di
Gigi Sanna
L’esodo
biblico siriano di milioni di profughi che fuggono disperatamente dalla loro
terra martoriata dalla guerra, dalla miseria, resa invivibile dal clima di intolleranza
per gli odi religiosi scatenati dai fondamentalisti islamici, sembra essere
alquanto distante da noi in quanto distanti o relativamente distanti sono le rotte turco -greche - balcaniche percorse
per raggiungere il cuore ricco e potenzialmente accogliente dell’Europa.
Eppure quelle scene di miseria e di
disperazione che ci arrivano ogni giorno in tempo reale attraverso la televisione
non possono lasciarci indifferenti in quanto in quella marcia per la
sopravvivenza, in quel cammino da cristi tra il freddo, la fame, il fango, il
filo spinato e, non poche volte, tra gli
‘sputi’ delle comunità, non ci sono persone qualunque della terra. Ci sono quelli
che il tempo non ci fa più riconoscere con immediatezza ma che sono stati
(almeno in parte) i nostri progenitori dai quali abbiamo preso a vivere secondo
gli stessi usi e costumi e anche con la stessa (sebbene non sola) lingua.
Ci ha
fatto piacere che una prestigiosa rivista scientifica di paleogenetica
abbia preso in considerazione le nostre risultanze derivanti dalla
documentazione scritta arcaica dei Sardi. Da essa risulta in maniera
inequivocabile che i Sardi adoperarono, già a partire dalla prima metà del
secondo millennio a.C., due lingue fondamentali: una di ceppo indoeuropeo
(cosiddetto ‘occidentale’) e una di ceppo semitico. La prima largamente
maggioritaria, usata per l’oralità, e l’altra per la cultura religiosa. I tanto
contestati sigilli cerimoniali di Tzricotu
di Cabras, per quanto esistenti e autenticissimi, nonché centinaia di documenti venuti alla luce
dopo di essi, mostrano ‘ad abundantiam’ i
due aspetti linguistici e religiosi. C’è il lessico semitico (bn, ‘ab, nr/nl, sh’ar, ‘oz, r’ash, h, ‘ash, ‘od,
hdrh, bbh, ecc.) e quello indoeuropeo (’ak,
gghloy, gwhro, kor’ash, sa’an, bdnt, ecc.). C’è in particolare la presenza
della divinità androgina yh (scritto
anche y, yhh, yhw e yhwh), di origine
cananaica e non ebraica, con il suo caratteristico alfabeto ‘protocananaico’ in
mix e a rebus (LOXOTHS) che tanta fortuna ebbe nel corso dei secoli presso le
scuole scribali della Sardegna della seconda metà del secondo e di tutto il
primo millennio a.C. Sono cose che
abbiamo detto e ridetto, ormai tante volte, ma che è bene ripetere soprattutto
quando a dire e ad affermare non c’è una sola disciplina ma entra in campo una seconda voce, autorevolissima e modernissima perché di altissima
caratura scientifica, che la affianca.
I
detti sigilli di Tzricotu sia con i ‘tria nomina’ di origine e aspetto occidentale
indoeuropei sia con il mix dei segni orientali mostrarono da subito, già nei
primi anni della scoperta ( quando ancora
la maggior parte dei documenti sardi scritti stava nell’oscurità) quello che fu
un binomio inscindibile e che caratterizzò dal punto di vista antropologico la civiltà
della Sardegna dell’età della costruzione dei nuraghi, delle tombe di Giganti,
dei pozzi sacri, della piccola statuaria e della grande statuaria e anche della
produzione materiale dei secoli successivi sino all’età imperiale romana.
Civiltà che, come si sa (e che oggi sempre di più conosciamo) adoperò uno stesso codice di scrittura e che
venerò, sempre con esso, una e una sola divinità.
E’ evidente allora che scrittura, lingua
della religione e della cultura, culto religioso con l’incrocio genetico indoeuropeo
- semitico abbiano plasmato non poco una popolazione che è ancora quella, nonostante
altri notevoli o notevolissimi apporti culturali successivi, della nostra cosiddetta ‘identità’.
E se è vero che noi oggi usiamo ancora molto di quella lingua indoeuropea delle
lontane origini ‘pre-cananaiche’, è anche vero che quella stessa lingua, in
quanto visione del mondo, è figlia anche e soprattutto della cultura materiale
e spirituale delle genti di Canaan che
forse, in seguito ad un altro esodo, ‘biblico’ o meno per consistenza numerica,
emigrarono per vari percorsi e rotte, ma soprattutto quelle sarde.
Sono
questi gli aspetti nuovi della storia
mediterranea ed europea che sembrano emergere,
si voglia o non si voglia, dalla ormai cospicua documentazione lasciata dalle
scuole scribali arcaiche dell’isola. Aspetti che ci fanno vedere con occhi
diversi e considerare quanto siano in
fondo piccole le distanze temporali e vicini i popoli; quanto un esodo ‘moderno’ in seguito a guerre,
a calamità e a odi religiosi in fondo sia antico, e un esodo antico viceversa quanto
moderno. I Cananei di allora, che forse scappavano anch’essi portandosi dietro
la loro lingua, la loro religione e i loro usi e costumi, quelli che
approdarono in Sardegna più di tremila e cinquecento anni fa, con ogni
probabilità, sono gli stessi che per via
terra e non via mare, come una volta, raggiungono i territori di tutta l’Europa.
Genetica, archeologia e scienza epigrafica concordano oggi nel disegnare un
unico quadro di formazione antropologica riguardante la Sardegna. Esse ci
aiutano allora a capire che l’accoglimento dei profughi Siriani (o Cananei che
li si voglia chiamare), non è, almeno per noi Sardi, un fatto di generico
umanitarismo, ma di profonda cultura e di singolare affetto assieme perché tocca le nostre salde radici, ovvero
quello che siamo stati per tantissimo tempo nella nostra storia e forse, senza
saperlo bene, siamo ancora.