di Gigi Sanna
Fig.
1 (Foto di Stefano Sanna)
Fig. 2 (foto di Stefano Sanna) Fig. 3 (foto di Stefano Sanna)
Sì,
è così. Proprio ‘alla luce del sole’. Visibile a tutti tutti. Oggettiva, bella
canterina pur nella sua notevole ermeticità. E non ci credo proprio che non sia
stata notata, perché non credo a certi ‘sbadati’ del mondo accademico. Non ci
credo manco se lo giurano! Perché non è possibile che il nome proprio semitico YZIZ
(yazyz יזיז) del V.T. non sia stato mai notato, per lo meno, dagli specialisti di storia dell’arte, di
epigrafia e di archeologia medioevale; anche
perché le lettere, che potrebbero essere sulle prime confuse con segni di
alfabeti più recenti, non sono state minimamente compromesse dall’ingiuria del
tempo. Almeno in quelle specifiche parti. Infatti, la sequenza IZIZ (almeno
quella avrebbe dovuto incuriosire!) la si legge da lontano sulla parte destra
dell’archetto, perché più grande, mentre sulla sinistra chi ha occhi buoni può
leggere la medesima sequenza alfabetica, anche se realizzata con andamento
diverso (dall’alto verso il basso e da sinistra verso destra) e segni non del
tutto uguali (figg. 2, 3, 4 e 5).
fig. 4
fig.5
Siamo andati non in due o tre ma in trenta (praticamente
tutti i partecipanti del corso di epigrafia nuragica di due anni fa) per renderci conto se la scritta intrigante dell’archetto
esistesse davvero (le immagini mancano totalmente nel web, nei libri e nelle
riviste specializzate) oppure se le foto pervenuteci ci ingannassero per uno
strano gioco di luci ed ombre che ci faceva apparire segni fonetici quelli che segni
non erano. La nostra curiosità era
accresciuta anche dal fatto che non pochi studiosi (1) avessero paradossalmente dedicato non poco tempo
ed energie epigrafico - paleografiche per un’altra scritta realizzata sempre all’esterno
dell’edificio ma nella parte bassa in corrispondenza dell’abside (fig. 6). Una
scritta certamente assai meno importante perché moderna, realizzata - pare - alla
fine dell’Ottocento o agli inizi del secolo successivo (2)
Ma vediamo ora di esaminarla tutta per
benino l’iscrizione, sfuggita (?) del tutto, iniziando col mettere in evidenza
(fig. 7), ove possibile e come possibile (3),
i singoli segni di scrittura:
Fig.
7
Nella parte a sinistra
dell’archetto si trovano (fig. 8) i seguenti segni:
fig.
8
E
nella parte destra i seguenti (4):
fig.
9
Sono tutte lettere pittografiche, schematiche lineari o
numeriche in mix, note nella documentazione nuragica perché, pur con le loro
variazioni formali (5), fanno
parte del solito system ‘protocananaico’ (6) scoperto e conosciuto ormai a partire dal nostro lavoro del 2004 (7), dai numerosi saggi scritti successivamente e dal
nostro recente testo di introduzione allo studio della scrittura nuragica.
Mettiamo
in ordine, per tipologia, i segni ** :
fig. 10
Quindi
diamo loro i valori fonetici:
1 toro
2 toro (8)
3 toro
4 serpente (lettera ‘nun’)
5 tanit (lettera hē)
6 serpente (continuità, immortalità)
7 croce (quattro: forza) V. n. 32
8 fallo (lettera ‘ayin: acrofonia (9) di ערלה)
9 occhio (‘ayin)
10
occhio (‘ayin)
11
beth
12
beth
13
waw
14
waw
15
zayn
16
zayn
17
zayn
18
zayn
19 zayin
20 zayn
21 yod
22 yod
23 ‘ayin
24 zayn
25 yod
26 zayn
27 zayn
28 zayn
29 zayn
30 zayn
31
nun
32
quattro (forza)
33
croce (quattro: forza) V. num. 7
Dall’alfabeto nuragico seguente (10) si noterà,
come si è detto sopra, che i segni sono già tutti attestati
Anche i
numerali (quattro barrette e croce) che danno il quattro con significato di ‘forza’ hanno indubbi riscontri (11). Per comodità
offriamo di essi anche la documentazione fotografica con gli esempi del coccio
del Nuraghe Alvu di Pozzomaggiore (12) e della pietra
di Norbello (13).
fig. 11
fig.12
Interpretazione
della scritta dell’archetto:
Parte sinistra:
Lui (h) immortale forza forza forza del
toro e
forza di yaziz figlio del toro
Espressione però non ancora completa perché forza forza forza rende, per iterazione
logografica (14), ‘forza del
tre’ ovvero ‘ forza della luce’.
Pertanto
avremo ‘ Lui (15) immortale
forza del toro della luce’ e forza di yazyz figlio del toro
Parte destra:
[
….] toro (16)
forza forza
forza forza e (e forza)
di yaziz figlio di zzy
Ma anche qui sfruttando l’iterazione logografica
avremo ‘ [….] toro forza della luce e forza di yaziz figlio di
zzy’
Come si può osservare (fig. 13) il ‘tema’ (indicato
ed enfatizzato soprattutto dal macro segno della ‘croce’) della scritta
dell’archetto sta nel dire e celebrare sia la ‘forza’ o ‘potenza’ (17). luminosa del padre (il toro yh) di yaziz, sia la forza di yaziz stesso
che è derivata da quella del padre. Le
scritte (quindi non una sola)
dell’archetto si trovano in parallelismo e sono state graficamente congegnate
in questa maniera:
La
differenza nello schema, fortemente simmetrico, consiste nel fatto che
nell’ultima ‘linea’ di senso a sinistra si trova l’identità di yaziz come figlio del toro divino mentre
a destra c’è la sua identità terrena (18) come figlio di zzy.
Si può capire a questo punto il valore
immenso non solo sul piano paleografico ma anche su quello linguistico (19), storico, archeologico, religioso e sociale, di
questa scritta di Semestene (alla quale presto
- anticipiamo - se ne aggiungerà un’altra di Sardara, di uguale incredibile
valore e sempre incentrata sulla ‘forza’ di yazyz)
su cui nessuno può eccepire, per fortuna, per nulla: né sulla autenticità, né
sulla sua antichità né sull’identità e sulla tipologia dei segni che risultano nuragici
e solo nuragici (20). ‘Valore immenso’ anche perché si
confermano dei dati, da noi offerti da tempo (21) come sicuri (ma regolarmente snobbati dall’ermeneutica ufficiale
accademica) e cioè che sicuramente nella Sardegna dell’età del Bronzo finale e
del primo Ferro, per un tempo lunghissimo (XIII - VIII secolo a.C.), dominò una
monarchia di origine divina. Infatti, la potenza taurina luminosa divina di yaziz è la stessa potenza (v. figg. 14 -15 -16 -17) di yago de Hathos (22), di Lephsy (23), di Gayny (24), di Sydhu (25), e forse di Nrb (26) e di tutti coloro che, per ora anonimi, giacciono
sepolti nella collina di Monte ‘e Prama
accompagnati dalle loro statue (figg. 18
-19 -20) e
dai i loro simboli di potenza, ovvero i modelli dei nuraghi (fig.21), che notano,
assieme alle statue, il ‘toro della
luce’ (27) defunto.
fig.
14 fig.15 fig.16 fig.17
fig.
18
fig. 19 fig.20
* Il presente saggio vuole essere solo una breve
anticipazione circa un più esteso lavoro scientifico sull’identità dei
cosiddetti ‘Giganti’ sepolti nella collina di Monte ‘e Prama.
** Nell’elenco i segni con la sbarretta
che segue al numero sono quelle di più
ostica individuazione
Note ed indicazioni bibliografiche
1 Boscolo A. 1978,La Sardegna bizantina e alto-giudicale, Sassari, Chiarella, pp. 93-94 e pp.134 -135; M. Rassu, 1999, Pozzomaggiore l'ambiente, la storia, l'arte, Cagliari, ItinerArte, p. 30; Areddu A.G., 2018, "L'enigma dell'epigrafe di San Nicola di Trullas", Studi Semestenesi, Wroclaw ; M. Pittau, La misteriosa iscrizione di San Nicola di Trullas, in Almanacco gallurese, 2015-2016, pp. 18-19.
2 V. Sanna G.,
2014, Semestene. Chiesetta di San Nicola
di Trullas. Un epigramma amoroso a rebus per ‘Serra Ra’; in Monte Prama
blog spot.com (11 ottobre).
3 I segni, per
quanto il blocco di pietra denunci deterioramenti e forti corrosioni in più
parti (soprattutto nella parte alta a destra), sono, per fortuna, in gran parte
ancora visibili. In totale sembrano più di trenta. La difficoltà
nell’individuarli subito nella sequenza fonetica consiste nel fatto che lo
scriba lapicida ha eseguito una strana composizione di forme, ora riportandoli
in altorilievo ( come nell’incipit sulla sinistra in alto) ora scrivendoli
graffiti e con larga incisione a ‘foglia’. Alcuni addirittura, come il secondo
toro pittografico in basso nella parte sinistra,
possiedono l’altorilievo delle linee che compongono il pittogramma. Il lusus grafico
poi prosegue ora ingrandendoli ora riducendoli. Ora spaziandoli ora
accostandoli, tanto da apparire quasi in legatura. Qualche volta la lettura
risulta assai problematica e allora il segno risulterebbe perso per sempre se
esso non si riuscisse a ricavare in virtù dello schematismo del testo (la parte
A, a sinistra dell’archetto e la parte B,
a destra, risultano consonanti) nonché della ripetitività (anche numerica) del
lessico. Come si vedrà più avanti, la reiterazione della voce ‘OZעז (potenza) in ‘variatio’ (cioè con il mutamento
formale, pressoché continuo, delle consonanti, consente di ‘vedere’ meglio la
‘grafia’ anche quando il segno risulta notevolmente compromesso. Per esempio le
quattro lineette, grafite tra la croce e la protome taurina, le si individua in
parte solo per via congetturale come ‘variatio’ di ‘potenza’, ottenuta questa
attraverso la convenzione numerologica del quattro come segno logografico
(‘numero parola’). E così dicasi per la ‘waw’ (congiunzione ‘e’) della parte
sinistra, pochissimo leggibile e quasi scomparsa, individuabile solo per la corrispondenza che
essa ha con la parte destra dove la congiunzione enclitica (forza e), di antichissima tipologia ‘protosinaitica’, si trova
scritta con assoluta chiarezza formale .
4 Rispetto alla
parte sinistra quella a destra si trova, purtroppo, in parte compromessa, perché
erosa, sulla zona alta tanto da dare la netta impressione che all’appello
manchino diverse lettere. Quante siano è difficile dire anche se sembra logico
dedurre sia dal detto ‘consonantismo’ delle due parti sia dallo stesso tenore della
scritta (v. più avanti) che il secondo incipit è privo di almeno tre o quattro
segni. Segni che stavano al di sopra o a fianco della protome taurina
abbastanza visibile sulla destra in alto, collocata questa, forse in modo
significativo, al di sopra dell’arco che è punto di forza . In questo settore di scrittura segnaliamo subito la
difficoltà di lettura delle due lettere ‘b’ e ‘n’, riportanti la voce bn (figlio), voce ‘logica’ e sicuramente
esistente (yaziz bn zzy) tra il nome
ed il patronimico.
5 Aspetto
tipico del nuragico (e non solo nei documenti con scrittura lineare). V. Sanna
G., 2016, Il concetto di ‘variatio’;
in I Geroglifici dei Giganti.
Introduzione allo studio della scrittura nuragica, 6, pp. 133 - 143.
6 Sanna G.,
2016, I geroglifici dei Giganti. Introduzione
ecc. cit. passim. In particolare
cap. 3.7 pp. 75 - 87.
7 Sanna G.,
2004, Sardoa grammata. ’ag ’ab sa‘an
yhwh. Il dio unico del popolo nuragico, S’Alvure ed Oristano.
8 Il segno ‘protome taurina con criniera’ sinora è da
considerarsi un apax nella scrittura
arcaica sarda. Tuttavia l’iconografia la si conosce da tempo nella monetazione
nuragica (v. fig. seg.) perché presente nel toro ‘api’, la divinità ‘celeste’
padre, del noto statere aureo di Amsicora del 215 a.C. (v. Sanna G, 2016, I geroglifici dei Giganti.Introduzione ecc.
cit. cap. 8,2 pp. 176 -181). Si noti la criniera riportata suddivisa in tre
parti, nello stesso identico modo .
9 Anche questo segno costituisce un apax nel system nuragico. Chiaramente di
origine geroglifica egiziana, così come altri segni acrofonici del ‘protosinaitico’
prima e del ‘protocananaico’ poi, ha però valore fonetico diverso perché
notante il primo segno della voce semitica ערלה
(Es 4,25; 1 Sam 18,25). Quindi nell’alfabeto nuragico, nella serie dei segni
notanti la ‘ayin, va ora aggiunto anche il segno pittografico con immagine
‘fallo’ערלה
10 Si tenga
presente che esso (in attesa di un aggiornamento e di una registrazione
definitiva dei segni di oltre trecento documenti) è, sostanzialmente, quello del
2011.
11 Sanna G.,
2016, I geroglifici dei
Giganti.Introduzione ecc. cit. cap.5, pp. 111 - 131.
12 Sanna G., 2010,
Il documento in ceramica di Pozzomaggiore;
in Melis L., Shardana jenesi degli Urim,
pp. 153 - 168.
13 Sulla detta
pietra basaltica norbellese è in corso un saggio da parte dello scrivente.
14 Sulla ‘reiterazione’
logografica abbiamo detto più volte (v. http://maimoniblog.blogspot.com/2017/10/amuleto-aureo-etrusco-da-bolsena-in.html. Lo stesso tempietto della
chiesetta di San Nicola di Trullas
riporta una scritta pittografica nuragica (v. fig. seg.) con reiterazione di quadrati che all’interno recano nove protomi taurine tutte in ‘variatio’). Quindi
con lo stesso motivo della ‘forza’ (il
quadrato) ripetuto ossessivamente come nel testo dell’archetto. Sul significato
anche di questa parte scritta della chiesetta che tanto interessa quella che ora andiamo esaminando contiamo di
ritornarci con un secondo saggio incentrato ancora sui documenti che trattano di yazyz.
15 ‘Lui/Lei’ (h ה è il valore fonetico della
cosiddetta Tanit e cioè l'orante ) è un modo, il più
frequente, di citare indirettamente il nome di
yh (o yhh, yhw o yhwh). V. Sanna G., 2016, La lingua e la scrittura nuragica organiche alla sacralità del Dio
IL/EL YH; in I geroglifici dei Giganti. Introduzione allo studio ecc. cit.,
cap. 9, pp. 183 - 201. La consonante spessissimo si ricava per acrofonia (hdrh הדרר, hll הלל,
hrh הרה
ecc.).
16 La protome
del toro non è perspicua ma l’incipit di questa seconda parte della scritta non può, per andamento
simmetrico, non avere il pittogramma ‘toro’ a cui va aggiunta la serie ternaria degli ‘oz (potenza) così come nella prima
parte. La stessa ‘variatio’ segnica della protome taurina, riportata nel testo in
tutto tre volte, gioca a vantaggio
dell’esistenza, in quel punto del blocco scritto, del detto pittogramma.
17 I nuragici,
come in questo caso di Trullas,
scrivevano questa importante parola o attraverso i segni lineari o per via
convenzionale numerica o geometrica. La ‘croce bizantina’, spesso interpretata
superficialmente nelle scritte come segno cristiano bizantino (si vedano ad es.
i pronunciamenti sui glifi geometrici e numerici della scritta presso la
chiesetta di Santo Stefano di
Oschiri), così come il quadrato (o il rombo), era un segno comune convenzionale
geometrico che poteva sostituire logograficamente le due più 'chiare' consonanti
fonetiche della parola. Con così numerosi simboli, per altro usati in mix, non è
certo facile sciogliere il rebus ed ottenere il senso compiuto del presente
come di qualsiasi altro testo scritto. Pensiamo ora quanta perplessità (e quanto
imbarazzo) sarà nata in chi ha guardato
(perché sicuramente, in un edificio tanto studiato, non pochi avranno guardato,
visto e forse commentato, già a partire da D. Scano: Storia dell’arte in Sardegna dal XI al XIV secolo, Montorsi,
Cagliari) la scritta dell’archetto nel notare una bella croce, riportata per
giunta con notevole enfasi, alla quale seguiva poco più in là un fallo ‘egizio’,
non certo nascosto e formalmente indiscutibile! Imbarazzo ancora maggiore se (come
spesso accade con il fraintendere la lettura
della scrittura arcaica sarda), si sarà pensato ad un semplice decus (ma che c’entrava mai con un decus
cristiano il vistoso fallo pagano?) circa tutta la scritta dell’archetto, magari per analogia (fig. seg.) con un altro degli
archetti con motivi decorativi presenti nella chiesetta!
18 In tutta
evidenza la denominazione di ‘figlio’
divino (del toro) riportata da una parte della scritta e di ‘figlio’ terreno riportata
dall’altra, richiama (per un ‘prima’ ed un ‘poi’ nella lettura), i testi dei quattro sigilli dei ‘Giganti’ di Tzricotu
di Cabras. Nel sigillo A3 yago dhe hathos
è detto nella parte alta di esso ‘figlio
taurino del padre yahw taurino’ e
nella parte bassa ‘figlio del padre (terreno) byqo sor(i)g(u) sempre taurino (v. Sanna G., 2004, Sardoa grammata. ’ag ’ab sa‘an yhwh. Il dio
unico ecc. cit., passim; in part. pp. 98 - 99 e pp. 117 - 120). C’è da notare
poi che nel sigillo A5, attraverso il singolarissimo procedimento dell’utilizzo
dell’agglutinamento in chiave sintattica (con lettura ‘a parte’), abbiamo un’ulteriore
precisazione nascosta del rapporto padre - figlio, entrambi divini, con l’espressione ‘yhw
wahaben’ (yhw e il figlio): v. Sanna
G.,2016, I geroglifici dei Giganti,
Introduzione allo studio ecc. cit. p.107, fig. 14. La denominazione del
testo di Trullas richiama inoltre la Stele di Nora nella parte bassa dove LPHSY è detto bn NGR (figlio di NGR, padre terreno) mentre nella parte alta è
detto ‘lb w bn’ (cuore e figlio: figlio del cuore) del dio yh (v. Sanna G., 2009, La stele di Nora. Il Dio il Dono il Santo.
The Nora Stele. The God, the Gift, the Saint, PTM ed.
Mogoro, pp. 94 - 105. Queste indubbie strette corrispondenze ci fanno capire
quanto i nuragici fossero attenti nei testi scritti nel disporre
gerarchicamente e su piani diversi la
divinità e gli uomini. Si noti inoltre un altro particolare che, a mio parere, tende ad esprimere detta gerarchia, espressa
anche attraverso i segni. Nella parte sinistra yaziz è chiamato figlio del toro. I due segni finali, marcatamente
pittografici, sono prestigiosi e non sono casuali, perché sono quello del
serpente e quello del toro. Due animali spesso affiancati nel nuragico perché,
senza che uno se ne avveda, danno sempre senso fonetico e cioè ‘continuità,
immortalità del toro’. Invece il bn della
parte destra ha la nun piccola e
schematica perché ad essa segue non il
dio toro ma il nome di persona ZZY che, per quanto investito del divino, è un uomo, un mortale e non un immortale.
19 L’uso
costante del semitico ‘alto’ e sacro (tutte le voci ricorrono nel V.T.: si
pensi al sorprendente ‘alil עליל (crogiuolo) del coccio del Nuraghe Addanas di Cossoine di cui si è
detto di recente) nella scrittura religiosa riguardante la divinità e i suoi figli
prediletti, è un dato ormai certo. Questa scritta tende a confermarlo
definitivamente.
20 Crediamo che
stavolta nessuno, nel tentativo di negare la scrittura nuragica, possa più
arzigogolare e menare il can per l’aia, parlando di chissà quali codici esterni (filistei, ciprioti, fenici, euboici, ecc. ecc.)
e di segni ‘in’ Sardegna ma non ‘della’ Sardegna!
21 Sanna G.,
2004, Sardoa grammata. ’ag ’ab sa‘an
yhwh. Il dio ecc. cit., passim; in
part.cap. 10, pp. 395 - 411.
22 Sanna G.,
2004, Sardoa grammata. ’ag ’ab sa‘an
yhwh. Il dio ecc. cit., cap. 4, pp.117 – 120.
23 Sanna G.,
2009, La stele di Nora. Il Dio il Dono il
Santo. The Nora Stele. ecc. cit. cap. 3 pp. 89 -91.
Che dire? UAUH! Anzi, EIA!
RispondiEliminaCaro professore, dopo aver letto il suo saggio mi son dato da fare ed ho trovato per Iaziz un significato. Nel vocabolario dei nomi proprj sustantivati tanto d'uomini che di femmine – di Claudio Ermanno Ferrari editto nel 1831, troviamo il nome Iaziz, maschile, di origine ebraica col significato di “splendore”.
RispondiEliminaAll'indirizzo: https://books.google.it/books?id=whlUAAAAcAAJ&pg=PA85&lpg=PA85&dq=iaziz&source=bl&ots=3JzNBMm9Av&sig=co_rW1E1Xxqqd9EaLuKgsZmzsWg&hl=it&sa=X&ved=2ahUKEwiE4J7ryurfAhWhy4UKHXJsAIE4ChDoATAIegQIABAB#v=onepage&q=iaziz&f=false
RispondiEliminaInteressante Sandro. Un nome aristocratico per un testo di caratura formale altissima.
RispondiEliminaA Sandro, Francesco e Francu ( e a chi vorrà interveniore). Cosa ne pensate della assurda mancanza di attenzione (per decenni e decenni) per i segni della scritta di Semestene? Io non so darmi una spiegazione. Si vede scrittura 'strana' in uno spillone e si fanno convegni per capirci qualcosa e questa scrittura strana anch'essa ma macroscopica non la si vede? Davvero, come ho detto scherzando altrove, bisognerà intervenire, per spiegare un certo fenomeno (la non visibilità della scrittura), con spiegazioni da analisi della psiche?
RispondiEliminaC'era una volta uno scienziato, nato e vissuto sulla Luna; grande astronomo di fama lunare, conosceva tutto dell'universo. Studiò l'universo intero, quello visibile agli occhi e all'infrarosso e pure quello all'ultravioletto. Sapeva di quasar e buchi neri, stelle nane e giganti rosse, conosceva il moto degli altri sette pianeti del sistema solare, più uno forse (quello che noi chiamiamo Plutone e che anche per quello scienziato non è un pianeta). Delle lune di Giove, poi, sapeva pure la composizione e quanta acqua potessero fornire alla sua amata Luna, ormai arsa. I giorni, sulla Luna passavano lenti e l'alba e il tramonto del sole ogni volta lo incantavano: “Che meraviglia il creato!” diceva in cuor suo. Attorno a lui si estendeva l'orizzonte e non potendo muover le proprie radici chiedeva, a chi vedeva a vista d'occhio, se qualcosa di nuovo avevano scoperto dalle loro lande.
RispondiEliminaUn giorno allunò poco lontano da lui, un trabiccolo; recava una bandiera rettangolare – campo rosso, una gran stella a cinque punte sull'angolo superiore sinistro affiancata, sulla destra, da quattro stelle più piccole. Il trabiccolo si avvicinò all'astronomo, si fermò, dal suo corpo metallico uscì uno schermo che d'un tratto si illuminò, apparvero delle immagini che in cuor suo lo scienziato reputava familiari, ma che stranamente erano percepite da un punto di vista diverso dal suo. Vide tutti i pianeti a lui noti, riconobbe la sua amata Luna, ma con sorpresa, mentre le immagini si facevano più nitide e dettagliate, non la riconobbe più. Si chiese “Che Luna è mai questa?! Non la ho mai vista così!”
Un senso di frustrazione lo colse. Aveva studiato tanto per anni e anni e non aveva mai visto la sua amata Luna a quel modo. “Poco male” pensò “è probabile che sia la Luna come era tanto tempo fa.” Cercò di comunicare col trabiccolo e dopo un po' di tempo riuscì a capire il linguaggio di quel mostro. Era pronto ormai a porre domande, per capire fino a che punto fosse avanzata la conoscenza di quell'alieno; e quando quello scrisse sul suo monitor che veniva dal pianeta Terra, lo scienziato raggiò di meraviglia e contentezza: “Finalmente!” Urlò, “Lo sapevo, lo sapevo che esisteva vita lontano da noi oltre il sistema solare!”. Il sorriso gli si gelò in faccia quando sullo schermo apparve la scritta “Veramente, questo veicolo proviene dalla Terra che dista pochi giorni di navigazione spaziale ad una velocità media di 30000 Km/h”. Lui con fare imperturbato disse “Non è possibile quanto afferma questo alieno; se davvero esistesse questa “fantomatica” Terra l'avrei vista solcare il cielo che tutte le notti osservo da decine e decine d'anni”. Chiuse gli occhi, nel frattempo il trabiccolo alieno si allontanò per altre esplorazioni; quando si svegliò, lo scienziato pensò di aver fatto un sogno; sorrise a se stesso dell'idea balzana di un pianeta così vicino alla Luna ma invisibile. Distolse il pensiero da ciò e si apprestò, come al solito, ad osservare i cielo alla ricerca di un nuovo oggetto nel vuoto dello spazio e si ripromise, se lo avesse scoperto, di chiamarlo Terra.
Qualche domanda: della corrosione e della possibilità che vi fossero altri segni soprattutto nella parte alta a destra ha già detto nella nota 3 e 4; in merito al supporto, vista la composizione simmetrica divino | terreno, si può escludere che la pietra di supporto sia stata modificata anche nella parte bassa centrale per poter scolpire l'arco della monofora? O lo pensa già cosi fatta in precedenza? Data poi la continuità di altezza con i conci adiacenti che creano un filare continuo si può supporre che la pietra sia stata tagliata per adattarla alla misura delle altre? E infine, il tipo di materiale della pietra è dello stesso tipo delle altre?
RispondiEliminaAnche zzy è attestato quale nome proprio di persona in ambito semitico. In particolare nell'Enciclopedia dell'arte antica Treccani troviamo alla voce “PUNICA” il nome di uno scalpellino che collaborò al mausoleo di Ateban II sec. a.C. (Dugga - Tunisia), che si chiamava Zizay (zzy).
RispondiEliminaLo escludo. Non è stata modificata. Secondo me tutto l'archetto è l'originale, cioè la pietra scolpita del tempio arcaico di yaziz. Lo dimostra il particolare (lo accenno in nota)del toro disegnato sopra l'archetto nella metà giusta. Quella collocazione è intenzionale perché l'arco per i nuragici (e forse anche prima) è forza, è toro. Niente è stato tagliato. Per il materiale non so. Ma ho capito forse dove vuoi parare. Dalla tipologia della pietra dell'archetto ricavare quanto di nuragico è stato riciclato nella costruzione della nuova 'chiesa'. E' così?
RispondiEliminaSi, pensavo al riutilizzo ma non solo. L'architettura giudicale in Sardegna presenta (e mostra) spesso materiali di spoglio, elementi provenienti da altre architetture, materiali differenti, disposti e composti in modo variegato e non necessariamente uniformi, il che conferisce tessiture murarie articolate molto particolari. Lo si osserva anche in questa chiesa in diversi punti. Questa soluzione del concio scolpita ad archetto è presente in altri edifici dell'epoca e l'avrei detto tipico di queste architetture...perciò lo avrri considerato un intervento successivo. Se così non é, significa che la dimensione delle monofore è stata costruita sulla base del concio di riutilizzo e questa 'misura' ha guidato le altre tre sulle facciate laterali? Quindi sorge spontanea un'altra domanda: come mai si è scelta proprio quella monofora per posizionare il concio? Si era coscienti, all'epoca di costruzione della chiesa, del suo significato?
EliminaSai Angelo cosa mi ha ricordato la scritta di Semestene? Quella nuragicissima di San Pietro extra muros di Bosa. Anche lì si nota un bel masso riciclato di un antico tempio dedicato a YHW. Come faccio a saperlo? Me lo ha detto, oltre che la stessa scritta (shrdn yhw), il sacerdote Antonio Francesco Spada di Bosa spiegandomi che il sito dove si trovava la chiesa si chiamava Santu jacu. Guarda guarda, anche quella scritta nessuno l'ha vista né intende vederla Che pena!
EliminaNon so se conosce la Chiesa sassarese di San Michele di Plaiano. Fra le arcatelle della parte destra del timpano, sono inseriti due grossi conci, che gli studiosi liquidano come elementi decorativi di una preesistente costruzione. Io ho sempre avuto dei dubbi siano dei semplici motivi decorativi, provi a darle un'occhiata.
EliminaPer il Vico i Vallombrosani hanno costruito su una precedente struttura che era già edificata nel IV secolo.
Bello Sandro, abbiamo attestati quindi entrambi i nomi. Quello di ZZY è però meno aristocratico. Anche nel documento del dattiloscritto di Pietro Lutzu c'è scritto ZZY ma stranamente ZZY è il nonno di yaziz perché il padre (scritto molto chiaramente) è 'aly (bn 'aly).
RispondiEliminaChe piacere rileggervi....
RispondiEliminaCiao Thor
EliminaA proposito della faccia non visibile della Luna (bell’apologo, Sandro), lasciatemi dire anzitutto che la monofora interessata è la prima sul lato sinistro della chiesa, ossia sulla parte opposta a quella mostrata dalla foto nell’articolo.
RispondiEliminaPerché, chiede Gigi, non si è ancora raccolta questa scrittura mentre in qualche modo (sappiamo in che tempi, pubblicando vent’anni dopo il rinvenimento in scavo) si è raccolta, nella letteratura archeologica, quella sullo “spillone” di Antas? Direi si tratti della maledizione della pietra “a vista”: se non riporta una chiara e inattaccabile scrittura lineare nota la pietra a vista, esposta ai ghiribizzi degli uomini nei secoli, non viene in sostanza presa in considerazione, cautelativamente. Quanti altri esempi potremmo fornire?
Lo spillone è invece stato datato stratigraficamente, roba dell’VIII (IX?) secolo a.C., perciò (pur con tutta la calma, e anche oltre) non potevano proprio far finta di nulla all’infinito.
Penso che scritte attualmente ancora “strane” su pietre a vista verranno finalmente prese in considerazione solo (se e) quando si sdoganerà un’effettiva scrittura antica che in qualche misura somigli loro. La strada sarebbe la benedetta datazione archeometrica dei reperti fittili, come già auspicato.
Noi intanto aggiorniamo il registro, se non dei pensieri, almeno delle parole, delle opere e delle omissioni.
No Francesco, ho detto proprio in apertura di articolo, prevedendo l'obbiezione che c'è yaziz lineare grande come una casa! Lo vede tranquillamente anche chi ha occhi persi. Il motivo è un altro. E bada che la scrittura 'lineare' è nota. Avrebbero letto IZIZ e non YAZyZ certamente. Ma il dato epigrafico chiaro è indiscutibile.
RispondiEliminaSdoganare? E' stata già sdoganata. I documenti si sdoganano da soli, caro mio. E questo di Semestene ti dice che ormai non c'è bisogno di niente. La perizia dei documenti in ceramica. Farebbe la stessa fine della perizia della barchetta di Teti. C'è sempre un modo per addomesticare, negare, confondere. A proposito, che fine hanno fatto i tuoi intellettuali commossi dal tuo appello? E' una gara per far casino e far trionfare il vero. Francesco, Francesco! Abbandonati, come tanti (anzi tantissimi) ormai, al piacere di sapere chi erano i Giganti di Monte ' Prama, i Giganti faraoni santi. Abbandonati alla gioia di vedere quei segni unici, di un system unico, che di essi parla. Un system Che di essi comincia a raccontare la storia. Davvero interessante e preoccupante per un'altra storia nazionale che sta andando a ramengo. Caterini non ti ha insegnato nulla e ha scritto in quel tuo saggio 'storico' tanto per scrivere?
RispondiEliminaData la posizione del concio, che si trova a una altezza considerevole da terra, fatto che esclude un qualsiasi intervento estemporaneo di “graffitari” della domenica, o “monelli” passatempisti, è ingiustificabile la mancata attenzione verso la scritta da parte degli studiosi.
RispondiEliminaAllora aggiorno la definizione (è quel che colgo, Gigi, non quello che ritengo giusto): la “maledizione della pietra a vista” comporterà che se questa non riporta “in netta prevalenza” una chiara e inattaccabile “scrittura lineare nota”, in ragione (ufficialmente) dell’essere stata esposta nei secoli ai ghiribizzi degli uomini non verrà, in sostanza, presa in considerazione, "dietro" un principio di cautela (tanto meno quando, ancora, farlo significherebbe “sdoganare” altro, come una frammista scrittura non alfabetica).
RispondiEliminaNon per voler rovinare ai tantissimi il piacere di abbandonarsi alla contemplazione di quanto qui si va delineando, ma appena per metterci d’accordo con noi stessi: se la scrittura nuragica fosse già davvero sdoganata, l’accorrere a frotte (anche) degli intellettuali avrebbe subito avuto inizio. E faremmo a gara a chi ne sarebbe più contento.
Comunque, intanto, mi godo il viaggio e la compagnia, ora col brindisi al (terzo) milione (e passa ...): alla nostra salute, alla memoria di GFP, alla conoscenza della Civiltà Sarda!
'Data la posizione del concio, che si trova a una altezza considerevole da terra, fatto che esclude un qualsiasi intervento estemporaneo di “graffitari” della domenica, o “monelli” passatempisti, è ingiustificabile la mancata attenzione verso la scritta da parte degli studiosi'. Perché aggiungere altro, caro Francesco, da 'amico del giaguaro', al resto? Perché questa ostinazione nel cercare quei peli nell'uovo, peli che semmai dovrebbero essere di ricerca altrui? Questa scritta è chiarissima, genuina, inattaccabile, graficamente in totale sintonia con la 'griglia di Sassari' e con le convenzioni tipiche del system nuragico. Fa specie che di essa nessuno abbia mai parlato. Fa specie che si vedano 'croci' con 'falli' e nessuno venga incuriosito dall'assurdità. Fa specie notare che quella chiesa è studiatissima (studiata dai maggiori storici dell'arte e dell'archeologia medioevale) in ogni dettaglio tranne il 'dettaglio' (si fa per dire) dell'archetto'scritto'.
RispondiEliminaMa quale “amico del giaguaro”? È come se, dopo avergli chiesto un parere, te la prendessi con un avvocato che ti dà la sua opinione su come si comporterà la parte avversa in risposta a una tua iniziativa. Pensi davvero che abbia suggerito io ai giaguari una linea che già non conoscono e non seguono benissimo?
RispondiEliminaQuell’avvocato non potrà semplicemente dirti di stare tranquillo perché “sei nel giusto e (perciò) il giudice ti darà ragione”, tanto più in quanto qui chi giudica (al momento), chi emette sentenza, è (nel) la stessa parte avversa; ne abbiamo già parlato.
Non si avanza di un passo a sparare sull’avvocato. E non cadere, per facile inerzia, nel darmi dell’avvocato delle cause perse, perché i più (fortunatamente) vedono bene che la causa è la tua (causa per la quale, tra l’altro, mi sono già preso dell’azzeccagarbugli).
Comunque l’impegno di “cercare il pelo nell’uovo” (se così vogliamo chiamare l’attività di misurarsi con obiezioni razionali) non è, a mio parere, affare che che sia meglio lasciare ad altri; penso, al contrario, dia spessore, lustro e nobiltà al gruppo che sappia farlo anche al proprio interno (anche queste sono cose già dette e pure condivise, in ormai tanti anni). Solo che in realtà, a guardar bene, con quanto ho scritto sopra non ho cercato (e quindi non ho trovato) nessun pelo nell’uovo; chi lo ha fatto, con merito e dandoci (appunto) lustro, è stato Angelo, quando ha sottolineato che intendere la nostra pietra scolpita ad arco già esattamente di quella forma secoli prima del suo impiego in quella precisa monofora (precisa alle altre della chiesetta) si porterebbe dietro qualche perplessità in più rispetto al restare aperti alla possibilità che sia stata in qualche modo adattata.
Dopodiché lo ripeterò volentieri anch’io: data la posizione del concio, che si trova a un’altezza considerevole da terra (fatto che rende quantomeno molto improbabile l’intervento di ‘graffitari’ della domenica), è ingiustificabile la mancata attenzione verso la scritta da parte degli studiosi; fa quindi specie che di essa nessuno abbia mai parlato; fa specie che possano interpretarsi 'croci' con 'falli' e nessuno venga incuriosito dall'assurdità; fa specie notare che quella chiesa è studiatissima (dai maggiori storici dell'arte e dell'archeologia medievale) in ogni dettaglio tranne per il 'dettaglio' (si fa per dire) dell'archetto 'scritto'; fa specie che non si colga il chiaro dato epigrafico (dando senz’altro credito al Prof. Sanna) almeno di una scrittura lineare nota nella sequenza IZIZ, nonché dell’assoluta assenza di caratteri fenici. Davanti a tutto questo, le possibili perplessità circa ritocchi o meno sulla forma originaria dell’attuale archetto paiono davvero marginali.
No, non sei un avvocato delle cause perse. Non ti mancano né dottrina né capacità dialettiche oratorie. E neppure, cosa che più conta, l'affetto per il cliente. Sei qualche volta un avvocato ostinato che non dà retta ai consigli di chi ha la causa in corso, non considerando che quasi sempre il migliore avvocato è sempre quello che rischia d'essere condannato.Io ti dico, per strategia: 'Togli quel punto interrogativo. Ci danneggia'. Tu rispondi: 'Facciamolo piccolino'. Hai vinto e così è rimasto un punto interrogativo, comunque. Quello che piace tanto ai negazionisti di destra, di sinistra e di centro. Le perplessità, con migliaia di punti piccoli interrogativi (il più delle volte ingiustificati), portano ad una negazione perenne. Non è un caso che l'espressione dei più è sempre la stessa, sempre senza senso, sempre senza un minimo di tentativo per entrare personalmente nel merito: 'Sì, ma sono perplesso!' Un mio cugino, dopo aver letto il tuo saggio, non mi ha sorpreso dicendomi: 'Ma questo Masia ci crede in questa benedetta scrittura o no? A leggere il libro sembrerebbe di sì, ma dal titolo no'. Vedi il cliente, avvocato di se stesso, temeva tanto quel piccolo punto interrogativo. Perché sarebbe potuto essere anche un grande, se non enorme punto interrogativo. Ciò solo per stare al gioco della metafora 'avvocato'. Perché sai bene che io non ho cercato e non cerco mai avvocati. Neanche quelli che quasi sempre vincono le cause. So difendermi da solo. E per carattere preferire di perdere, quando perdo, da solo. Ti sei dimenticato della nostra, non tanto vecchia, discussione sulle 'cordate'?
RispondiEliminaPensavo di aver esaurito quanto avessi da dire in questa discussione, finché Gigi non ha portato fuori l’argomento del cugino (“Ma questo Masia ci crede in questa benedetta scrittura o no?”).
RispondiEliminaPer pareggiare con i parenti, potrei dire che diversi miei cugini hanno molto apprezzato quel punto interrogativo.
Al cugino di Gigi, però, potrei provarmi a spiegare (lasciando i panni dell’avvocato) che quando un medico chiede un accertamento non spera di trovare la malattia che confermi la sua ipotesi, ma ha appunto il dovere di escluderla.
È vero che ci sono diagnosi essenzialmente cliniche, in cui non possono intervenire conforti strumentali e il medico deve assumersi la responsabilità di quello che crede (o dei punteggi che sta comunque a lui assegnare in qualche check-list): sono quelle le diagnosi che soprattutto è bene lasciare ai medici (specialisti).
Per le altre diagnosi, però, occorrono le conferme strumentali: e saranno quelle a decidere, aldilà delle (prime) convinzioni del clinico.
Ha senso, perciò, chiedersi se un medico creda in una diagnosi di cui cerca una conferma strumentale? Sarà forse un cattivo professionista se l’accertamento (doveroso secondo tutte le linee guida) risulterà negativo?
Quanto alla scrittura, perciò, io lascio senz’altro agli epigrafisti le dispute sulle basi dei loro soli esami autoptici. Quando però diviene lampante che le loro conclusioni (magari nemmeno univoche) necessitano del possibile conforto di accertamenti strumentali, quando diviene chiaro (grazie al Prof. Sanna) che questi accertamenti si evitano (come si evita di raccogliere in modo consono i loro primi responsi), allora, anche se epigrafista non sono affatto, sollevo un sopracciglio, mi interesso e alla fine cerco di fare la mia parte in quella che finiscono per rendere una battaglia di civiltà, in sintesi, per la Civiltà Sarda (senza alcuna megalomania, casomai con soggezione).
Il punto, perciò, non è che quel punto interrogativo non sia ancora più piccolo, fino a scomparire o a tramutarsi, tronfiamente (da sé), in un punto esclamativo. Il punto è che quel punto interrogativo dovrebbe imporsi nel dibattito perlomeno culturale e perlomeno in Sardegna come un macigno in movimento, che non blocchi nulla ma che smuova e sfondi.
Chi entrando nel merito della scrittura finisce per dire “Sì, ma sono perplesso” si sta pronunciando sul credere o non credere alla scrittura: risposta adeguata (non è un epigrafista) alla domanda sbagliata. La domanda giusta da far maturare riguarda l’opportunità, la necessità, di condurre le possibili verifiche strumentali sui reperti in discussione, in accordo con tutte le linee guida.
Solo se queste verifiche otterranno di aprire una bella breccia nella diga, tutti gli altri elementi che si vanno raccogliendo potranno rivelarsi la massa che la sfonda, trasformando la loro energia potenziale in cinetica.
Basta dirla così e si capisce quanto Gigi possa essere carico ;-)
Risposta adeguata? Che dici? E' solo una risposta strumentale, ipocrita, l'unica che sappiano tirar fuori per procrastinare sine die. Il fatto è (girala come vuoi e quanto puoi) che quel punto disturba, depista, porta senza volerlo l'acqua a mulini che solo così riescono a girare almeno un po'. Mille risposte 'sono perplesso' per mille documenti (bada che solo tre indizi, come si suol dire, fanno una prova)probanti come quel di Semestene sono stupide. Non c'è bisogno di confronto alcuno perché inutile (stupido appunto). L'unica cosa seria è prenderne atto e studiare o far studiare. Questo hanno capito tutti tranne quelli (i soliti quattro gatti) che non vogliono e mai vorranno capire Punto. E non punto interrogativo!
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