La rubrica di Maymoni

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domenica 11 dicembre 2022

Verrà il giorno... Il giorno è arrivato! La scrittura sarda di età nuragica trova riscontro nella scrittura arcaica in quel di Gerusalemme, in attesa del piombetto di Monte Ebal.


di Sandro Angei 

Vedi: Da monte Ebal La maledizione di yhw difende Tzricotu, perché, si sa, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi.

Finalmente qualcosa si muove in ambito epigrafico e le nuove scoperte risultano edificanti per alcuni (noi) quanto sconcertati per altri; quelli che il Prof. Sanna definisce "negazionisti a doppio bullone".

Sono trent'anni ormai che qui in Sardegna si dibatte sulla scrittura sarda di età nuragica. L'Accademia non si pronuncia, i palafrenieri e porta vessilli vari, negano a spada tratta senza cognizione di causa, tanto meno di ragionevolezza, l'esistenza di questa scrittura; e intanto in quel di Gerusalemme saltano fuori delle scritte dichiaratamente proto-cananee, che di fatto smentiscono l'Accademia sarda, e i palafrenieri a vario titolo (palafrenieri che vanno dall'archeologo tutto-titolato - ma solo quello - al modesto tifoso, all'ultrà più pervicace, capace della più bieca ironia, che sfocia nella più ottusa delle ottusità (scusate il bisticcio di parole) messo di fronte all'evidenza dei fatti.

In area palestinese viene rinvenuta una piccola lamina plumbea con iscrizioni proto-cananaiche e proto-

lunedì 21 novembre 2022

2° parte - Illuminazione preordinata nel pozzo sacro di Santa Cristina. Un metodo.

Fig. 1

di Sandro Angei

si veda la prima parte

 Nella prima parte di questo studio abbiamo spiegato quale fosse la probabile funzione delle riseghe rientranti nei corsi orizzontali del pozzo di Santa Cristina. Ne è scaturita, con tutta evidenza (spero di averlo dimostrato con l'adeguata chiarezza), che quelle riseghe rientranti erano parte, e ancora oggi lo sono, di un gioco di luci ed ombre atte, da un lato a mettere in luce alcuni anelli della cupola ogivale, dall'altra a rendere stazionaria per un periodo di tempo di circa 5 minuti l'immagine luminosa all'interno del 12° anello.

Ci siamo chiesti però, se tutto ciò non fosse frutto di una fortuita coincidenza o, viceversa, fosse il risultato di un calcolo preordinato.

Per dare una risposta a questa domanda è necessario ripercorrere in qualche modo il ragionamento che indusse quegli architetti a predisporre un progetto di luce: una visione fantastica.

Alla ricerca del metodo

Un attento esame della cupola del pozzo mette in evidenza che i conci degli anelli hanno una certa inclinazione a partire dal 19° a scendere [1] fin verso il 9°. Anello, quest'ultimo, che veniva illuminato

mercoledì 16 novembre 2022

Cinque minuti di fermo immagine nel pozzo di Santa Cristina -- 1° parte.


di Sandro Angei
vedi 11° parte aggiunta

 Pensavo di essere arrivato al capolinea e invece mi ritrovo ancora a scrivere del pozzo sacro di Santa Cristina.

 Ancora ne scrivo perché un aiuto inaspettato ho ricevuto dal Prof. Arnold Lebeuf circa un particolare architettonico che, benché non mi sia sfuggito, a suo tempo non lo valutai nella sua giusta importanza [1].

Mi riferisco alla risega “rientrante” che possiamo notare tra un anello e l'altro della cupola ogivale che copre il bacile del pozzo sacro e tra un corso e l'altro della restante struttura, comprese le pareti inclinate della scala d'accesso al bacile.

Un po' di tecnica costruttiva

sabato 5 novembre 2022

Il kyathos della luce

Fig. 1

Fig. 2
Lo stesso reperto di figura 1 visto da un'altra angolazione con in vista il secondo animale.
Si noti che non si vede né la svastica grafita né gli altri ideogrammi. Questo è dovuto alla forma dell'oggetto che reca i trafori sulla parete obliqua della concavità, mentre la svastica grafita è troppo in basso per poter essere vista. 

di Sandro Angei

Riassunto

Il presente saggio è poco più di un esercizio comparativo finalizzato alla interpretazione di certi segni di oscuro significato; quelli che la maggior parte degli archeologi descrivono dal punto di vista formale, ma non azzardano per questi una interpretazione di carattere antropologico, rimanendo nel vago ambito del "motivo geometrico". Partiremo da un simbolo di sicuro significato - la svastica - e da quella, assieme ad altre caratteristiche di alcuni reperti provenienti da tombe Falische, Etrusche e Villanoviane, cercheremo di delineare un possibile significato logografico degli altri "motivi geometrici", inquadrabili, come vedremo, in ambito lucifero e quindi astronomico.

1. Indagine problematica di un reperto
Il reperto, il solo di cui abbiamo le immagini, di tre che indagheremo, ha la forma del kyathos greco, ossia una sorta di tazza di terracotta con manico elevato sopra il bordo del contenitore, con o senza piede di supporto, proveniente da una tomba Falisca; ossia quella antica regione italica confinante con

giovedì 28 luglio 2022

I documenti di Desula. 2

 

Francesco Ciusa - La madre dell'ucciso

Sa mamma ’e su mortu


Su dolore su coro t’hat siccadu

E istas sezzida gai in su foghile;

Bessire pius non des a su giannile

Nende a fizu tuo: «E ses torradu?»


Cando custumaiat dae monte

Torrare cun su caddu pandeladu,

Cun su fusile a coddu e imbusciadu,

Sa berritta calada in mesu fronte.


Non piùs! non piùs cussu cunfortu

Provare des, o mamma isventurada,

Tantas dies ses gai iscunfortada;

Senza pappare e cun su fogu mortu,


Priva de onzi isperu e donzi oza,

Piegada coment’e unu giuncu,

T’assimizas a unu ezzu truncu

De ilighe, chi pèrdidu hat sa foza.


E che a tie, o mamma, ateras chentu

Consuntas de piantu sunu mortas;

Cun sas manos in pilos, tottu tortas,

Che olìas chi tòrchidu hat su entu.

Antioco Casula Montanaru

continua...

domenica 24 luglio 2022

sabato 9 luglio 2022

I documenti di Desula. 1

 

- GIANCARLO CASULA

LA STORIA, LE DONNE E I VESTITI


Bronzo di Urzulei “madre dell’ucciso” - gonna lunga a balza


Gli uomini rosso-bruni delle isole che si presentano ai funzionari di Tuthmotis III vanno riconosciuti nei Sardi vissuti al tempo dei nuraghi. Insieme a loro compaiono con quelli di Keftiu (Creta). Fin dal loro primo apparire, mentre sfilano a petto nudo sulle pareti della tomba di Senemut e di Useranom e negli affreschi di prima stesura del sepolcro di Rekhmira, gli invitati delle isole del Grande Verde sfogliano un vivace gonnellino di stoffa policroma bordata e ricamata con motivi geometrici (spirale, onde, S, zig-zag, puntini, ecc.) tenuto mediante una larga cintura di stoffa, pur essa policroma, dipinta a bande con l’appariscente sintassi geometrica.

domenica 22 maggio 2022

Alla ricerca della cava di calcare dei Giganti di Monte 'e prama.

Una cava a 15 Km di distanza? "Orusorus!"


di Sandro Angei

 Qualche giorno fa ho pubblicato un articolo sul piombetto scoperto sul monte Ebal in Palestina. L'articolo si proponeva di individuare quelle caratteristiche che lo accostano ai sigilli di Tzricotu. E proprio pensando a Trizotu e al vicino sito archeologico di Monte ‘e prama ho voluto inserire in quell'articolo una nota (nota 6) circa una considerazione di carattere toponomastico.

Tutto nasce dall’omofonia tra monte Ebal in Israele e monte palla nel Sinnis di Riola Sardo.

Detta così sembrerebbe una stupidaggine rafforzata per di più dalla poca conoscenza della lingua

domenica 15 maggio 2022

Da monte Ebal La maledizione di yhw difende Tzricotu, perché, si sa, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi.

 

Fig. 1

di Sandro Angei col contributo ispiratore di Gigi Sanna

Sommario

   Tempo fa ebbi un colloquio col Prof. Gigi Sanna circa le caratteristiche e le potenziali implicazioni di carattere epigrafico e storico che il piombetto di monte Ebal in Palestina possono innescare circa la genuinità dei sigilli di Tzricotu. Tanto da spingermi a riflettere lungamente e scrivere di conseguenza questo articolo.

   Nell'articolo esamineremo i due reperti puntando l'attenzione su caratteristiche comuni che li vedrebbero discendere da una stessa cultura di origine.

Il piombetto di monte Ebal è stato descritto in maniera parziale durante una conferenza stampa tenutasi a Houston alla Lanier Theological library. Per tanto non conosciamo tutte le caratteristiche che contraddistinguono l'amuleto, ma alla luce delle affermazioni dei ricercatori che lo hanno descritto possiamo tentare di delineare quelle caratteristiche che, secondo noi, si possono estrapolare da quel reperto a prescindere dalle lacune di carattere epigrafico rimarcate nella conferenza.

 Lo faremo usando un metodo empirico che sembrerà del tutto fuorviante nell'ambiente scientifico ma,

mercoledì 13 aprile 2022

Quando l'immagine è scarna non dà alternative...

 

Fig. 1

di Sandro Αγγει

Questo è il verso di presentazione che viene offerto dal British Museum per la kylix di Fig. 1. Una kylix di produzione Attica proveniente da Nola in Campania, lì dove Etruria e Magna Grecia entrarono in contatto.

La didascalia recita: "Pottery: red-figured kylix. Purple used for wreath and inscription: no inner markings. Interior: Within a thin red circle, a wreathed youth lying on his back to right on a couch(?), represented by a red horizontal line, and holding with both hands a large diota, as if attempting to drink from it; his right leg raised a little; slight whiskers, in brown. Around, HOΠΑΙΣΚΑΛΟΣ, ό παίς καλός." 
La scelta del verso di lettura della figura non è casuale ma, come avverte il curatore, è dettata da un secondo reperto nel quale un satiro è rappresentato nello stesso atteggiamento.

Descriviamo la kylix
La scena è racchiusa dal solito cerchio, al quale è necessario dare un significato ideografico; e questo

mercoledì 9 marzo 2022

L'AUGURIUM DELLA 'COLOMBA' DI VOLTERRA. IL DOPPIO VOLATILE, UN MONSTRUM REALIZZATO PER CONTENERE DUE SCRITTURE. ENTRAMBE A REBUS?


di Gigi Sanna

Si dice che la lingua etrusca è, per svariati motivi, un enigma e un ‘rebus’. Ciò si sostiene, naturalmente, sulla base delle grosse difficoltà che insorgono nel cercare di capire di essa molti degli aspetti lessicali, morfologici e sintattici. In realtà, a mio parere, il ‘rebus’ sussiste e resiste nel tempo non ‘solo’ per motivi di carattere grammaticale e linguistico, ma anche e soprattutto perché si stenta a considerare un aspetto essenziale dell’etrusco: che la scrittura è criptica, cioè organizzata e strutturata di proposito con il rebus. E’ realizzata per non essere capita se non da pochissimi. Per tanto nella misura in cui si comprenderanno i meccanismi, spesso sofisticati, del rebus posti di norma in essere dalle scuole scribali dei santuari, si comprenderà la lingua etrusca. Essi sono simili e spesso gli stessi usati dagli scribi dei templi greci e nuragici. In particolare quelli inventati dagli scribi di questi ultimi.

  

Fig.1

 Io ritengo che non ci possa essere nella documentazione scritta dell’etrusco un oggetto che meglio possa far comprendere il solito nostro cappello introduttivo circa la lingua etrusca, allorché cerchiamo di interpretare, attraverso la chiave del ‘metagrafico’ (1) l’altro aspetto di essa (della cui esistenza ormai mi sembra che non possano esserci dubbi (2)), ovvero quello dell’etrusco criptato o a rebus. Infatti, la cosiddetta ‘colomba di Volterra’ (3) risulta apparentemente scritta solo sulla superficie del volatile e più precisamente nella parte destra del dorso. In realtà essa è tutta scritta e quella che a noi sembra essere la sola che possa essere definita dai più scrittura è accompagnata dalla (solita) scrittura a rebus che riguarda, come abbiamo visto più volte, non solo una serie notevolissima di oggetti del culto funerario ma anche le pitture parietali e le sculture delle tombe. In non pochi casi interessa persino la struttura

domenica 27 febbraio 2022

Una immagine provocatoria, scurrile nei particolari, sicuramente "sui generis" lì dove anche il ridicolo nasconde il sacro.

 

di Sandro Αγγει

L'immagine, presa da Pinterest, è di un kyathos reperibile nel sito di una casa d'aste. La didascalia lo colloca quale reperto attico a figure nere tra il 515-505 a.C., proveniente da una collezione privata italiana; per tanto è probabile (ma è solo probabile date le scarna notizie) che sia stato rinvenuto in una tomba etrusca.

Tra due grandi occhi e lo sfondo rimarcato da un alberello in pieno vigore riproduttivo, la scena mostra  un sileno intento a suonare un κάλαμος per dare il ritmo alla Menade danzate che, pure lei, tiene il ritmo con un κρόταλον in ogni mano.

 Il sileno visibilmente itifallico tiene sulla testa (κεφαλή) del membro virile quello che nella didascalia a corredo del reperto è definito "otre di cuoio" (lat. cullĕus[1]; e in effetti un ingrandimento dell'immagine mette in evidenza la legatura lì dove vi era un tempo una zampa dell'animale.

La didascalia descrive pure la parte del manico del kyathos che purtroppo non vediamo, dove sono presenti due guerrieri in armi.

Interpretazione

Dal punto di vista metagrafico, volendo tentare una descrizione di ciò che non vediamo, potremmo dire che i due guerrieri richiamano il concetto di “precauzione”, del “controllo preventivo”, della “cautela”, della “attenzione”, quell'attenzione operata tramite i due grandi occhi vigili.

Vediamo di interpretare la scena dal punto di vista A.I.N. (Acrofonia, Ideografia, Numerologia), ma solo per quel che vediamo; aggiungendo nella frase apotropaica, e tra parentesi quadre, il presunto ideogramma dettato dai due guerrieri.

Due occhi, ideogramma della doppia luce, sembrano vigilare sulla scena.

I rami dell'albero danno l'ideogramma del vigore, ma vi è un tralcio nella parte alta della scena che partendo dall'occhio sinistro in modo sinuoso arriva all'occhio destro, dando l'idea della continuità.

I due personaggi danno l'idea della danza.

Entrando nei dettagli osserviamo:

- il sostegno del flauto più l'acrofonia di mano e flauto - χείρ  κάλαμος,

- i due sostegni delle nacchere, ancora l'acrofonia di mano e nacchere - χείρ κρόταλον  χείρ κρόταλον,

- il sostegno dell'otre vuota, ancora l'acrofonia di testa (del fallo) e otre - κεφαλή Cullĕus.

Sostegno e CC sono reiterati per quattro volte, per tanto forza del sostegno di CC

Mettiamo assieme le varie voci per ottenere:

[Attenzione] della doppia luce vigile, vigorosa, continua e danzante [è]* forza del sostegno di CC (Tin e Uni, Sole e Luna).

In sostanza parrebbe che i due grandi occhi siano espressione tangibile della divinità nascosta CC.

*(...)

note e riferimenti bibliografici

1 Vi sono delle evidenze, che sono venute a galla nello studio di varie kylix, che mi inducono a pensare che vi siano delle acrofonie che potremmo definire "acrofonie di genere". E' ancora prematuro parlarne ma i segnali che il sistema scrittorio di carattere metagrafico rispetti una certa regola ci sono e anche molto evidenti a un esame critico. Proprio l'acrofonia dell'otre di cuoio potrebbe rientrare nella definizione di "acrofonia di genere" appena coniata. La caratteristica non modificherebbe per nulla il risultato finale ma renderebbe più semplice e snello il sistema scrittorio ma non meno difficile la sua compressione senza la giusta chiave di lettura.

sabato 19 febbraio 2022

Un paio di splendidi scarpini

 


di Sandro Αγγει

La kylix è custodita presso il Museo archeologico di Atene ed è attribuita a Epiktetos.
A Epiktetos sono attribuiti 12 piatti di cui 7 vengono da Vulci. Questo dato può far intendere che l'arte vascolare greca utilizzata in Etruria a fini apotropaici fosse fiorente anche in Grecia con la medesima funzione.

Descrizione della kylix

La giovane donna completamente nuda, naturalmente è una immagine classica che tende a spostare l'attenzione sui particolari che la circondano: è un tema ricorrente.

La giovane reca un vistoso copricapo che protegge i capelli ma lascia intravvedere le ciocche ricciolute della capigliatura. L'ideogramma è quello della protezione accompagnata dall'acrofonia

giovedì 10 febbraio 2022

La terza ombra della sera

  

Fig. 1
di Sandro Angei

Lo studio di questa statuina nasce in modo inaspettato durante la ricerca dell'immagine di un volatile postata da un commentatore nella pagina Facebook del Prof- Sanna.

Nel cercare nel web quella immagine mi sono imbattuto in un saggio di Giulio Quirino Giglioli, illustre archeologo (1886-1957), che menziona e descrive oltre a quello strano volatile, la statuina qui rappresentata, la cui immagine non risulta reperibile nel web ma è custodita comunque  nel Museo Nazionale di Villa Giulia in Roma

Il reperto ha attirato la mia attenzione perché nella pagina di Facebook su menzionata il Prof. Sanna ha condiviso un suo articolo, pubblicato in questo blog dal titolo "L’ OMBRA DELLA SERA DI VOLTERRA E QUELLA DI SAN GIMIGNANO. MISTERO? NO. OGGETTI APOTROPAICI. BASTA ‘TRADURRE’ IL METAGRAFICO CON LA CHIAVE A.I.N", che tratta, dandone

mercoledì 2 febbraio 2022

L’ OMBRA DELLA SERA DI VOLTERRA E QUELLA DI SAN GIMIGNANO. MISTERO? NO. OGGETTI APOTROPAICI. BASTA ‘TRADURRE’ IL METAGRAFICO CON LA CHIAVE A.I.N.

di Gigi Sanna

  Si dice che la lingua etrusca è, per svariati motivi, un enigma e un ‘rebus’. Ciò si sostiene, naturalmente, sulla base delle grosse difficoltà che insorgono nel cercare di capire di essa molti degli aspetti lessicali, morfologici e sintattici. In realtà, a mio parere, il ‘rebus’ sussiste e resiste nel tempo non ‘solo’ per motivi di carattere grammaticale e linguistico, ma anche e soprattutto perché si stenta a considerare un aspetto essenziale dell’etrusco: che la scrittura è criptica, cioè organizzata e strutturata di proposito con il rebus. E’ realizzata per non essere capita se non da pochissimi. Per tanto nella misura in cui si comprenderanno i meccanismi, spesso sofisticati, del rebus posti di norma in essere dalle scuole scribali dei santuari, si comprenderà la lingua etrusca. Essi sono simili e spesso gli stessi usati dagli scribi dei templi greci e nuragici. In particolare quelli inventati dagli scribi di questi ultimi.









Le due statuine bronzee sono ritenute dagli etruscologi e dagli storici dell’arte dei capolavori dell’arte etrusca. Gli ermeneuti di fronte alla stranezza dei due manufatti, riproducenti entrambi le fattezze di un/una giovane allungato/a hanno pensato ad uno stile (1) particolare, a prodotti di botteghe artigianali che si caratterizzavano per un certo modo di effigiare il corpo dando ad esso uno slancio particolare,

martedì 25 gennaio 2022

NON DOBBIAMO TEMERE TANTO LA NATURA (IL COVID) QUANTO LA STUPIDITA' DEGLI UOMINI.

 di Gigi Sanna

Oggi con somma tristezza assistiamo ai 'giochi' politici, pieni di tante meschinità ed egoismi senza controllo, per l'elezione del capo dello stato. E sappiamo bene che vediamo in superficie e non nel profondo! Ma assistiamo anche ad una gestione della sanità che dire che è tutto un pasticcio è solo un pietoso eufemismo. Politica e gestione della sanità sono ancora in primissimo piano nei telegiornali e sembrano quasi distogliere volutamente l'attenzione nostra dal dato fondamentale di questi giorni, ovvero dai 'venti di guerra'. L'Europa e quindi anche l'Italia quel vento, che può trasformarsi in uragano, l'hanno a pochissimi chilometri. Non è quindi la natura, che farà come sempre il suo corso spesso cattivo ma incolpevole, che dobbiamo temere quanto la stupidità, la cattiveria e la cialtroneria umana che invece farà un corso di gran lunga più malvagio, senza prevedibili sbocchi, del tutto irrazionale: appunto, stupido, cattivo e da cialtroni. E' della guerra dunque che bisogna parlare con orrore perchè l'errore di un missile fuori controllo ci fa fuori tutti in un batter di ciglia. E non ci si illuda, la guerra convenzionale, dati i presupposti, non si farà più con i guantoni da 'galantuomo ' per fare gli occhi neri' all'avversario ma per massacrare cinicamente l'umanità. Altro che Presidente della repubblica, altro che democrazia e partiti, altro che reddito di cittadinanza sì o reddito di cittadinanza no! Non ci saremo più, cari miei, non vedremo più il sole e, come tristemente cantava il poeta epicureo Catullo i 'giorni potranno tramontare e risorgere', la natura continuerà sicura per miliardi di anni, ma noi 'dovremo dormire per una notte perpetua' . Lo comprendiamo o no, tutto questo?










domenica 23 gennaio 2022

Lo specchio dell'anima

 

Fig.1

di Sandro Angei

   Mi accingo, ormai con una certa sicurezza dopo ripetuti tentativi, inizialmente anche un po' maccheronici (mi si passi l'espressione), a cimentarmi nella decifrazione metagrafica di reperti etruschi che tanto mi hanno entusiasmato quali fenomenali rebus scrittori.

Premessa

Quella sopra rappresentata è l'immagine tratta da uno specchio etrusco di bronzo che ho trovato nel volume – Musei Vaticani Museo Gregoriano Etrusco – La raccolta GiacintoGuglielmi vol. II – Bronzi e materiali vari - ed. L'ERMA di BRETSCHNEIDER , che descrive tra gli altri numerosi reperti, degli specchi etruschi (l'immagine qui pubblicata è riprodotta alla pagina 176 del volume).

 Il Dr. Maurizio Sannibale, così descrive il reperto (tralasciamo la parte iniziale che descrive il lato riflettente dello specchio, per concentrarci su quella figurata): "[omissis]. Il campo figurato è incorniciato da un tralcio a foglie d'edera e corimbi sorgente da una coppia di urei schematici (?) affrontati. Nell'esergo campeggia una testa di uccello di profilo verso destra sorgente da ali dispiegate, campite a graticcio per le penne copritrici e da fasci di linee parallele per la resa delle penne remiganti; lo stesso motivo è ripetuto nell'esergo superiore ma con la testa rivolta a sinistra e qualche variante, come l'inserimento del piumaggio del collare, l'occhio che appare sbarrato e tondeggiante, la posizione delle ali incurvate e con le penne rivolte verso l'alto.

  Sul campo figurato è rappresentata una composizione simmetrica a tre personaggi: un a Ninfa/Menade, al centro, è impegnata nella danza con un Satiro posto a destra, che sembra tentare un

domenica 16 gennaio 2022

Scrittura metagrafica etrusca a rebus. Il ‘Sarcofago dei leoni’ di Cerveteri e i κνώδαλα di Chiusi

di Gigi Sanna


 Si dice che la lingua etrusca è, per svariati motivi, un enigma e un ‘rebus’. Ciò si sostiene, naturalmente, sulla base delle grosse difficoltà che insorgono nel cercare di capire di essa molti degli aspetti lessicali, morfologici e sintattici. In realtà, a mio parere, il ‘rebus’ sussiste e resiste nel tempo non ‘solo’ per motivi di carattere grammaticale e linguistico, ma anche e soprattutto perché si stenta a considerare un aspetto essenziale dell’etrusco: che la scrittura è cripica, cioè organizzata e strutturata di proposito con il rebus. E’ realizzata per non essere capita se non da pochissimi. Per tanto nella misura in cui si comprenderanno i meccanismi, spesso sofisticati, del rebus posti di norma in essere dalle scuole scribali dei santuari, si comprenderà la lingua etrusca. Essi sono simili e spesso gli stessi usati dagli scribi dei templi greci e nuragici. In particolare quelli inventati dagli scribi di questi ultimi.

     Il cosiddetto ‘sarcofago dei leoni’ di Cerveteri (fig.1) è stato rinvenuto nel 1950 in una tomba a inumazione.  Diviso a metà per la resa ottimale della cottura si compone, per quanto riguarda l’aspetto iconografico di quattro parti. Sulla parte superiore del sarcofago insistono accosciati quattro leoncini, raffigurati a tutto tondo, in coppia contrapposta e su quella inferiore, realizzati a bassorilievo, due leoni (un maschio ed una femmina) distesi e contrapposti tra di loro. In tutto quindi sei felini. Per l’originalità del manufatto il sarcofago è ritenuto all’unanimità dagli studiosi un grande capolavoro dell’arte etrusca anche se per la lavorazione della ceramica e per la realizzazione delle figure si pensa all’influsso di maestri greci di Corinto. Descritta accuratamente l’opera funeraria, individuati i possibili influssi e le derivazioni stilistiche di essa (1) nulla però si è detto circa il significato della raffigurazione nel suo complesso se non che i felini sono posti a protezione del sarcofago e quindi dell’inumato . Per chi già conosce però il particolare valore sacro del SEI, ovvero sa che il suddetto numero è sostitutivo in Etrusco, per convenzione ideogrammatica, del nome delle divinità astrali Tin e di Uni (2), l’opera denuncia subito che c’è dell’altro che va capito e che essa va interpretata in chiave acrofonica, ideogrammatica e numerologica. Denuncia quello di cui tante altre volte ormai si è detto: che dietro le scene apparenti si nasconde il vero e profondo significato dell’oggetto realizzato a fini funerari.