domenica 27 gennaio 2019

SARDARA. Se per precisi calcoli scientifici non sono ‘unità’ ponderali cosa sono mai le 26 e le 31 ‘tacche’ dei due lingotti in piombo della capanna di Santa Anastasia di Sardara? Non saranno ‘segni’ del system di scrittura dei nuragici? Non sarà la solita ‘scrittura’ criptata? Quindi non ‘scrittura numerale’ ma scrittura ‘tout court’?




di Gigi Sanna


                                     Panella 1 : 26 segni                                                                 Panella 2: 31 segni  

Nella sua tesi di dottorato (1), circa le ‘tacche’ dei due lingotti rinvenuti presso la capanna n.5 del Santuario di Santa Anastasia di Sardara (2), Nicola Ialongo scrive:

"Il problema principale sta nel fatto che i risultati ottenuti  non corrispondono a nessuna concentrazione di valori, né a valori noti in pesi da bilancia. Il fenomeno può avere almeno due spiegazioni: l’ipotetica unità cui farebbero riferimento le tacche potrebbe semplicemente non essere ancora sufficientemente documentata dai dati disponibili. In alternativa, i simboli potrebbero non avere nulla a che fare con la massa del singolo oggetto e identificare un altro tipo di conteggio, come, ad esempio, la quantità di lingotti presenti in una “partita” o la massa complessiva della partita stessa. Quest’ultima possibilità, in particolare, se supportata da ulteriori dati, potrebbe suggerire che nella Sardegna nuragica dell’età del ferro esistessero forme embrionali di sistemi di notazione legati a pratiche commerciali o amministrative. La ricorrenza di segni ponderali all’interno di concentrazioni di valori conferma la validità dell’analisi statistica, e testimonia in modo inequivocabile l’utilizzo di un sistema convenzionale, seppure rudimentale, di notazione scritta. Per sua stessa natura una scala ponderale è di fatto una struttura normativa, un costrutto artificiale che impiega strumenti specializzati e simboli specifici nell’ambito di un sistema convenzionale. Si può inoltre affermare, in modo sufficientemente realistico, che una scala ponderale che fa uso di simboli è un sistema convenzionale strutturalmente molto simile alla scrittura, nella misura in cui il simbolo viene univocamente ricondotto al significato nell’ambito di una serie di norme condivise.



    Le supposizioni fatte da Ialongo, di fronte alle difficoltà (nessuna concentrazione di valori, né valori noti in pesi da bilancia), si mantengono tuttavia nello a ‘priori’ che i segni in ogni caso sarebbero ‘ponderali’, a testimonianza di un utilizzo di un sistema convenzionale, seppure rudimentale, di notazione scritta.

  E se invece di scale ponderali, per loro natura molto simili alla scrittura, ci trovassimo di fronte alla ‘scrittura’ stessa, ad un system che si basa sul rebus e risolvibile solo all’interno di determinate convenzioni? E se quei segni all’apparenza così uguali, tutti riducibili ad una ‘unità’ (3) fossero invece ambigui e alludere ad altri segni, numerali e non, riconducibili al codice di scrittura nuragica? E se nella estesa sequenza delle apparenti unità fosse nascosta una certa espressione linguistica con voci unite in disposizione sintattica?

  Vediamo di partire da una considerazione che abbiamo spiegato più volte (4) e che ci sembra fondamentale: i nuragici (gli scribi nuragici) non scrivevano per essere ‘capiti’, usavano come gli egiziani la crittografia e questa era tanto più apprezzata quanto più il testo appariva intelligentemente ambiguo, di difficile soluzione, perché eseguito con segni che potevano significare anche ‘altro’, ‘dire’ valori diversi e/o del tutto differenti da quelli immediatamente decifrabili per convenzione.

Infatti, cosa ‘tutto’ poteva significare una ‘tacca’ verticale in nuragico? E cosa potevano significare due ‘tacche’ oppure sei? Nel continuum delle tacche, continuum che, come si sa, è anche della scrittura, è ravvisabile formalmente una sequenza logica che ci suggerisce che l’apparente serie di unità è un system fonetico e non numerico? 

E’ certo  che il segno verticale o leggermente obliquo, così come il punto (5), indica in nuragico il numero ‘uno’,  ma è anche vero che, usatissimo nell’alfabeto nuragico (6), può notare anche la lettera consonantica semitica  yod .  Così, per larga documentazione (7), possiamo affermare che due tacche verticali o oblique (ma anche orizzontali) notano la lettera zayn ma possono notare  anche il numero due (8). I detti segni quindi sono ambigui, loxoi, non subito leggibili univocamente e spetta a chi legge interpretarli di volta in volta.

Consideriamo dunque per ora i valori fonetici consonantici della sola tacca verticale e della doppia tacca verticale e cioè la yod e la zayn. Essi possono essere utili a renderci subito, sotto il profilo alfabetico consonantico, un nome proprio semitico, ovvero yzyz. Infatti, basta ripetere sei volte il trattino verticale per ottenere tutta la sequenza fonetica: I (yod) II (zayn) I (yod) II (zayn). Ora, detto yzyz  è scritto una prima volta, significativamente staccato da tutti gli altri segni verticali, nella prima linea della panella 1 di Sardara; nome di persona quello di yzyz  attestato nel V.T. e ripetuto due volte nella documentazione nuragica nella scritta di San Nicola di Trullas (figg. 3 e 4) di Semestene (9) e in quella della lastra basaltica del Nuraghe Arbori  di Seneghe  riportata trascritta nel saggio sulla Scrittura nuraghica di Pietro Lutzu (10). In quest’ultima (fig.5) addirittura abbiamo il nome sia del padre  (11) che del nonno di yzyz, ovvero ‘aly עלי e zzy זזי.        

    

                                                Fig. 3                                                                                                    Fig. 4


  
                                         Fig. 5
Assicurataci dunque la possibilità di ottenere dei segni fonetici consonantici del system alfabetico nuragico e ottenuto inoltre il nome proprio yzyz, attestato nella documentazione scritta a noi pervenuta, vediamo ora di individuare, se possibile, ulteriore senso fonetico - linguistico dalla strana sequenza continua per sbarrette verticali, non riconducibili queste ad unità ponderali. Senza fatica possiamo subito ottenere di nuovo il nome yzyz  ripetendo per altre tre volte le sei sbarrette : IIIIII IIIIII IIIIII: yzyz yzyz yzyz . Con l’aggiunta del primo nome della prima linea  otterremo  4  yzyz  che potrebbe significare, secondo la convenzione dell’iterazione logografica (12), ‘forza di yzyz’. Nello stesso modo in cui sempre, stando alle convenzioni numeriche (13), nella chiesa di Semestene si ottiene in un altro documento nuragico (fig.6), con le nove protomi taurine  inserite  in un quadrato,  forza (quadrato) toro continuo (nove), cioè ‘forza continua del toro’ (14):



Fig.6
Ottenuto questo senso (forza di yazyz) restano però da spiegare ancora altri due ‘segni’ evidenti:

- l’andamento a serpente (15) della seconda linea

-  le due tacche rimanenti.

   Infatti, cosa significa ‘serpente forza di YZYZ due’? Lo si capisce dal valore ideografico che sempre, secondo la  convenzione, ha in nuragico (ma  anche in etrusco), il serpente:  quello della ’continuità, immortalità’. Un valore che può essere sostituito in ‘variatio’ in tanti modi e soprattutto con  quello convenzionale del numero ‘nove’(16), quel nove che or ora si è visto nel fregio delle nove protomi taurine di San Nicola di Trullas.

    Abbiamo quindi: continua/ forza/ yziz/ due ma che potrebbe anche essere di YZYZ forza continua due oppure  x continua forza due se, tenendo presenti le convenzioni dei nuragici, diamo significato anche al  supporto . Questo è, di norma, un  ‘macro’ segno della scrittura complessiva ma è  trascurato per il nostro forte e radicato pregiudizio di vedere e giudicare segni fonetici solo quelli riportati nel supporto e di non calcolare invece il valore fonetico, di scrittura, di quest’ultimo . Come si è ripetuto tantissime volte, in  nuragico, e non solo (17), il supporto deve essere tenuto presente nella somma dei significanti e nella sintassi di essi perché fa parte integrante del testo e perché spesso è il segno fondamentale, come quello che maggiormente illumina il senso della scritta (18). Nel nostro caso la conformazione di esso è lenticolare e la panella è segno ideografico che ricorda l’occhio o, meglio, la pupilla dell’occhio.  Avremo quindi ‘occhio/ continuo/ yziz/ forza/ due’. Ma si sa che  ‘occhio’ (‘ayin) in semitico, nonché in egiziano, è voce che esprime per estensione anche la ‘luce’, cosa questa che ci fa capire che la continuità (il simbolo serpente dato dai tratti verticali ) la dobbiamo attribuire (19)  alla ‘luce’: luce continua di Yzyz forza due.

    Ci rendiamo però conto che così otteniamo sicuramente un senso (il due è, costituisce la forza della luce continua di yaziz) ma senza comprendere però ancora completamente il senso dell’intera espressione dato quel due enigmatico finale.  In aiuto ci viene un dato contenutistico fondamentale della documentazione epigrafica  in nostro possesso: il fatto che la chiesetta campestre di Semestene non era dedicata a San Nicola ma a Yzyz. Come riporta, senza ombra alcuna di dubbio, la scritta dell’archetto (20) della chiesetta, era yzyz il santo venerato dai nuragici (21). La sequenza ‘ e (wa) forza di yzyz’ (v. fig. 4 e fig. 7) preceduta dalla voce forza ripetuta (22) ‘tre volte’ (cioè forza della luce) attesta quella santità.

 

    Inoltre la scritta di Semestene con il suo lessico specifico ossessivamente ripetuto (23) richiama quello che stiamo ricavando ora nel rebus di Sardara: luce, forza, yzyz. In tutta evidenza yzyz era un re santo venerato e famoso in tutta l’isola come altri re santi nuragici (24) perché era figlio della luce e cioè dei due astri taurini luminosi (con simbolo bipenne), il sole e la luna. Era però, in ultima analisi, figlio di quel dio (lui h = yh) che in quanto forza taurina doppia permetteva l’esistenza della luce continua doppia. Ora, se noi, intendiamo l’uno come il toro e il due come doppio toro avremo il senso di tutta la enigmatica sequenza della panella costruita ingegnosamente facendo leva sull’ambiguità dei segni:
Della luce continua yaziz è forza doppia taurina (o doppio toro).

    Cioè yaziz, come il padre suo, è dotato della forza solare e lunare che genera la luce. E’ un santo che indirettamente può, al posto del genitore, far uso della luce che dà la salute e la vita. La forza taurina luminosa miracolosa  di yaziz  è la stessa forza di gayn dello spillone di Antas di Fluminimaggiore   o di Lephisy della stele di Nora (25). E’ la forza taurina di tutti i Giganti ‘santi’ come dimostrano in particolare  lo specimen (26) e la serie dei sigilli loro rinvenuti in Tzricotu di Cabras. Si osservi questa strana scrittura a rebus presente in tutti i sigilli con la luce, il toro e la bipenne:        

   

Si notino ora dal confronto le corrispondenze, pressochè perfette, sia di forma che di senso di Semestene, di Sardara e di Tzricotu: 

- Semestene: Lui toro doppio (27) della forza della luce continua

 - Sardara: yazyz  forza del doppio toro della luce continua

-  Tzricotu: yhh  luce continua, yhh doppio toro del doppio tre (28)     

    Ugualmente scritta a rebus secondo le convenzioni, e cioè ricorrendo ai segni consonantici acrofonici, alla numerologia e all’ideografia, risulta la sequenza dei 31 segni verticali della panella 2. Infatti, eseguendo  la stessa precisa operazione  di decriptazione usata per la panella  1  avremo:

Occhio - Luce (supporto) + serpente (29) + yzyz + cinque  + 1 :

yzyz potenza (30) del toro della luce continua    

 La differenza  (v. tab. seg.) con la scritta della panella 1 consiste nella voce ‘potenza’ dal significato pressochè uguale a quello di ‘forza’ e nel numero finale che rende ‘toro’ invece che  ‘doppio toro’. Del loro uguale significato (il toro doppio è un allargamento di senso, quasi una ‘precisazione’ che riguarda l’essere doppio (SOLI-LUNARE) della luce) fa fede anche il tenore  dei sigilli di Tzricotu che abbiamo visto.        

A questo punto si potrebbe dire che l’armeneutica riguardante le panelle sia conclusa perché si è ottenuto il senso delle due scritte. Invece c’è altro (e non certo di irrilevante) da capire e mettere nella giusta luce. Dell’altro che, al solito, spesso sfugge semplicemente perché non si hanno ancora le conoscenze complete sia sul system  protosinaitico  e protocananaico sia su  quello sardo in particolare che ad essi in larga misura  si ispira. E’ noto infatti agli studiosi che la consonante zayn non ha ancora un agente acronimo certo (31).  Noi però oggi  siamo in grado di affermare, grazie ai documenti di San Nicola di Trullas e di Santa Anastasia di Sardara che, con ogni probabilità,  la lettera zayn, ovvero quella formata da due sbarrette orizzontali (ma anche verticali oppure oblique), ha l’agente acrofonico dalla voce ‘collera, irritazione’ זלם (32). E di affermare ancora  che la sua forma deriva dal serpente che muta l’iniziale aspetto pittografico per diventare prima da sinuoso angolare e da angolare con i due tratti schematici (le due sbarrette) per perdita del tratto mediano obliquo o orizzontale del segno (33). Il processo formale lo si può notare tranquillamente dalle varianti del segno che lo scriba consapevole (34) pone in essere nella scritta di San Nicola di Trullas (v. supra  figg. 3 e 4, fig.7 e tab. segg.).

      

Fig. 7
Possiamo allora dire che le due sbarrette possono stare al posto del ‘serpente’ e che quindi simboleggiano la ‘continuità, l’immortalità’. Ciò consente di capire  perché, sempre nel documento di San Nicola di Trullas,  la ‘zayn’, scritta in tre modi diversi, è preceduta sempre dall’occhio. Lo è perché, in modo del tutto nascosto tende a rendere, oltre che la manifesta voce ‘forza’ in consonantismo (‘oz), anche l’espressione criptata ‘luce (occhio) continua’; ripetuta questa tutte le volte (otto in totale, almeno dal testo rimastoci) che compare la suddetta voce. Sequenza ossessiva questa di ‘occhio serpente’ che non a caso troviamo nell’incipit delle due panelle sardaresi,  offerta in modo ancora assai criptato e dall’occhio - luce (la panella stessa) e dall’andamento a serpente delle (finora presunte) unità.  Ora, se noi, forti dei valori nascosti della yod (toro) e della zayn (serpente),  rimettiamo a correre i segni delle due panelle, avremo non solo reiterato il nome yzyz ma aggiunto ad esso quello appositivo  di  ‘toro doppio immortale’. Insomma, tutte le volte che si legge yziz si legge anche il significato di esso nome. Significato difficilissimo (per noi) da cogliere  perché i segni  consonantici schematici del system nuragico che rendono yzyz  ( I  II  I  II) sono  ben lontani dal suggerire ‘comodamente’  un toro e un serpente ripetuti due volte.  

    Per chiarezza si osservi ora come procede nel suo ‘laboratorio’ lo scriba nuragico di Santa Anastasia di Sardara. Il suo compito è quello di ‘dire’ glorificando la potenza di yaziz, ma lo fa (lo deve fare), trattandosi di una divinità (il figlio del dio yhh), in modo non palese, soprattutto criptando il suo nome che, come quello del padre, è meglio non scrivere apertamente.  Il dio ‘nascosto’ e ‘segreto’  ha bisogno di una scrittura organica ugualmente nascosta e segreta. Solo in pochissimi (praticamente solo gli scribi sacerdoti) potevano essere in grado di comprenderla. Ora, il ricorso nella panella ai ‘normali’ segni del codice lineare o di quello pittografico dava serie difficoltà circa la segretezza dell’intero messaggio e inoltre non era adeguato allo scopo perché bisognava ottenere due risultati in uno: nascondere il nome divino e nello stesso tempo, attraverso il nome stesso ‘scritto’, ‘dire’ in qualche modo chi era yaziz. Si prenda la seguente tabella:

    
  Si nota come nei primi due casi si ottiene l’espressione toro - serpente (toro immortale)  ma non si ottiene però la lettura yzyz perché tutti ci leggono ovviamente ’an אן e non  yzyz. Nel terzo caso invece, inserendo una ‘tacca’ (la yod) ma rendendo la seconda e la quarta consonante con uno scoperto ‘zayn’, il nome yzyz diventa troppo manifesto e leggibile. Diventa leggibile proprio come lo si trova nell’archetto dell’antico tempio di San Nicola di Trullas (v. figg. 3 e 4). Nel quarto caso invece lo scriba, genialmente, riesce ad ottenere lo scopo prefissosi (rendere contemporaneamente nome e identità divina) attraverso l’uso, il più schematico possibile, della zayn a tratti verticali; segno che risulta così estremamente ambiguo, non individuabile, accostato com’è alla serie delle  sbarrette verticali;  tanto da dare a chiunque la chiara impressione  con il continuum ( I II I II I II I II ecc.)  di trovarsi  di fronte non a dei segni consonantici (per altro assai noti) ma ad una scala numerale. Impressione accresciuta ancor più dal fatto che la panella di bronzo si prestava, per il suo ‘essere’ specifico, cioè di massa ponderale,  al ‘lusus’ numerico ingannevole.     

  C’è da aggiungere in questo ‘lusus’ complicatissimo che, pur nella loro notevole ermeticità, le scritte risultano essere in fondo ‘semplicissime’. Infatti, se si osserva, esse si basano praticamente su due soli segni: un’unica sbarretta verticale e due sbarrette verticali ( I II). Con questi si riesce a riportare diverse volte il nome di yzyz  ed il ‘toro’. Le uniche varianti fonetiche, del tutto nascoste, risultano essere la voce del supporto e cioè l’occhio e la voce ‘forza’ o ‘potenza’ che si ottengono, come si è visto, con la reiterazione logografica e cioè con il numero quattro o cinque.   

    Assodata quindi l’identità di yzyz nobile figlio della divinità taurina e in possesso della  forza della stessa divinità, resta da dire ancora dei supporti. Sappiamo per fortuna, per dati di scavo,  che la prima panella era associata ad un oggetto e più precisamente ad un dolio, cioè ad un enorme contenitore.  La panella in piombo aveva la funzione di sigillarlo, di ‘piombarlo’ appunto. Ora se prima abbiamo ottenuto con la prova epigrafico-paleografica e  linguistica il significato della scritta, ora con la prova archeologica otteniamo il significato completo del tutto, ovvero di cos’era mai quella grossa e pesantissima panella che chiudeva ermeticamente il grosso dolio. Curiosamente gli archeologi erano di fronte alla soluzione del mistero  delle tacche ma non potevano in nessun modo scioglierlo per mancanza di conoscenze adeguate sul modo di scrivere a rebus dei nuragici. Quindi ha prevalso (e prevale ancora nonostante le difficoltà) la logica numerica  dei segni ponderali   E’ evidente che la panella, l’occhio circolare luminoso, ha la funzione di un enorme sigillo che, in quanto tale non può non recare, sopra o sotto, più o meno nascosto, e il nome del proprietario (yzyz) e la sua identità (figlio del toro). Nome e identità  che si sono individuati con la decriptazione delle 26 e delle 31 sbarrette.  

    Le due panelle di piombo di Sardara, se le cose stanno così, come crediamo che stiano, altro non sono  quindi che due oggetti funzionali alla chiusura dei recipienti che, ovviamente, risultano essere di proprietà di yzyz.  Erano panelle - sigillo, congegnato quest’ultimo  per notare nascostamente una ‘particolare’ appartenenza del dolio e del suo, ovviamente prezioso, contenuto. Per nulla destinate ad essere fuse, le panelle plumbee costituivano un originale marchio di garanzia perenne (35) della autenticità e della sacralità sia del contenitore che del contenuto. Il marchio che si sarebbe dovuto trovare su qualche parte del dolio lo si trova invece nella parte sigillante e non in quella sigillata.        

Conclusioni

    Dalle considerazioni suesposte le due panelle del santuario di Santa Anastasia di Sardara risultano essere, non oggetti con segni numerici ponderali, ma, per forma e per contenuti, antichi documenti  scritti ascrivibili alla sfragistica nuragica.  Documenti di prim’ordine, di eccezionale ed indiscutibile rilevanza (non solo sarda) per motivi di natura epigrafica, linguistica, religiosa e sociale. Oggi si conferma in modo definitivo (si spera) che il system nuragico era basato particolarmente sul rebus e  su segni alfabetici di origine orientale (cosiddetto ‘protosinaitico’ e cosiddetto ‘protocananaico’), di cui gli scribi sardi conoscevano profondamente la natura (la stessa ‘storia’ evolutiva formale), sia quelli pittografica che quella schematica lineare. System fondato particolarmente sul principio dell’acrofonia, anche innovativa,  come si può ricavare  dal segno fallico (un ‘unicum’, da quanto si sa) della scritta di Semestene che rende la consonante ‘ayin. Dal punto di vista linguistico, insieme alla suddetta scritta del santuario di Semestene, essi confermano ancora (ce ne fosse bisogno!)  un altro dato: che le voci (nomi propri: yzyz, zzy; comuni: ‘oz, bn; congiunzioni: wa) appartengono tutte alla lingua semitica e in particolare al lessico del V.T. Sotto l’aspetto religioso si conferma ugualmente la presenza di una divinità unica (yh, yhh) taurina  (di cui quella scrittura geroglifica e la stessa lingua sono ‘organon’),  della quale  sono figli prediletti (così come nell’egiziano) dei veri e propri santi intercessori di cui yziz è uno dei tanti. Questa santità, fondata sulla eterna doppia ‘luminosità’ taurina, eguale a quella del padre, è la forza che permette loro di dare agli uomini benessere, fortuna e felicità in terra e salvezza, luce e non buio,  dopo la morte. Gli aspetti chiari di natura religiosa offrono anche informazioni sul piano strettamente sociale. Infatti, pare risultare chiaro  che nella Sardegna del periodo nuragico (età del Bronzo finale e del primo Ferro) erano a capo della/delle comunità dei personaggi figli divini carismatici ricchissimi che presiedevano e al benessere materiale e a quello spirituale del loro popolo. Questi capi sembrerebbero essere quelli, ora non del tutto anonimi, che riposano nella necropoli del santuario di Monte’ Prama. Le loro statue taurine con ‘occhi luminosi’ e il loro simbolico armamento si capiscono dalle scritte di Semestene e di Sardara, dove sembra risultare acclarato quello che si è  affermato sul bronzetto ‘etrusco’ di Cavalupo e cioè che i cosiddetti Giganti in armi di Monte Prama altro non sono che santi protettori e difensori (le armi) e intercessori del loro popolo, di tutto il popolo della Sardegna. A Monte ‘e Prama di Cabras c’è disegnata e scritta (come solo i nuragici, allievi geniali degli egiziani, disegnando sapevano scrivere) una originalissima, stupenda e grandiosa metafora della potenza e della santità. Lo abbiamo detto più volte (36), purtroppo non creduti: su quella collina sono sepolti dei ‘piccoli’ faraoni (giganti) figli del dio, dei ‘signori - giudici (shardan)’ monarchi con altissimi poteri materiali e spirituali assieme,  non  semplici capi ‘eroi’ aristocratici padroni di mandrie e possessori di miniere e di terre.  I dati univoci di Semestene sulla santità  e quelli di Sardara sulla ricchezza e santità assieme, dimostrano che Yaziz (35) certamente era uno di questi.             

Note ed indicazioni bibliografiche

1. Nicola Ialongo, 2011, "Approccio statistico allo studio delle serie ponderali nuragiche tra il bronzo recente e la prima età del ferro", In: Il santuario nuragico di Monte S. Antonio di Siligo (SS). Studio analitico dei complessi cultuali della Università La Sapienza, Roma, pp. 387-400.
2. Santa Anastasia di Sardara è celebre per il ritrovamento di vari oggetti e documenti particolari di non facile interpretazione. Tra essi spicca uno scarabeo sigillo inteso come ‘egittizzante’ quando invece, a nostro giudizio, si tratta di un prodotto (scritto)  interamente da ascrivere all’artigianato sardo nuragico (http://maimoniblog.blogspot.com/2017/12/santa-anastasia-di-sardara-scarabeo.html   
3. Il parere che i segni (ritenuti acriticamente ‘ponderali’ senza dati scientifici sulla loro natura) costituiscano un insieme di  ‘unità’ è in Zucca R., Storiografia del problema della scrittura nuragica; in Bollettino di Studi Sardi, n.5 Dicembre 2012, p.4. Di recente  stesso pensiero di ‘probabile valore ponderale’ (sempre senza riscontri di natura scientifica) è quello di Alessandra Giumlia Mayr, 2018, Lavorare i metalli; in Il tempo dei nuraghi, La Sardegna dal XVIII all’VIII secolo a.C.; Ilisso, Nuoro, p. 151.
4. Sanna G., 2016, I geroglifici dei giganti. Introduzione allo studio della scrittura nuragica, PTM ed. Mogoro, passim.
5. Sanna G., 2016, I geroglifici dei giganti. Introduzione ecc. cit. 3, p. 121.
6. Attestata più di settanta volte, la consonante ‘fallica’ yod è assai frequente nel nuragico in forma di asta verticale o leggermente obliqua. Vedi ad esempio la scritta di Arbori di Seneghe (fig. 5 supra   e figg. segg.), il ciondolo di Solarussa, il sigillo A1 di Tzricotu di Cabras , la scritta del Nuraghe Zuras di Abbasanta.  

        

Per quanto non risultino  numerose le testimonianze in area siro - palestinese, l’origine della consonante è da ascriversi al ‘protocananaico’. V. Attardo E., 2007, Utilità della Paleografia per lo studio , la classificazione e la datazione di scritture semitiche in scrittura lineare. Parte I. Scritture del II Millennio a.C.; in Litterae Calestes, 2 (1), Center for Medieval an Renaissance Studies, UC Los Angeles, p. 172 (piastrina di Sichem con la scritta y’ark b’ar databile al XV -.XIV sec.a.C.)
7.  Già a partire dalla documentazione dei sigilli di Tzricotu di Cabras (V. Sanna G., 2004, Sardōa Grammata. ’ag ’ab sa’an yhwh. Il dio unico del popolo nuragico. S’Alvure ed. Oristano, cap. 4 p. 96  e tab.6.  
8. Sanna G., 2016, I geroglifici dei giganti. Introduzione ecc. cit. cap. 5, I numeri in nuragico, pp. 111 - 131 .
9. http://maimoniblog.blogspot.com/2019/01/semestene-in-san-nicola-di-trullas-una_12.html
10.  https://www.facebook.com/MontePramaBlog/posts/661705050536109
11. Nella lapide di Arbori però yzyz è detto stranamente  bn ‘aly ( בןעלי) e non di zzyזזי. Quest’ultimo risulta essere  il nonno. Sul motivo è difficile dire. Una spiegazione potrebbe essere data dal fatto che la lastra di Arbori potrebbe essere più antica, forse di qualche secolo, rispetto alla scritta di Semestene. Il tempo trascorso potrebbe aver fatto dimenticare, nella tradizione orale,  il patronimico a vantaggio del nome del nonno zzy 
12. L’iterazione logografica, frequente nel nuragico (e non solo), è l’artificio attraverso il quale un nome (di persona o di cosa) ripetuto più volte (tre, quattro, sette, ecc,) rende, oltre a nome stesso, il significato che di norma esso numero ha al di fuori della convenzione strettamente numerica. Es. ‘oz ‘oz ‘oz  ( forza tre  = forza della luce); ‘oz ‘oz ‘oz ‘oz ‘oz ‘oz ‘oz (forza sette = forza santa); ‘oz ‘oz ‘oz ‘oz ‘oz  ‘oz ‘oz ‘oz ‘oz (forza nove = forza immortale).  
13. Sanna G., 2016, I geroglifici dei giganti. Introduzione ecc. cit. cap. 5 pp. 120 -121. 
14. Questo esempio, tra l’altro, può far capire quanto gli archeologi e gli storici dell’arte sbaglino nel ritenere semplice ‘decorazione’ quella che è invece spesso scrittura nascosta e a rebus.
15. Questo andamento sinuoso a serpente delle ‘tacche’ è facilmente avvertibile anche nella panella 2. Il serpente è stato il simbolo, in tante culture del mondo, della ‘continuità’ e dell’immortalità. Anche nella cultura nuragica (e forse nella stessa cultura neolitica ed eneolitica dell'Isola) esso assume lo stesso preciso valore. Valore che, con ogni probabilità, assieme all’iconografia, trasmise alla stessa cultura etrusca. Nell’ultimo articolo riguardante la scritta di San Nicola di Trullas di Semestene (vide supra nota 9) abbiamo visto che esso è presente riferito alla forza della luce, luce  che, con l’ideogramma serpente, viene così definita ‘immortale’). Abbiamo detto anche che il serpente iconograficamente è spessissimo (v. fig. seg.) associato al toro, per il semplice motivo che il toro (la divinità taurina, la forza luminosa) è sempre continuo,  pena la cessazione della vita nel mondo.

 
16. Sulla simbologia di questo numero, anch’esso ripreso dagli Etruschi, vedi il nostro articolo, da noi citato spesso, sull’amuleto di Bolsena http://maimoniblog.blogspot.com/2017/10/amuleto-aureo-etrusco-da-bolsena-in.html Vedremo, in un saggio apposito, che persino il numero romano IX fu usato (in una stele da Uta) nel system funerario della tarda crittografia nuragica per esprimere l’immortalità. Come si vede dunque il serpente può essere sostituito, nella convenzione della crittografia, per notare la voce ‘immortale’ dal numero nove e, viceversa, quest’ultimo dal serpente. Tanto diciamo perché ci si renda conto che i nuragici, così come gli egiziani nella crittografia amunica, ricorrevano a più ideogrammi per indicare la stessa voce. Citiamo qui velocemente il segno ‘universale’ della svastica. Gli Etruschi, che tanto prendono dalle convenzioni dei nuragici (e degli egiziani indirettamente) furono molto fantasiosi per rendere l’idea di ‘continuità, immortalità’. Si pensi che persino una fontana (naturalmente per gli ermeneuti razionalistici una semplice ‘decorazione’) con l’acqua che sgorga ininterrottamente è ideogramma logogramma topico per notare la  ‘continuità e l’ immortalità’.
17. Pensiamo  ai tanti casi che offre la crittografia amunica dove l’oggetto stesso è significante nascosto tra significanti più manifesti e per questo più ‘leggibili’.
18. Solitamente, nei cippi funerari nuragici, il supporto ha valore (fallico) di ‘forza’, ‘potenza’ (‘oz עז).  Vedi ad es. la stele di Aidomaggiore con la scritta ‘potenza della luce (nr) di yhwh’ (fig. seg.)

 
19. Nell’incipit della scritta di San Nicola di Trullas di Semestene il ‘serpente’ anticipa nella sequenza fonetica sia la ‘forza della luce’ sia il toro: Lui della forza della luce continua toro (lui (il dio yh) toro della forza della luce continua).
20. Ultima linea di scrittura della parte destra.
21. Su questa santità v. il nostro saggio del 2018 http://maimoniblog.blogspot.com/2018/02/un-gigante-sardo-pellita-pantauros.html
22. Sulla reiterazione logografica v. nota 12.
23. La voce ‘oz la fa da padrona (è la parola guida di tutto il senso) essendo ripetuta ben otto volte su un totale di ventidue circa ( non si può capire  bene il numero di esse nella parte alta a destra della scritta).  
24. Oggi, attestati in varie iscrizioni (lapidee e di bronzo), abbiamo, oltre a questo di Yaziz, i nomi di Lephisy (bn ngr), di Gayny, di Yago de Hathos (bn Byqo), di sydho/u e di altri ancora se solo fossimo in grado di leggere senza difficoltà i due sigilli (A4 e A5) di Tzricotu, malamente riprodotti, agli inizi degli anni ’90 del secolo scorso, con semplice mastice dall’odontotecnico, oggi defunto, Ninny Blumenthal di Oristano, ( V. Sanna G., 2016,  I Geroglifici dei Giganti. Introduzione ecc. cit. passim, in particolre pp. 29 -329).       
25. V. nota prec.
26. Su detto specimen v. Angei S., 2018, Il sigillo A1 di Tzricotu: matrice per modani medievali? No, modello per matrici nuragiche! Una indagine;  in Maymoni blog (17 aprile).
27. Si tenga presente che la divinita’ (yh) nell’archetto di Semestene è definita proprio  toro doppio della luce: quello celebrato nella parte a sinistra della scritta e quello a destra.
28. Ricordiamo ancora una volta che il ‘doppio tre’ o il ‘sei’ sono ideogrammi e alludono, così come tantissime volte anche in etrusco, al triplice movimento celeste continuo dei due astri (sollevarsi, distendersi e curvare). 
29. Il serpente della panella 1 è formato dalla prima linea di tacche unita alla seconda in senso bustrofedico. IL secondo serpente (panella 2) è in linea continua con tacche che possono leggersi da destra verso sinistra o da sinistra verso destra, indifferentemente, senza che il senso della scritta subisca alterazioni.
30. Il ‘cinque’ come ‘potenza’ è la mano ovvero ‘kaph’. Spesso è la mano stessa (il pittogramma ‘mano’) o la lettera alfabetica acrofonica schematica che sostituiscono, come segno consonantico logografico, il numero ‘cinque’ (v. ad es. fig. 8: kaph gyny (potenza di Gayny).  
31.V. Naveh J., 1982, Early history of the Alphabet. An introduction to west semitic epigraphy and palaeography, Leiden &J.Bril, Jerusalem, p. 25; Attardo E., 2007, Utilità della Paleografia per lo studio , la classificazione,  ecc. cit.  pp. 155 - 156.
32. Caratteristica dell’essere della ‘vipera’ o del ‘serpente’. Ma l’agente protrebbe essere anche zhl זחל (strisciare)
33. V. ancora Attardo E., 2007, Utilità della Paleografia per lo studio , la classificazione, ecc. cit. p. 193 .
34. Questa ‘consapevolezza’ ci spinge a dire che gli scribi nuragici avevano a disposizione rotoli di pelle e forse papiri con repertori sempre molto aggiornati. La notevole quantità di varianti alfabetiche riscontrabili nei documenti, importantissima per il ‘lusus’ del mix, denuncia un’ attività continua per possedere un ‘corpus’ completo dei system alfabetici consonantici. E forse non solo consonantici, sebbene le testimonianze di codici sillabici per ora siano nulle o quasi. Il corpus ovviamente  permetteva loro di capire (anche temporalmente) l’evoluzione dei segni dal pittografico al lineare schematico. Cosa questa che consentiva l’uso largo e fantasioso dei simboli fonetici nella scrittura criptata.   
35. Si può pensare che forse lo stesso metallo, il piombo, facesse parte  del ‘lusus’ della scritta perché metallo incorruttibile e continuo nel tempo. Se così fosse e cioè se il ‘continuo’ che suggerisce il metallo è da abbinarsi  all’occhio (luce) della panella, il ‘serpente’ che si ricava ideograficamente dalla serie delle tacche continue, potrebbe riferirsi alla ‘forza’ di yzyz.     
36. La sua menzione in luoghi diversi come Seneghe, Sardara e Semestene (un largo territorio del centro ovest dell’isola) è prova assai consistente della sua popolarità e del suo immenso prestigio. Semestene ci ha reso direttamente la testimonianza di quella santità e Sardara, sempre direttamente, la testimonianza della sua santità oltre che della sua ricchezza. Dato il contenuto del dolio (armi ed utensili di bronzo) si potrebbe supporre che ai capi nuragici derivasse smisurata potenza dal fatto che fossero i detentori esclusivi del monopolio della lavorazione dei metalli. Considerando il segreto di detta lavorazione, custodito gelosamente, e la magia nel produrre gli oggetti, si potrebbe dire che yzyz e gli altri nobili erano considerati anche dei ‘maghi’ (μαγόι). Il capo della fonderia del sito di S’Arcu ‘e is forros di Villagrande Strisaili (loc. s’Arcu ‘e is forros) , il cui nome forse si trovava inciso nella nota anfora di ispirazione ‘cananaica’ (v. Sanna G.,2012, Anfora con scritta di S’Arcu ‘e is forros. Garbini: in filisteo fenicio. No, in puro nuragico; in gianfrancopintore blog spot.co (10 settembre), sembra dare forza all’ipotesi di una relazione strettissima tra santità e regalità di coloro che governavano la Sardegna nell’età del Bronzo finale e del primo Ferro. L’essere ‘divino’ di yzyz, le sue qualità taurine luminose, erano dovute in particolare alla potenza nel creare  (o nel  far creare) , così come il padre loro, le ‘cose’ attraverso il fuoco (la luce ardente solare).          



11 commenti:

  1. Credo che l'idea che i segni potessero essere riferiti al peso dei due lingotti fosse la prima ipotesi da prendere in considerazione.
    L'ipotesi è velocissimamente verificabile impiantando una semplice equivalenza (si imparava in seconda media!) di questo tipo: X : 26 = Y : 31, in cui X è il peso del lingotto con 26 tacche e Y sarà il peso del lingotto a 31 tacche. Se l'equivalenza è reale, anche approssimativamente, si può pensare a segni ponderali secondo una unità di misura pari a X diviso 26, confermata dal quoziente di Y per 31.
    Diversamente è come inventarsi le parole in libertà su un motivetto alla moda.

    Se poi gli archeologi sardi, dopo un secolo della scoperta da parte del Taramelli e 35 anni dagli scavi di Luisanna Usai e Giovanni Ugas, hanno atteso una tesi di dottorato dell'Università La Sapienza di Roma per vedersi contestare l'improbabilità di alcuna ipotesi di indici di ponderalità, siamo proprio alla corda.
    Per impiccarci, ovviamente.

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  2. Il fatto è, caro Franco, che si procede a 'sa macconatza'. Cioè al contrario rispetto a come dovrebbe andare nel 'tempio' del rigore scientifico. Quando un dato non è soddisfacente non bisogna insistere nell'errore e magari, ancora peggio, forzarlo per far quadrare le cose. Bisogna puntare altrove il microscopio o il cannocchiale! L'aspetto comico poi è che nel saggio di Raimondo Zucca si parli, per la panella 1, di bustrofedico. Naturalmente riferito all'andamento delle unità tra la prima e la seconda linea. Cioè si usa una terminologia che di norma non attiene ai numeri (ai simboli numerici) ma alle lettere alfabetiche (ai simboli alfabetici). L'analisi come si vede non manca di attenzione bizantina. Ma è l'errore di fondo, quello che 'non è' quella serie di sbarrette che vedono, che li porta ad accarezzare il 'granchio'. Quello che poi, per ripetitività ed indolenza degli studiosi, porta al trionfo, con tanto di bollo accademico, dell'errore. Sono sicuro che se tu oggi chiedessi a qualche tuo amico archeologo cosa ne pensa delle unità ponderali delle panelle di Sardara ti risponderebbe stancamente, ancora e ancora, come un disco rotto, che sono unità ponderali. Alla tua obbiezione che non possono esserlo e che con i numeri non si scherza,risponderebbero che 'in qualche modo' devono essere ponderali, che sono 'misteriosamente' ponderali. Se poi aggiungessi:'che ne pensi dell'ipotesi che possano essere segni di scrittura?' La risposta sarebbe immediatamente 'accademica': 'per affermazione unanime degli studiosi si sa che i nuragici non scrivevano'. Un dogma fasullo che si somma all'errore senza recare giovamento. Quindi, caro Franco, i segni resteranno all'infinito sempre e comunque ponderali. Esumaria, che metodo rigorosamente scientifico! Non si dubita per nulla sulle possibili false premesse circa la scrittura e si preferisce buttare alle ortiche un'ipotesi che forse (la scienza non deve mia scartare nessuna strada) potrebbe portare alla soluzione dell'enigma.

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  3. Vi prego, non ditemi che la frase "i risultati ottenuti non corrispondono a nessuna concentrazione di valori, né a valori noti in pesi da bilancia", significa che non funziona la proporzione di Francu!

    Ma,a parte le battute, cosa significa "non corrispondono a nessuna concentrazione di valori"? Cos'è "concentrazione di valori"? Di cosa stiamo parlando, di statistica? Mi aspettavo di trovare delle curve di concentrazione di un qualche parametro legato alle unità di misura ponderali usate nel Bronzo o nel Ferro, ero curioso di capire quali valori non si concentrassero, ma niente di simile si incontra scorrendo la tesi in questione (che pare essere un corposo e ricco catalogo). Quindi, boh.

    Poi, quel "Si può inoltre affermare, in modo sufficientemente realistico, che una scala ponderale che fa uso di simboli è un sistema convenzionale strutturalmente molto simile alla scrittura, nella misura in cui il simbolo viene univocamente ricondotto al significato nell’ambito di una serie di norme condivise"... cosa diceva quel tale in questi casi?! mi pare dicesse... mei co...qualcosa... era "mei corbezzoli!"?

    Insomma, come sempre, per dire che i Sardi scribacchiavano sui sassi come tutti gli altri popoli del Mediterraneo, bisogna aggrovigliarsi e contorcersi come in preda alle febbri.

    Naturalmnte, un grazie al prof. Sanna per lo splendido articolo: le sue tesi portano sempre corpose "concentrazioni di valori", e i conti, comunque la si giri, tornano sempre.

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    1. Signor Anonimo, come sempre in questi casi, chiedo ai nostri commentatori di presentarsi, anche in privato se non vuol palesare il suo nome, inviando una mail all'indirizzo maymhon@gmail.com. Grazie

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  4. Gentile Anonimo, caro Gigi,
    un maître à penser che affabulava i dirigenti di una organizzazione un giorno mi disse: se mai dovessi esprimerti su un argomento di cui hai le idee poco chiare, fallo con frasi contorte e con parole inusuali. Vedrai che nessuno obbietterà perché nessuno ti avrà capito. Ma siccome hai parlato difficile, nessuno vorrà ammettere di non aver capito ciò che hai detto.
    Così va il mondo. Ora, le barrette segnate sul pane di piombo, essendo perfettamente uguali e, per ammissione degli studiosi, sono segni ponderali, che differenza fa se si comincia a contarli da destra o da sinistra?
    Bustrofedico? Vocabolo da tenere a mente all'occasione!
    Se fossero segni di conta, una lettura destrorsa o sinistrorsa o anche bustrofedica. cosa cambia?
    Si provi a contare le dita della mano: se inizio dal pollice verso l'indice della mano destra e poi dall'indice al pollice della mano sinistra, posto che le palme siano rivolte verso di me, forse che non conto sino a dieci? E se giro le mani e le leggo dal dorso, da destra a sinistra o al contrario, oppure una da destra e l'altra da sinistra, mi verranno nove o undici le mie dita?
    Quando si dice sapere ciò che si dice. Non so se qualcuno ha pesato i due lingotti, ho provato a cercare in rete ma trovo sempre le spesse foto e la stessa stanca tiritera, in vari siti, come se uno solo sia capace di pensare in Sardegna e tutti gli altri si adeguano.

    Comunque, conoscendo i pesi rispettivi, in forza di quella equivalenza elementare, se fossero stati segni ponderali davvero, ci avrebbero permesso di scoprire l'unità di misura ponderale. E non sarebbe cosa di poco conto, perché la si sarebbe potuta confrontare con altre simili del mondo antico e trarre da ciò ulteriori informazioni sulle conoscenze di quelle popolazioni.
    A proposito di conoscenze tecniche, a Sant'Anastasia sono stati trovati perfettissimi piombi per tirare il filo a piombo, come usano i muratori. A parte che hanno una forma rotonda perfetta e sono belli da vedere, appare chiaro che se i nuraghi non hanno i muri a piombo non è perché non avessero le conoscenze tecniche per costruirli come campanili.

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  5. Mi ha colpito un particolare, caro Gigi, del pane di piombo che ha due linee di incisioni.
    Tu dici sempre che gli scribi nuragici erano abilissimi a scrivere senza darlo a vedere apertamente, a rebus insomma. Ma i rebus sono come i labirinti: per complicati che siano, devono avere una via d'uscita. Così un rebus deve avere una chiave di lettura.
    Lo scriba infatti ha lasciato la chiave separando quei sei segni a barrette verticale dagli altri 20. Se le 26 barrette fosse un continuum, come le 31 dell'altro pane, significava che lo scriba si era messo la chiave in tasca. Invece no.
    La tua intuizione che ogni oggetto nuragico, specialmente se di culto o di ornamento, probabilmente è anche scritto, ti ha fatto "vedere" nelle barrette una scrittura nascosta e poi ti ha "costretto" a scoprirla. Come per l'uovo di Colombo, a posteriori non risulta neppure tanto difficile sciogliere l'enigma, visto che si sa - tutti quelli che l'hanno studiato lo sanno bene, gli altri meno -, una barrette verticale è attestata come una certa lettera, due barrette un'altra lettera. Così è venuto fuori nuovamente questo YZYZ, così presente, così intrigante che, se mai avessi un altro figlio, maschio o femmina non importa, lo chiamerei proprio Yzyz o Ayzyz che è assonante col vocabolo sardo azzizza, che significa incrementa: azzizza su fogu, aggiungi legna al fuoco o anche avvicina i tizzoni che fossero sparpagliati. In italiano dicono solamente attizza oppure aizza.

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  6. Il pozzo di Sant'Anastasia è conosciuto come "Sa funtana de is dolus", tradotto come "Il pozzo dei dolori".
    Per dirla tutta, un dolore generico si dice "dolori". Così "dolori de dentis" (mal di denti), "dolori de conca" (mal di testa), "dolori de brenti" (mal di pancia), e così via.
    Se invece incontri uno che zoppica e gli chiedi cos'ha, ti risponde: "Sunt is dolus", indipendentemente dall'intensità del dolore che prova. Ti vorrà dire infatti che la zoppia è dovuta all'artrosi. Sa funtana de is dolus = il pozzo dell'artrosi.
    Ora, io non so se lì si curavano le artrosi, anche se ciò non parrebbe un'idea pellegrina, visto che a un paio di km o forse meno ci sono le famose acque termali di Santa Mariaquas.
    Che in illo tempore fossero anche quelle le acque di Yzyz che curavano is dolus?
    Difficile dirlo, proibito pensarlo, perché i Nuragici non solo non conoscevano la scrittura, ma non sapevano distinguere neanche l'acqua fredda dall'acqua calda. Aspettarono i Romani per questo.

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    1. E i fenicI per conoscer la ruota... almeno a quanto dice A.Usai nella conferenza di Cabras del 12 gennaio 2019!
      ... Come dici?! Ho sbagliato a scriver Fenici?!

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  7. Sì. anche a me quel sei staccato introduttivo mi ha dato l'idea della chiave interpretativa. Ma perché nella panella 1 sì e nella 2 no? Si potrebbe pensare che i due (o più) sigilli dei doli stessero in una stessa stanza, uno accanto all'altro. In tal caso non era necessario ripetere la 'chiave'.
    Bello l'appellativo popolare in sardo del pozzo sacro. Il 'pozzo dell'artrosi' spiega la funzione curativa dell'acqua benedetta, 'riscaldata' in un certo periodo dalla luce del sole durante l'anastasis. Certo ci doveva essere un collegamento tra l'acqua del pozzo sacro e l'acqua 'calda' che conosciamo delle terme di Sardara. Ma queste considerazioni le lascio a Sandro.

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  8. Mi verrebbe da pensare che il peso ponderale della panella con 26 segni sia al netto delle tasse, quella con 31 al lordo. Eh, eh, i soliti giochetti di fatturazione! A parte gli scherzi, leggendo gli studi di Marija Gimbutas e di Angela Belmonte ci si fa una idea chiara di quello che era l'intendimento scrittorio nel lontano passato, che non nasce in ambito palaziale e commerciale come alcuni studiosi sostengono (quello viene dopo), ma in ambito religioso già nel paleolitico.
    Le panelle di piombo vengono trattate nel 5° capitolo intitolato: DEPOSIZIONI VOTIVE E RIPOSTIGLI TRA LA TARDA ETÀ DEL BRONZO E LA PRIMA ETÀ DEL FERRO. Non vi è alcun dubbio che i reperti facciano parte di un contesto rituale, ossia un ambito prettamente religioso; in quanto le panelle furono ritrovate, quali sigilli di dolii, in una capanna annessa al pozzo sacro. Quello che possiamo pensare, e qui entrano in ballo gli studi di M. Gimbutas e A. Belmonte, è che ci fu continuità simbolico-scrittoria (almeno in Sardegna) che partendo dal neolitico, o forse anche prima, arrivò inalterata al periodo nuragico con una scrittura legata al sacro e in quanto tale simbolica e nascosta. Non si può negare di certo l'uso in età nuragica di segni quali V e Λ, zig zag, cerchielli concentrici e aste; tutti segni che provengono dal lontano neolitico sardo ed europeo in genere. Prova ne sia, quanto pubblica lo stesso Nicola Ialongo nella sua tesi di laurea a pag. 447 Fig. 12B descrivendo il sito di Sant'Anastasia di Sardara.

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  9. Con ogni probabilità sto uscendo fuori tema e me ne scuso, ma la tentazione è grande.
    Nel capitolo intitolato: “APPROCCIO STATISTICO ALLO STUDIO DELLE SERIE PONDERALI NURAGICHE TRA IL BRONZO RECENTE E LA PRIMA ETÀ DEL FERRO” della tesi in questione leggo a pag. 392 : “La regolarità nel peso delle asce fa pensare ad un loro utilizzo come lingotti. Le asce a margini rialzati del PF 2, in particolare, estremamente standardizzate, sono frequentissime nei ripostigli sardi (solo nel ripostiglio di Chilivani ce ne sono 44 esemplari, tutti praticamente identici; purtroppo i relativi pesi non sono pubblicati)”.
    Se ho ben capito le asce di bronzo per il solo motivo che abbiano tutte lo stesso peso sono interpretate quali lingotti anziché arnesi da lavoro. E' come dire che vado oggi in un negozio di ferramenta, acquisto una mazzetta da 800 g pensando di utilizzarla come lingotto di acciaio anziché quale strumento per percuotere uno scalpello. Se poi acquisto due mazzette, una da 800 g e una da 1000 g, mi servirebbero come pesi da bilancia (potrei anche utilizzarle come tali, oppure appese ad uno spago, potrei usarle come filo a piombo; ma quegli arnesi sono stati costruiti per ben altra funzione). Probabilmente nello studio si è perso di vista il fatto che tutti gli arnesi: asce, picconi zappe, pugnali, spade e quant'altro, erano realizzati a stampo, per tanto il loro peso era ovviamente standardizzato dalla forma dello stampo di steatite che riceveva la colata. Il fatto che ci siano esemplari di arnesi da lavoro che hanno diverso peso entro un certo range, è giustificato dall'usura dovuta all'utilizzo. Ancora, il sostanziale diverso peso di esemplari simili può essere dovuto al suo utilizzatore, più o meno prestante dal punto di vista fisico; nel senso che prendendo, ancora quale esempio una moderna mazzetta da muratore, quella pesante 1200 g di certo è utilizzabile da un uomo che abbia corporatura, e muscolatura idonea, non certo da un muratore di taglia più minuta che al massimo potrà utilizzare una mazzetta da 800 g. In ogni caso l'arnese da lavoro o arma che sia, non poteva essere costruita in funzione del peso inteso quale multiplo di unità ponderale da rispettare in termini di commercializzazione; ma il peso (allora come oggi) era in funzione del suo utilizzo.

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