Si dice che la lingua etrusca è ancora, per svariati motivi, un enigma e un 'rebus'. Ciò si sostiene, naturalmente, sulla base delle grosse difficoltà che insorgono nel cercare di capire di essa molti degli aspetti lessicali, morfologici e sintattici. In realtà, a mio parere, il 'rebus' sussiste e resiste nel tempo non 'solo' per motivi di carattere grammaticale e linguistico, ma anche e soprattutto perché si stenta a considerare un aspetto essenziale dell'etrusco: che la scrittura è criptica, cioè organizzata e strutturata di proposito con il rebus. E' realizzata per non essere capita se non da pochissimi. Pertanto nella misura in cui si comprenderanno i meccanismi, spesso sofisticati, del rebus, posti di norma in essere dalle scuole scribali dei santuari, si comprenderà la lingua etrusca scritta. Essi sono simili e spesso gli stessi usati dagli scribi dei templi greci e nuragici. In particolare quelli inventati dagli scribi di questi ultimi.
Abstract
Sommario
Il sarcofago degli sposi di Cerveteri è un’opera nota in tutto il mondo. Il suo valore però non consiste solo nell’arte e nella documentazione di un certo modo di essere e di pensare se stessa della societas nobiliare etrusca circa il mondo ultraterreno. E’ anche e soprattutto epigrafico perché il coperchio lungi dall’essere opera ‘laica’, inneggiante in qualche modo al terreno, è profondamente sacro e attinente esclusivamente alla simbologia che riguarda il raggiungimento di una vita futura nel regno della luce. E’ una ΜΗΧΑΝΗ,una forte ‘macchina’ apotropaica, congegnata per scrivere nascostamente la (solita) petizione riguardante la formula della salvezza. Questa è attuata attraverso la scrittura metagrafica con gli espedienti dell’ideografia, della numerologia e dell’acrofonia. Detta ΜΗΧΑΝΗ è esemplata su quella, con eguale scrittura, dei cosiddetti ‘bronzetti nuragici’. Formalmente, nonostante la differenza espressiva, si può dire che sono la stessa cosa. Solo che la ΜΗΧΑΝΗ de bronzi sardi è imperniata sul lessico semitico mentre quella etrusca si basa su ‘tre’ lingue dell’indoeuropeo (etrusco, greco e latino). Il sarcofago di Cerveteri, come si sa, ha una realizzazione gemella nel Sarcofago degli sposi custodito nel museo del Louvre di Parigi. A parte qualche variante formale le due opere sono state concepite per essere lette nello stesso identico modo, cioè con la stessa ‘petitio’ dell’aiuto salvifico del padre e della madre luminosi, TIN/ VNI - SOLE/LUNA.
1. La scrittura metagrafica ‘a rebus’. Ideografia, numerologia e acrofonia.
‘…E’ una delle opere più famose dell’arte etrusca insieme all’esemplare identico al Museo del Louvre . Realizzato da un artista etrusco che ha operato dietro l’influsso della tradizione ionica, il sarcofago aveva la doppia funzione di cinerario e di monumento celebrativo della coppia aristocratica. I defunti sono rappresentati come personaggi reali mentre partecipano elegantemente vesti ad un banchetto eterno in atteggiamento di unione profonda’.
Abstract
Sommario
Il sarcofago degli sposi di Cerveteri è un’opera nota in tutto il mondo. Il suo valore però non consiste solo nell’arte e nella documentazione di un certo modo di essere e di pensare se stessa della societas nobiliare etrusca circa il mondo ultraterreno. E’ anche e soprattutto epigrafico perché il coperchio lungi dall’essere opera ‘laica’, inneggiante in qualche modo al terreno, è profondamente sacro e attinente esclusivamente alla simbologia che riguarda il raggiungimento di una vita futura nel regno della luce. E’ una ΜΗΧΑΝΗ,una forte ‘macchina’ apotropaica, congegnata per scrivere nascostamente la (solita) petizione riguardante la formula della salvezza. Questa è attuata attraverso la scrittura metagrafica con gli espedienti dell’ideografia, della numerologia e dell’acrofonia. Detta ΜΗΧΑΝΗ è esemplata su quella, con eguale scrittura, dei cosiddetti ‘bronzetti nuragici’. Formalmente, nonostante la differenza espressiva, si può dire che sono la stessa cosa. Solo che la ΜΗΧΑΝΗ de bronzi sardi è imperniata sul lessico semitico mentre quella etrusca si basa su ‘tre’ lingue dell’indoeuropeo (etrusco, greco e latino). Il sarcofago di Cerveteri, come si sa, ha una realizzazione gemella nel Sarcofago degli sposi custodito nel museo del Louvre di Parigi. A parte qualche variante formale le due opere sono state concepite per essere lette nello stesso identico modo, cioè con la stessa ‘petitio’ dell’aiuto salvifico del padre e della madre luminosi, TIN/ VNI - SOLE/LUNA.
1. La scrittura metagrafica ‘a rebus’. Ideografia, numerologia e acrofonia.
‘…E’ una delle opere più famose dell’arte etrusca insieme all’esemplare identico al Museo del Louvre . Realizzato da un artista etrusco che ha operato dietro l’influsso della tradizione ionica, il sarcofago aveva la doppia funzione di cinerario e di monumento celebrativo della coppia aristocratica. I defunti sono rappresentati come personaggi reali mentre partecipano elegantemente vesti ad un banchetto eterno in atteggiamento di unione profonda’.
‘Così l’introduzione di una (1) delle numerose presentazioni e dei commenti riguardanti uno dei tanti
sarcofaghi (urne in realtà) che la civiltà etrusca ci ha lasciato in gran
numero. Giustamente il manufatto è stato da sempre ritenuto, anche da studiosi
dell’arte assai severi ed esigenti (2) un capolavoro della coroplostatica funeraria etrusca. Un sarcofago simile, di eguale pregio
artistico (e forse maggiore), venne trovato sempre nella necropoli della Banditaccia di Cerveteri e oggi fa bella
mostra di sé nel museo del Louvre di Parigi (3).
Non è nostro compito,
naturalmente, trattare dell’arte sia dell’uno che dell’altro manufatto né
dilungarci sulle differenze di pregio esistenti tra di loro. Ci sono non pochi
libri di etruscologia, di storia dell’arte e saggi appositi che la spiegano e
la illustrano puntualmente. Il
nostro compito invece è di natura epigrafica ed ermeneutica, quella di spiegare
il messaggio non ‘superficiale’ (solo estetico) ma quello linguistico profondo,
‘nascosto’ e realizzato a rebus, sulla base di particolari convenzioni, dagli
scribi artigiani etruschi (4). Dette convenzioni, come abbiamo visto
per altri sarcofaghi (5), sono
quelle della scrittura ‘metagrafica’, una scrittura criptata che si basa
essenzialmente su tre aspetti: ideografico, numerologico e acrofonico.
2. Il topos del cuscino (cervical ) e dell’anello sigillo. La
surroga dell’anello con il palmo della mano.In un articolo apposito (6) abbiamo potuto vedere che i sarcofaghi etruschi presentano un motivo ricorrente: quello di raffigurare singole persone o una coppia (uomo e sposa o concubina) che si sorreggono con il gomito su di un cuscino. L’atto è stato interpretato dai più, come in effetti è, come una realizzazione tratta dal vero (7) dal momento che chi giace su di una klinh (κλίνη), cioè su di un divano per banchetti, ha bisogno di un sostegno per rimanere eretto. Si stia attenti però. La raffigurazione, ripresa da un atto, si potrebbe dire quasi quotidiano per dei nobili etruschi, non inganni l’osservatore. Così come non lo devono ingannare tutti gli altri atti di verosimiglianza rappresentativa perché lo scriba artigiano, così come gli scribi artigiani con i ‘bronzetti’ nuragici (8), tende a nascondere e a rendere del tutto inesistente all’apparenza la ‘scrittura. E lo fa proprio dietro lo schermo della verosimiglianza o della ‘naturalezza’. Infatti, nessuno che osserva ‘semplici’ atti e gesti della quotidianità è portato a sospettare che dietro di essi ci possa essere una ‘seconda’ lettura, un altro significato oltre a quello ‘normale’, subito visibile e subito interpretabile.
Il topos dell’ appoggiarsi e del sostegno dei cuscini può essere reso
proprio con il valore semantico della voce latina ‘cervical’, come può chiaramente
desumersi dal sarcofago di altri due ‘sposi’ sdraiati di fianco su di un letto
che, scambiandosi ‘sensi’ amorosi,
poggiano la testa su due cuscini (v. fig. 2).
Da tutto ciò (e da altro che si
dirà) si evince che il cuscino è significante fondamentale, decorativo e
ideografico assieme perché l’oggetto, sia esso semplice o doppio (9) può rendere l’idea non del ‘sostegno’ materiale di uno o due individui che
giacciono nella klinh ma di un
sostegno immateriale, solo pensato e non realizzato, della coppia divina
luminosa e cioè Tin e Uni (10). Abbiamo già spiegato
(ma forse è il caso di insistere) che detto doppio ‘sostegno’ è reso
ideograficamente (e sempre o quasi sempre, come in etrusco, alla fine della ‘lettura’) dai bronzetti
nuragici (figg. 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 8 - 9) che costituiscono la sicura ispirazione
di non poche delle tematiche e dei sarcofaghi e delle urne (11) etrusche.
Il doppio cuscino è preceduto, nella
realizzazione della convenzione metagrafica riguardante l’ideografia, dal
motivo del ‘cubitus’, il braccio dell’uomo steso con il palmo verso l’alto, che
in modo enfatico è raffigurato, quasi in un gesto inspiegabile e innaturale, ‘prima’
dei due cuscini. Sono state offerte fantasiose congetture sul dettaglio della
scultura, cercando, in qualche modo, di spiegare l’atto individualmente (12) o rapportandolo a quello della donna (13). Tentativi ermeneutici inutili, senza consistenza, vere e proprie
elucubrazioni, perché non suffragati da dati ‘filologici’ scientifici cioè da quelli
che, per la loro ripetitività (sia pur con ‘variatio’) consentono di
comprendere il valore semantico di ‘quella’ particolare raffigurazione. Il
gesto del braccio teso a‘cubitus’ con il palmo aperto (ostentatamente aperto in
quel particolare punto della sequenza dei significanti) però non è un unicum. Lo troviamo in un altro capolavoro (14) dell’arte funeraria etrusca riguardante i coperchi dei sarcofaghi (v. fig.
10). Anche in questo caso il palmo aperto e rivolto verso l’alto diventa
ideogramma di ‘aperto, certo, sicuro’ da collegare con il ‘doppio sostegno’. E
lo troviamo
Fig. 10. San Pietroburgo (Museo dell’Hermitage)
ancora in un coperchio di un’urna
cineraria da Cerveteri (fig. 11) che raffigura, principalmente, una donna che versa del profumo sulla sua
mano sinistra. Gesto che forse ha fatto pensare ad un pertinente collegamento
‘filologico’ tra la mano dello sposo accogliente e una delle due mani della
sposa offrente che terrebbe una simile concha odorum
(boccetta per profumi).
Fig.11.
Sappiamo che il doppio sostegno è preceduto, nella
lettura dei sarcofaghi, molto spesso (quasi da costituire una norma) da un
anello sigillo circolare con valore
di ‘certo, sicuro, garantito’. Ma sappiamo anche che al suo posto può stare
qualche altro oggetto che renda, più o meno, la stessa idea. In un altro
nostro articolo abbiamo fatto numerosi esempi ideografici (15) sostitutivi dell’anello che diano l’idea della certezza e della sicurezza.
Qui forse sarà bene riproporre l’esempio molto chiaro (e molto bello tra
l’altro per trovata) della 'carne' del fegato ‘chiara’, ‘sicura’, ‘senza
difetti’, ‘sincera’ del sarcofago (fig.12) del cosiddetto ‘aruspice’ di Volterra (16).
Fig. 12. Sarcofago dell'aruspice ( Volterra).
Il gesto dell’uomo con il palmo aperto e disteso all’insù è quindi una sostituzione di forma ma non di
significato (ideografico) dell’anello sigillo, o del fegato o di altro che si
voglia raffigurare per rendere la voce sicurezza che accompagna l’idea del
cuscino come ‘sostegno’.
3. Il volto radioso del padre e della
madre ovvero di Tin Sole e Uni Luna.
Un
altro topos dei sarcofaghi è dato dai due (17) volti, quello maschile e quello femminile, ornati splendidamente (18). La bellezza del volto non vuole
essere solo omaggio ai due defunti, alla
coppia mortale adagiata sulla κλίνη e talvolta in atto di effusioni amorose (v.
ancora fig. 2). E’ invece, così come nei cuscini, un pretesto per alludere ad altro, ovvero ad un’altra coppia
dallo splendido volto che è quello
della dea luminosa Uni e del dio luminoso Tin; divinità androgina, che per gli etruschi è il
padre (apa) sole e la madre (ati) luna. Se si nota però detta
‘bellezza’ del volto si connota sia nei sarcofaghi che nelle urne per essere esso
regolarmente radioso. Un aspetto questo che prescinde, si può dire, dalla stessa
bellezza (19). L’aspetto
facciale (v. figg. 13 -14 -15 -16) ‘radioso’ è, a nostro parere, una
caratteristica costante dei volti dei defunti e l’artista etrusco nella rendita
artistica cerca di realizzare questa idea in quanto essenziale (20) per suggerire nascostamente il volto radioso
o splendente della coppia divina soli -lunare.
Fig. 13 Fig, 14 Fig. 15
Comprendiamo quindi ancor di più da questi particolari che il ‘doppio certo sostegno’ è scrittura
ideografica che è in relazione di senso ad altra scrittura ideografica con
significato di ‘doppio radioso volto’ : doppio certo sostegno… doppio volto radioso. Doppio volto
radioso dei due astri che non può non richiamare il celebre passo del ‘φαεννόν ἒιδος
di Saffo (21). Ma alla sequenza ‘doppio volto radioso’ si deve aggiungere l’ideogramma
dato dal ‘tutulus’, ovvero dal copricapo (κάλυμμα) della donna che tende,
sempre per ideografia, a fornire il senso di ‘protezione’. Quindi in questa
prima sequenza (la lettura procede dall’alto verso il basso) avremo ‘protezione del doppio volto radioso’. ‘Protezione’
che, come il ‘sostegno’ è altro aspetto
dell’aiuto delle due divinità luminose.
4. Le quattro trecce e il gesto delle mani
dei due defunti. L’idea di forza e la numerologia riguardante le due divinità.
Analogia di petizione, identica a quella del bronzetto nuragico di Antas di Fluminimaggiore.
Un altro luogo
comune dei coperchi dei sarcofaghi è la raffigurazione della ‘kotulh’ (κοτύλη),
la ciotola o tazza, più specificamente una ‘patna’(patena), oggetto che, dall’idea
di come è disposto (sollevato, disteso e
inclinato) tende a rendere acrofonicamente (22) la voce ‘apa’ + la congiunzione coord. ‘c’(ma volendo anche ‘ati’ +’c’). Ciotola
che può essere sostituita, per gusto di ‘variatio’, da altri oggetti (tavole
cerate, cuori, libri, boccette per profumo) che possano rendere, con la loro
disposizione e il loro aspetto, lo stesso valore acrofonico vocalico, sillabico
e consonantico (fig.17):
Fig. 17. Il sarcofago con la carta o papiro, sollevato, disteso e curvo).
Stavolta detti oggetti non sono raffigurati e
compare invece, come motivo sostitutivo, il gesto della mano destra dell’uomo
ed il gesto delle due mani della donna. Si sono fatte avanti le migliori
intelligenze e si sono formulate diverse ipotesi (23) per tentare di spiegare l’enigmatica gestualità dei due defunti.
Naturalmente, procedendo l’ermeneutica, in senso prevalentemente concreto e
persino attualizzante, non considerando il motivo strettamente religioso e non
laico che si presuppone che abbia una raffigurazione di un coperchio di
sarcofago, si è perso di vista quello che pur è il ‘segno’ più rilevante, sotto
l’aspetto magico religioso, perché il più ostentato, ovvero la forma che
rendono le dita piegate in un certo modo e solo in ‘quello’ (figg. 18 -19).
Figg. 18 -19 (particolare).
Forma gestuale
precisa che si può riscontrare con valore numerale ideografico - simbolico e,
ritenuamo, nessun altro nella nota coppa (fig. 20) di Capua
raffigurante Dioniso e Semele (24) Esse
formano una lettera dell’alfabeto etrusco che è il numero tre (C), numero fondamentale della ‘religio’
etrusca’ (25) che essa ripete continuamente e ossessivamente nascondendolo
all’ermeneutica della segnica della scrittura. Qui facciamo vedere, per
brevità, il solo esempio del segno nascosto del sarcofago dei leoni dove le
code (26) contrapposte della coppia dei due animali (fig.21)
formano due grandi segni a C, ad
indicare il ‘tre’ sia del padre sia della madre (leone e leonessa), ovvero di
Tin e di Uni.
Fig. 20 La coppa di Capua con Dioniso e
Semele Fig. 21. Il sarcofago dei leoni di Cerveteri ( Museo Villa Giulia)
Ora, il numero tre è il numero della divinità unica
luminosa ciclica, il sei è il numero
dell’androgino relativo ai tre momenti ciclici della doppia luminosità diurna e
notturna (27), ed il nove
è il numero della continuità, della ripetitività (3 3 3) e anche dell’immortalità (28). Nella scrittura metagrafica alla ideografia lo scriba etrusco aggiunge
quindi il requisito della numerologia ottenendo così il risultato (comune nei
manufatti nuragici e nella scrittura nuragica in genere) di rendere delle
parole che, in modo criptico, aggiungono senso al senso. In ragione di ciò saremmo
tentati di aggiungere, nella catena di
senso che abbiamo iniziato ad ottenere precedentemente, la voce ‘eterno,
continuo’ che si ottiene con la somma dei ‘tre’; riferendola ai due volti
splendenti e cioè al sole e alla luna. Ne sortirebbe una frase logica e non
censurabile; ma c’è un dettaglio che ci induce a ritenere, nell’ordine della
lettura (che nei sarcofaghi procede dall’alto verso il basso, da destra verso
sinistra e da sinistra verso destra, quasi
a formare una grossa C astratta) che i tre
non vadano sommati . Essi con ogni probabilità, vanno distinti in un primo ‘
tre’ (quello dato dalle dita a ‘C’ dell’uomo) e nei due tre dati dalle dita a
‘C’ delle due mani della donna. Ciò diciamo
perché non si può trascurare il valore di ‘forza’ (29) che viene resa nascostamente dal numero delle quattro trecce che spuntano dal tutulus
o meglio dal calumma (30) della donna. Voce ‘forza’ realizzata per numerologia così come per
convenzione numerologica potrebbe essere resa la voce ‘immortale’di cui sopra.
Se le cose stanno così, la
lettura del coperchio del sarcofago allora sarà, partendo dall’alto verso il
basso: Protezione del doppio volto radioso/Forza del tre/. Resterebbe
come incognito il significato del ‘sei’ (il doppio
tre della gestualità della donna) se esso non potesse andare collegato
all’ultima sequenza di senso che già si è vista ovvero ‘sicuro doppio
sostegno’. Conseguentemente la scritta
del sarcofago, realizzata con l’ideografia e la numerologia, ci dà: Protezione del doppio volto radioso/
Forza del Tre/ Sostegno certo doppio del Sei.
Messaggio inequivocabile
‘ternario’ (31) dei due defunti che implorano
attraverso la protezione, la potenza (sessuale), il sostegno dell’androgino luminoso, cioè del
sole e della luna assieme, la rinascita o la nuova luce. E’ la stessa precisa petizione (32) che abbiamo visto con il bronzetto della tomba nuragica di Antas di Fluminimaggiore (33) con il quale il defunto chiede ugualmente alla divinità androgina yh la sua ‘protezione’ (difesa), la sua ‘forza’
(sessuale), il suo ‘sostegno’ (fig. 22).
La lettura del coperchio del celebre sarcofago
potrebbe sembrare completata se non si tenesse conto di un dato scrittorio del
tutto sicuro (34). Esso riguarda il terzo requisito del metagrafico ovvero l’acrofonia. Si noterà,
infatti, che aspetti ed oggetti presenti nella raffigurazione complessiva non
sono messi a caso o per formare esclusivamente la formula della salvezza
riguardante la forza di Tin e di Uni, del padre e della madre. Sono tutti
acrofonicamente riconducibili alla lettera C ovvero alla lettera ‘tre’ che è simbolo fonetico e grafico
assieme della divinità. Lettera ottenuta secondo l’acrofonia che non riguarda
solo una lingua ma due (il latino e il greco), lingue che vanno poi a formare
la terza
lingua , ovvero l’etrusco con la voce ‘C(I)’ e cioè ‘tre’. Si osservino le
acrofonie delle parole : κάλλος (ornamento, splendore), κεφαλή (volto, testa), κάλυμμα (copricapo, cappuccio), ch/citon (chitone), C(tre), C(tre), C(tre), calcei - repandi (scarpette),
certa manus,
cervical (cuscino), κλίνη (divano), capillus (capelli, barba, trecce).
Naturalmente detta acrofonia del sarcofago con esito ‘C’, numero sacro apotropaico, potrebbe essere risultato di mera
combinazione e la ‘macchina’ o congegno
apotropaico potrebbe non sussistere. Il
fatto però è che, come si è detto, la ripetizione della prova conforta in
assoluto in quanto le acrofonie ‘magiche’ non sono solo dei due sarcofaghi oggetto del
nostro esame. Sarcofaghi ed urne sono tutti lì a farci capire questo: che
compito iniziale dello scriba artigiano nel realizzare la scena del coperchio
del sarcofago (urna) è quello di ricorrere ad oggetti e ad immagini che linguisticamente
(con sostantivi o aggettivi) possano
riportare, numerose volte (35) la C
divina magica e che, nel contempo, possano
servire, ma non in tutti i casi, ai valori ideografici che possano rendere, più
o meno variata, la formula della salvezza. Ognuno prenda degli esempi a
piacimento e vedrà, con un po’ di pazienza e con una adeguata conoscenza
linguistica greco -latina, il verificarsi dell’ossessiva presenza acrofonica
della consonante che allude al segno della C
e di conseguenza al grafema sacro 3
in etrusco. Qui bastino gli esempi del coperchio dell’urna (fig. 23 - 23 bis) del Museo
Guarnacci di Volterra con le sue voci κάλλος,
κάλυμμα, κεφαλή, cubicularia
(vestis), cithon, catella, colus, circulus, cornua, cervical, klinh (36) e quello (fig. 24), molto simile, sempre del Museo Guarnacci con le voci κάλλος, κάλυμμα, κεφαλή, catella, cubicularis (vestis), cithon,
cor, καρπός, cervical, κλίνη (37).
Fig. 24
Visto dunque sotto l’aspetto
scrittorio totale realizzato con la ideografia, la numerologia e l’acrofonia, il
coperchio ci appare come una μηχανή perfetta, dalla organicità ferrea, congegnata
per realizzare soprattutto il tre, letteralmente
cosparsa e ammantata dal numero magico apotropaico che è il numero e l’essenza
della divinità della luce. Ci piace qui ricordare a tal proposito, circa l’importanza
del ‘tre’ sia in etrusco che in nuragico, una parte dell’articolo (38) dove interpretavamo, in uno dei dipinti della cosiddetta ‘Quadriga infernale’,
il momento del dialogo (fig. 25) che abbiamo
chiamato ‘sublime’ tra il giovane amante e l’adulto amato. Ho fatto notare
nell’occasione che il giovane mentre con la sinistra prende con delicatezza e affetto
la mano sinistra dell’amato, raffigurato pallido e malato e in atteggiamento dubbioso
e pessimistico, con la destra, posta di fronte al volto, gli mostra,
rassicurandolo ‘religiosamente’, il numero divino cioè il ‘tre, il numero dell’androgino Tin/Uni, e padre e madre (apac atic); quel ‘doppio sostegno’, che
di sicuro è garante della salvezza. Anche
in questo caso, come nel sarcofago degli
sposi, sono le dita della mano a parlare (scrivere) della divinità, a dire della
sua forza luminosa che è assicurazione di rinascita e di una
nuova vita.
Fig. 25. La gestualità rassicurante. Dipinto della
tomba della cosiddetta ‘Quadriga infernale’.
Il sarcofago degli sposi del Louvre (fig. 26), rinvenuto sempre a
Cerveteri, si può considerare la copia o il prototipo di quello custodito nel
museo di Villa Giulia di Roma. Le
differenze tra l’uno e l’altro manufatto sono solo nei dettagli con leggere e talora
quasi impercettibili varianti (il panneggio dei due chitoni, la sembianza del
volto, la barba dell’uomo, le trecce della donna (unite a due a due tra di
loro, i fregi e i peducci di sospensione della κλίνη, ecc.). Tra queste però
spicca la variante del cuscino sul quale la donna poggia il braccio sinistro. Essa
non è di poco conto perché la forma del ‘sostegno’ non è data dal solo semplice
cervical ma dalla sua inconfondibile
forma, espressa con il disegno laterale (quello a vista) che imita un motivo
frequentissimo nell’iconografia mortuaria etrusca; quello della ‘pelta
amazzonica’ (fig. 27), oggetto guerresco di difesa (scudo) lunato in forma di
‘tre’, raffigurato di norma (39) con una doppia curvatura laterale che realizza due chiari
segni in forma di C (figg. 28 - 29).
Fig.27. La
pelta amazzonica con le tre ‘C’.
Fig.28. Pelte di un sarcofago etrusco.
Fig.28. Pelte di un sarcofago etrusco.
La simbologia però non è tanto amazzonica (per quanto il segno femmineo
sia disegnato, forse non a caso, nella
parte del doppio cuscino riservato alla donna) quanto etrusca perché con le due
curvature lo scriba del sarcofago ha voluto indicare, in modo del tutto
criptato, i due ‘tre’, ovvero le C
associate nello scudo, segni alludenti alla divinità doppia TIN/UNI, SOLE
/LUNA. In altre parole, ai ‘tre’, resi dalle due mani della coppia, si
aggiungono altri due ‘tre’ ottenuti ideograficamente e non numericamente da uno
dei due cuscini. Interpretabili questi, forse, come ‘esplicazione’ dei due
‘tre’ delle mani della donna e nel contempo accrescimento di senso generale con
l’aggiunta di altri due segni sacri nella ‘macchina’ del tre magico divino.
La lettura completa della formula del sarcofago del Louvre sarà dunque identica a
quella del sarcofago di Villa Giulia :Protezione del doppio volto radioso/ Forza
del tre (la divinità androgina luminosa)/ Sostegno certo del sei (il
doppio tre ciclico di Tin e di Uni, Sole e Luna).
Ci piace infine ricordare, sulle dette due ‘C’ affiancate del cuscino, il
ciottolo di Allai (ritenuto a torto un falso) con le due ‘C’ laterali ugualmente
affiancate e sovrapposte (fig. 30), segni anch’essi che alludono alla divinità
androgina TIN/UNI (40).
Fig. 29. La pietruzza di Crocores con trascrizione e
interpretazione delle doppie C affiancate
e sovrapposte.
Note ed indicazioni bibliografiche
1. Borrelli F. - Targia M.C. , 2003, ArtBOOK. Etruschi, Scoperte e capolavori da
una splendida civiltà dell’Italia antica, Mondadori Electa, Martellago
(Venezia), p. 52.
2. Staccioli R.A., 1978, Come riconoscere l’arte etrusca, Rizzoli. Milano, pp. 29 -30.
3. Borrelli F. - Targia M.C., 2003, ArtBOOK, Etruschi e capolavori, ecc. cit., p. 53. Si veda M.F.Briguet, 1989, Le sarcophage des Epoux de Cerveteri au Musée du Louvre, Firenze 1989, pp. 83-91, 208-210, tav. II, fig. a-b, III, XIII.
4. E’evidente però che l’aspetto epigrafico - linguistico non è neutro e può essere separato da quello estetico. Ha la sua importanza, talora notevole, in quanto tendente a condizionare, in qualche modo, l’espressione artistica. Tanto per fare un esempio: l’espressione ‘radiosa’ del volto dei sarcofaghi e delle urne è topica e in quanto tale ‘costringe’ l’artista a comportarsi con quella scelta precisa fisionomica. Non c’è ‘verismo’ nei volti e la cosiddetta ‘serenità’ della coppia dei due nobili espressa dal volto non riguarda loro - il loro volto che esprime un loro stato d’animo - ma un altro volto che deve suggerire luminosità e solo quella. L’arte etrusca non si esprime mai su parametri di ‘libertà’, ma vincolata com’è al simbolo tende a diventare sua ancella. Dai dati mi risulta che essa, se la si vuole definire in qualche modo, è ‘pragmatica’, serve ad uno scopo. Un viso simbolo del divino non può esprimere l’umano. E l’arte allora consisterà fondamentalmente nella perizia e nell’efficacia di realizzare l’allusione nascondendola il più possibile alla vista dell’osservatore. Il viso ‘artistico’ ha quasi lo stesso valore di un ‘cuscino’ artistico.
5. In particolare, circa le casse di essi, si veda:
http://maimoniblog.blogspot.it/2017/02/scrittura-metagrafica-dei-sarcofaghi.html
http://maimoniblog.blogspot.it/2017/11/sollevarsi-distendersi-piegarsi-ancora_5.html
6. cit. (v. n. 5) http://maimoniblog.blogspot.it/2017/02/scrittura-metagrafica-dei-sarcofaghi.html
7. Sul ‘verismo’ dell’arte della scultura coroplastica etrusca vedi ancora Staccioli R.A.,1978, Come riconoscere l’arte, ecc. cit. pp. 24 - 39.
8. Si veda, tra gli altri, Sanna G., http://maimoniblog.blogspot.it/2018/03/cavalupo-di-grosseto-un-gigante-figlio.html. Sull’arte rappresentativa v. Lilliu G., 2008 (rist. 1966), Sculture della Sardegna nuragica, passim, Ilisso Nuoro.
9. Il ‘sostegno’, ovvero il cuscino, che sia semplice o doppio poco importa ai fini ermeneutici perché solitamente nel coperchio si dice nascostamente ma espressamente che il sostegno è costituito dal padre sole e dalla madre luna.
10. La non conoscenza della scrittura metagrafica ha impedito sinora di capire a fondo la natura precisa e l’importanza fondamentale della divinità androgina nella ‘religio’ etrusca. Si è detto che le due divinità corrispondono, sia pur con qualche variazione, a quelle romane di Giove e Giunone e greche di Zeus e Era ( v., tra gli altri, Locatelli D. - Rossi F., 2009, Etruschi, in Dizionari delle Civiltà, Electa Mondadori Milano, pp. 90 - 93). In realtà la coppia, che è ideologicamente di derivazione semitica e non indoeuropea (anche il dio sardo semitico è androgino), è collegata al culto celeste del sole e della luna ciclici, divinità datrici di luce e quindi di vita continua. Nella religione dei morti il dio androgino TIN/UNI è fondamentale in quanto esso rappresenta e il padre e la madre (apa c ati c: sia il padre che la madre), i ‘genitori’ del defunto che faranno di tutto per salvarlo e condurlo nella loro luce e in una nuova vita.
11. Quelle etrusche sono tutte ‘urne’, contenitori delle ceneri, ma per la differenza dei ‘macrosignificanti’ (casse, vasi, cathedre, coperchi, solo volti o corpi interi, ecc.) si preferisce denominarli diversamente.
12. Mentre regge una coppa: Borrelli F. - Targia M.C., 2003, ArtBOOK, Etruschi e capolavori ecc. cit., p. 52.
13. Versamento di profumi della donna sulla mano dell’uomo (v. più avanti).
14. Si noti la grande ‘C’ del panneggio del chitone enfatizzata, sia pur nascostamente, dalla pregiata decorazione. Nel materasso su cui è adagiata la persona si noti inoltre il motivo ad ‘onda corrente’ che gli Etruschi presero sicuramente dall’iconografia sarda Infatti, detto motivo si trova nella (ormai nota) barchetta fittile di Teti che è manufatto, con scrittura di tipologia nuragica, del IX -VIII secolo a.C. V. Sanna G. http://maimoniblog.blogspot.it/2017/12/il-motivo-ad-onda-ri-corrente-degli.html
15. http://maimoniblog.blogspot.it/2017/02/scrittura-metagrafica-dei-sarcofaghi.html
16. Viene presentato e descritto come sarcofago di ‘aruspice’ a motivo del fegato che il defunto tiene in mano. In realtà il compito del fegato non è quello di caratterizzare e rendere individuabile il personaggio scolpito come auruspice ma a dare una ‘semplice’ variante, ovvero la sostituzione dell’anello sigillo, al fine di rendere sempre, con la convenzione ideografica, il significato di ‘certo’, ‘garantito’, ecc
17. Il ‘volto’ ovviamente è singolo nell’urna, riguardante questa un singolo personaggio maschile o femminile defunto. Ciò però non è di impedimento per la formula (v. più avanti) perché esso può essere allusivo al volto di entrambe le divinità luminose, cioè a Tin e a Uni.
18. Ricordiamo qui che il nuragico nei bronzetti usa ‘ornare’ spesso la persona (anche quando l’ornamento diventa del tutto inutile e talora grottesco) con un cappello o altro. Ciò gli scribi fanno per motivi puramente acrofonici perché in semitico il cappello, l’oggetto di distinzione , l’ornamento si dice hdrh הדרה, espediente comunissimo che consente all’artigiano scriba di far iniziare la lettura con l’indicativo pronominale ‘hȇ’ che significa LUI/LEI (il dio androgino).
19. Questa considerazione ci fa comprendere un certo aspetto del volto dei nobiluomini o delle nobildonne. raffigurati nei coperchi dei sarcofaghi. L’artista spesso non li rappresenta ( perché non può) veristicamente ‘belli’ (o brutti) ma li rappresenta (o cerca di rappresentarli) con una ‘luce’ particolare, con una ‘bellezza interiore’ che è appunto ‘radiosa’, che attira soprattutto per la serena luminosità.
20. Senza quella connotazione non è possibile scrivere ideograficamente e rendere così le voci della formula. Il volto è raffigurato così e solo così perché un’ alterazione fisionomica non permetterebbe l’uso dell’aggettivo ideale per dire efficacemente dei due astri. V. nota 4.
21. ἂστερες μὲν ἀμφὶ κάλαν σελάνναν / ἄψ ἀπυκρύτοισι φάεννον εἶδος/… ‘ Gli astri intorno alla bella luna /di nuovo nascondono il volto (aspetto) radioso’. Per l’intero frammento saffico rimastoci v. Degani E., 1977, Lirici greci. Antologia, 4. p. 14, La Nuova Italia, Firenze.
22. Non si dimentichi che detta acrofonia, per la magia del ‘tre’, del numero divino apotropaico, è ternaria: vocalica, sillabica e consonantica. E’ uno degli espedienti del system metagrafico etrusco più raffinati e caratteristici ma, assai nascosto com’è, anche il più difficile da cogliere. V. http://maimoniblog.blogspot.it/2017/05/scrittura-etrusca-solleva-distende.html
23. V. note 12 e 13.
24. L’interpretazione del disegno è di notevole difficoltà. Infatti nel vaso greco, ma di sicura ispirazione etrusca per la gestualità, ci saremmo aspettati Zeus ed Era e non Dioniso e Semele. Il tre dell’uno e dell’altra potrebbe essere però congiunto con l’acrofonia del vaso (κρατήρ) e dare così la simbologia del nove (3 3 3) che è quella della immortalità. Il mito di Semele, figlia di Cadmo e di Armonia e di Dioniso, figlio di Zeus e Semele , incentrato particolarmente sull’immortalità raggiunta dell’uno e dell’altra, potrebbe alludere a questa e la raffigurazione del vaso potrebbe forse significare ‘Volto radioso di Dioniso e Semele immortali’. Si tenga presente però che Semele viene identificata anche con Selene, la dea luna. Quindi il ‘tre’ astrale potrebbe alludere a quello di Luna (UNI in Etrusco) e a quello di Dioniso, figlio di Zeus (TIN in etrusco), in qualche modo ‘tre’ divino anche lui. In questo caso la lettura prescinderebbe dal valore, forse ideografico del κρατήρ (miscela del vino e dell’acqua?) , e potrebbe essere ‘ insieme (mix) del volto radioso di Semele ‘tre’ (ciclica) e di Dioniso ‘tre’ (ciclico), cioè ‘insieme della luce ciclica e del sole (Zeus/Dioniso) e della Luna (Semele/Selene)
25. Abbiamo più volte richiamato l’attenzione degli studiosi sulla chiara, continua, ‘ossessiva’ presenza di questo numero sacro di significato astrale (il percorso ciclico continuo del sole e della luna). V. sull’argomento, tra gli altri , i seguenti articoli
http://maimoniblog.blogspot.it/2016/12/tarquinia-lancora-della-salvezza-e-il.html
http://monteprama.blogspot.it/2014/11/giochiamo-dadi-e-impariamo-letrusco.html
http://monteprama.blogspot.it/2015/01/cerveteri-liscrizione-iv-secolo-ac-del.html
http://maimoniblog.blogspot.it/2018/01/i-documenti-etruschi-di-allai-falsi.html (v. più avanti)
26. L’uso metagrafico della ‘coda’ curva o arricciata, come ricorso per scrivere cripticamente sia con valore ideografico sia con valore acrofonico, è antichissimo, dato che le prime testimonianze di esso si trovano nelle scritture (graffiti) del Sinai (riporto nascosto della lettera ‘lamed’). Gli Etruschi sicuramente ricorrono all’espediente dietro influsso nuragico della bronzettistica (ad es. la coda dei torellini sollevata sul dorso e arricciata per rendere acrofonicamente la voce ‘forza’, ‘z עז ). Ritorneremo, quanto prima, sull’argomento, anche perché con l’aspetto della coda i nuragici riuscivano a realizzare una delle voci fondamentali delle ‘petitiones’ o richieste di aiuto alla divinità che sono la difesa (protezione), la forza e il sostegno. Voci presenti sia nel nuragico sia nell’etrusco, come dimostra la stessa formula ternaria di soccorso del ‘sarcofago degli sposi’ di cui qui si sta trattando.
27. http://monteprama.blogspot.it/2015/01/cerveteri-liscrizione-iv-secolo-ac-del.html. Sulla convenzione logografica dei numeri (parole al posto di essi) v. Sanna G., 2016, I numeri in nuragico. Numeri sacri e simbologia; in I geroglifici dei Giganti. Introduzione allo studio della scrittura nuragica, PTM Ed. Mogoro, 5.2. pp.120 -131.
28. V. Sanna G. http://maimoniblog.blogspot.it/2017/10/amuleto-aureo-etrusco-da-bolsena-in.html
29. Quattro, in modo significativo, sono anche le trecce della donna del sarcofago del Louvre di Parigi (fig. 26). E quattro, in modo altrettanto significativo numerologico, sono le trecce di alcuni dei Giganti di Monte ‘e Prama . Detti Giganti, così come i bronzetti, sono sicuramente scritti con il ricorso al metagrafico. Di essi si è tentativamente già provato (Sanna G., 2016, I geroglifici dei Giganti. Introduzione, ecc. cit. pp.226 -232) la decifrazione, impresa assai difficile anche per la non integrità dei manufatti lapidei ridotti in pezzi, spesso assai minuscoli, dalla furia dei distruttori; decifrazione che bisogna però avere la forza ed il coraggio di tentare e ritentare sulla base della decifrazione del bronzetto nuragico di Cavalupo che altro non è che la copia , si può dire precisa, di uno dei ‘Giganti’, cioè di una delle ultime statue rinvenute nei recenti scavi della collina di Monte ‘e Prama (V. http://maimoniblog.blogspot.it/2018/03/cavalupo-di-grosseto-un-gigante-figlio.html)
30. Il cappello della donna è certamente un ‘tutulus’ ma l’artista artigiano lo considera, per motivi di resa ideografica, un κάλυμμα ovvero una copertura ‘protettiva’ dei capelli. E’ la protezione o tutela (un dei ‘tre’ aiuti della petizione) che allude a quella dei due ‘volti radiosi’ del sole e della luna, di Tin e di Uni. Il 'tutulus' nell’ideografia dei coperchi dei sarcofaghi e degli oggetti apotropaici può essere sostituito da uno scialle, da un velo, da una cuffia, ecc. Ché l’artista mira sempre al ‘καλΰπτειν (kaluptein)’ ovvero al ‘coprire’ e al ‘tutelare’(v. immagine seg.), anzi alla doppia ‘tutela’ da parte delle due divinità ‘padre’ e ‘madre’.
2. Staccioli R.A., 1978, Come riconoscere l’arte etrusca, Rizzoli. Milano, pp. 29 -30.
3. Borrelli F. - Targia M.C., 2003, ArtBOOK, Etruschi e capolavori, ecc. cit., p. 53. Si veda M.F.Briguet, 1989, Le sarcophage des Epoux de Cerveteri au Musée du Louvre, Firenze 1989, pp. 83-91, 208-210, tav. II, fig. a-b, III, XIII.
4. E’evidente però che l’aspetto epigrafico - linguistico non è neutro e può essere separato da quello estetico. Ha la sua importanza, talora notevole, in quanto tendente a condizionare, in qualche modo, l’espressione artistica. Tanto per fare un esempio: l’espressione ‘radiosa’ del volto dei sarcofaghi e delle urne è topica e in quanto tale ‘costringe’ l’artista a comportarsi con quella scelta precisa fisionomica. Non c’è ‘verismo’ nei volti e la cosiddetta ‘serenità’ della coppia dei due nobili espressa dal volto non riguarda loro - il loro volto che esprime un loro stato d’animo - ma un altro volto che deve suggerire luminosità e solo quella. L’arte etrusca non si esprime mai su parametri di ‘libertà’, ma vincolata com’è al simbolo tende a diventare sua ancella. Dai dati mi risulta che essa, se la si vuole definire in qualche modo, è ‘pragmatica’, serve ad uno scopo. Un viso simbolo del divino non può esprimere l’umano. E l’arte allora consisterà fondamentalmente nella perizia e nell’efficacia di realizzare l’allusione nascondendola il più possibile alla vista dell’osservatore. Il viso ‘artistico’ ha quasi lo stesso valore di un ‘cuscino’ artistico.
5. In particolare, circa le casse di essi, si veda:
http://maimoniblog.blogspot.it/2017/02/scrittura-metagrafica-dei-sarcofaghi.html
http://maimoniblog.blogspot.it/2017/11/sollevarsi-distendersi-piegarsi-ancora_5.html
6. cit. (v. n. 5) http://maimoniblog.blogspot.it/2017/02/scrittura-metagrafica-dei-sarcofaghi.html
7. Sul ‘verismo’ dell’arte della scultura coroplastica etrusca vedi ancora Staccioli R.A.,1978, Come riconoscere l’arte, ecc. cit. pp. 24 - 39.
8. Si veda, tra gli altri, Sanna G., http://maimoniblog.blogspot.it/2018/03/cavalupo-di-grosseto-un-gigante-figlio.html. Sull’arte rappresentativa v. Lilliu G., 2008 (rist. 1966), Sculture della Sardegna nuragica, passim, Ilisso Nuoro.
9. Il ‘sostegno’, ovvero il cuscino, che sia semplice o doppio poco importa ai fini ermeneutici perché solitamente nel coperchio si dice nascostamente ma espressamente che il sostegno è costituito dal padre sole e dalla madre luna.
10. La non conoscenza della scrittura metagrafica ha impedito sinora di capire a fondo la natura precisa e l’importanza fondamentale della divinità androgina nella ‘religio’ etrusca. Si è detto che le due divinità corrispondono, sia pur con qualche variazione, a quelle romane di Giove e Giunone e greche di Zeus e Era ( v., tra gli altri, Locatelli D. - Rossi F., 2009, Etruschi, in Dizionari delle Civiltà, Electa Mondadori Milano, pp. 90 - 93). In realtà la coppia, che è ideologicamente di derivazione semitica e non indoeuropea (anche il dio sardo semitico è androgino), è collegata al culto celeste del sole e della luna ciclici, divinità datrici di luce e quindi di vita continua. Nella religione dei morti il dio androgino TIN/UNI è fondamentale in quanto esso rappresenta e il padre e la madre (apa c ati c: sia il padre che la madre), i ‘genitori’ del defunto che faranno di tutto per salvarlo e condurlo nella loro luce e in una nuova vita.
11. Quelle etrusche sono tutte ‘urne’, contenitori delle ceneri, ma per la differenza dei ‘macrosignificanti’ (casse, vasi, cathedre, coperchi, solo volti o corpi interi, ecc.) si preferisce denominarli diversamente.
12. Mentre regge una coppa: Borrelli F. - Targia M.C., 2003, ArtBOOK, Etruschi e capolavori ecc. cit., p. 52.
13. Versamento di profumi della donna sulla mano dell’uomo (v. più avanti).
14. Si noti la grande ‘C’ del panneggio del chitone enfatizzata, sia pur nascostamente, dalla pregiata decorazione. Nel materasso su cui è adagiata la persona si noti inoltre il motivo ad ‘onda corrente’ che gli Etruschi presero sicuramente dall’iconografia sarda Infatti, detto motivo si trova nella (ormai nota) barchetta fittile di Teti che è manufatto, con scrittura di tipologia nuragica, del IX -VIII secolo a.C. V. Sanna G. http://maimoniblog.blogspot.it/2017/12/il-motivo-ad-onda-ri-corrente-degli.html
15. http://maimoniblog.blogspot.it/2017/02/scrittura-metagrafica-dei-sarcofaghi.html
16. Viene presentato e descritto come sarcofago di ‘aruspice’ a motivo del fegato che il defunto tiene in mano. In realtà il compito del fegato non è quello di caratterizzare e rendere individuabile il personaggio scolpito come auruspice ma a dare una ‘semplice’ variante, ovvero la sostituzione dell’anello sigillo, al fine di rendere sempre, con la convenzione ideografica, il significato di ‘certo’, ‘garantito’, ecc
17. Il ‘volto’ ovviamente è singolo nell’urna, riguardante questa un singolo personaggio maschile o femminile defunto. Ciò però non è di impedimento per la formula (v. più avanti) perché esso può essere allusivo al volto di entrambe le divinità luminose, cioè a Tin e a Uni.
18. Ricordiamo qui che il nuragico nei bronzetti usa ‘ornare’ spesso la persona (anche quando l’ornamento diventa del tutto inutile e talora grottesco) con un cappello o altro. Ciò gli scribi fanno per motivi puramente acrofonici perché in semitico il cappello, l’oggetto di distinzione , l’ornamento si dice hdrh הדרה, espediente comunissimo che consente all’artigiano scriba di far iniziare la lettura con l’indicativo pronominale ‘hȇ’ che significa LUI/LEI (il dio androgino).
19. Questa considerazione ci fa comprendere un certo aspetto del volto dei nobiluomini o delle nobildonne. raffigurati nei coperchi dei sarcofaghi. L’artista spesso non li rappresenta ( perché non può) veristicamente ‘belli’ (o brutti) ma li rappresenta (o cerca di rappresentarli) con una ‘luce’ particolare, con una ‘bellezza interiore’ che è appunto ‘radiosa’, che attira soprattutto per la serena luminosità.
20. Senza quella connotazione non è possibile scrivere ideograficamente e rendere così le voci della formula. Il volto è raffigurato così e solo così perché un’ alterazione fisionomica non permetterebbe l’uso dell’aggettivo ideale per dire efficacemente dei due astri. V. nota 4.
21. ἂστερες μὲν ἀμφὶ κάλαν σελάνναν / ἄψ ἀπυκρύτοισι φάεννον εἶδος/… ‘ Gli astri intorno alla bella luna /di nuovo nascondono il volto (aspetto) radioso’. Per l’intero frammento saffico rimastoci v. Degani E., 1977, Lirici greci. Antologia, 4. p. 14, La Nuova Italia, Firenze.
22. Non si dimentichi che detta acrofonia, per la magia del ‘tre’, del numero divino apotropaico, è ternaria: vocalica, sillabica e consonantica. E’ uno degli espedienti del system metagrafico etrusco più raffinati e caratteristici ma, assai nascosto com’è, anche il più difficile da cogliere. V. http://maimoniblog.blogspot.it/2017/05/scrittura-etrusca-solleva-distende.html
23. V. note 12 e 13.
24. L’interpretazione del disegno è di notevole difficoltà. Infatti nel vaso greco, ma di sicura ispirazione etrusca per la gestualità, ci saremmo aspettati Zeus ed Era e non Dioniso e Semele. Il tre dell’uno e dell’altra potrebbe essere però congiunto con l’acrofonia del vaso (κρατήρ) e dare così la simbologia del nove (3 3 3) che è quella della immortalità. Il mito di Semele, figlia di Cadmo e di Armonia e di Dioniso, figlio di Zeus e Semele , incentrato particolarmente sull’immortalità raggiunta dell’uno e dell’altra, potrebbe alludere a questa e la raffigurazione del vaso potrebbe forse significare ‘Volto radioso di Dioniso e Semele immortali’. Si tenga presente però che Semele viene identificata anche con Selene, la dea luna. Quindi il ‘tre’ astrale potrebbe alludere a quello di Luna (UNI in Etrusco) e a quello di Dioniso, figlio di Zeus (TIN in etrusco), in qualche modo ‘tre’ divino anche lui. In questo caso la lettura prescinderebbe dal valore, forse ideografico del κρατήρ (miscela del vino e dell’acqua?) , e potrebbe essere ‘ insieme (mix) del volto radioso di Semele ‘tre’ (ciclica) e di Dioniso ‘tre’ (ciclico), cioè ‘insieme della luce ciclica e del sole (Zeus/Dioniso) e della Luna (Semele/Selene)
25. Abbiamo più volte richiamato l’attenzione degli studiosi sulla chiara, continua, ‘ossessiva’ presenza di questo numero sacro di significato astrale (il percorso ciclico continuo del sole e della luna). V. sull’argomento, tra gli altri , i seguenti articoli
http://maimoniblog.blogspot.it/2016/12/tarquinia-lancora-della-salvezza-e-il.html
http://monteprama.blogspot.it/2014/11/giochiamo-dadi-e-impariamo-letrusco.html
http://monteprama.blogspot.it/2015/01/cerveteri-liscrizione-iv-secolo-ac-del.html
http://maimoniblog.blogspot.it/2018/01/i-documenti-etruschi-di-allai-falsi.html (v. più avanti)
26. L’uso metagrafico della ‘coda’ curva o arricciata, come ricorso per scrivere cripticamente sia con valore ideografico sia con valore acrofonico, è antichissimo, dato che le prime testimonianze di esso si trovano nelle scritture (graffiti) del Sinai (riporto nascosto della lettera ‘lamed’). Gli Etruschi sicuramente ricorrono all’espediente dietro influsso nuragico della bronzettistica (ad es. la coda dei torellini sollevata sul dorso e arricciata per rendere acrofonicamente la voce ‘forza’, ‘z עז ). Ritorneremo, quanto prima, sull’argomento, anche perché con l’aspetto della coda i nuragici riuscivano a realizzare una delle voci fondamentali delle ‘petitiones’ o richieste di aiuto alla divinità che sono la difesa (protezione), la forza e il sostegno. Voci presenti sia nel nuragico sia nell’etrusco, come dimostra la stessa formula ternaria di soccorso del ‘sarcofago degli sposi’ di cui qui si sta trattando.
27. http://monteprama.blogspot.it/2015/01/cerveteri-liscrizione-iv-secolo-ac-del.html. Sulla convenzione logografica dei numeri (parole al posto di essi) v. Sanna G., 2016, I numeri in nuragico. Numeri sacri e simbologia; in I geroglifici dei Giganti. Introduzione allo studio della scrittura nuragica, PTM Ed. Mogoro, 5.2. pp.120 -131.
28. V. Sanna G. http://maimoniblog.blogspot.it/2017/10/amuleto-aureo-etrusco-da-bolsena-in.html
29. Quattro, in modo significativo, sono anche le trecce della donna del sarcofago del Louvre di Parigi (fig. 26). E quattro, in modo altrettanto significativo numerologico, sono le trecce di alcuni dei Giganti di Monte ‘e Prama . Detti Giganti, così come i bronzetti, sono sicuramente scritti con il ricorso al metagrafico. Di essi si è tentativamente già provato (Sanna G., 2016, I geroglifici dei Giganti. Introduzione, ecc. cit. pp.226 -232) la decifrazione, impresa assai difficile anche per la non integrità dei manufatti lapidei ridotti in pezzi, spesso assai minuscoli, dalla furia dei distruttori; decifrazione che bisogna però avere la forza ed il coraggio di tentare e ritentare sulla base della decifrazione del bronzetto nuragico di Cavalupo che altro non è che la copia , si può dire precisa, di uno dei ‘Giganti’, cioè di una delle ultime statue rinvenute nei recenti scavi della collina di Monte ‘e Prama (V. http://maimoniblog.blogspot.it/2018/03/cavalupo-di-grosseto-un-gigante-figlio.html)
30. Il cappello della donna è certamente un ‘tutulus’ ma l’artista artigiano lo considera, per motivi di resa ideografica, un κάλυμμα ovvero una copertura ‘protettiva’ dei capelli. E’ la protezione o tutela (un dei ‘tre’ aiuti della petizione) che allude a quella dei due ‘volti radiosi’ del sole e della luna, di Tin e di Uni. Il 'tutulus' nell’ideografia dei coperchi dei sarcofaghi e degli oggetti apotropaici può essere sostituito da uno scialle, da un velo, da una cuffia, ecc. Ché l’artista mira sempre al ‘καλΰπτειν (kaluptein)’ ovvero al ‘coprire’ e al ‘tutelare’(v. immagine seg.), anzi alla doppia ‘tutela’ da parte delle due divinità ‘padre’ e ‘madre’.
31. V. nota 24.
32. http://maimoniblog.blogspot.it/2018/02/il-bronzetto-di-antas-di.html
33. Zucca R., 1989, Il tempio di Antas, In Sardegna Archeologica, Guide e itinerari, 11, Delfino Sassari.
34. Detta certezza è stata verificata attraverso l'esame di tantissimi sarcofaghi ed urne. In qualche caso l’acrofonia è sfuggente, è difficile da individuare; ma ciò è dovuto semplicemente alla nostra ignoranza di un certo particolare lessico greco - latino sotteso agli oggetti raffigurati.
35. Abbiamo sospettato che l’iterazione delle ‘C’ , ovvero il numero complessivo di esse, possa rendere ancora valore di ‘magia’ con la convenzione numerologica che può dare ad es. ‘santo’ (sette), oppure ‘luce’ (dodici) o anche ‘immortalità’ (nove) da riferirsi al ‘tre’. Appurarlo è però compito assai arduo perché il computo è molto difficile, anche perché spesso si tratta di estrapolare e di riunire anche i ‘tre’ acrofonici presenti nella cassa (si vedano ad es. il cupressus, il κάλυμμα e il cornu di due noti sarcofaghi di Chiusi ripetuti due volte) e non solo nel coperchio.
36. Non sorprenda il mix linguistico perché, come si è detto, le lingue volutamente sono tre. Tra l’altro, nella realizzazione criptica del senso profondo del sarcofago non ci stupirebbe neppure l’essere presente l’attuazione di un certa ‘perturbatio’ (disordine, scompiglio) calcolata per ‘malocchio’, al fine di celare il più possibile (ne sciant, ne quis malus invidȇre possit) il dato magico.
37. Nel sarcofago è presente, ‘vistosissima’ ma nel contempo assai criptata, una enorme ‘C’ formata dal particolare panneggio del chitone che si arrotola e curva morbidamente all’altezza del grembo della donna. La presenza del topos grafico, forse il maggiore, è consolidata dall’eguale comune ‘segno’ degli uomini ai quali naturalmente è concesso quello che non è concesso per pudore alle donne: esibire cioè il ventre nudo e l’ombelico. Approfittiamo dell’esame del dettaglio raffigurativo per sottolineare ancora che l’arte veristica della coroplastica (e non solo) etrusca è arte ‘obbligata’, strettamente vincolata al simbolo da cui non può prescindere. Un panneggio ‘diverso’ può esserci ma è solo nei particolari, talvolta assai minuti, la libertà di esprimerlo. Si veda la fig. 10, ovvero il bellissimo sarcofago perugino di San Pietroburgo. La ‘C’ c’è sempre, ma il segno è raffinatamente variato dall’inclinazione di essa e, soprattutto, marcato dalla decorazione che sembra magnificare, all’apparenza, il dato terreno quando invece tende nascostamente ad esaltare il dato divino, cioè quella che potrebbe dirsi una ‘bellissima C’, un bellissimo quanto distinto ‘segno’ numerico - alfabetico etrusco tra la numerosa serie dei segni con lo stesso senso.
38. V. http://monteprama.blogspot.it/2014/12/scrittura-nuragica-gli-etruschi-allievi.html
39. La pelta viene raffigurata anche con una sola curvatura a ‘C’
40. V. http://maimoniblog.blogspot.it/2018/01/i-documenti-etruschi-di-allai-falsi.html. E’ appena il caso di far notare che nessun falsario mai avrebbe potuto ideare (negli anni ’80 del secolo scorso!) un motivo grafico con le quattro ‘C’ (due per parte legate) alludenti alle due divinità caratterizzate dal numero tre ciclico soli - lunare.
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