di Gigi Sanna
Si dice che
la lingua etrusca è, per svariati motivi, un enigma e un ‘rebus’. Ciò si
sostiene, naturalmente, sulla base delle grosse difficoltà che insorgono nel
cercare di capire di essa molti degli aspetti lessicali, morfologici e
sintattici. In realtà, a mio parere, il ‘rebus’ sussiste e resiste nel tempo
non ‘solo’ per motivi di carattere grammaticale e linguistico, ma anche e
soprattutto perché si stenta a considerare un aspetto essenziale dell’etrusco:
che la scrittura è cripica, cioè organizzata e strutturata di proposito con il
rebus. E’ realizzata per non essere capita se non da pochissimi. Per tanto
nella misura in cui si comprenderanno i meccanismi, spesso sofisticati, del
rebus posti di norma in essere dalle scuole scribali dei santuari, si comprenderà
la lingua etrusca. Essi sono simili e spesso gli stessi usati dagli scribi dei
templi greci e nuragici. In particolare quelli inventati dagli scribi di questi
ultimi.
Decus,symbolum,sonus.
Sono questi gli aspetti che tengono presenti gli Etruschi (1) quando creano
dipingendo o scolpendo. Gli ermeneuti di ieri e di oggi, in genere storici dell’arte,
invece tengono presenti i soli primi due di aspetti e ignorano il terzo che
risulta, in ultima analisi, essere il più importante. Infatti, solo con quest’ultimo
si capisce il senso, il significato vero, profondo e non superficiale, che
vuole comunicare l’artista, pittore o scultore che sia.
Il κύλιξ custodito a Monaco di Baviera (Staatliche Antikensammlungen) Prendiamo oggi come esempio il celeberrimo κύλιξ
all’interno del quale il pittore ateniese Exekias ha finemente disegnato il dio Dyoniso con la
piccola (2) barca, mossa da un vento vigoroso, mentre sul e dal pennone
di essa spuntano e si sviluppano prosperi corimbi e intorno ad essa guizzano i
delfini. E’ del tutto agevole per un critico e storico d’arte dire che nella pittura all’interno
della coppa si allude e si rimanda al noto mito dei pirati Tirreni (3) trasformati
in delfini dal dio vendicativo; così come è agevole capire l’allusione al pennone ligneo, senza più vita vegetativa, del tutto secco, eppure prodigiosamente rinato e trasformato in due piante
rigogliose e cariche di frutti (4).
La critica artistica, osservando con
cura e interpretando ‘oggettivamente’ il manufatto, si darà, di necessità ovvero per logica, esclusivamente all’analisi
della bellezza della pittura, della vivacità dei colori, dello stile personale
che possa, in qualche modo, permettere
di individuare con sicurezza il pittore e, attraverso
i particolari del disegno, all’analisi, la più
esaustiva possibile, del tema
mitico greco (quanto di esso mito sia riportato, quale sia la precisa fonte
letteraria a cui si è ispirato l’artista, quali eventuali varianti possano
riscontrarsi, come sia raffigurato il dio, come la barca, ecc. ecc.). E così procedendo nella disamina il critico penserà di aver adempiuto, nella maniera migliore possibile, al
suo compito che è quello della ‘lettura’
e della ‘explicatio’ del testo. Ma così non è perché, senza avvedersene, egli ha
‘trascurato’ la lettura di ciò che maggiormente ha impegnato l’artista pittore
e cioè la realizzazione e la disposizione organica a rebus dei significanti che
diano senso fonetico. In una parola, ha trascurato la ‘scrittura’, quella sola
che consente di capire che ‘cosa’ realmente intenda suggerire il tema proposto riguardante il celebre mito.
Sulla scia di quanto abbiamo
detto e scritto non poche volte (5) vediamo di adoperare le nostre
conoscenze su un certo tipo di scrittura del passato (6), del tutto
smarrita data la sua segretezza mantenuta, per secoli e secoli, dalle scuole
scribali religiose. La scrittura a cui alludiamo è quella metagrafica a rebus,
basata sulla convenzione dell’uso simultaneo dell’ideografia, della numerologia
e dell’acrofonia. I pittori e gli
scultori, ovviamente su commissione, usano la loro arte ma forse senza sapere che stanno
creando nascostamente (e il più nascostamente possibile) senso con sintassi e
lessico leggibili solo da chi è conoscenza di un particolare tipo di
scrittura e delle ‘regole’ che la governano. Un’arte che ora vediamo di trattare nel κύλιξ di Dioniso e i Pirati tirreni ma che può essere estesa a tutta o quasi
tutta la produzione artistica di pittura e di scultura etrusca (e non solo etrusca) , soprattutto nel
system di scrittura apotropaica riguardante il culto dei morti.
Vediamo ora di concentrare la nostra attenzione
sull’ideogramma o gli ideogrammi presenti nel manufatto. E’ il primo passo questo, quasi obbligato, che consigliamo a chi vuole procedere con successo nell'analisi ed intendere la scrittura criptata. Osservando bene noteremo che detti ideogrammi, proprio perché ideogrammi, danno una certa idea, ci suggeriscono tutti un concetto ben preciso. Quello
del vigore: vigore delle due piante che spuntano e prosperano dall’albero della navicella,
vigore della vela gonfia per il vento, vigore della barca che procede spinta
dalla vela ed infine vigore dei delfini che sono disegnati nell’atto di tuffarsi
in mare. Una volta compresa la serie degli ideogrammi, sorge però il problema di afferrare come si debba intendere 'organizzato' quel vigore ripetuto quattro volte.
Il ‘vigore’ iterato per quattro
volte ci dovrebbe dare ‘vigore quattro’ e dal momento che il numero quattro per
convenzione numerologica, pensiamo antichissima, significa forza (7)
dovremmo tradurre la iniziale stringa di senso con un ‘vigore della forza’. Operazione
legittima perché per ottenere detta stringa abbiamo impiegato non solo l’ideografia
ma anche la numerologia con le convenzioni che la riguardano. Ma il fatto è che
nel quattro iterato, sia in basso che in alto della κύλιξ, si trova un altro numero ancora,
il sette; numero che non può essere stato messo a caso data la sua ripetizione e il suo
significato (spessissimo adoperato in numerologia dagli etruschi e dai nuragici)
di ‘santo’ (8). Infatti sia i corimbi che i delfini sono in numero di
sette. Come si combina con tutto il resto il 'sette' riportato due volte? La
risposta si ha nel calcolare diversamente l’iniziale supposto ‘quattro’. Vediamo
allora immagine per immagine il disegno e ‘traduciamo’ alla lettera. Avremo:
-
Vigore dei corimbi sette
-
Vigore dei delfini sette
-
Vigore della vela
-
Vigore della barca
Ma questo cosa significa? Ci dice
poco e niente. Stiamo analizzzando, dicendo e non ancora comprendendo. Se però usiamo l’altro
aspetto (il terzo) della scrittura metagrafica e cioè l’acrofonia, scopriamo il
significato del tutto perché essa, se applicata alle 'cose' che sono disegnate (i
corimbi, i delfini, la vela, la barca) e implicate nel ‘vigore’ ottenuto per via ideogrammatica, ci consente di
avere quattro ‘C’ :
- - kόρυμβος (C)
- - κνώδαλον
(C)
- - Carbasus (C
)
- - Κύμβη (C)
-
Si sa che il segno della ‘C’ in etrusco nota il ‘tre’ (9)
ovvero, per numerologia, la ‘luce’. Quindi prendendo le ‘C’ acrofoniche dei
sostantivi e sostituendole ai nomi interi abbiamo:
-
Vigore della luce (tre: C)
-
Vigore della luce (tre: C)
-
Vigore della luce (tre: C) santa
-
Vigore della luce (tre: C)
santa
-
Sommando le espressioni uguali per contenuto di senso otteniamo
:
-
doppio vigore della doppia luce
-
doppio vigore della luce doppia santa doppia
Il significato allora sarà:
Doppio vigore della doppia luce/ doppio
vigore della doppia luce doppia santa
In pratica, nella seconda espressione
criptata si aggiunge al vigore della doppia luce, ovvero il sole e la
luna, anche la santità, alludendo con questa alla perfezione (10)
dei due astri sia nell’aspetto luminoso sia nei continui movimenti ternari
ciclici chiamata spesso, nell’iconografia etrusca, ‘danza’ del sei o della
doppia luce.
Ricapitolando, la kulix di
Dioniso, oltre che riportare apertamente un bellissimo disegno e una vicenda
mitica famosa e di grande fascino nonché alludente al dio del vino, ci riporta anche,
nascostamente, una espressione apotropaica nella quale si dice della forza
luminosa della divinità (sole e luna/Tin -Uni) . L’oggetto dunque ha una
lettura di superficie (quella che tutti sono in grado di ‘leggere’) e una lettura
di profondità a rebus, non subito visibile, che, senza la conoscenza delle convenzioni del
metagrafico (senza la misteriosa ‘chiave’
per aprire) nessuno è in grado di notare e quindi di affrontare. E ciò è fortemente voluto
perché la non leggibilità del testo scritto è quella che permette la sicurezza,
la certezza e la garanzia protettiva del talismano magico. Creato ad arte, per
dirla con Catullo, ‘ne quis malus invidere possit’ una volta che venga a
conoscenza del contenuto nascosto.
NOTE E INDICAZIONI
BIBLIOGRAFICHE
1.Gli Etruschi e i Sardi
‘nuragici’. Ma è più che probabile che un certo tipo di scrittura ideografica e
numerologica assieme l’abbiano inventata e curata per primi i neolitici sardi, i
costruttori (pittori e scultori) delle domus de Jana (v. Sanna G., 2020, La
scrittura in Sardegna? A Partire dal neolitico recente. Scrivere disegnando a
rebus. Gli ideogrammi convenzionali nelle tombe, nella ceramica e nelle pietre.
Il ‘tre’ ed il ‘sei’ taurini e la ‘religio’ neolitica astrale ripresi due
millenni dopo dai nuragici e tre dagli Etruschi in Maimoni blog (4 Aprile).
Manca purtroppo ad oggi un testo
esaustivo che riporti i dipinti e le sculture (laddove presenti) nelle celle e
cellette funerarie della religione funeraria dei neolitici. Si potrebbe sapere
di più delle influenze (che sembrano indubbie) culturali di questi ultimi sulla
scrittura a rebus del periodo etrusco. Una tomba come quella di Pubusattile di
Villanova Monteleone (v. fig.) mostra chiaramente con il motivo della
scacchiera e la simbologia numerica (quadrato, quadratini e serpentelli) che
gli Etruschi, eredi dei Villanoviani, hanno preso non pochi suggerimenti (e per molto tempo) dai
neolitici sardi per il loro system funerario assai sofisticato
2. Forse le sproporzioni tra la barca e la persona di Dyoniso sono
da imputarsi al fatto che il natante deve essere individuato senza fatica come
tipologia di barca al fine di fornire la giusta acrofonia della parola. V. più
avanti.
3. Sul mito di Dioniso e i pirati tirreni v. in
particolare Romizzi L.,2003, Il mito di Dioniso e i
Pirati Tirreni in epoca romana, in Latomus, T.62,
fasc.2, pp. 352 -361. Sociètè d’Etudes Latines de Bruxelles; Nobili F.,
2009, L’inno omerico a Dioniso (HMN, Omero, VII) e Corinto,
Annali della Facoltà di Lettere e filosofia di Milano.
4. I cosiddetti ‘corimbi’ (da κόρυμβος, grappolo) voce che si può
riferire sia ai frutti della vite che a quelli dell’edera. Specialmente a questi
ultimi. Per Mosch. 3,4, il κόρυμβος è un
grappolo di fiori o di frutti terminanti a punta. Qui il pittore ha disegnato significativamente
i frutti mettendone in evidenza le ‘punte’. La scelta del corimbo ovvero del
nome del frutto per entrambe le piante del mito dionisiaco è fondamentale ai
fini del system metagrafico basato sull’acrofonia. Circa il topos dei corimbi e del 'vigore' di essi v. il saggio della Di Poce R., 2007, Le donne in Etruria tra Orientalizzante e Arcaismo, Università di Napoli L'Orientale, di cui la fig. alla p. 17.
5. V. di recente, tra gli altri
contributi, Sanna G. 2020, Museo Nazionale di Firenze. Il cane ‘calustla’ e
il system funerario metagrafico etrusco alla luce delle nuove acquisizioni.
Scrittura lineare e scrittura metagrafica. Protasi e apodosi. Il Sei continuo.
In maimoni blog (21 marzo).
6. Questo tipo di scrittura
conobbe uno splendore continuo nel Mediterraneo: in Sardegna (nel neolitico,
eneolitico e nell’età del bronzo), in Grecia (Pito) e quindi in Etruria. Per
l’uso di essa in Pito (Delfi) si veda il nostro saggio del 2007: I segni del
Lossia cacciatore, passim, S’ Alvure ed., Oristano.
7. Si veda la nota 1. Chiara risulta la simbologia del quattro nella
figura della parete della domus de jana (neolitico recente sardo: 3000 -2500
a.C.)
8. ‘Santo’, da quello che si
capisce da tutta la documentazione nuragica, significa ‘perfetto, per nulla
censurabile, inattaccabile nella sua essenza'. La voce ‘santo’, ottenuta
attraverso il sette numerologico, in nuragico è unita particolarmente alla
parola ‘luce’ e al dio (yh) creatore di quella luce. La luce è
‘perfetta’ come ‘perfetto’ è il suo creatore. Si veda il noto (cosiddetto) ‘brassard’ di Is Locci -Santus di San Giovanni Suergiu dove si dice che
la ‘Bipenne’ (detta però ‘bidente’) è di Lui (yh) padre ('ab) della
luce santa (sette).
9. Nel system funerario etrusco non esiste documento dove non sia
presente il tre o il sei ovvero i due numeri notanti la luce. Detto ‘tre’ però non si
ottiene solo per acrofonia ma anche (molto spesso) per ideografia. L’idea del
‘sollevare, distendere e curvare’ (cioè del ritmo ciclico ternario del sole e
della luna) è presente nelle pitture, nelle sculture e in tantissimi oggetti del
culto funerario etrusco. Ad esempio nelle immagini relative al ballo (sacro) etrusco
l’atto del sollevare un braccio, di distendere l’altro e di curvare la mano (ma
esso si può rendere anche con le gambe o con le braccia e le gambe assieme) obbedisce
alla necessità di realizzazione criptata
del tre (la luce) o del sei (la doppia luce) . Si veda, tra i tantissimi esempi che si potrebbero fare, il ‘SEI’
della ’Ydria (fig. seg.) con la guida dei ballerini’ e la caratteristica danza, nella quale però il primo dei due ‘tre’ si ottiene maliziosamente con la singolare variatio del ‘sollevare
fallico’ del ballerino.
10. V. nota 8.