’ per poi pervenire nel regno tutto diverso rispetto a quello che è la tomba grembo ‘materno’ e cioè a quello della luce. Non staremo certo qui a spiegare il valore e la supremazia del sesso femminile nel neolitico sardo e non, sesso però che ‘naturalmente’ non può prescindere da quello maschile (4).

  Sono i ‘segni’, soprattutto se oscuri e misteriosi, spesso significativamente ripetuti, che rendono la tomba pregevole, perché costituiscono essi la forza magica attraverso la quale il defunto o  defunti possono di nuovo vedere la luce. Segni che dicono, parlano, gridano e chiedono non la morte eterna, il buio perenne, la ‘fine’,  ma la salvezza e un nuovo ‘inizio’ al di fuori della tomba. Sono i ‘desiderata’ di sempre dell’uomo mortale. Sostanzialmente nel tempo non cambiano. Quelle che cambiano invece sono le modalità nell’esprimerli con i simboli.

  La specialità della tomba di Korongiu di Pimentel è quella di possedere,  rispetto alle altre tombe del neolitico - eneolitico (dove i segni ci comunicano, ma quasi mai in un dilatato  ‘discorso continuo’ (5), il tema del vigore, dell’energia e della immortalità o ‘continuità’),  una singolare sequenza segnica che, per come si presenta disposta, saremmo quasi tentati di chiamare ‘lineare’; essa viene espressa da quelli che il Lilliu chiama ora  ‘simboli decorativi’ ora  ‘stenogrammi’ (6), mentre i realtà sono degli ‘ideogrammi’ che, in quanto tali, possono essere trasferiti foneticamente e linguisticamente in qualsiasi linguaggio.  Detta sequenza si mostra articolata  su due linee, con la disposizione di tre segni sopra e cinque sotto. Inoltre essa è composta da ideogrammi tutti diversi ma tra loro in qualche modo ‘imparentati’ o dal segno grafico o da ciò che esso comunica.

   Vediamo di analizzarli uno per uno i detti segni e cerchiamo di capirci qualcosa, partendo in primis dalla loro conformazione. Ancor prima però consideriamo un dato generale che non può non colpire chi osserva l’insieme dei graffiti. Questi si presentano ‘doppi’ o ‘raddoppiati, tanto da far pensare subito che il ‘doppio’ sia già dato comunicativo fondante, il più importante e significativo di tutto il system ideogrammatico. Prima di tutto il resto, all’inizio della ‘lettura’(7), bisogna capire e leggere questo aspetto, cioè che il tutto parla di un misterioso doppio o di una ‘coppia’ . 

   Il primo segno a partire dalla sinistra risulta essere un doppio arco (taurino), il secondo una doppia verticalità, il terzo una doppia orizzontalità. Ad essi è stato aggiunto (aggiunto a tutti (8) nella prima linea) , il segno a spirale.  Detto segno a spirale è tranquillo per il suo significato in quanto esprime, universalmente,  il valore ideogrammatico di ‘vigore, energia’. Esso è assai comune nelle raffigurazioni delle domus de jana (v. figg. 3 -5 -6).  Più complessi risultano invece i tre segni geometrici (9): ad arco,  verticale e orizzontale. Segni che, va da sé, sono stati disegnati proprio per la varietà e il significato che essi assumono in base a quel particolare essere loro formale: la curva indica la ‘forza’, l’asta verticale il ‘sostegno’ e la linea  orizzontale ‘la stabilità’. Si pensi per il primo ad un arco o alla conformazione di una persona che si piega o curva per uno sforzo; per il secondo ad un paletto, ad un trave, ad un muro di sostegno, ecc.; per il terzo ad una base stabile di un qualsiasi oggetto, come ad es. una barca, un edificio e così via. I tre ideogrammi (segni geometrici + spirali) che vengono raddoppiati sembrano dunque dirci: doppia forza vigorosa, doppio sostegno vigoroso, doppia stabilità vigorosa.

Passiamo ora alla seconda linea ideogrammatica.

Abbiamo una spirale con quattro cerchi (e non più due) + un primo segno a zig zag + un secondo segno a zig zag + due segni circolari finali.

Con questo significato:

doppio vigore, doppia continuità (10), doppia luce.

La lettura ideogrammatica bustrofedica (11) della scritta ‘lineare’ sarà allora:

doppia forza vigorosa/ doppio sostegno vigoroso / doppia stabilità vigorosa  

doppio vigore/ doppia continuità/ doppia luce (12)

che sembra assumere questo significato: forza, sostegno, stabilità vigorosi della luce doppia vigorosa continua.   

Per seguire meglio tutto il ragionamento e per meglio comprendere l’interpretazione delle sequenze sarà bene rifarsi alla seguente tabella:

Rimane da vedere ora la segnica presente nelle ‘ante’ dell’ingresso della cella della  domus. I segni stavolta sono solo due ma molto più marcati, soprattutto con la loro chiara verticalità, rispetto ai precedenti. Se si osserva con attenzione e si tengono presenti gli schemi degli ideogrammi si comprende che essi non sono altro che il secondo segno della prima linea raddoppiato (v. tab. 2). Lo ‘scriba’ ha ripetuto detto segno perché evidentemente ritenuto più importante in quanto il ‘sostegno’ è idea e concetto assieme  fondamentale per la rinascita dei defunti. Raddoppiandolo però si ottiene un risultato ideografico molto importante che è quello di comporre il numero ‘quattro’, numero che suggerisce in ogni cultura e da tempi remotissimi la forza o la potenza; numero convenzionalmente tenuto in gran conto (perché molto comodo per varietà di realizzazione ) dalla cultura scrittoria ideografica sia nuragica che etrusca (13) 

  tab. 2

    La lettura dei due macrosegni sarà allora: Forza del doppio sostegno vigoroso/Forza del doppio sostegno vigoroso. Il raddoppio della  ‘petitio’ è chiaramente dovuto a motivi di ‘magia’ perché si ripete ancora il numero sacro dando perfetta organicità al tutto della scrittura ideografica  ma senza che uno, sulle prime,  se ne avveda. Tutto è ‘due’ e solo ‘due’ (14); tutto richiama la coppia divina luminosa per il suo potere circa il destino positivo o negativo dei defunti. 

Chi si accostava alla tomba (domus) leggeva prima i ‘macrosegni’, quelli enfatizzati ai lati e poi gli altri segni più piccoli al di sopra dell’ingresso. Forse un ‘doppio’ magico  ricercato anche questo per sequenza (un prima e un poi),  così da affiancarlo coerentemente  a tutti i doppi presenti come ‘scrittura’ (doppi segni, doppia linea, doppia lettura).   

   La domus quindi reca la ‘petitio’ che i defunti possano godere della forza taurina (15), del sostegno e della stabilità del vigore continuo della coppia luminosa, la luna ed il sole.

   Se la nostra lettura è giusta, come ci sembra,  essa illumina non poco sulla ideologia dell’aldilà e della stessa ‘religio’ del neolitico - eneolitico sardo. I sardi della fine del III Millennio a.C. adoravano la luce, costituita dalle due fonti luminose celesti. Sono esse che danno ‘forza sostegno e stabilità’ ai defunti che aspirano ad una nuova vita nella luce e con la luce. Ma illumina anche circa la scrittura religiosa perché chiunque può notare che, per quanto essa non possa giudicarsi scrittura ‘lineare’, si comporta comunque come se lo fosse, con un inizio, una continuità e una fine  ‘ordinati’ e ‘scanditi’  su piani diversi secondo il modo convenzionale della scrittura fonetica e non logografico ideografica. Tanto da far supporre che il modello della composizione della domus  di Korongiu fosse la scrittura lineare (16), resa questa con notevole astrazione pittografica per motivi di impedimento di lettura più facile della scritta. Ciò Qqqqpotrebbe voler dire che alla fine del III Millennio a.C. o agli inizi del II Millennio in Sardegna si conoscevano, con ogni probabilità, entrambe le scritture e che quella ideogrammatica a rebus fosse la preferita per motivi religiosi attinenti al mistero, al sacro e alla magia segnica.

Ma, come qualcuno forse avrà già notato,  c’è ancora qualcosa di altrettanto importante se non di più importante che si ricava  dal senso dell’iscrizione, perché illumina anche la singolare  produzione scritta  successiva e del nuragico e dell’etrusco.

    Chi ci ha seguito nella nostra ricerca comparativa del system metagrafico del sardo e dell’etrusco si sarà reso conto che la ‘petitio’ tombale neolitico - eneolitica è, si può dire, identica, a quella che si riscontra nei bronzetti nuragici e nella vastissima  produzione degli oggetti (sarcofaghi, urne, piattelli, hydrie, spilloni ecc.) etruschi (17). Infatti, forza, sostegno e stabilità (18)   sono le prerogative o qualità sulle quali conta e spera il defunto, quelle  che deve mettere in campo la divinità per la possibilità della salvezza . Ciò che però più colpisce è il fatto che, nella scala dell’opera dell’ aiuto divino, il più messo in evidenza è, come nella domus - tomba di Korongiu di Pimentel, il concetto di ‘sostegno’ o ‘doppio sostegno’. Aspetto questo che si trova ben esplicito soprattutto nell’etrusco.

   Ora, se per la dimostrazione noi facessimo vedere dove e quante volte gli scultori e  i pittori etruschi mettono in rilievo nella scrittura metagrafica a rebus l’aspetto del ‘sostegno’, non ci basterebbe per essa un libro di molte pagine. Basterà per ora (19) riportare i  due esempi seguenti tratti da due note hydrie etrusche di Caere, oggetti apotropaici che, così come quelli nuragici, per la loro stessa conformazione (20), si prestano alla ‘petitio’ triadica della ‘forza, del sostegno e della stabilità’.

Primo esempio:

l’Hydria avente come soggetto e pretesto (21) il mito eroico dell’Odissea con Ulisse e i compagni che accecano il Ciclope Polifemo (fig.12).     

 Fig. 12

    Detto soggetto è riportato nel corpo dell’Hydria, cioè nella parte che più si presta  per ampiezza ad essere adoperata per la narrazione. In un manufatto tutto finemente decorato, nel collo, nella spalla e nel piede, tutti sarebbero disposti ad ammettere che la raffigurazione pittorica presente nel corpo del vaso obbedisca anch’essa al criterio estetico. Il vaso si presenta bello e quindi prezioso anche e soprattutto per il notissimo motivo dell’epica greca del mostro ubriacato e accecato nel suo unico occhio dal trave con la punta incandescente sostenuto da Ulisse e i suoi compagni.

Basta però osservare tutta la scena e leggerla come scrittura metagrafica (a partire dalla sinistra) per rendersi conto che dietro l’episodio omerico e la decorazione, si trova, realizzata a rebus, la parte della formula di protezione o sostegno che vuol essere espediente magico perché il defunto possa salvarsi e raggiungere il mondo della luce.

La lettura si basa:

-  sul numero di coloro che ‘sostengono’ il trave ovvero il ‘quattro’.

- sull’idea del trave come ‘sostegno’

- sull’occhio circolare di Polifemo descritto da Omero; occhio che richiama la  lampada solare e lunare  assieme.

- sulla posizione del gigante seduto che tiene ‘sollevata la coppa’ con la mano destra, distende il  ‘il braccio  sinistro’ e ‘curva’ la gamba sinistra.      

  Tenendo presente il solito valore convenzionale del ‘quattro’ come ‘forza’ ( v. nota 20)  avremo:

forza/ sostegno/ occhio (luce)/ solleva/ distende/curva 

Che ci dà ‘forza del sostegno della luce sole/luna (del ‘tre’ che sorge, si distende e curva). Ci dà cioè la stessa voce che abbiamo visto espressa geometricamente a rebus del secondo segno della scritta  della domus di Korongiu di Pimentel.

L’Ydria etrusca della Banditaccia di Cerveteri quindi altro non è se non un’urna che contiene il cenere del defunto con la ‘petitio’ del ‘sostegno’ da parte della divinità astrale che è sia il sole che la luna.     

Secondo esempio:

l’Hydria  avente come soggetto e pretesto la gara della danza erotica (fig. 13) ritmica dei due ballerini nudi ardenti (22).


Fig. 13
Stavolta il pittore non prende lo spunto dal mito o dall’epica ma dalla danza etrusca (24) che, raffigurata tantissime volte nei sarcofaghi, nelle urne,  nelle pareti delle tombe, nei vasi etruschi, mostra sempre tre movimenti ritmici da parte dei ballerini : un sollevare, un distendere  e un curvare (v. figg. segg. 14 -15 -16).

    
    fig. 14                                                                fig. 15                                                      
  fig.16

La scena presenta, sulla sinistra, due ballerini nudi nell’atto di eseguire una gara di danza manifestamente erotica (23) e, sulla destra,  un giudice o garante della danza che con il braccio destro dà l’avvio ad essa. Il senso sarebbe molto difficile da cogliere se non si considerasse, in primo luogo, che le tre persone sono completamente nude,  non hanno alcun oggetto che li ricopra, tranne la donna che reca sul capo un cappello (24) che sostiene la sua chioma.  La lettura, che prende l’avvio dalla destra, dà quindi l’idea di garanzia, di sostegno,  di gara di danza erotica, di ballerini che compiono l’atto ritmico ternario: la donna solleva il braccio destro , distende il braccio sinistro e piega la mano sinistra; l’uomo solleva (ha in erezione) il fallo, distende le braccia e curva le mani.

    Gli ideogrammi, in sequenza ordinata, suggeriscono l’espressione ‘garanzia del sostegno della danza erotica dei  ballerini ‘tre’ e ‘tre’. Poiché sappiamo bene (25) che il doppio tre o il sei costituiscono l’attività continua ciclica del sole e della luna e che quindi il tre è, con il sollevare, il distendere e il curvare, ideogramma dei due astri (26) e poiché sappiamo ancora che il sole e la luna sono manifestazioni luminose dell’androgino TIN/UNI, la lettura sarà:

garanzia del sostegno  della danza erotica dei ballerini TIN e UNI.

    Quindi, come nell’hydria illustrata precedentemente, anche in questa il corpo del vaso contiene, scritta attraverso il system ideogrammatico,  la ‘petitio’ del sostegno della doppia divinità sia solare che lunare perché il defunto possa ottenere la ‘rinascita. Si noti che l’ottenimento di essa si ha con un ben preciso atto amoroso da parte di Tin e di Uni, una fervida e lunga danza (gara) sessuale che permetta la nascita di un loro figlio , di una ulteriore creatura , di una nuova vita ‘luminosa’.

   Nella ‘iscrizione’ neolitica - eneolitica’ di Korongiu Pimentel il ‘sostegno’ sessuale è reso meno manifesto ma il motivo forse è dovuto al fatto che la tomba stessa è linguaggio comunicativo in quanto essa è ‘grembo materno’ ovvero  potenza taurina lunare, che è energia continua, è attività generante; attività  che però non può prescindere dall’attività fecondante, anch’essa taurina,  che è quella del sole. Il tema dei due ballerini in gara erotica continua dell’hydria etrusca nella sostanza non sembra  risultare  differente da quello del vigore continuo delle due luci celesti.  Quindi il doppio ‘ossessivo’ della scritta ‘tutta due’  tende a porre in risalto la doppia forza già in atto e sempre in atto della coppia divina  celeste; forza straordinaria che non a caso è spessissimo raffigurata ‘taurina’, incisa o scolpita o dipinta, nelle pareti delle cosiddette domus de jana (v. fig. 17).   

     fig. 17.  Domus della roccia detta  'dell'elefante'.  

Note ed indicazioni bibliografiche       

1. Lilliu G., 1980 (rist.). La civiltà dei Sardi. Dal neolitico all’età dei nuraghi, ERI, Torino, pp. 105 -157,
2. Il ‘decus’ e il ‘symbolum’, come si è detto (tante) altre volte, costituiscono i parametri e le categorie su cui ruota l’ermeneutica di Giovanni Lilliu. I suoi sforzi interpretativi, nonostante più volte lo portino ad usare una terminologia adatta più alla scrittura che alla pittura o alla scultura non vanno oltre l’aspetto estetico e quello allusivo, i quali, ovviamente (soprattutto l’ultimo), lo conducono a ipotizzare e ad elucubrare su basi impressionistiche ed epidermiche (indicativo è ad es. l’immaginare un certo segno circolare doppio relativo ad una ‘dea degli occhi’) che lasciano, dal punto di vista scientifico,  il tempo che trovano. Fatica vana, anche quando i riferimenti comparativi di religioni coeve e territorialmente sparse un po’ dappertutto possono sembrare offrire un certo supporto e garantire un certo grado di attendibilità.  
3. V. Sanna G. http://maimoniblog.blogspot.com/2018/05/i-sarcofaghi-degli-sposi-di-cerveteri-e.html
4. Lo stesso Lilliu, dai ‘segni’ più o meno ripetuti ricava la divinità femminile come ‘Dea madre’, detta anche ‘dea nuda o dea degli occhi , di origine orientale (mesopotamica - anatolica) di diffusione panmediterranea , atlantica, e per quanto pare, anche oceanico - americana. Essa testimonia l’efficace presenza e l’ideologia operante della religione materna, di struttura sociale matriarcale con l’economia della notata civiltà agricola di cui essa è logica e coerente espressione ideale e spirituale. A fianco della Dea Madre, genitrice e vivificatrice dell’organico e dell’inorganico, tutrice e rigeneratrice della morte , regolatrice, forse, del ciclo lunare e, pertanto, pure di natura uranica astrale, si indiza, per quanto oscuramente sotto i veli del simbolo, una figura di dio maschio, paredro , talvolta assimilato al toro o espresso drasticamente nella forma essenziale del ‘fallo’ […]. Il Dio maschio è figura complementare  e necessaria alla Gran Madre, sebbene , forse, quest’ultima,  si potesse immaginare concepir allo stato verginale , non ‘tocca da uomo’, per essere piuttosto la compagna dell’animale totem: il toro, appunto, che sembra conservare il suo valore valore totemico .’ (pp. 144 -145). 
5. Sembra far eccezione la pittura delle  pareti e del soffitto della domus di Mandra Antine di Thiesi ma il notevole deterioramento di parte della pittura del soffitto, che impedisce di capire quanto e come e se essa sia collegata a quella parietale, nonché  la notevole ermeticità di alcuni dei segni (i cosiddetti ‘oscilla’ ), compresi quelli  numerologici (l’uno, il due, il tre e il quattro?) non consentono di ricavare se non il senso generale: che la domus possiede ‘decus’ e ‘symbola’, allusivi questi ultimi alla forza e all’energia necessaria perché i defunti possano ritornare nel regno della luce. Circa il ‘decus’ sarà forse bene sottolineare che Giovanni Lilliu per primo paragonò, in qualche modo, lo ‘sfarzo’ dell’interno della tomba neolitico - eneolitica sarda  a quella etrusca . Facendo così un ‘salto’ cronologico di ben millecinquecento anni e più. Noi però siamo dell’avviso che sia la tomba ‘parlante’ sarda del neolitico sia quella etrusca abbiano la loro origine negli exempla più sublimi di tutta la decorazione tombale di ogni tempo e cioè quelli egiziani. E forse non è improbabile che gli etruschi abbiano appreso dai sardi Shrdn l’uso di ornare magicamente con decus, symbolum e sonus le loro case temporanee per il ritorno nella luce. Più aperta ad una interpretazione di lettura sembra essere quella di Sa pala Larga di Bonorva dove le pitture (tori, motivi a spirale ecc.) meglio si prestano alla lettura per sequenze (ma di ciò preferiamo parlare in un articolo apposito). Tra le altre domus una breve lettura ideografica in sequenza  sembra offrire  la tomba di Pubusattile di Villanova Monteleone  (v. fig. seg.) dove l’iterazione del quadrato  (la cosiddetta ‘scacchiera’) e i sei segni serpentiformi (ad onda continua) sembrano leggersi ‘forza continua del sei immortale’ (allusione ai ciclici tre + tre del sole e della luna?). 

6. Lilliu G., 1980 (rist.), La civiltà dei Sardi. Dal neolitico, ecc. cit. pp. 132 -133.  
7. E’ la lettura iniziale che si presenta nell’iconografia nuragica ed etrusca (bronzetti e hydrie)  ma con la propensione ad esaltare il numero ‘tre’ o il doppio di esso, ovvero il ‘sei’ come ideogrammi del movimento ternario ciclico del sole e della luna. I bellissimi sigilli nuragici di Tzricotu, oggi non più sospettabili di recenziorità o di falsificazioni (Angei S., 2018,  http://maimoniblog.blogspot.com/2018/04/il-sigillo-a1-di-tzricotu-matrice-per.html ) costituiscono nello specimen e nelle aggiunte allo specimen stesso un vero e proprio ‘inno’ al tre, alla divinità androgina che ha la sua massima manifestazione nel ciclo ternario dell’astro diurno e di quello notturno. 
8. Il segno è presente anche nelle estremità dei due motivi curvilinei. La trascrizione fatta dal Lilliu non risulta del tutto esatta.
9. Sul ‘geometrismo astratto’  dei simboli presenti nella domus insiste particolarmente G.Lilliu (La civiltà dei Sardi. Dal neolitico, ecc. cit. pp. 132 -133)
10. Il motivo detto a zig -zag altro non è che un motivo ripetuto e quindi continuo (immortale). E’, forse, lo schema base e l’antesignano di tutti i motivi reiterati: quadratini, disegni floreali, onde continue, linee geometriche, ecc. Si trova delle domus de Janas,  nelle barchette nuragiche e nelle lastre tombali etrusche. L’iterazione costituisce  un comodo espediente convenzionale per ‘scrivere’, in tanti modi diversi, la voce ‘continuo, immortale’.  L’etrusco ne fa un uso massiccio negli affreschi tombali, negli oggetti funerari (piattelli, hydrie, sarcofaghi, urne, ecc.). Vedi ad es. più avanti le figure delle due hydrie che solo apparentemente riportano motivi decorativi in quanto essi sono anche e soprattutto ideogrammi tutti tendenti a glorificare nascostamente la forza, il sostegno e la stabilità del tre immortale.
11. La scrittura per ideogrammi parte dalla sinistra e volta verso destra. Una scrittura solo sinistrorsa non darebbe lo stesso risultato ‘ordinato’ di senso.
12. La doppia luce, solare e lunare assieme, è in realtà un’unica luce. E’ per questo motivo che gli Etruschi usano ora il solo ‘tre’ per definirla, così come usano il ‘sei’ che allude al ritmo ciclico di ciascuno dei due astri. Dire ‘luce’ e ‘doppia luce’ non cambia l’essenza luminosa ternaria di essa.  
13. Si veda più avanti la ‘lettura’ ideografico - numerica del ‘quattro forza’ resa con il numero dei compagni di Ulisse che sostengono il trave per l’accecamento del Ciclope (il gigante dall’occhio cerchio o occhio rotondo ).
14. A questo rispetto del doppio forse è da ascrivere la stessa bicromia, ovvero la sottolineatura con il rosso dei segni. Colore, come si sa,  dal valore simbolico (il sangue) di rigenerazione e di rinascita universalmente adoperato dalle culture arcaiche a tutte le latitudini. Così come per il detto ‘rispetto’ del sacro pare che debba intendersi il motivo del doppio, anticella – cella (luce – tenebra), della pianta della tomba ipogeica. V. la bella foto di Stefano Sanna nel suo recente http://maimoniblog.blogspot.com/2018/08/i-misteriosi-petroglifi-della-domus-de.html. 
15. L’idea di ‘forza’  sta sia nel geometrismo (l’arco) sia nel razionalismo naturalistico con l’allusione alle vigorose corna bovine dei due astri. Entrambi sono tori, simbolo di potenza, di fertilità e di rinascita continua per tutte le creature del mondo.
16. Non dimentichiamo che l’inizio della scrittura lineare consonantica acrofonica, ovvero quella detta per comodità ‘protosinaitica’, secondo alcuni studiosi risalirebbe proprio al periodo in cui il Lilliu (ed altri) sono propensi a datare la domus di Korongiu di Pimentel. Lo stesso pseudo geroglifico di Biblo, alfabeto di natura sillabica,  viene fatto risalire al 2300 -2000 a.C.
17. Si vedano: 
http://maimoniblog.blogspot.com/2018/02/il-bronzetto-di-antas-di.html
http://maimoniblog.blogspot.com/2018/05/i-sarcofaghi-degli-sposi-di-cerveteri-e.html
18. Nel metagrafico nuragico ed etrusco i tre aspetti del soccorso divino luminoso possono essere variati nell’ordine e anche nel numero. Solitamente la ‘forza’ viene al primo posto e la ‘stabilità’ all’ultimo. Qualche volta è solo il ‘doppio sostegno’  o  ‘la doppia protezione’  (ad es. del ‘volto radioso del sei ’)  che viene riportato nel rebus metagrafico. Si veda l’oggetto apotropaico etrusco raffigurante la divinità androgina TIN/UNI.

19. Pubblicheremo, da qui in avanti, con una certa cadenza, documenti sia etruschi che nuragici attestanti con chiarezza aspetti particolari o generali della formula salvifica. Il campo iconografico da esplorare è vastissimo, andando dai sarcofaghi alle urne, dagli oggetti a corredo tombale a quelli semplicemente apotropaici (amuleti personali), dalle pitture tombali alle sculture sempre tombali. Essendo il gusto per la ‘variatio’ molto presente sia in nuragico che in etrusco, detta diversificazione ci porterà ad illuminare sempre di più questo particolare tipo di scrittura tenuta nascosta per tanto tempo sotto lo spesso velo del rebus e persasi - così pensiamo - con l’entrata in crisi dei santuari e quindi della scrittura sacra ‘a tutto campo’ di cui essi erano non disinteressati elaboratori e depositari.
20.  Si pensi alle barchette fittili o di bronzo (ma una volta sicuramente anche di legno) del tutto idonee, a motivo della loro ‘stabilità’ (dello scafo), del ‘sostegno’ o ‘difesa’ (delle fiancate) , della ‘forza’ (dell’albero), ad offrire la ‘formula’ dell’allontanamento del negativo e della salvezza per il ritorno ad una nuova vita.   
21. Le scene riportate nel corpo delle ’hydrie’ sono assai varie e si può dire che il repertorio eroico - mitologico venga letteralmente saccheggiato dagli scribi artigiani etruschi (o greco - etruschi operanti in Etruria). Temi prediletti sono quelli relativi alle fatiche di Ercole, alla guerra troiana e alla vicende di Ulisse. Naturalmente  (lo ripetiamo ancora una volta, anche a costo di infastidire) lo scopo primario della realizzazione grafico -pittorica sembrerebbe quella di offrire il ‘decus’, quella che noi chiameremo ‘bellezza ornamentale’ all’oggetto. Infatti, le hydrie sono tutte begli oggetti, sicuramente costosi, prodotti da artisti (ma anche scribi) spesso famosi per dare magnificenza al corredo delle tombe delle persone di rango. Ma non è l’ornamento il fine ‘primario’ della loro realizzazione. Il fine è un altro perché prima di tutto viene la ‘scrittura’, la magia della scrittura a rebus per la quale veramente si può dire che l’oggetto diventa prezioso. E’ chiaro che per capire questo aspetto della scrittura o nuragica o etrusca ci fa velo tutta l’immensa produzione artistica moderna che, in genere, prescinde dal dare significato ulteriore a quello decorativo o al massimo simbolico. Invece l’arte nuragica o etrusca si caratterizzano perché cercano di ottenere l’effetto decorativo - simbolico e quello scrittorio assieme, contemperandoli, facendo intendere però che se il primo esiste è solo perché lo realizza la formula più o meno variata della scrittura. In altre parole, il decus è solo in apparenza che la fa da padrone perché è in fondo la formula apotropaica che ne condiziona la realizzazione. Nel nostro caso Il pittore scriba, che attinge dal ‘prestigioso’ repertorio epico  dell’Odissea, individua nel ‘racconto’ del libro IX aspetti che, in qualche modo, possono offrirgli il destro, anche attraverso i particolari, per l’idea di fondo che è quella del ‘sostegno’  divino. E’ l’ideogramma ‘sostegno’ che deve essere pensato per prima e collocato con evidenza nella sequenza segnica tra gli altri ideogrammi. Ecco perché il racconto dell’accecamento del Ciclope non può non attirare l’attenzione e mettere in moto la fantasia del pittore. Nella fabula odissiaca il pittore trova un ‘palo’, quindi un certo numero di compagni di Ulisse (quattro) ed infine un ‘occhio circolare’ (κΰκλωψ) che si prestano egregiamente alla resa della formula. Formula che viene completata dal solito ‘sollevare, distendere e curvare’ ovvero dall’ideogramma astrale ciclico. Il racconto epico è tanto noto che chiunque osservi il ‘bel’ vaso viene immediatamente attratto dal dato culturale realizzato con grande bravura dal pittore. Ma è la lettura profonda e non quella superficiale che è oggetto di compiacimento dell’artista per la bella ‘pensata’. Lettura profonda che, essendo desumibile solo dalla soluzione del rebus, non è accessibile se non a chi è del mestiere e conosce le convenzioni del metagrafico. Ad esempio la convenzione che permette di realizzare un  ‘quattro’  come ideogramma di ‘forza’. E che questo numero abbia questo preciso significato è dimostrato, in questo caso, dal fatto che nella vicenda omerica in realtà coloro che sostengono il palo con la punta ardente per l’accecamento non sono quattro ma cinque, essendo partecipe anche Ulisse dell’atto temerario. Anzi Ulisse è il più attivo e intrepido di tutti, come si sa, nel portare a compimento l’impresa perché  si trova vicinissimo al punto della penetrazione e dell’accecamento. Invece nella scena l’eroe non sembra comparire. Questo perché all’artista serve un ‘quattro’ e non un ‘cinque’ per il system ideografico metagrafico. Gli serve per definire la ‘forza’ di un certo sostegno nascosto nella sequenza ideogrammatica.       
22. Detta danza ritmica dei tre tempi, come si vede chiaramente, non è per nulla laica; poco o nulla ha a che fare con la gioia e i piaceri di banchetti e di case principesche. Il suo movimento continuo allude alla continuità o eternità ternaria della luce offerta, giorno dopo giorno e notte dopo notte, dal Sole e dalla luna, da Tin e da Uni. Il suo carattere ‘religioso’, legato particolarmente ai riti funerari, ci fa pensare, anche per le manifestazioni falliche presenti, ai noti graffiti degli antropomorfi delle domus del neolitico. Si prendano in considerazione quelli  della Domus Branca di Cheremule o quelli delle Grotte del Bue marino di Dorgali. I movimenti ritmici e gli atti di valentia acrobatica dei ballerini nudi, schematicamente ma magistralmente disegnati, inducono a pensare che anche nelle grotticelle sarde siano raffigurate danze sacre con allusione all’acrobatico comportamento astrale e alla ritmica  ‘danza’ luminosa erotica dei due astri, foriera di fertilità e quindi di rinascita dei defunti.

          Particolare della ‘danza’ dei ballerini della Domus Branca di Cheremule    
 L’Eros degli Etruschi è stato perlopiù travisato (anche dai popoli antichi contemporanei)  e non compreso nella sua profonda essenza di ‘amore fisico intenso’ della divinità androgina luminosa (sole e luna: Tin e Uni) che è il solo che, in virtù di quella intensità e potenza, è in grado di dare continuamente la vita al mondo e quindi di dare nuova vita ai defunti. E’ a questo amore intenso eterosessuale ‘aperto’, anche fantasioso e sfrenato, del tutto ‘fruttuoso’, dei due astri luminosi simboli delle divinità Tin e Uni e non a quello ‘furtivo’ e meno gioioso, perché sterilmente omosessuale , che allude l’artista della famosissima tomba dei ‘tori dipinti’ della necropoli di Monterozzo di Tarquinia (Viterbo). La ‘tranquillità’ del toro pacificamente sdraiato della prima scena e la ‘furia’ del toro che attacca nella seconda sono proprio in funzione - per così dire -  del ‘prodotto’, della nuova creatura che deve sortire dall’atto amoroso di una coppia regolare. I defunti ‘razionalmente’ non potranno rinascere in virtù dell’eros omosessuale ma da una prestazione taurina, certamente al di fuori dell’ordinario, come è quella della doppia  divinità celeste sempre fecondata e fecondante.        
23. L’uomo, il Sole o Tin, ha il fallo eretto e protende le mani ricurve  nell’atto  di voler ‘palpare’ le prospere natiche della  ballerina Luna (o Uni che dir si voglia) briosa e in ‘estro’ amoroso.  
24. E’ questo un comodo espediente, assai frequente nei bronzetti nuragici, dove il tutto nudo è interrotto dalla sola  ‘strana’ presenza del copricapo. Lo scopo è quello di ottenere all’inizio della lettura la voce semitica hdrh הדרה (ornamento) che rende per acrofonia il pronome indicativo LUI/LEI (il dio androgino). V. http://maimoniblog.blogspot.com/2018/02/il-bronzetto-di-antas-di.html
Lui difesa, Lui forza (toro), Lui stabilità.
25. http://maimoniblog.blogspot.com/2016/12/tarquinia-lancora-della-salvezza-e-il.html
26. Se, come riteniamo, oltre ad ottenere l’ideogramma ‘tre’, l’etrusco è riuscito a rendere con acrofonia vocalica, sillabica e consonantica (attraverso le lingue greca e latina) le voci etrusche ‘apac atic’ (sia padre che madre), dette  voci vanno ad unirsi alle precedenti:  garanzia del sostegno della danza erotica dei  ballerini TIN e UNI e padre e madre.



3 commenti:

  1. Grande fortuna è stata quella di aver trovato il nesso di questa particolare scrittura in un contesto storico, ossia nelle raffigurazioni etrusche. Ultimo atto (quello etrusco) di quel modo particolare di percepire il rapporto tra l'uomo e la divinità che a quanto pare ha radici qui in Sardegna. Man mano che gli studi avanzano, si delinea e chiarisce sempre di più il rapporto tra Etruschi e Sardi. Già da tempo si teorizzava di Etruschi figli dei Sardi (gli indizi sono tanti, anzi tantissimi). La scoperta delle medesime invocazioni (petizioni) nelle urne cinerarie etrusche e nei bronzetti nuragici rafforza la tesi. Per quanto riguarda la Sardegna, è di certo sotto i nostri occhi una cultura neolitica, che senza alcun dubbio ha influito sulle culture venute dopo. Cultura quella neolitica che in un divenire, lento, lungo ma costante e inarrestabile è approdata, attraverso l'eneolitico, all'età del bronzo: quella della civiltà nuragica; lasciando nei bronzetti il “marchio di fabbrica”, per quanto qui scrive il Prof. Sanna.

    Si intravvede una continuità temporale lunghissima nei concetti di forza, sostegno, protezione, luce. Continuità temporale avvalorata dalla circoscritta area di influenza (il mar Tirreno), che per tanto rende verosimile la continuità concettuale nascostamente espressa per logogrammi, tramandata di generazione in generazione dal neolitico sardo al periodo etrusco, passando per il nuragico e forse per la cultura villanoviana (pre etrusca), della quale recenti scoperte archeologiche ci hanno edotto essere in rapporto con la Sardegna.

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  2. Sì Sandro. Ma non aspettiamoci aperture o incoraggiamenti. Questi c'erano (e quanto c'erano!)finché si è sottovalutato il peso 'rivoluzionario' della scrittura nuragica. Poi il cambio di rotta e, quasi in una 'santa alleanza', a spendere energie su energie (che peccato data l'inutilità)per negare, negare, negare. Chi non ricorda che i giacobini, arrestati e arrestandi, dicevano in coro 'resistere, resistere, resistere'. E pertanto Di Gennaro resiste; con le unghie sugli specchi, ma resiste e i 'segni' fonetici diventano per autorità, in modo tragicomico, 'cose' offendendo le intelligenze altrui e la sua.
    Già nei nostri studi su Monte Baranta ci siamo resi conto di una continuità molto forte riguardante il toro e il serpente astrali. Forse 'scrittura' celeste riportata nei santuari delle pietre in terra. La scrittura megalitica estesa di Baranta che precede quella estesa di Fonni. Una fabbrica di fallo -toro di 77 metri di Fonni ad imitazione del toro colosso con corno asimmetrico di Olmedo. Ma fossero solo queste le consonanze tra neolitico-eneolitico e nuragico! Gli ideogrammi di Pimentel, ovvero la scrittura di Pimentel, sono solo uno degli aspetti della continuità ideologica culturale: il grido commovente della non morte nella 'domus' per il sostegno luminoso degli astri, per la magia dei segni misteriosi e indecifrabili, continua per secoli e secoli, andando a morire, malinconicamente sempre più nascosto,nei secoli bui della cultura etrusca.

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  3. Tutta una serie di espressioni di speranza e di ineluttabilità sulla rinascita dell’uomo dopo la morte, invocata sempre e ovunque tenacemente, e non per forza propria ma per la virtù sovrumana e la benevolenza della divinità, si caratterizzano come il vero, primordiale, autentico “dogma” esistenziale del mammifero chiamato “uomo”.
    A ben guardare, fatte salve le elaborazioni linguistiche e lessicali, con le teorie filosofiche che si arrotolano su loro stesse come le spirali neolitiche, il pensiero attuale, nel merito, non è cambiato per nulla.
    Mi viene da dire che, se non si crede per fede propria, si dovrebbe credere per fede atavica.
    Chi ha visto la necropoli di Montessu di Villaperuccio, specialmente le tombe I e II, le più antiche da poco retrodatate al 3400 a. C., non resta sorpreso da quanto ha detto (non da oggi) Gigi Sanna, perché le “decorazioni” a spirali e a V ripetute della domus de Corongiu de s’aqua salida di Pimentel sono sorelle di quelle di Montessu, seppure queste ultime siano rimaste integre solamente quelle del vestibolo di sinistra. Simboli, anzi ideogrammi ancora più antichi della Cultura di Ozieri che non fu, per la Sardegna, la cultura iniziale, ma solamente una di “passaggio”.
    Simboli e ideogrammi che esprimono le inquietudine di sempre, passando da sant’Agostino, a Pascal, a Paolo VI – non dimenticando qualche Cinese celebre, ma escludendo me che penso sempre terra terra – che i nostri avi esprimevano in modo conciso e inequivocabile, come solo un rebus può esserlo.

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