KIRGISI
GENTI E COSTUMI ROSSO PORPORA
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liògnos,
bàttiles e manigottos
tela,
colore e seda
fetta lisa e fetta ligiada
Tra i tantissimi studiosi che nel
corso dei novecento si sono interessati all’origine e provenienza, oltreché’
alla ricerca di lontane parentele culturali del costume di Desulo, e’ stato
Antonio Gramsci. Egli, nel novembre del 1924, spedì una cuffietta alla moglie,
Giulia Schuct, che viveva con i suoi due figli a Mosca e nella lettera che
anticipava il regalo diceva: “ti porterà anche una cuffietta sarda, del
villaggio di Desulo, la quale prova, mi pare, strane parentele tra i Khirghisi
ed i montanari della Barbagia”. La cuffietta, chiamata cuguddu e’, solitamente,
in panno rosso modellato e rivestito a volte in velluto damascato con nastro in
raso rosso o nastro blu, annodato con fiocco e interamente ricamato con i
colori resi più accesi dalle due tonalità di giallo, in mezzo, ricami in seta
verde, rossa, azzurra.
La cuffietta rappresenta uno
degli aspetti più caratterizzanti dell’abbigliamento femminile di Desulo. Il
grande intellettuale conosceva i chirghisi quale popolazione di origini e
lingua turche con tradizioni di pastoralismo transumante nell’ambito delle
steppe dell’Asia centrale.
Trovava similitudini con il
costume di questo paese sardo posto fra i monti del Gennargentu su un
territorio di circa 8.000 ettari di cui circa 3.000 ettari ad uso pubblico.
Questi due popoli hanno vissuto difendendo la loro libertà dall’assalto di chi
cercava di invadere i loro territori. I primi abitanti del Kirghizistan furono
gli Sciti, che vi si stabilirono dal VI al V secolo a. C. Chissà se le radici
storiche possono collegarsi agli Imperi Iranici nell’Asia Centrale: i Nomadi e
i Sedentari tra il Kazakhistan e il Kirghistan nell’età dei Grandi Imperi( VI
a.C.- VI sec. d.C.); o ancora la cultura dei Saka nel Kazakhistan e nel
Kirghisistan. Successivamente la zona sudorientale fu parte dell'Impero
persiano achemenide, più precisamente della Satrapia della Sogdiana, che aveva
come fulcro e capoluogo la città uzbeka di Samarcanda. Ma successivamente la
regione dell'odierno Kirghizistan cadde in gran parte sotto l'influenza del
Regno di Macedonia dell'Imperatore Alessandro Magno. Dunque passò al dominio
della dinastia seleucide sino a che l'avvento dei Parti non pose fine completa
all'età ellenica in queste zone. I Sogdiani, indigeni sciti della zona, noti
per la loro tolleranza verso le religioni altrui. Il Buddismo, il Manicheismo,
i Nestorianesimo e i seguaci di Zoroastro avevano significative quantità di
adepti e rimasero fra i principali attori del commercio sulla Via della Seta
fino alle invasioni dei musulmani nell'VIII secolo. Un passo importante nella
storia kirghiza fu l'avvento dei Turchi, nel IV secolo, che diedero loro il
nome di Kirghizi (da "kyrgyz", "rosso"). Interessante anche
questo fatto in cui l’identificazione della popolazione riguarda la colorazione
rosso purpurea dei loro costumi. Ho verificato, attraverso la storia,
l’archeologia del territorio e le attribuzioni etniche, l’origine e i primi
sviluppi culturali delle comunità iraniche dall’età del ferro fino all’arrivo
delle popolazioni turche nell’alto medioevo. Questi Nomadi di montagna
nell’area del Kirghisistan sono anch’essi pastori, come i barbaricini, in lotta
millenaria di resistenza contro i popoli di invasori, attaccati ai loro usi e
costumi e orgogliosi della loro libertà.
E gli invasori furono tanti dagli Arabi agli Uiguri, dai mongoli di
Gengis Khan alle invasioni di Calmucchi, Manciù e Uzbeki. Anche i Kirghisi come
i sardi reagirono alle invasioni ed allo sfruttamento delle loro risorse con un
sistema sociale ed economico basato su un pastoralismo seminomade. Tale forma
di difesa venne utilizzato, più di recente, contro l’invasione dell'Impero
Russo. I Kirghisi fecero parecchie insurrezioni durate molto tempo. Molti
emigrarono, perché insofferenti al potere russo, a volte con le loro greggi, in
Afganistan, in Kazikstan ed in Cina. La più forte ribellione avvenuta nel 1916,
fu repressa nel sangue. L'oppressione russa dunque continuò anche quando, nel
1918, iniziò l'era dei Soviet. Questa situazione perdurò per tutto il
Novecento, con la forte repressione di movimenti contrari al regime fino a quando non si arrivò all’indipendenza che
avvenne nel 1990. Queste genti hanno vissuto di un pastoralismo nomade dove il
confine del loro territorio e’ il limite con le steppe siccitose e dove gli
spostamenti verso nuovi pascoli avveniva lungo la via della seta che già dal
100 a.C. legava le valli della Cina ai mercati dell’Occidente. Il tessuto usato
da questo popolo nomade e’, come per tutte le comunità dell’Asia Centrale, il
feltro di lana che ogni nucleo familiare produce, come si usava in Sardegna,
nel periodo autunnale ed invernale. L’operazione avveniva stendendo tre strati
di lana impregnata d’acqua su uno o due vecchi strati di feltro. Il tutto
veniva ricoperto con erba ed arrotolato in una pelle bovina sempre bagnata,
legata con lacci di cuoio ed infine il rotolo veniva trascinato da un cavallo o
da un bue fino al completo impasto del tessuto. Così veniva prodotto un materiale
che oltre agli indumenti serviva per tende, tappeti ecc. La leggendaria via della seta, con il suo
transito di merci pregiate, diventò il proliferare di guerre e soprafazioni ma
anche viatico di cultura ed incontri fra i popoli. Presenze di sepolture di
genti indoeuropee, risalenti al 1200 a.C. nelle aree dell’Asia centrale,
attestano l’arrivo di una popolazione con caratteristiche che portano lontano.
Uomini alti e biondi che indossavano mantelli di tipo celtico.
In Asia così come in Sardegna la storia
dice che il rosso identifica sempre il potere religioso e spirituale. Si ricordi gli abiti di corte della dinastia
Ming dove il rosso era il colore ufficiale e lo sciamanismo, con i suoi riti
ancestrali e le sue pratiche religiose, diffuse dalla Lapponia fino al
Sudamerica, ha pratiche differenti, ma con caratteristiche comuni. Capita,
tuttavia, spesso che gli sciamani, uomini o donne, indossino abiti di colore
rosso. Famosi sono gli antichi paramenti della tribù Buryat, nel nord della
Mongolia, dove lo sciamano indossa una tunica tutta rossa, in cotone,
interamente adornata da simboli e monili di forme geometriche e da ricami su
maniche, sul collo in particolare su tutte le aperture e sui punti vitali del
corpo. A tutte le latitudini ed in ogni civiltà tra le caratteristiche comuni
degli sciamani c’e’ sempre la presenza di un certo numero di "spiriti
aiutanti" (che per le donne di Desulo erano “Duennas”) oltreché la pratica
della medicina e l'interpretazione dei fenomeni naturali. Sono il canale di comunicazione
sia con le anime dei morti sia nell’interpretazione di fenomeni atmosferici ed
eventi imprevisti. Ma lo sciamano, così come le donne di Barbagia, spetta anche
il compito di preservare la memoria dei loro popoli e di tramandarli. Ma il
potere assoluto dello sciamano e’ tuttavia, in Asia come dappertutto, il
giuramento. L’arma in grado di dominare da un punto di vista sociale, politico
e religioso. Così come in Barbagia si usa un gioiello col rosso come arma di
difesa della persona dagli influssi negativi anche in tutta l’Asia centrale si
usa il gioiello per scongiurare, allontanare o annullare influssi maligni: e’
in corallo rosso (ricordiamo la famosa via del corallo che attraversava per
millenni l’Asia fino al mediterraneo). Un monile di questo materiale era in
grado di esorcizzare ed allontanare il male e la negatività. Si riteneva che il
rosso del corallo sul collo potesse essere uno scudo per la difesa e la
sicurezza per i nomadi delle tribù pastorali così come per i cavalieri delle
steppe e delle loro donne. Nessun cavaliere va in guerra senza un gioiello di
corallo così come nessuna tribù di pastori parte senza la protezione del
gioiello rosso sangue che era il simbolo di energia vitale. Anche nelle danze
sacre Tsan, le maschere che raffigurano divinità e che distruggono le forze
demoniache sono ricoperte da piccole perle di corallo rosso.
La cuffietta di Desulo sarà per
Antonio Gramsci l’ultimo regalo che ricevette dalla madre nella sua visita in
Sardegna. Era il 6 novembre del 1924 i
due non si videro mai più perché di lì a poco nel 1927 il grande statista sardo
venne arrestato e tenuto in prigione fino alla morte.
Il fascismo con le sue ambizioni
militariste e sportive oltre alle camicie nere per gli uomini chiedeva alle
donne di liberarsi degli abbigliamenti antiquati. Tutto ciò ebbe inizio in
occasione delle Olimpiadi del 1928 che per la prima volta avvenivano con la
partecipazione femminile. Ma nello
stesso anno il costume di Desulo sovverte le scelte fasciste entrando nei
vestiti degli italiani. Così scrive Umeroni nel 1928: “Il costume desulese e’
sceso dal nido alpestre e si e’ modernizzato fino a costituire un elegante e
festoso modello cittadino di giacca o golf in panno, lana, seta, costume
completo per bimbi al mare, si diffonde come gli sportivi golfs di ispirazione
magiara a geometriche e vivaci policromie, conferendo grazia e originalità alle
figure che lo sanno portare …”. La cuffietta desulese e’ scesa dalla testa alle
mani, dando luogo ad un’originale trasformazione da copricapo in borse grandi o
piccole, portafogli, portabiglietti, borsellini, in panno scarlatto ricamato in
seta, altrettanto pratici e decorativi. E così, negli anni trenta, in Italia si
diffonde l’uso del cappottino e della cuffietta di Desulo come eleganza infantile
e, contemporaneamente, spopola, nelle grandi città la vendita di una bambola in
costume commercializzata dalla Lenci (marchio prestigioso che punterà in quegli
anni sullo stile del paese barbaricino per la vendita di ceramiche).